Un'intervista con Wayson Choy di Scott Sellers

Traduzione dall'inglese di Egidio Marchese

emarchese@primus.ca

 

Con la pubblicazione di questo romanzo The Jade Peony [La Peonia di Giada] nel 1995, un debutto acclamato su scala internazionale, Wayson Choy è emerso come una delle nuove più eccitanti voci nel panorama della letteratura canadese. Il romanzo - intorno alle lotte della famiglia di immigranti cinesi Chen, che si costruisce una nuova vita a Vancouver, tra la povertà e il razzismo all'epoca della depressione - ha incontrato il consenso della critica per la sua compassione e profondità di analisi, ed è stato accolto dai lettori dall'Atlantico al Pacifico con un affetto che viene raramente tributato a un nuovo scrittore e alla sua opera.

Choy al successo di The Jade Peony fa seguire Paper Shadow [Ombre di Carta], con le sue intense memorie della crescita a Vancouver negli stenti degli anni Quaranta. Questo viaggio nei misteri del passato, bello e commovente, è stato finalista ai maggiori premi della narrativa, incluso il Governor General's Award, e ha confermato la crescente reputazione di Wayson Choy come uno dei narratori di questo paese di maggior talento.

In autunno, Wayson Choy è tornato con All That Matters [Tutto ciò che conta], il suo nuovo romanzo atteso con impazienza, che continua la saga della famiglia Chen di The Jade Peony, con una nuova illuminante prospettiva. Recentemente mi sono seduto insieme a Wayson Choy per parlare del suo ultimo lavoro e di altri temi, come l'importanza di prestare tributo alla tradizione, il ruolo dei fantasmi e spiriti nel processo della sua scrittura, e il recente trauma della sua malattia, che lo ha portato a rivalutare la direzione che All That Matters ha preso alla fine.

D: Il Suo primo libro, "The Jade Peony", segue un interessante iter verso la pubblicazione. Può parlare un po' del viaggio lungo una decade, che il romanzo ha intrapreso per arrivare nelle mani dei lettori?

R: È come una storia di fantasmi. Quando ero alla UBC [Università della British Columbia] nel 1958, uno dei miei insegnanti era Early Birney, che credeva fermamente che le voci canadesi dovessero essere pubblicate, ma prima occorreva che i nuovi scrittori avessero un posto dove imparare il mestiere. Sotto la sua esperta guida, e lavorando con dediti insegnanti come Jacob Zilbert e Jan de Bruyn, ho scritto Il suono delle Onde per la rivista PRISM. Il racconto fu in seguito incluso nell'antologia "I migliori racconti brevi americani" del 1962. La facoltà pensò ch'io dovessi continuare a scrivere. Ma trovavo che scrivere fosse difficile e restrittivo - e sentivo di non avere nulla da dire - così ho messo da parte quell'ambizione per un tempo futuro.

Quel tempo futuro capitò essere il 1977, quando morì mia madre. L’Humber College [di Toronto], dove insegnavo Inglese, mi concesse un periodo di assenza per stare con mio padre e iscrivermi nuovamente alla UBC nel programma di Scrittura Creativa. Per mia buona fortuna, Carol Shield era l'istruttrice non-nonsenso per i racconti brevi. Ella credeva che se tu intendevi diventare uno scrittore, saresti stato capace di creare un racconto da ogni fonte. A un progetto che assegnò, ella presentò dei pezzetti di carta ciascuno segnato con un colore, e stabilì la regola: qualsiasi colore uno avesse scelto, quel colore doveva diventare la parte principale del suo prossimo breve racconto. Io scelsi il colore rosa.

Senza saperlo allora, la mia casuale scelta del rosa si dimostrò essere un segno. Voglio spiegare il significato di "segni". Durante la mia infanzia i miei genitori immigrati lavoravano sempre per molte ore, negli anni 1940; perciò fui allevato in parte da alcuni degli ultimi pionieri superstiti di Chinatown a Vancouver, gli anziani originariamente dei villaggi della Vecchia Cina. Essi inculcarono in me la saggezza popolare di prestare attenzione ai segni, cioè di notare eventi e coincidenze che si sarebbero rivelati pieni di significato sul mio destino. Per esempio, io non sapevo cosa potesse significare la mia scelta del "rosa". Sentivo che il colore avesse un significato, ma ero bloccato. Pochi giorni prima della data di scadenza del mio compito, entrai in cucina dove due mie zie e mio padre stavano rimuginando su dei pezzi di giada di mia madre. Ho sentito una delle mie zie menzionare che oltre alla comune giada verde esisteva anche una giada rosa. Sono uscito dalla cucina. Dopo circa un'ora sono rientrato e loro stavano parlando di un arbusto di peonie che sbocciavano nel giardino di mia zia. Per qualche ragione, la frase "peonia di giada" mi avvinse e immediatamente vidi con gli occhi della mente la mano tremula di una anziana premere un pezzo di peonia di giada nella palma aperta di un piccolo bambino. Mi venne la prima frase. Quella notte io battei a macchina... "Quando mia Nonna morì all'eta di 83 anni, la mia famiglia trattenne il respiro."

