Peonie di Giada coi colori delle foglie d’acero

Qualche considerazione sulla narrativa di Wayson Choy

 

Pietro Giordan*

giordanp@yorku.ca

 

Questo  mio saggio verte su uno dei lavori più significativi nell’opera narrativa di Wayson Choy : La Peonia di Giada (The Jade Peony). Come spero diventerà ovvio a quanti avranno la pazienza di seguire questo abbozzo di discorso, non è mia intenzione dilungarmi più di tanto sui legami genetici che il lavoro di Choy intrattiene colla letteratura sino-canadese nel suo insieme; né tantomeno credo utile analizzare le relazioni intertestuali ovvero le influenze esercitate da altri testi di questa tradizione sul romanzo in questione. Certamente, alcune osservazioni di carattere generale intorno al contesto ed alla costruzione della letteratura sino-canadese possono aiutare il lettore ad avvicinarsi a questo avvincente romanzo; tuttavia, credo sia fuorviante – per non dire  fondamentalmente errato - da parte del critico (oltre che enormemente frustrante dal punto di vista dello scrittore) voler ricondurre un’opera letteraria così ricca e – diciamolo pure – canadese ed internazionale – entro i limiti sempre più angusti della letteratura canadese certo, ma col trattino.

A questo proposito, conviene citare quanto affermato da Choy stesso :

I think all minority cultures have to go through a period where they are in a category, and I believe that you cannot escape that because you have not been published before. So [when] your minority group begins to be heard, of course it has to be categorized, it's inescapable. But after that, I think we're entering this new period now where good writing is what will matter, and what will last and what will be reviewed. I was very lucky because my book… was a popular book as well as a critically successful one. But the point is they also said that it was an Asian story, an Asian Canadian story. Now I tell everybody, it's a Canadian story, period. And there are other Canadian stories, and we want to listen to new voices. The categories don't bother me because in the end, they will simply be a historical footnote. The good books will last, whatever the footnote. And I would like to think I am writing books that can be read at any time, and [that] they are stories that can be read by everyone who believes that the human heart must survive the drama of living 1.

 

 Infatti, come è palese che esista un legame tra le varie letterature degli « altri » e delle varie minoranze etniche (« visibili » od « invisibili »); allo stesso modo, è innegabile che tutte, in una certa fase della loro evoluzione, rappresentino la dolorosa esperienza dell’emigrazione. Ciò che bisogna stigmatizzare è piuttosto il fatto che esse vengano ridotte esclusivamente a tale tematica e che, in secondo luogo, si neghi loro ogni altro valore epistemologico, azzerando il piacere della lettura (mettendolo tra parentesi, per così dire), rinunciando ipso facto alla possibilità di scoprire cosa vi possa essere di positivamente sorprendente nei loro testi. La prima forma di malinteso sembrerebbe nasca dalla balzana idea che l’emigrazione sia qualcosa di estraneo all’essenza stessa di questo paese e che la Vancouver delle storie di Choy sia piuttosto Marte o Canton. Riguardo al secondo punto, vorrei spiegarmi facendo riferimento ad un articolo di critica letteraria apparso di recente sulle pagine di un quotidiano torontino, una breve analisi di un romanzo scritto da una scrittrice cino-canadese. L’autore, onestamente non so bene con quanta coerenza rispetto alle proprie consuetudini, dedicava gran parte dello spazio a propria disposizione a descrivere il tema dell’opera di questa scrittrice : la vita in una Chinatown canadese. Ovviamente questo recensore aveva poco o nulla da dire sulla fedeltà storica di tali descrizioni, ovvero sulla loro capacità di creare emozioni, suscitare domande e curiosità (insomma, su tutto quanto dovrebbe evocare la letteratura). Al sommario-riassunto faceva seguito una breve quanto negativa conclusione sul fatto che il romanzo fosse sostanzialmente scritto male! Ci viene quindi da pensare che l’essere « etnico » del romanzo analizzato dal recensore dello Star fosse la ragione principale (se non l’unica) per la stesura di questo articolo; il suo essere (a suo dire) un fiasco da tutti gli altri punti di vista sembra quasi secondario… .

 

Ora un anonimo recensore commenta a proposito del romanzo di Choy : « Wayson Choy’s Chinatown is a community of unforgettable individuals who are neither this, neither that, neither entirely Canadian nor Chinese » 2. E sia. Ma il punto è che spesso e volentieri, più o meno esplicitamente, si finisce per pensare che anche l’opera in questione (per non dire l’autore del romanzo) appartenga, per dirla con Marc Augé, a questo non-lieu (non-luogo) dell’anima o del passaporto. Date queste semplici premesse, passiamo alla lettura dell’opera in questione.

La peonia di giada - pubblicato nel 1995 - è l’opera prima di Wayson Choy. La genesi di questo romanzo e del suo esotico titolo – che trae le origini da un racconto scritto molti anni prima – è narrata con attenta passione da Choy stesso in un’intervista rilasciata anni fa a questa rivista 3. Il periodare breve e nervoso di Choy s’adatta in maniera e misura essenziale alle varie voci dei diversi io narranti del romanzo : Jook-Liang, Jung-Sum e Sek-Lung. La trama si dipana a Vancouver ed il primo riferimento cronologico è l’anno 1933. Il romanzo  è costituito da tre parti distinte recanti come titolo i nomi di vari membri di una famiglia sino-canadese, proveniente apparentemente dalla provincia del Guangdong: Jook-Liang (Only Sister); Jung-Sum (Second Brother); Sek-Lung (Third Brother). Tra gli altri membri del nucleo familiare sono da aggiungere la nonna (ovverosia Poh-Poh); un fratello maggiore a nome Kiam; il padre e la moglie di secondo letto, semplicemente indicata come « Stepmother » 4. In realtà, codesta matrigna è la madre biologica della protagonista e dell’ultimo nato, mentre il fratello Kiam è figlio della moglie di primo letto, e Jung Sum è figlio adottivo. La prima parte della storia ha per protagonista Jook-Liang, la sola bimba della progenitura. Appare chiaro fin dall’inizio che il complesso reticolo affettivo cui s’è accennato, aldilà del suo contesto referenziale storicamente verosimile, sembra creato apposta per ingigantire l’effetto di stupore che una tale situazione doveva (agli occhi della protagonista) creare nei locali – così moderni e così poco avvezzi all’arcaica complessità  cinese. Ironicamente è proprio la nonna – custode della tradizione – ad  imporre con l’autorità matronale che nessuno le contesta (« That was the order of things in China ») una semplificazione dell’onomastica parentale : « Poh-Poh insisted we simplify our kinship terms in Canada, so my mother became stepmother » (p.6). Tuttavia ciò che prima facie sembrerebbe uno snellimento terminologico, in realtà, come vedremo, oltre a delegittimare la nuova sposa, reitera la sensazione di umiliazione se non di colpa che la nonna vorrebbe instillare nella protagonista (quanto sarebbe stato meglio un maschio! ). Questa peculiare rettificazione dei nomi (pace Confucio) si collega anche alla questione della lingua e dei vari « dialetti » parlati da familiari e conoscenze dei  protagonisti. Tutto ciò è introdotto  fin dalla prima pagina allorquando, parlando della « matrigna » si afferma che essa « … came with no education, with a village dialect as poor as she was ».  La questione dei vari livelli di « nobiltà » linguistica dei « dialetti » si ripropone qualche pagina più in là allorquando la nonna è descritta come una persona linguisticamente versatile e quindi « ricca », per via del fatto che sa esprimersi in diversi dialetti, ognuno scelto ed adatto ad un contesto specifico. Tale forma di poliglottismo le viene dal fatto che durante la sua infanzia e giovinezza aveva servito in qualità di damigella di compagnia presso una ricca famiglia di rifugiati dalla Manciuria (Cina del Nord-Est). Naturalmente, la questione della gerarchia linguistica - di per sé assai facile da comprendere per chi viene da aree ad alta varietà linguistica o dialettale - risulta di contro estremamente problematica per la giovane protagonista del romanzo la quale si trova ad avere come unico termine di comparazione l’inglese, la lingua della maggioranza, ovverosia un monolite al quale aspira ad integrarsi al più presto possibile. Vi è poi una pletora di vicini tra i quali la prima ad essere menzionata è la signora Lim. Tuttavia è interessante notare come il primo personaggio ad essere identificato nel romanzo (letteralmente nell’incipit « The old man first visited our house when I was five, in 1933 ») sia qualcuno che non ha alcun legame di parentela con la famiglia al centro della narrazione : un anziano signore il cui unico scopo è quello di poter raccogliere la documentazione nonché i fondi necessari per poter tornare in Cina, al villaggio natio, realizzando quindi  il sogno di potere essere seppellito in patria. L’anziano signore riuscirà infine a lasciare Vancouver ma, colle sue visite fugaci alla casa dei protagonisti, avrà stabilito un legame affettivo e culturale con la piccola protagonista . Se l’aspetto affettivo trova una propria giustificazione nel fatto che l’anziano signore rappresenti per Jook-liang il complemento maschile  mancante (un simil nonno) da affiancare idealmente alla severa quanto « bizzarra » nonna paterna, dal punto di vista culturale, invece, esso rappresenta una sorta di Cina muta (per parafrasare l’immagine del grande scrittore cinese Lu Xun), imperscrutabile e misteriosa. Non a caso, cercando di « tradurre » o « ricondurre » il senso di shock generato nella sua psiche di bimba dai tratti un po’ inquietanti dell’anziano cinese d’oltremare, Jook-Liang decide, tra lo smarrimento dei familiari, di identificarlo con Sun Wukong – lo scimmiotto indimenticabile protagonista del classico Viaggio in Occidente. Lungi dal considerare offensivo tale epiteto, l’anziano si lega d’un affetto vieppiù profondo verso la fanciulla. Appare evidente quindi che l’anziano rappresenta agli occhi della bimba una sorta di personificazione di quel mondo misterioso ed irraggiungibile che coincide colla patria d’origine della sua famiglia. D’altra parte, ed in ciò sta a nostro avviso la pregnanza simbolica e la positiva ambiguità semantica del testo in questione, l’anziano cinese rappresenta al tempo stesso, agli occhi della fanciulla, un contraltare magico al mondo misterioso e ridicolmente colmo di divieti, interdizioni e leggi non scritte degli adulti.