Il racconto "The Jade Peony" fu uno dei due selezionati da Carol e dai miei compagni di classe, da presentare al concorso di narrativa degli Alumni Chroniche della UBC. Esso vinse, e il racconto fu pubblicato l'anno successivo. Pensavo che questo fosse la fine della storia, ma il racconto apparve al tempo in cui le voci del multiculturalismo andavano riscuotendo attenzione. "The Jade Peony" divenne un racconto favorito delle antologie, e nel 1992 Patsy Aldana, allora alla Douglas & McIntyre, mi offrì un contratto per scrivere un libro. Tre anni dopo il romanzo, The Jade Peony, venne pubblicato. Mi sorprendo a pensare dove la mia vita di scrittore sarebbe oggi se, più di venticinque anni fa, Carol Shield non avesse messo alla prova gli studenti con quei pezzetti di carta. Il suo spirito non-nonsenso starà sorridendo.

D: "The Jade Peony" esplora la vita della famiglia Chen attraverso gli occhi dei fratellini di Kiam-Kim, mentre "All That Matters" scava e sviluppa la storia attraverso l'esperienza del Primo Figlio Kiam-Kim. Lei ha sempre immaginato la saga come parte di due libri, con Kiam-Kim che riprende successivamente la narrazione?

R: "The Jade Peony" fu scritto in quattro parti, la quarta parte era la storia del Primo Figlio Kiam-Kim. Ma Patsy Aldana e Saeko Usukawa, il mio editore, pensavano che la Chinatown vista attraverso gli occhi dei tre bambini più giovani costituisse già un completo e composto romanzo: le loro storie riflettevano qualità materne di Chinatown. E siccome Kiam-Kim fu cresciuto ed educato dal lato paterno di Chinatown - cioè soprattutto da suo padre e dal Terzo Zio - la storia di Kiam appariva come un libro separato. Perciò quelle 75 pagine furono rimosse.

Comunque, io sentivo che un giorno avrei potuto avere l'opportunità di esplorare la maturazione di Kiam-Kim come uomo. E Maya Mavjee della Double Canada mi incoraggiò a scrivere quel secondo libro. Per sei anni il personaggio di Kiam-Kim, i membri della sua famiglia, si sono sviluppati e approfonditi nella mia mente di scrittore. Alla fine, sotto la sensiblile guida del mio editore, Martha Kanya-Forstner, la storia di Kiam crebbe in un romanzo, sul potere senza limiti dell'amore e della bontà.

D: In "All That Matters", Kiam-Kim è preso fra due differenti culture. La sua famiglia è determinata a onorare il proprio retaggio cinese, mentre Kiam-Kim è pure affascinato da tutte le cose del Nord America. Lei ha espresso la Sua propria esperienza d'infanzia nel creare la visione del mondo di Kiam-Kim?

R: Assolutamente. Se sei figlio di immigrati nel Nord America di prima o seconda generazione, ti trovi a crescere preso tra due culture. Ai miei tempi, per esempio, i giovani nati come me in Canada erano spesso chiamati "banane" - eravamo gialli di fuori e bianchi di dentro. Ma quella tensione effettivamente fa parte della crescita di una nuova generazione. Quando io ero un bambino, dapprima sognavo di diventare un guerriero che agitava la spada come in un'opera cinese; ma presto cambiai idea, dopo aver visto il mio primo film di cowboy. Ma entrambi quei sogni rimasero una parte di me.

Per molti giovani appartenenti alle famiglie di immigrati minoritarie, quelle prime tensioni di essere-nel- mezzo possono essere amare e difficili da sopportare. Ma adesso so dalla mia propria esperienza che quelli fra di noi che lottano fra diverse culture, ebbene, siamo veramente come alla tavola di un banchetto, un posto dell'infanzia in cui possiamo scegliere di nutrirci in seguito del meglio di tutte le culture. Kiam-Kim, come me, ha interiorizzato tante oppressioni e atteggiamenti razzisti. Come me, egli avrebbe dovuto scegliere tra diventare un ponte che connette le differenze, o un muro. Tutti noi oggi dobbiamo affrontare quel problema.

D: Poh-Poh, l'indomabile nonna di Kiam-Kim's, è indimenticabile per la sua forza e saggezza. Da dove viene l'ispirazione di questo straordinario personaggio?

R: L'ispirazione di questo personaggio viene dagli anziani che furono una parte vitale della mia infanzia a Chinatown. Erano quelli che non si potevano permettere un viaggio di ritorno in Cina; o quelli che rimanevano per poter mandare degli aiuti a casa. Alcuni, quando andarono in pensione, divennero membri aggiunti delle famiglie dei lavoratori stabilitisi a Chinatown, e aiutavano ad accudire ai bambini come me.

Quegli anziani erano gente dura. Dovevano esserlo per sopravvivere alle loro amare esperienze. Erano anche teneri in un modo sorprendente. A volte ti dicevano che ti avrebbero fatto a pezzi e ammazzato (il linguaggio del loro villaggio era crudo), e un momento dopo ti abbracciavano, impauriti se sparivi dalla loro vista. Mi fidavo della loro intensità. Molti di loro erano stati trattati tanto male, che erano pieni di rabbia per le passate ingiustizie; eppure, ricordo la loro profonda dignità e la loro modesta bontà. E i loro racconti.

Per me da bambino non c'era nulla di più irresistibile di quando uno degli anziani mi diceva, nel suo misto di cinese e inglese, il "Chinglish": "Siedi fermo, racconto storia." Trattenevo il fiato. I loro racconti popolari e le loro storie di vita mi trasmettevano il significato dei fantasmi e dei segni. Furono quei vecchi e quelle vecchie a ispirarmi il personaggio di Pho-Pho.

D: Le memorie di "Paper Shadows" [Ombre di Carta], che ha vinto un premio, offrono un notevole ritratto della vita di Chinatown a Vancouver negli anni Quaranta. Quanto c'è di simile e di differente nella Chinatown della memoria e in quella dell'immaginazione nella Sua narrativa?

R: La Chinatown della memoria e quella della narrativa paradossalmente sono le stesse e non lo sono. Come scrittore debbo conoscere il più possibile i fatti e i posti reali, ma quando mi sposto nel regno della ri-creazione in termini letterari di quel mondo passato, dalla visione tri-dimensionale di un personaggio relativo alla storia (sia che venga dalla mia infanzia o da un personaggio immaginario), allora il paradosso emerge. I dettagli, anche se inesatti, debbono essere sentiti come veri dal punto di vista di un particolare personaggio. La mia Chinatown di Paper Shadows è la stessa di All That Matters eppure non è la stessa, paradossalmente, entrambi sono simili eppure diverse da quella dei documenti, delle ricerche e dei racconti. Per me la verità vitale di ogni posto - la verità morale - si trova tra la memoria e l'immaginazione.

D: Di recente Lei ha fatto un viaggio in Cina. Quell'esperienza ha influito nella scrittura del nuovo romanzo?

R: Inizialmente, non credevo. Sono stato a Qufu a fare un documentario su Confucio. La squadra ed io eravamo in un mercato rumoroso, vecchio di duemila anni, che mi faceva ricordare la calura, le tempeste di vento e il duro lavoro di cui mi avevano parlato a casa gli anziani nei loro racconti. Era un panorama a un certo livello simile a quello della praterie canadesi sotto un sole infuocato. Ma c'erano mura di templi e tombe antiche due o tremila anni. Potevo vedere da dove derivava l'orgoglio della sopravvivenza degli anziani, l'orgoglio di sopravvivere come cinesi, persone che appartenevano a quelle antiche strutture. Quegli anziani avevano nella loro memoria la dignità della loro cultura, della loro storia e delle loro mitologie. Dopo, quando ho visto me stesso in piedi accanto a dei draghi scolpiti nelle colonne di pietra che torreggiavano, improvvisamente mi sono reso conto come tutto apparteneva anche a me. Era quello il più strano e meraviglioso sentimento, perché improvvisamente ho pensato con orgoglio, paradossalmente, a quegli squisiti alti Totem di Haida, potevo avere quel sentimento perché mi era stato dato il retaggio e il dono di molte culture, e perciò sono quei doni e quei retaggi che io trasmetto ai miei personaggi

D: Lei parla piuttosto apertamente dei modi in cui i fantasmi e gli spiriti sono in gran misura parte del Suo processo creativo. Può spiegare com'è che essi giocano un ruolo nella scrittura di "All That Matters"?