Un aspetto chiave tra le varie problematiche costitutive la trama di questo romanzo è dato dalla messa in discorso della cultura nord-americana e della ricezione della stessa da parte dei vari membri della famiglia protagonista, in particolar modo i fanciulli. Jook-Liang commenta con sollievo che un giuoco di guerra, regalo d’uno zio, aveva distolto i suoi fratelli dal cooptare la piccola in attività ludiche emulative delle storie di Tarzan :

Third Uncle had given Kiam THE ENEMIES OF FREE CHINA game for his tenth birthday. […] The Warlord was one of the three Enemy-of-China ``heads.`` The other two were a Communist and a Japanese soldier named Tojo. All three had ugly yellow faces, squashed noses and impossible buck teeth. It was a propaganda toy to encourage overseas Chinese fund-raising for Free China. Watching Kiam and Jung jump up and down was far better than having them force me to play dumb games like Tarzan and Jane and Cheetah (p.13)

Colpisce qui come il regalo dello zio, mirante ad istruire (politicamente) dilettando i piccini, sia al tempo stesso implicitamente messo in contrasto con un elemento della cultura del paese-continente d’adozione - cultura doppiamente nuova tanto dal punto di vista formale (visuale), che da quello dei contenuti – e cioè con le storie esotiche del superuomo bianco, uomo scimmia con annessa consorte e scimmia propriamente detta. La voce della narratrice – ora indefinitamente matura – chiarisce la natura propagandistica del regalo dello zio. Ma è chiaro che nel microcosmo infantile del ricordo, tanto Tarzan quanto le tre orrende teste di Free China formano un unico contesto naturalmente ibrido agli occhi della protagonista. Ed è esattamente attraverso questo filtro che, colla preziosa collaborazione della nonna, la piccola entrerà in relazione coll’anziano signore. Ecco la descrizione dell’occasione in cui Jook-liang fa conoscenza coll’anziano di nome Wok Suk:

A mountain opened, and here, right in our parlour, staring back at me, stood Monkey, the Monkey King of Poh-Poh’s stories, disguised as an oldman bent over two canes (p.18).

La piccola è convinta del fatto di essere (forse con l’eccezione della nonna), la sola persona a conoscenza della « vera » identità di quello strano ospite, maestro dei travestimenti e della furbizia, sorta d’Ulisse cinese. Ciò che agli occhi del padre sembra un comportamento irrispettoso d’ogni etichetta da parte della piccola, viene invece accolto con profonda simpatia da parte dell’anziano. Questi infatti instaura una sorta di complicità ludica con Jook-Liang : « M-pai Mau-Lauh Bak […] You not scared of Monkey Man » (p.25). Nella fantasia della piccola, l’anziano re delle scimmie - il quale la colma di regali e mai la delude - è associato ad altri simili eroi occidentali quali Robin Hood.  Ma il fatto che l’orizzonte magico-superstizioso della vecchia nonna si mescoli a quello altrettanto magico della piccola si esplica chiaramente poche pagine più in là :

After Jung took Grandmother and me to the Lux to see my first Tarzan movie, Poh-Poh announced that Cheetah was another one of the Monkey King’s disguises. It was a way for the Monkey King to be with his monkey tribe and still be in touch with Buddha’s commands, for Monkey could not do without human company, black or white or yellow. After all, people were closest to Buddha, Poh-Poh told me. (p.23)

Il fratello maggiore Kiam  obbietta che quanto affermato dalla nonna non sono altro che  delle storie, esattamente come quelle raccontate dalla Signora Bigley sul biondo Gesù che camminava sulle acque, ovvero quelle di Babbo Natale. Ciò sembrerebbe chiudere la porta alla  credibilità della nonna ed al valore conoscitivo del suo patrimonio culturale. Ma in realtà è ben possibile trarre un senso affatto diverso e cioè, che i vari membri della famiglia cerchino di ritagliarsi uno spazio nel nuovo contesto culturale nel quale si trovano a vivere (crescere od invecchiare). Ognuno in fondo cerca di afferrare una sorta di similarità o comparabilità tra ciò che si è lasciato alle spalle (la Cina) ed il mondo nuovo che si trova davanti (Vancouver, Canada). Nel caso di Kiam, si tratta di una somiglianza per così dire « negativa »  (l’assenza di scientificità delle storie, cinesi o hollywoodiane che siano). Nel Caso della nonna (e della nipotina), si tratta invece della convertibilità di tali racconti. Che poi il narrare la propria esperienza – la propria storia – sia il modo in cui si viene a capo di ogni trauma e di ogni cambiamento (e quella degli emigranti ne è particolarmente pregna) è fatto assodato da mettere a merito di tutte le nonne e dei loro anziani conoscenti. Tuttavia, allorquando la piccola Jook-Liang osa compararsi o per meglio dire abbigliarsi come l’eroina dell’epoca – la bionda e bianca Shirley Temple, la nonna, pur assecondandola nel prepararle fiocchi ed orpelli varii, esclama nel suo ``chinglish`` : « Aiiiiyaah! How one China girl be Shir-lee Tem-po-lah? ». Ed è questo punto che la piccola viene edotta sull’altra differenza ovvero sull’altro pregiudizio : non solo in quanto femmina non può valere nella considerazione dei familiari quanto i suoi fratelli maschi – anzi conta infinitamente meno. Ma per di più, nella considerazione di tutti gli altri (i non-cinesi), non potrà mai pensare di poter emulare un’ eroina dalla pelle candida e dai riccioli d’oro. D’altro canto, nella visione della nonna la piccola non è comunque canadese. Ciò che a livello narrativo era stato introdotto come un giuoco (Free China), ovvero la realtà del conflitto mondiale, viene riespresso con dolore dalla nonna :

Always war in China. First bandit wars in South China, Communist –Gung Chang –wars everywhere, and all those sun-cursed Japanese dogs yapping into North China […] ``There’s no war in Canada,`` I said. ``This is Canada.`` Poh-Poh sighed deeply, gave me a condescending look. ``You not Canada, Liang,`` she said majestically,`` you China. Always war in China.`` (p.34).

In questo breve dialogo, nel suo linguaggio ieratico-sgrammaticato la nonna chiarisce alla bimba come, non solo non possa aspirare ad essere quale Shirley Temple, ma anche come la sola realtà significativa non sia quella in cui vive (il Canada della pace) ma quella dalla quale la famiglia è partita (la Cina in guerra). A Jook-Liang si chiede quindi di rinunciare ad aspirare all’identità che sta acquisendo nella vita di tutti i giorni e di mantenere invece quella del passato mitico, dell’essenza cinese. Il mancato uso degli aggettivi (« Canadese » e « Cinese ») sottolinea ancor più la logica soggiacente al discorso della nonna : I cinesi espatriati sono la Cina. Inoltre, tale distanza appare ovvia agli occhi - o per meglio dire nel linguaggio - della nonna. Infatti, come per Heidegger anche per Poh-Poh, nomina sunt numina e quindi la sua refrettarietà all’idioma locale, il suo esprimersi in Tosan-English s’accompagna anche ad una diffidenza verso le canzonette ed i pezzi inglesi che associa a « bad-luck chants ».

La ruvidezza della nonna viene però giustificata nel prosieguo della narrazione quando la sua propria nascita è descritta come un evento assolutamente negativo : una femmina, per di più di sgradevole aspetto ed in cattiva salute. Ma il fatto che la nonna sopravviva e cresca malgrado tutte le avversità e le costanti, immaginabili discriminazioni, la rende una persona più forte e – agli occhi della narratrice – incline a fare del suo sgradevole e costante scetticismo uno strumento di protezione apotropaico scaramantico. Si tratta evidentemente ancora una volta - nella razionalizzazione della voce narrante – di una sorta di educazione sentimentale sui generis, il survival kit di ogni donna cinese della sua generazione ed estrazione sociale.

L’amicizia tra l’anziano e la fanciulla si concretizza spesso in giornate trascorse in compagnia – il sabato mattina come pure il pomeriggio. Ad un certo punto, tra il serio ed il faceto, Wong Suk confida alla piccola che essa rappresenta per lui « … my little girl, my family » (p. 36). La voce della matura narratrice spiega :

I was happy. I knew our adopted relationship was a true one : Wong Suk would otherwise have been only one of the many discarded bachelor-men of Chinatown – and I, barely tolerated by Poh-Poh, would merely be a useless girl-child. (p.36)

La precisa percezione del comune senso di marginalità nella quale Wong-Suk e Jook-Liang sono relegati sembra essere dunque il collante della loro amicizia. Ora, come è noto, i già di per sé problematici ricongiungimenti familiari furono resi praticamente impossibili da due misure prese dal governo canadese, e cioè la head-tax (in vigore tra il 1884 ed il 1943), ed il Bill 45, noto anche come Chinese Exclusion Act (in vigore dal 1923 fino al 1947) 5.  Wong-Suk rappresenta dunque nella sua dolente esperienza - e financo nel suo degradato aspetto fisico – un riuscito campione romanzesco di un’intera generazione di maschi cinesi condannati alla dis-integrazione coatta, sgradito alla legge del nuovo paese e sorta di fuori-casta solitario rispetto alla propria comunità di appartenenza. L’adozione, per così dire, spirituale di cui parla la protagonista è in realtà reciproca : mostrando di non temere l’anziano -  ed anzi di poter provare affetto nei suoi confronti - la piccola lo « accetta » come parte integrante del suo mondo ed addirittura – data la sua marginalità in seno alla famiglia – come elemento essenziale del suo universo infantile. Tale rovesciamento nella gerarchia tradizionale dei ruoli sociali (Jook-Liang sarebbe tenuta ad una duplice sottomissione rispetto a Wong Suk : sessuale ed anagrafica) è resa possibile esclusivamente dalla particolarità del contesto culturale e politico nel quale i due personaggi si trovano a vivere le loro esistanze.

La passione per il cinema è un altro fattore che li accomuna. Le sale che frequentano – l’Odeon ovvero il Lux – sono descritte con tono nostalgico e sognante (il soffitto dorato, gli angioli e –durante l’intervallo – acrobati, giocolieri, maghi cantanti e ballerine. Tale contesto da fiera di paese suscita evidentemente ricordi particolari nell’anziano e nuove fantasie nella fanciulla. Ma è chiaramente nella magia delle ombre elettriche (l’evocativa traduzione cinese di « cinema ») che il legame tra i due personaggi si manifesta in maniera più intensa :

My favourite movies starred Shirley Temple; Wong Suk liked Tom Mix, any old picture with Tarzan (to tell the truth, he identified with the smart-alecky Cheetah) and we both liked Laurel and Hardy. But we absolutely gloried in the Sherwood Forest world of Robin Hood. ``So much like the heroes of Old China, `` Wong Suk told me. (p.37)

Se agli occhi della nonna e della bimba lo scimpanzé di Tarzan evoca Sun Wukong – lo scimmiotto protagonista del Viaggio in Occidente, la saga di Robin Hood non può non ricordare gli eroi dell’antica Cina. Qui il pensiero va evidentemente ad un altro classico cinese del periodo Qing : lo Shuihu zhuan, il quale narra le avventure dei gloriosi, leali banditi di Liang Shanbo 6. Il giuoco comune al vecchio come alla fanciulla è quello dell’identificarsi con un personaggio : Robin Hood o Cita per Wong; Shirley Temple nel caso di Jook-Liang. Si noti qui la differenza fondamentale rispetto al comportamento della nonna : essa non ha problema alcuno ad identificare Cita con Sun Wukong, ma si oppone con forza  – quasi con ostinazione – a che la piccola adotti come modello – e voglia imitare – Shirley Temple. Wong-Suk, al contrario, asseconda in toto tale giuoco delle parti al punto che - con grande dispiacere della nonna – offre presenti di fiocchi e simili alla piccola, di modo che questa possa realizzare il proprio sogno. Se è vero che il meccanismo identificativo è qualcosa di universale (e non solo a livello infantile) e che i fratelli maggiori di Jong-Liang optano per un campione di saggezza e di cineseria quale Charlie Chan, è vero anche che nel caso della piccola e di Wong Suk tale processo di immedesimazione assurge a motivo ricorrente nella trama del romanzo e svolge una funzione di ben altra importanza quanto a sviluppo diegetico. Infatti, si potrebbe ben dire che il loro desiderare incarnarsi in vari personaggi cinematografici, questo loro voler esser altri,  non sia altro che la conseguenza del loro non poter apparire, del non poter essere che dei dettagli insignificanti e privi d’identità certa ai margini  della comunità cinese come pure di quella d’accoglienza. Purtroppo, tale costruzione di un sé bianco e candido, questo porsi -come diceva Fanon -la maschera dell’Altro -  si rivela presto – agli occhi stessi della bimba – come un effimero sogno ed una velleitaria ambizione. Infatti, dopo essersi agghindata nel modo più simile alla propria eroina cinematografica, Jook-Liang scopre l’incommensurabilità del modello ambito :

My heart almost burst with expectation. I looked again into the hall mirror, seeking Shirley Temple with her dimpled smile and perfect white-skin features. Bluntly reflected back at me was a broad sallow moon with slit dark eyes, topped by a helmet of dark hair (p.41)

Solo il pensiero del suo eroe Wong Suk distoglie la piccola dalla triste consapevolezza e la spinge a danzare per dimenticare di non essere Shirley Temple, per accettarsi ed accettare delle sembianze così diverse – e quindi percepite come meno « vere » o « autentiche » rispetto al modello ambito. Si tratta in fondo del primo momento significativo di crescita o di cambiamento da parte della piccola. Il secondo – come vedremo tra poco – sopraggiungerà colla separazione finale da Wong-suk. Questo avvenimento viene annunciato da piccoli segnali, sfumati mutamenti nel comportamenteo dell’anziano :

Last week, Wong Suk had asked me, in his best English, ``Liang, next time show me Shirley Temple. Show me so I never forget you, okay?`` (p.43)

Quasi per preparare la piccola alla prossima ed ovviamente definitiva separazione, Wong Suk le chiede un ultimo spettacolo, questa volta per non dimenticare. L’importanza della richiesta è enfatizzata dal codice linguistico utilizzato dall’anziano « his best English ». Infatti, i due personaggi si servono spesso del buffo chinglish come di un codice segreto per commentare i film e le esibizioni dei loro eroi, a dire, al fine di differenziare il loro mondo da quello banale e serioso del mondo circostante. Ora, l’abbandono di tale codice alternativo da parte di Wong Suk segnala al tempo stesso la necessità di chiarezza, l’importanza del momento e la fine del giuoco. Un sabato,  allo scopo di chiedere assistenza al padre della piccola, Wong Suk si reca per l’ultima volta nella residenza della famiglia di Jook-Liang,. Dentro ad un pesante scatolone di cartone si trovano numerosi documenti – in inglese ed in cinese – « all important papers ». Al commento un po’ sorpreso del padre che si stupisce del fatto che Wong Suk abbia conservato una quantità così ingente di documenti, l’anziano risponde : « Never know what government do ».  Su quelle usate carte, quali « C.P. RAILROAD B.C. WORK PERMIT » si dipana la storia fredda, referenziale - e magari a suo modo obbiettiva - della vita da coolie di Wong Suk . Particolarmente interessanti sono due constatazioni della voce narrante : la prima è che quel materiale « documented long-term debts, now paid in full »; la seconda è che risalgono ad un epoca precedente all’epoca in cui genitori della piccola emigrano in Canada. I debiti incorsi dal vecchio Wong Suk, che questi finisce di redimere prima di tornare in Cina, sono il frutto amaro dell’infame « head tax », la nuova schiavitù imposta ai cinesi della sua generazione. Ed è proprio questo aspetto generazionale che colpisce la fantasia della piccola perché i documenti in questione testimoniano di un’epoca che a lei sembra remota e perduta nel tempo. Tale aspetto infittisce l’alone di mistero di cui si circonda la figura di Wong Suk : il magico scimmiotto delle fantasie di Jook-Liang cela dietro ai vaghi riferimenti al passato un’esperienza che comincia a far crescere nella piccola una più matura curiosità intellettuale per la vita segreta e mai narrata del vecchio Wong. Il silenzio doloroso di questi è tipico – a dire del narratore - della generazione di Wong :

I knew that every brick in Chinatown’s three and five storey clan buildings lay like the Great Wall against anyone knowing everything. The lao wah-kiu – the old-timers who came overseas from old China – hid their actual life histories within those fortress walls (p.51)

La Grande muraglia di riservatezza, la cinta della fortezza del silenzio sono l’ostacolo che il romanzo e le storie di Choy si ripropongono di scalare, superando quella naturale umana reticenza a ricordare il dolore e le umiliazioni del passato. E dei personaggi complessi – a tutto tondo – come Wong Suk – rendono nella trasfigurazione narrativa la verità delle loro storie come nessuna storia ufficiale e nessun documento redatto nel freddo idioletto brocratico dei numeri e delle date potrebbe. « ``In olden CPR day`` as Wong Suk referred to the years after 1885 when he helped build one of the last sections of the Canadian Pacific Railroad » (p.52-53). Ed è così che Wong Suk racconta infine una delle sue storie di coolie, di come salvò la vita a Roy Johnson - uno dei capimastro del cantiere di costruzione della ferrovia in Colombia Britannica in cui lavorava. C’è ovviamente in questo aneddoto qualcosa di eroico, ed al tempo stesso umile e quotidiano. Inoltre, il rifiuto di accettare regali e presenti vari in cambio di quel gesto disinteressato definisce Wong Suk come un modello di lealtà e virtù tradizionali. Ed è per questo motivo che la piccola Jook-Liang apprezza il racconto ed osserva rapita le foto di quei tempi così distanti dal suo presente e dal suo mondo. Tuttavia, se Wong Suk-lo Scimmiotto apre le porte al racconto del suo passato canadese, la voce narrante sottolinea con delusione che il vecchio amico poco o nulla rivela del suo passato più remoto, di quel tempo che per le leggi paradossali dei meccanismi biologici della memoria dovrebbe invece essere più vivo nel ricordo :

In spite of all his stories about the past,Wong Suk really said little about his earlier times in old China. When I asked, ``What was it like when you were a little boy?`` he roared with laughter or sighed deeply. ``Too long ago,`` he would say and leave me guessing (p.61)

Ma la voce narrante ci informa che la figura di Wong Suk, come forse del resto quelle di tanti maschi cinesi della sua generazione forzatamente celibi, era oggetto di salaci malizie, una mini-leggenda metropolitana di Chinatown, dove si scioglievano nella banalità delle chiacchere da bar o da cucina i nodi di un’esistenza da sempre marginale.

Alla fine della storia, quando la sagoma di Wong Suk a bordo della Empress of Russia si fa sempre più vaga agli occhi della piccola Jook-Liang, questa ancora non riesce a capacitarsi delle ragioni di quell’addio – che è al tempo stesso una sorta di congedo da una pagina fondamentale della propria infanzia. Ma la voce narrante chiosa : « I did not, then, in the days of our royal friendship, understand how bones must come to rest where they most belong.(p.72). Si noti la rassegnata accettazione della logica della tradizione – che, secondo Lien Chao, costituisce al tempo stesso uno dei temi principali della narrativa cino-canadese :

The trope ``searching for the bones`` is widely adopted by novelist Sku Lee, folklorist Paul Yee, poet Jim Wong-Chu, dramatist Winston Christopher Kam, and others to recover the contribution made by the Chinese railway workers. […] Various versions of this trope are developed around the central image of ``the bones.`` They include ``searching for the bones,`` ``the unburied bones,`` ``mending the bones,`` ``burying the bones,`` and ``visiting the bones.`` As an important methaphor and a powerful signifier deriving directly from Chinese Canadian history, the ``bones`` of the community ancestors live on to tell their untold stories in contemporary Chinese Canadian literature 7.   

Si potrebbe suggerire che la chiusa del racconto aggiunge un nuova categoria alla casistica minuziosamente elencata da Lien Chao, ovverosia il viaggio per riportare le proprie ossa  a giacere sul suolo patrio. Tuttavia, ciò che rende il racconto di Choy in qualche mode originale è il fatto che tale tematica non viene feticizzata, ma piuttosto straniata dalla percezione infantile di Jook-liang, assurgendo così ad uno status magico ed al tempo stesso naturale e dunque fantastico.

La storia di Jook-Liang – Only Sister occupa tre capitoli che costituiscono a loro volta la prima parte del romanzo. La seconda parte di questa saga familiare ha come voce narrante Jung-Sum – Second Brother. Quasi a collegarsi tematicamente ai capitoli precedenti, il quarto inizia con la descrizione dell’arrivo d’una nave dal nome simile a quella sulla quale aveva preso congedo il vecchio Wonk Suk per il suo ultimo grande viaggio terreno. Ed ancora, come a sottolineare la centralità del viaggio continuo della diaspora cinese, si narra d’un misterioso presente portato da un conoscente di nome Dai kew. Ma qui si tratta d’un movimento diverso :

The men of Chinatown, who were lucky to be hired on, worked for weeks or months in the hellhole kitchens of the steamship lines, touring the B.C. coast from Seattle and Vancouver to Alaska. (p.75)

Ora, Dai Kew è uno di questi marinai cinesi a cottimo, i quali spendono i loro salari nei club per scapoli di Chinatown con « fast night company ». I loro spostamenti sulle coste americane e canadesi non li riporta mai a casa, ma di nuovo e sempre a quella Vancouver che  nella descrizione offerta poco più in là della voce narrante è « a city of fog and chills, of dampness and endless grey days ». Non si tratta quindi d’una presentazione particolarmente gioiosa ma qui, aldilà dei possibili obbiettivi riscontri meteorologici, viene suggerita implicitamente una sorta di metafora dell’età del malessere e del disagio adolescenziale del protagonista. Di particolare importanza è poi il legame simbolico che sussiste tra il regalo del marinaio – una tartaruga – nonché la scoperta graduale e quotidiana dei misteri di questa creatura – ed il processo di scoperta e graduale presa di coscienza della propria omosessualità da parte del protagonista. L’interesse per la storia di Jung-Sum sta nel fatto che la narrazione della sua esperienza si diversifica da quella della sorellina nella misura in cui egli si trova a dover far fronte ad una diversa – per quanto simmetrica – forma d’impossibilità a realizzare la propria identità secondo il modello d’emulazione che si prefigge : Ai riccioli d’oro di Shirley Temple, Jung-sum preferisce la forza del  bombardiere nero-Joe Louis e della sua versione cinese Frank Yuen  – un ragazzo di qualche anno più grande di lui, con ambizioni di pugile.

L’incontro con la tartaruga è qualcosa che colma di stupore e paura, di quel fantastico terrore esecrato – ma al tempo stesso ambito – da tutti i ragazzini :

My fear turned into impatience. Without thinking, I dropped the two empty buckets and ran over to examine the crate. There, peering up at me, rose the poking, snakelike, angry, fearless, eye-glittering head of a turtle. I gaped.  […] The crate smelled like a stale swamp. But the animal was incredibly, monstruosuly splendid […] A snapper. Exactly the kind of turtle I has seen in a picture book at the library (p.78)

Il senso di smarrimento si confonde coll’orgoglio di possedere una tale fantastica creatura. Tanto più che Jung-Sum « like everybody else in Chinatown » crede ai fantasmi

Ed i rumori, lo strisciare e sibilare della tartaruga nella notte, come pure le interpretazioni della nonna - secondo la quale le tartarughe comunicano coi fantasmi - lo turbano enormemente. Ma, come si è detto, il fatto di possedere una tartaruga e di doversene occupare lo riempie d’orgoglio perché la cosa non sembra – nei ricordi della voce narrante – da tutti. Anche Jung-Sum interpreta in termini di cultura tradizionale cinese la figura della tartaruga, ovverosia come « the Great Turtle in Old China, the one who held the Dragon, the Phoenix and the whole world on its back » (p.81).

La prima persona ad intuire la preponderanza dell’aspetto femminile nella personalità di Jung-Sum è la nonna. Questa si affida ad una sensibilità  particolare, affinata da una antica capacità di leggere i segni ed i segnali più vari e poi re-interpretarli nel suo codice di arcaica sapienza popolare. Così, allorquando – dopo i suoi 15 minuti di allenamento pugilistico – Jung-Sum riprende fiato e si vanta « I’m the sun,  […]. I’m the champion! » (p.88), la nonna replica sicura :

``Jung-Sum is the moon,`` Poh-Poh said. Mrs. Lim blurted. ``Impossible!`` Mrs. Lim knew the moon was the yin principle, the female. Mrs. Lim studied me as I went through my paces, jabbing away at the air. ``Impossible!`` she said. The Old One slowly lifted her tea cup and gently focussed on me, her gaze full of knowing mystery. (p.88).

Nelle pagine seguenti, con un flash-back in mise en abîme, l’io narrante spiega come fosse stato infatti adottato all’età di quattro anni e come il primo membro della famiglia da lui incontrato fosse stato proprio la nonna. Dopo qualche esitazione – dovuta in apparenza ai dubbi legati all’esile costituzione fisica del piccolo, l’anziana decise di accettarlo. Ma il senso di essere stato prima abbandonato, quindi inserito in un contesto fuori luogo ed infine – più drammaticamente - di non essere all’altezza delle aspettative degli altri – in particolar modo di quelle del fratello maggiore Kiam – assilla costantemente Jung-Sum :

Kiam got to business right away. ``Your side of the room stops here,`` he said pointing to a red line he had crayoned on the linoleum floor […].  He asked me if I knew anything about British football or muscle building and showed me some cuts on his knees from playing football. He thought I was too weak to be his real brother, a real brother, so it was his plan to make me strong and tough. He was going to be eight in two weeks, he said, and anted me to know his rules, and not being a sissy was one of them. […] ``Don’t cry, sissy, `` Kiam said, ``or we’ll throw you under the Georgia Viaduct with the bums and the dead people.`` (p.93)

Questa scena contiene in nuce la problematica della traiettoria esistenziale di Jung-Sum : non solo, al pari della sorellina adottiva, inseguire un modello etnico falsato, ovverosia assumere la maschera del bianco (o del pugile nero a consumo del bianco); ma anche essere forzato ad inseguire un modello di orientamento sessuale radicalmente estraneo alla propria natura, e cioè cercare d’indossare la maschera eroica del macho. Kiam cerca pure di formare la mentalità del fratellino anche riguardo alla giusta educazione : non bisogna credere alle storie superstiziose dei vecchi di Chinatown, come quelle raccontate dalla loro nonna :

Kiam did not want me to grow up taking in too much of what he considered the Old One’s superstitions about fate and jealous gods. ``Just old China village nonsense`` (p.122)

Con questo suo atteggiamento positivistico, Kiam segue le orme del padre il quale « knew these sayings but wanted to be more modern » (p.117). L’interesse affascinato di Jung-Sum per quelle che al fratello sembrano delle vere e proprie corbellerie sono ovviamente legate all’influsso esercitato dalla voce dell’oralità, della madre e della terra. E così, credendo poter seguire il « piano » del fratello, Jung-Sum cresce leggendo le cronache di Joe Louis, il bombardiere nero. Dopo aver visto il fratello esibirsi nella danza del leone col Chinese Students’ Athletic Club, Frank Yuen – un amico di Kiam –gli fa visitare la palestra di boxe Hastings Gym. Il giorno del suo dodicesimo compleanno può finalmente « provare » e quindi iscriversi al centro pugilistico. Quando poi - sempre cogli auspici di Frank – Jung-Sum ha la possibilità di vedere un match di boxe dove gareggia Max – un amico nero – al ragazzino sembra di poter toccare il cielo con un dito. Infatti, comincia a fantasticare che i suoi sogni di gloria siano necessariamente destinati ad avverarsi. Il regalo che Jung-Sum riceve da Frank Yuen - una giacca usata che certo una volta aveva dovuto costare un sacco di quattrini – sembra avvicinare Jung-Sum al lato patriarcale della tradizione (la giacca era stata vinta al giuoco dal padre di Yuan, tanto tempo prima). Una tale apparente tendenza sembra manifestarsi anche in ragione del fatto che qualche riga più in là viene fatta menzione del fatto che il padre (adottivo) di Jung gli regala qualcosa di parvenza marziale : « a set of military-looking brass buttons for the coat » (p.102). In realtà, il presente di Frank altro non fa che avvicinare Jung-Sum al ragazzo di lui più grande d’una decina d’anni, ma non già come un modello da seguire, quanto piuttosto come l’oggetto di un nascente desiderio.  La presa di coscienza dei propri sentimenti e del proprio stato di doppia marginalità si sviluppa fino a divenire la dinamica principale del racconto. Tale aspetto raggiunge il suo climax nelle pagine finali del racconto allorquando la voce narrante rivela come Jung-sum si meravigliasse dell’interesse che le ragazze esercitavano tanto su Frank che sul fratello Kiam :

I marvelled that Frank found girls so interesting, just as Kiam did, now that Kiam was starting to date Jenny Chong and even jetterbugging with her at the Y dances (p.122).

L’aura di rispetto e timore verso Frank ed il suo carisma « No one crossed Frank Yuen » è vieppiù caratterizzata da un altro sentimento : « I imagined that Frank, with his short hair and high forehead, his wiry body, would be a superior soldier, as tough as any U.S. Marine, tougher than John Wayne himself. (p.123). Dati il carattere rissoso e la sua difficile situazione familiare – la madre morta quando lui era ancora piccolo ed il padre nullatenente, Frank Yuen – per quanto sia indipendente economicamente ed a suo modo filiale « earning big money at lumber mills and paying for his father upkeep » (p.123), è comunque considerato a Chinatown quasi alla stregua d’un poco di buono. Tale punto di vista è condiviso anche dalla famiglia del protagonista, al punto da dissuadere Kiam a frequentare troppo assiduamente Yuan. Lo stesso ordine non viene dato tuttavia  a Jung-Sum, anche perché a nessuno viene in mente che Frank potrebbe interessarsi ad un tredicenne (p.125). Il fatto di trovare un fan adorante, nonché il simile vissuto infantile (la morte della madre ed un’infanzia difficile) gli fanno in qualche modo accettare la presenza di Jung-Sum, per quanto la voce narrante si affretti ad aggiungere che :

I guess if it weren’t for the fact that Kiam was my brother and I sometimes ran errands for his father, Frank would probably have pushed me away too  (p.125).

I due s’incontrano alla Tong Assembly Hall dove Frank insegna con compiacenza alcuni rudimenti di boxe. Ma un giorno Jung-sum e Frank si incontrano per caso nella sala. Jung-sum – il quale s’accinge ad incontrare il fratello, s’accorge che l’alito di Frank odora di whisky. Il giovane comincia ad insultarlo, a provocarlo fino alla sfida « ``A sissy punk like you, he challenged,`` wants to fight?`` ».(p.127), sfida che Jung-sum - in maniera apparentemente inspiegabile – accetta. Dopo una serie di calci, pugni e schiaffi, Jung-Sum è a terra indolenzito, in lacrime, umiliato. Ma ecco che quando il piacere quasi sadico da parte di Frank scema, Jung-Sum reagisce :

An intense icy resolve came over me, a clarity about what to do next. I dropped down, bolted sideways, and grabbed at Frank Yuen’s leg. Startled he tried to pull away, resist. I quickly pushed up his trousers cuff and clawed with my fingers until the letal German blade slipped out of its holster. And just as Frank Yuen’s disbelieving eyes began to understand, I grabbed the weapon. His open-shirted throat stood naked just above my face. […] I thrust the knife point-blank at his bobbing Adam’s apple. Frank Yuen jumped back, not a second too soon […] (pp.129-130).

Qualche minuto prima, Frank aveva mostrato con orgoglio l’arma – associabile forse ad un simbolo fallico – vantandosi di usarlo talvolta in occasione delle  risse nelle quali si trovava spesso coinvolto. La reazione del giovane dopo lo sbigottimento iniziale non tarda ad arrivare : con un calcio disarma Jung-Sum. Questi crolla al suolo e rivive le violenze di un represso trauma infantile : la violenza del padre :

A memory came to me, of something hard hitting my back, its metal sharpness ripping flesh; a strap whipping lines of fire across my back. Words began to tumble out of my mouth, in a voice that was childish, panic-stricken, in a dialect that I had forgotten : ``Bah-Bah, don’t hit me… don’t hit me`` (pp. 130-131)

Quanto segue porta quindi alla rivelazione – ad una epifania del desiderio – Frank si china sul ragazzino lo abbraccia e - a sorpresa - comincia a cullarlo ed a consolarlo in silenzio finché : « Frank’s lips brushed my forehead, settled for a second, then lifted » (p.131). Dopo questa breve, intensissima scena, il protagonista arriva in rapida successione a comprendere in una specie di satori affettivo che « Frank Yuen could not confort me forever. He sighed deeply, began to let me go, to let some darkness gently go » (p.131). La voce narrante aggiunge quindi che «  a strange yearning awoke in me, a vivid longing rose from the centre of my groin, sensuous and craving ». Allorquando i due escono dalla sala, Jung–Sum/io narrante, finalmente comprendendo il senso delle parole proferite dalla nonna, chiosa : 

Frank Yuen is the sun, I remembered thinking, and I rememberd also the Old One telling Mrs. Lim, ``Jung-sum is the moon.`` Yes, I said to myself, as I finished putting on my coat, my armour, I am the moon. As I walked briskly to keep up with Frank on our way to the Blue Eagle, the Old One’s worlds followed me all the way along the snow-dusted streets of Chinatown. (pp. 132-133).

Nello spazio di poche righe, il protagonista rivive un trauma infantile rimosso, comprende la vera, profonda natura del desiderio che prova per Frank Yuen – ma anche l’impossibilità della realizzazione di quel desiderio. Tuttavia, è con energia (« briskly ») che il protagonista esce dalla sala. Inoltre, lungi dal mettere in discorso in termini patetici o assolutamente negativi la condizione di marginalità e discriminazione  alle quali dovrebbe essere sottoposto l’omosessuale maschio nel contesto culturale della tradizione cinese 8, Jung-Sum ricorre con audacia a quella stessa tradizione, recepita attraverso la sapienza popolare della nonna, per enunciare in termini filosofico-religiosi tradizionali la propria identità, al tempo stesso etnica e sessuale. Non si vuole quindi negare la doppia discriminazione – il peso della doppia maschera etnica e sessuale imposta a Jung-Sum (maschere simili eppure diverse a quelle imposte alla sorellina). Il punto è invece un altro : Ciò che Choy mette audacemente in discorso è la capacità del suo protagonista di di-spiegare – e quindi di vivere la cultura del paese d’origine dei padri – nella e per la propria esistenza. E cioè vivere la cultura (col trattino o meno) - come Raymond Williams ci insegna « culture is not a given », non come qualcosa di statico, ma piuttosto come processo e scoperta.

La terza parte del romanzo ha per voce narrante quella dell’ultimo nato della famiglia – Sek-Lung.  La sua storia inizia, molto laconicamente :

In 1939, when I was six years old, the whole family – my two brothers and my sister, and all our relatives – considered me brainless (p.145).

Ciò che rende questo personaggio particolare e lo differenzia rispetto ai fratelli descritti nelle parti precedenti è la sua condizione di estasi stuporosa permanente di fronte alla complessità ed all’incomprensibilità del mondo. In particolar modo viene enfatizzata la discrasia tra il suo microcosmo familiare – colle sue leggi recondite e colle sue gerarchie onomastiche – ed il contesto esterno tendente ad integrarlo ed assorbirlo nella realtà canadese. Così Miss MacKinney – la sua insegnante di prima elementare – lo ribattezza ``Sekky`` perché tale nomignolo le sembra ``more canadian``. D’altra parte, il piccolo ha enormi difficoltà a comprendere – e quindi ad usare correttamente – i numerossissimi termini di parentela cinesi, nonché la misteriosa varia autorità ad essi associata. In un certo senso, tale situazione era già presente in nuce nella percezione della sorella maggiore – Jook-Liang. Tuttavia, nella terza parte del romanzo essa assume una centralità definita che si spiega probabilmente con una constatazione molto semplice : Sek-Lung  è l’ultimo nato di una famiglia che, per quanto fortemente legata alle proprie radici, ha già progredito volens-nolens nel processo di metabolizzazione del nuovo contesto culturale nel quale si trova a vivere. Sek-Lung/Sekky si trova quindi già qualche passo più addentro al movimento d’integrazione. Di conseguenza, risulta molto più sensibile al richiamo o - in termini althusseriani – alla soggettivizzazione esercitati da una struttura di formazione quale la scuola. Detto questo, non sfugge certo la condiscendenza da parte dell’insegnante la quale – bontà sua – sembra conferire al piccolo uno strumento per sentirsi meno straniero (ma pur sempre tale) ed un passaporto di canadianità scolastica.

Descrivendo il proprio stato di minorità, Sek-Lung spiega che i suoi due fratellastri (Kiam e Jung) « naturally felt superior » (p.148) perché, aldilà dei diritti loro conferiti dall’età (dodici e quindici anni), avevano « virtù » particolari : il primo conseguiva eccellenti risultati scolastici, mentre il secondo stava imparando a boxare come Joe Louis. Da notare come questa struttura di mise-en-abîme delle prospettive descritte da taluni dei personaggi narrati, permetta al tempo stesso di relativizzare, o meglio di oggettivare le  loro esperienze e rileggerle – per così dire – collo sguardo di chi, dopo essere stato l’ultimo della famiglia (in più di un senso) è ora la voce maggiormente rivelatrice . È così ad esempio che viene menzionato tra i vari ostici titoli di parentela quello dei « figli di carta » :

And if these persons were also tied to us by false papers to obtain immigration visas, they became ``paper sons`` or ``paper uncles,`` heirs to a web of illegal subterfuge brought on by laws that stipulated only relatives of official ``merchant-residents`` or ``scholars`` could immigrate from China to Canada. Paper money could buy paper relatives. (p.149)

Nella storia della sorellina e della sua relazione col vecchio Wong-Suk, la voce narrante aveva descritto (sia pure nell’aura magica della percezione infantile) documenti che burocraticamente sintetizzavano la storia dell’emigrazione cinese della fine del diciannovesimo secolo. Qui, le varie manovre di resistenza contro l’ostracismo lanciato dalle  misure legislative messe in atto per fermare il « pericolo giallo » sono esplicitate con l’ironia delle virgolette, quasi a rendere giustizia a Sek-Lung – colui che per aver capito più tardi ha comunque compreso più a fondo. Non a caso è la sua voce – e non quella dei fratelli maggiori – a porre un giorno la domanda che ogni genitore emigrato deve sentirsi porre da un figlio : « Am I Chinese or Canadian? » (p.149).  L’ambiguità e l’incertezza della definizione d’una identità a cavallo tra etnia e nazione devono attraversare una fase di complessa decantazione prima di poter aspirare a divenire ricchezza plurale. E così, tale domanda non può che causare confusione ed ottenere risposte contraddittorie :

``Tohng yahn,`` Grandmama said, collapsing in her rocking chair and setting her grocery bags down on the floor, ``Chinese.`` […] ``We are also Canadian, `` Father said. (pp.149-150)

È chiaro che l’affermazione di principio da parte del padre, e cioè quella relativa all’essere ``anche`` canadesi è fatta quasi obtorto collo, col vago presentimento che ciò sia meglio per la prole, ma che in fondo non sia del tutto vero, augurabile o fattibile.

Un altro aspetto su cui la voce narrante di Sek-Lung adulto ragiona con maggiore acutezza rispetto ai fratelli è quello della lingua. Se la sorella maggiore poteva conversare in inglese, come pure nel dialetto usato in famiglia e bearsi del ``chinglish`` come d’un idioma esoterico per le sue chiaccherate col vecchio Wong-Suk, Sek-Luk, invece, ci descrive una maggiore consapevolezza della distanza tra questi vari codici linguistici :

I knew just enough Chinese and English to speak to people, but not always the finer points; worse, each language was mixed in with a half dozen Chinatown dialects. […] English words seemed more fortright to me, blunt like road signs. Chinese words were awkward and messy, like quicksand. I preferred English, but there were no English words to match the Chinese perplexities. (pp. 150-151)

Sek-Lung si sente più a suo agio ad usare l’inglese – lingua che gli sembra diretta e chiara - fatta di segni disambigui come quelli della segnaletica stradale. Ma è chiaro che si tratta di una naturalizzazione del culturale : Sek-Lung è fondamentalmente anglofono e ciò che ai fratelli va da sé – passare dall’inglese al cinese – per lui diventa una continua, complessa e frustrante traduzione di quel « di più », di quelle « perplexities » delle parole e del pensiero, e quindi della cultura cinese dei padri. Ed è proprio in questo aspetto che si deve notare la particolarità della diversa marginalità di Sek-Lung rispetto ai fratelli descritti nella prima e nella seconda parte del romanzo. Se infatti, come s’è detto, il problema per la sorella è quello di disfarsi della maschera di Shirley Temple, e per Jung di quella dell’eroico boxer per scoprire la propria irriducibile diversità, nel caso di Sek-Lung il problema è – per così dire – di non poter nemmeno permettersi il lusso di sognare una maschera, e di restare perennemente nel limbo identitario dei mo no : 

Surely, once in Canada, one was safe. But born-in-Canada children, like myself, could betray one. For we were mo no children. Children with no Old China history in our brain. […] All the Chinatown adults were worried over those of us recently born in Canada, born ``neither this nor that,`` neither Chinese nor Canadian, born without understanding the boundaries, born mo no – no brain. Mo nos went to English school and mixed with Demon outsiders, and even liked them. Wanted to invite them home. (p.152)

Per la comunità d’immigrati – tra i quali spesso si tende ad essenzializzare l’identità etnica attorno a determinati simboli e valori percepiti come unici ed originali - i figli nati in Canada sono privi di tratti specificamente cinesi (purtroppo!), ma non assimilabili agli altri, ai demoni stranieri (ci mancherebbe!). Sek-Lung è dunque un « senza cervello » perché è incapace di vedere e dare la giusta importanza a ciò che ai padre sembra ovvio : la linea di distinzione tra « noi » e « loro » 9.  Per quanto riguarda invece la percezione dei locali (quanto mutata oggi?), le considerazioni della voce narrante indicano uno sconcerto se possibile ancora maggiore :

But Even if I was born in Vancouver, even if I should salute the Union Jack a hundred million times, even if I had the cleanest hands in all the Dominion of Canada and prayed for ever, I would still be Chinese. ¯[…] ``Keep things simple,`` Father expounded. Beneath the surface, of course nothing was simple : I was the Canadian-born Child of unwanted immigrants who were not allowed to become citizens. The words RESIDENT ALIEN were stamped on my birth certificate, as if I were a loitering stranger. (pp.152 e153)

Si tratta qui di una forma di essenzializzazione speculare e contraria : quasi persona non grata a Chinatown e « resident alien » in Canada. Lasciamo agli storici, agli esperti di politica dell’immigrazione ed anche agli studiosi di demografia valutare quanto la situazione sia obbiettivamente cambiata in città quali Vancouver e Toronto. Ma viene da porsi il quesito su quanto sia realmente mutata la percezione – orientalistica direi – del cinese in Canada. Percezione certo nutrita da idee preconcette (non solo negative) su « loro », i cinesi, gli « asiatici ». Inoltre, il testo di Choy – memoria letteraria della Vancouver degli anni trenta e dei segreti dei vecchi di Chinatown – ci pone al tempo stesso il quesito su quanto la creazione dell’etnico col trattino possa aiutare ad integrare - ma al tempo stesso creare, mantenere a distanza ed alterizzare - l’etnico. In altri termini, ci si deve porre la domanda se Cinesi ed « asiatici » in generale – ma il discorso si potrebbe estendere ad altri gruppi etnici - possano accedere nell’immaginario popolare allo stato di autentici canadesi, e per quante generazioni poi si debba applicare il trattino.  Parlando dell’esperienza sino-americana, Vincent Cheng afferma:-

But one thing that is clear is that not much has changed  since the days of Fu Manchu or of the Yellow Peril or of Japanese internment : whether native-born Americans or recent immigrants, Asian in the United States are simply not considered « real » Americans. They simply don’t qualify in the popular imagination as Americans, are forever branded  as what Lisa lowe calls (in Immigrant Acts) ``the foreigner-within.`` 10

Cela va sans dire che la politica del multiculturalismo seguita dal Canada è certo dissimile negli intenti e nei risultati dal cosiddetto melting-pot americano. Ma ciò costituisce una differenziazione relativamente recente.  L’esperienza di Sek-lung mette quindi in discorso esattamente il senso di de-realizzazione provato da tutti i membri della famiglia protagonista del romanzo, ma espresso in maniera netta e consapevole soltanto dal born-in-Canada Sek-Lung. 

La determinazione ad apprendere l’inglese diviene quasi un’ossessione per Sek-Lung. Egli si ostina in uno studio quasi matto e disperato, le cui finalità sfuggono però ai suoi familiari. Infatti, ai loro occhi, l’ultimogenito è - e sarà per sempre - un né/né : non (più) cinese, né mai canadese. In realtà, il suo desiderio di poter esprimersi correttamente in inglese e non più nel « chinky English » che dice « made a fool of me » (p.157) è motivato dalla sensazione di isolamento causato dalle due grandi difficoltà – o i due gran rifiuti : quello da parte della comunità cinese, come quello da parte dei « locali ». Ma la relazione tra il piccolo e la versione mitica del mondo e della cultura cinese presentatagli dai familiari – ed in particolar modo dalla madre - è più complessa di quanto sembri. Sarebbe infatti errato glissare sul fatto che essa non è soltanto caratterizzata da risentimento e dis-integrazione. A questo proposito occorre almeno accennare ad un altro personaggio « narrato » dalla  madre : Chen Suling. Si tratta di una ragazza che in Cina intratteneva rapporti di amicizia con la madre di Sek Lung. Essa, « dettaglio » a lungo ignoto al piccolo, venne a mancare durante l’occupazione giapponese. Ora, nella fantasia del piccolo, Chen Suling diviene al tempo stesso un idolo polemico ed un modello di comportamento. Nella descrizione idealizzata fattagliene dalla madre, Chen Suling è un’eroina per intelligenza e determinazione. Infatti, convertitasi al cristianesimo, si dice avesse imparato l’inglese dai missionari e che addirittura lo padroneggiasse così bene da poterlo insegnare a Sek Lung quando avesse avuto la possibilità di emigrare in Canada. Purtroppo, la sua fede religiosa eteroddossa aveva scosso gli equilibri tradizionali al punto che il padre ne aveva decretato l’espulsione dalla famiglia. Ora, l’aspetto interessante è che Chen Suling – pur antipatica quanto una prima della classe – divenga per Sek Lung un modello da seguire quanto a determinazione a conseguire un risultato osteggiato dalla famiglia – il Canada per Chen, la lingua inglese e l’integrazione nel «nuovo mondo » per Sek Lung. In altri termini, il sogno inglese-canadese di Sek Lung, assume dapprima (non solo metaforicamente) le sembianze cinesi di Chen Suling. Il fatto poi che questa – novella Godot – non arrivi mai, sembra indicare l’indefinito procrastinarsi d’un divenire che per Sek Lung assomiglia ad un destino beffardo. Ma nel testo si fa riferimento ad un altro modello simile di eroismo – per quanto di natura più marcatamente marziale – e cioè al fratello pompiere di Miss Doyle, la seconda maestra di Sek Lung. Miss Doyle è la persona che trasforma un « mixed group of immigrants and displaced persons, legal or otherwise »  in sudditi di sua maestà, mutandone ciò che la voce narrante definisce come « the tittering, brought on by our immigrant accents » :

On streetcars and in shops where only English was spoken, people ignored you or pretended they didn’t hear you or, worse, shouted back, « WHAT? WHAT’S THAT YOU SAY? CAN’T YOU SPEAK ENGLISH!?! » Miss Doyle never ignored us, never tittered. (p.203)

Il fratello di Miss Doyle, John Willard Henry, era morto durante il bombardamento di Londra. Per instillare un senso di disinteressato eroismo e, naturalemente, la fedeltà alla Union Jack, l’insegnante in varie occasione legge in classe le lettere del fratello. Sek Lung - assente nell’occasione in cui l’insegnante aveva rivelato il decesso del fratello e la finalità educativa della lettura epistolare – continua a credere all’esistenza di cotanto eroe, allo stesso modo in cui crede all’esistenza di Chen Suling. Ironicamente, scoprirà più tardi che le due persone (o per meglio dire, i personaggi) sulle quali l’insegnante e la madre desideravano modellarne l’esistenza (un bianco anglosassone ed una cinese) sono già morti – a dire che la sua identità non può basarsi su modelli fantasma, ma su di un presente pieno d’incognite in una vita, parafrasando Perec, senza istruzioni per l’uso.

Come s’è detto, Sek Lung e gli altri come lui nati in Canada sono - agli occhi della famiglia e della comunità cinese – dei « senza cervello ». La causa di tale presunta inferiorità verrebbe dal fatto che il piccolo non sarebbe in grado di riconoscere ciò che agli altri appare d’una evidenza lampante : la differenza tra « noi » (i Cinesi) e « loro » (gli stranieri, i bianchi, i Canadesi). Ma quali sono le situazioni concrete in cui il testo mette in discorso e problematizza tale questione? A nostro modo di vedere si possono scorgere almeno due momenti chiave. Il primo è dato dalla morte della nonna, dai riti funebri celebrati in sua memoria, e dalla particolare elaborazione del lutto da parte di Sek Lung; l’altra situazione è data dalla relazione tra Meiying (un’adolescente cinese che gli fa da baby-sitter) ed un coetaneo d’origine giapponese. In questo secondo caso, il tabù consiste ovviamente nel frequentare qualcuno appartenente ad un gruppo etnico diverso : un Giapponese!

Riguardo al primo punto, c’è da dire Sek Lung ha un rapporto privilegiato e  particolarmente intenso con la nonna e colla cultura orale e materiale che questa rappresenta. Trascorre infatti in sua compagnia interi pomeriggi, alla ricerca di oggetti vari da riciclare, coi quali la vecchia cinese sa creare vari monili, servendosi d’una tecnica ancestrale appresa in Cina. Il fatto che i due trascorrano molto tempo insieme è dovuto anche al fatto che il piccolo Sek Lung non può frequentare normalmente la scuola a causa di un serio problema ai polmoni. Col tempo, allo stesso modo in cui respirando le pozioni e le erbe della nonna tale disturbo scompare, Sek Lung finisce per assorbire attraverso il filtro della percezione infantile, il sapere e l’ethos della cultura popolare della nonna. Ciò, paradossalmente, lo differenzia  e separa dagli altri componenti della famiglia – così attenti a mantenere programmaticamente certi aspetti della cultura cinese, ma tesi con tutte le loro forze a divenire Canadesi quanto a logica scientifica.  Così, al momento del decesso della nonna, essi – in primo luogo il padre ed il fratello maggiore - sono restii a far celebrare quei riti funerari tanto importanti agli occhi dell’anziana congiunta. In seguito, il piccolo Sek Lung, comincia ad avere delle visioni, ovvero ad udire strane voci e rumori. Se dapprima i familiari interpretano tale fatto come l’effetto dello shock causato dalla scomparsa della nonna, il protrarsi di questa situazione viene in seguito visto alla stregua del manifestarsi di qualche disturbo mentale (quasi la riprova della stranezza di questo ultimogenito né-né). Ma alla fine, la suggestione causata da fenomeni forse casuali (per quanto apparentemente inspiegabili) spinge il capofamiglia ad invitare dei religiosi per espletare i riti necessari  a pacificare lo spirito della nonna. Se da una parte i familiari razionalizzano il successo di tali ripetute cerimonie con il fatto che il piccolo non manifesti più alcuno dei disturbi precedenti, non può tuttavia sfuggire l’aspetto più importante : è proprio Sek Lung, il senza cervello nato in Canada, il personaggio che, attraverso la sua relazione privilegiata ed innocente con una fonte di sapere tradizionale (la nonna), restituisce alla famiglia la perduta consapevolezza delle proprie radici ancestrali.

Per quanto riguarda il secondo aspetto cui si è accennato – la liaison segreta tra una ragazza cinese ed un nippo-canadese – c’è da dire che al piccolo Sek Lung vengono dati una prospettiva ed un ruolo privilegiato. Infatti, dato che i suoi genitori non si fidano più di lasciarlo a casa da solo dopo scuola (i suoi giuochi militari si vanno facendo sempre più irruenti e pericolosi), il piccolo viene affidato alle cure d’una vicina : la signora Lim. Ma dato che quest’ultima – una vecchia amica della nonna – è troppo indaffarata con la preparazione di cibo ed erbe tradizionali, ad occuparsi del piccolo è la figlia adottiva : Meiying (o May, nel suo nome inglese). Meiying conquista rapidamente il piccolo colla dolcezza dei suoi modi e colla sua conoscenza di aerei da guerra e di tutto quanto interessi ad un bimbo di otto anni.  Non si fa quindi troppi problemi a recarsi in sua compagnia ad un parco nella zona denominata Little Tokyo, per incontrarvi Kazuo («Kaz») il suo fidanzatino segreto. Opportune regalie (fumetti e dolci), oltre che la fierezza giocosa di essere addentro ad un segreto estremamente pericololoso, motivano il piccolo Sek Lung a non tradire Meiying ed a tenere il (quasi) massimo riserbo quanto alla liaison dangereuse tra i due giovani «stranieri». Nel tragico epilogo di questa storia d’amore, la giovane Meiying probabilmente incinta si suicida, mentre Kazuo, come tutti i Nippo-Canadesi, si appresta ad essere internato in un campo a seguito del bombardamento di Pearl Harbour.

L’ostracismo da parte della comunità cinese verso le relazioni affettive e matrimoniali con non-cinesi è un fatto storicamente assodato, ma così pure quello da parte di altre comunità d’origine asiatica come quella giapponese. Nell’episodio in questione, il pregiudizio cinese è qualcosa di sottinteso: tutti – anche i bambini- sanno che queste cose non si fanno:

I knew, of course, Meiying was involved in something shameful, something treasonable. Everyone knew the unspoken law : never betray your own kind. « Keep your business in your own pants, » Third Uncle had warned Kiam when he got interested in a white waitress at the Blue Eagle who liked to dance with him. […] There was no getting around it. She must have known Kazuo for a long time. She was a traitor. Her boyfriend was a Jap, a monster, one of the enemy waiting in the dark to destroy all of us. (p.247)

I vari tabù noti al piccolo Sek Lung includono dunque un certo tipo di relazione con membri di altri gruppi etnici, siano essi « i bianchi » o i Giapponesi. Che poi tale isolazionismo avesse cause endogene ed esogene è fatto ovvio (si pensi all’influenza di certe leggi in vigore negli Stati Uniti che proibivano matrimoni tra bianchi e non bianchi, si trattasse di « negro, mulatto, or Mongolian » 11. Ciò che viene descritto invece è la pressione eguale e contraria da parte della comunità giapponese. Così, una volta, al parco degli incontri segreti, dove Kazuo gioca a baseball :

A large menacing man in a black jacket walked over to Kaz and began to shout at him. He pointed angrily at Meiying, shaking his fist and spitting in the sand. Some of the Asahi men began to stare at Kaz, then at Meiying standing alone. I ran back to her and stood guard. The stout catcher came towards us and shouted in English, as if we might be deaf : «Leave Kazuo alone, little girl! He’s already in enough trouble with his family over you! » (p. 246)

Il comune coraggio di Kazuo e Meiying nello sfidare gli uguali tabù delle loro rispettive comunità d’appartenza viene sottolineato dalla crescente  (per quanto denegata) simpatia da parte di Sek Lung per Kazuo. Tale sentimento, scevro dalle razionalizzazioni degli adulti,  denaturalizza il divieto e ne dimostra l’assurdità :

Kazuo once gave me some Japanese candy that tasted of seaweed. I thought it had poison in it, but they both ate it to show me it was safe. Another time, Kaz gave me a baseball, and we threw the ball around. He showed me how to spit on it and rub the stitching part before winging it. The best time happened when Kaz, because he was as tall as Kiam, bent down to box with me. I threw Kaz a fake left and got to hit him hard on the jaw. […] I kept punching at him. Meiying pulled me back, but he laughed and lifted me up into the air and threw me up, up, up. […] now we’re even, » he said, and Meiying pushed him, knocking him over and falling on top of him; I quickly recovered and jumped him. We ended up laughing and rolling around the ground. (Corsivo mio) (p.258)

Il passaggio dall’uso del nome proprio Kazuo al diminutivo Kaz, oltre al paragone col fratello, fino alla gran risata finale sono già di per sé un segnale assai evidente del fatto che i pregiudizi ideologici dei « grandi » non fanno presa su Sek Lung. Ma ciò diviene più evidente quando, una sera, il piccolo chiede al padre : « Are all Japs our enemy, even the ones in Canada? » (p.260). Alla risposta affermativa da parte del padre, seguono vari distinguo da parte degli altri membri della famiglia. Ma tali voci discordanti e pseudo-argomenti quali «the ones who are born here are only half enemies » in fondo altro non fanno che sottolineare la ragionevolezza dei dubbi del piccolo e l’assurdità del « trasloco » di odio sostenuto dal padre. 

La pervasività di tali tabù è spesso codeterminata dalla politica della nuova comunità d’appartenenza, per la quale questi emigranti erano (ed ancora spesso sono) genericamente asiatici. In tali pregiudizi si mescolano nazionalismo ed orgoglio etnico. Tutto ciò  è stato sottolineato con chiarezza da Vincent Cheng, il quale parla di « traditional prejudices and bigotries between Asian populations » e narra una sua pertinente esperienza personale :

The Chinese and Japanese have a long history of mutual hatred and animosity, capped in the twentieth century by the Japanese occupation of China and World War II; […] (When as a student, I began dating a Japanese American woman, my Chinese mother – steeled by her bitter war-time experiences in China during the 1930s and 1940s – refused to speak to me) 12.

Le considerazioni di Cheng, per quanto si riferiscano al contesto americano, si possono in certa misura applicare anche a quello canadese. Con ciò non s’intende affatto, sia chiaro, ridurre il testo di Choy a sociologia spicciola; si vuole piuttosto mettere in rilievo come il suo discorso colga liricamente nel segno un’altra tematica fondamentale della storia e della cultura sino-canadese. Tale aspetto è ulteriormente problematizzato nel testo. Infatti, c’è da sottolineare come il piccolo Sek Lung non sia il solo membro della famiglia a solidarizzare con Meiying ed a garantirle la protezione del silenzio. Infatti la matrigna (Stepmother) (che si ricordi è di fatto la madre biologica del piccolo e di Liang – la sorella maggiore), si avvede ben presto della situazione :

Whenever we were alone together, Stepmother pestered me with questions about Meiying, « Where did you go to play? » « The playground.» « Was it always Maclean Park? » Sometimes we read comics in the soda shop. » « No, I mean the playground. » « MacLean Park, » I lied, « always the same. » A soldier would never break a promise not to tell. Somehow Stepmother was satisfied with my answers. She could always tell when I was lying, but this time I fooled her. « Sometimes Stepmother was satisfied with my answers. She could always tell when I was lying, but this time I fooled her. « Sometimes we stayed at Mrs. Lim’s, « I added to be sure, « in May’s bedroom, reading and stuff. » « Yes, » Stepmother said. »Remember to tell Father that if he happens to ask . » (p.271).

Di tutta evidenza, quello che al piccolo Sek Lung sembra un vero interrogatorio, un chiedere per sapere, di fatto non è altro che una verifica della capacità del piccolo di raccontare agli altri familiari (in particolar modo al padre – fieramente e totalmente antigiapponese) una storia coerente nei contenuti e credibile nella forma. I motivi per i quali Stepmother decide di coprire Meiying,  stanno tutte nel loro comune senso di marginalità : Meiying era stata affidata (e senza molti patemi) in tenera età a Miss Lim dalla madre biologica – una cantante d’opera cinese dai costumi alquanto leggeri per i suoi tempi; la madre di Sek Lung, come si è detto, era stata introdotta in famiglia quasi alla stregua d’un oggetto, al fine di sostituire la prima moglie del padre, senza però mai acquisire lo status di madre :

The first week of January 1942, Father came home to say the Japanese were being taken away. […] Father said there was justice in this. « Look at all the real estate they’re taking in China… » «We don’t want any of it, » Stepmother said, putting down her knitting on the table in front of Grandmama’s framed portrait. « We want none of it » « You should hope! » Father’s tone was contemptuous. « As if you should have the money to buy anything! » « And if I did  -! » You should have chosen a damn rich man! » « I chose? I was bought! » Stepmother said, for all at once she could not stop herself. She stood up, as if pulled against her will. « Even Kook-Liang and Sek-Lung – my own two children – call me Stepmother! » (p.272)

Quando poi il padre obbietta che tale decisione era stata presa da «the old one», la donna chiude la discussione chiedendo retoricamente: «And all these years, where was the tongue of my husband?» (p.273).

In ultima analisi,  la storia di Kazuo e Meiying riesce a mettere in luce il doppio ostracismo verso la loro relazione (da parte della comunità cinese come da parte di quella giapponese); inoltre, facendo riferimento alla progressiva demonizzazione contro la comunità giappo-canadese, Choy rivela tutta la distanza che separa la sua opera da ciò che Lowe definisce  come « the essentializing of Asian American Identity », tratto comune a tanta parte della letteratura Asian-American di successo. Tale essenzializzazione (o processo di astoricizzazione, diremmo noi :

Reproduces oppositions that subsume other nondominant groups in the same way that Asians and other groups are marginalized by the dominant culture : to the degree that the discourse generalizes Asian American identity as male, women are rendered invisible; or to the extent that Chinese are presumed to be exemplary of all Asians, the importance of other Asian groups is ignored 13. 

Meiying, come  la sua madre biologica, come stepmother, come Liang la sorellina ed il suo vecchio amico Monkey,  e poi ancora come Jung, adottato anch’esso, creatura inconsapevolmente lunare ma mascherato da sole, tutti questi personaggi sono figure che definiscono, si passi l’espressione, i margini dei margini della comunità sino-canadese (ma da essa forgiati e di essa parte integrante).  Si tratta di creature, se possibile, doppiamente silenti, ma personaggi di grande efficacia e verità narrativa.

 

 

NOTE

 

1. An Interview with Wayson Choy by Don Montgomery (2002

2. Citato nella copertina dell’edizione del testo di Choy cui facciamo riferimento nel presente saggio : The Jade Peony, Douglas and McIntyre, Vancouver & Toronto, 1995.

3. Discovering what Matters. An interview with Wayson Choy by Scott Sellers was published in READMagazine, Volume 5 Issue 1, Fall 2004. La stessa intervista tradotta in italiano da Egidio Marchese è online in Bibliosofia: http://www.bibliosofia.net/files/Sellers.htm

4. In realtà, come rivelato dall’autore stesso, il romanzo constava d’una quarta parte dove si narrava la storia di Kiam - il fratello maggiore. D’intesa colla sua casa editrice, Choy decise di tagliare quest’ultima parte, perché la storia dei tre fratellini sembrava rappresentare una prospettiva unitaria in sé conclusa, avente come perno o punto di riferimento l’aspetto femminile o yin della cultura di Chinatown. Come è noto, la storia di Kiam è stata poi rielaborata ed ampliata in un romanzo pubblicato di recente col titolo All that Matters. Per dirla colle parole dell’autore, in quest’ultima opera l’idea di mettere al centro della storia Kiam ha  lo scopo di integrare  « his vision of a paternal side of Chinatown with the maternal side that was told in The Jade Peony ». Dati  gli attuali interessi di ricerca dello scrivente ed in considerazione dei limiti di spazio di questo saggio, ci si ripropone di affrontare in altra sede All that Matters.

5. « On June 30, 1923 Bill 45, known as the Chinese Exclusion act, was passed, allowing only diplomats, children born in Canada, students and merchants to enter Canada. This bill virtually crushed the dreams of  Chinese labourers to have their families reunited in Canada. […] The Cjinese Exclusion Act also required every Chinese in Canada to register with the Immigration Department, even if born in Canada. The Exclusion Act also deprived Chinese in Canada of an equal opportunity for naturalization and citizenship rights. (Lien Chao, Beyond Silence – Chinese Canadian Literature in English, Toronto, TSAR, 1997, pp. 10-11).

6. Tradotto in Italiano col titolo I Briganti ed in Inglese come The Water Margin e, nella versione di Pearl S. Buck, All Men Are Brothers

7. Lien Chao, op.cit., p.27.

8. Si pensi per esempio a come, riferendosi al dramma in tre atti Bachelor-Man del drammaturgo Sino-canadese Winston-Christopher Kam, Lien Chao definisca riduttivamente l’omosessualità come « a crime in traditional Chinese culture » (Lien Chao, op.cit., p.80).

9. Tale definizione di « neither, nor » è radicalmente diversa da quella cui fa riferimento  Frank Chin nella sua antologia di letteratura Asian-American « Aiiieeee! » nella quale, secondo Koshy : « The authentic Asian American is […] defined as a prototypical No-No Boy : a political subject who says no to Asia, no to America, and is decidedly male » (Citato in Cheng, Op. Cit., p.166).

10. Vincent J. Cheng, Inauthentic -  The Anxiety Over Culture and Identity, RUP, New Brunswick, New Jersey and London, 2004, p. 141.

11. Okihiro, citato in Cheng, Op. Cit. p.150

12. Cheng, Op. Cit. p.147.

13. Lowe, citato in Cheng, Op. Cit., p.167.

 

_________________________________________________________

 

* Pietro Giordan. Nato a Venezia, laureato in lingue e letterature orientali (Università di Venezia - Ca' Foscari), ha trascorso vari periodi di studio in Cina Popolare. Nel 1993 si è stabilito in Canada dove ha conseguito un Dottorato in letteratura comparata (Université de Montréal). Professore associato di letteratura e cultura cinese al Dipartimento di lingue, letterature e linguistica alla York University di Toronto, coordina il Programma di studi asiatici alla Division of Humanities. Le sue ricerche vertono sulla narrativa cinese moderna e su questioni di comparatistica.  Ha pubblicato vari saggi, in particolare su riviste quali China Scholarship, Wenxue pinglun (Critica letteraria), Parol, Canadian Revue of Comparative Literature. Al momento, lavora principalmente ad una monografia sull'opera di Shen Congwen.

 

 

1 dicembre 2007

 

 

LETTERATURA CANADESE 2

 

LETTERATURA CANADESE

 

BIBLIOSOFIA