R: Debbo confessare che, sebbene non creda in essi, i fantasmi occupano la mia mente. Penso che ci sia un posto nel cervello umano abitato da gente che ti ha amato, o che sia diventata una parte vitale della tua vita per il meglio o per il peggio. Essi occupano una parte di te come - in mancanza di una migliore parola - fantasmi. Penso di avere una mente creativa, e ciò in parte contribuisce, ma quei fantasmi del passato ancora mi parlano. Essi parlano a me; alcune volte mi sembra di vederli sfrecciare intorno agli angoli. Per esempio, io sono seduto in macchina e sento la voce di uno dei miei amici morti che mi dice, Sta' attento... Io guiderei con più cautela. A volte compro un biglietto della lotteria, percependo quelle voci, e sono stato molto fortunato.

Immagini di mia madre e mio padre adottivi riappaiono ancora davanti a me. Sono ancora una parte vitale di me. Col passare degli anni, mi rendo conto sempre di più quanto abbiano realizzato nella loro vita, una cosa alla quale non avevo dato molta importanza quando erano ancora vivi. Adesso so quanto abbiano realizzato con la bontà e la loro lotta per la sopravvivenza. Il mio amore per loro non è cambiato, ma è cresciuto in profondità. Penso che sia il dono del crescere (ho 65 anni) - sono arrivato ad un'età in cui posso capire quanto sia prezioso - come una vitale qualità di sostegno - l'amore delle persone che mi hanno amato e che ora non ci sono più. Detto questo, penso di vedere entrambi i miei genitori che mi sorridono. Non è sorprendente che i fantasmi abitino nelle pagine di All That Matters. Infatti, io credo che tutti noi, in molti modi, siamo visitati dai fantasmi.

D: Il nuovo romanzo si apre con una citazione di Confucio, secondo cui "con le parole, quello che conta è di esprimere la verità." Può riflettere su come recenti eventi della Sua stessa vita L'abbiano portata ad approfondire la comprensione delle parole del Maestro?

R: Ci sono voluti per me più di sei anni per scrivere il nuovo romanzo. Tre anni fa pensavo di avviarmi alla fine del romanzo; la narrazione stava per concludersi, quando ho dovuto interromperla per ragioni di salute. A causa della mia stessa stupidità, sono arrivato ad un severo attacco d'asma. Al reparto di Emergenza dell'Ospedale St. Michael i medici mi hanno indotto in uno stato di coma per poter inserire un ventilatore nei miei polmoni semi-paralizzati. Sono stato tenuto in coma per 11 giorni, e sono rimasto per più di 20 giorni nel reparto di cura intensiva. Durante quel periodo, ho avuto due o tre attacchi cardiaci, per cui quasi non ce l'ho fatta. Sono rimasto all'Ospedale per quattro mesi, inclusa la mia riabilitazione a Bridge Point, e son dovuto rimanere a riposo a casa per circa un anno. Ho dovuto imparare nuovamente a camminare e come maneggiare un paio di forbici, il che era sorprendente, perché il mio cervello diceva "Ecco come fare" ma il mio arto e le mie dita non cooperavano. Ma durante tutto questo tempo, il libro mi frullava nella testa.

Alla fine, stavo abbastanza bene da poter guardare nuovamente al manoscritto. Ma non potevo più finirlo. Dopo il trauma di essermi trovato vicino alla morte, e l'esperienza dell'amore di tanti che mi chiamavano per nome attraverso quella oscurità che mi avvolgeva, è cresciuto dentro di me più intensamente il senso della vita. Francamente mi sarei arreso a quell'oscurità, se non fosse stato per l'esperta attenzione del gruppo dei medici e il vitale abbraccio della mia famiglia e dei miei amici. Ho pensato, come si fa in tali situazioni, che dovevo tornare indietro per una ragione. Essa sembrò a me come un'espressione di verità, quella specie di nuda verità che secondo Confucio è tutto quello che conta.

Mentre la mia salute andava migliorando, mi sono reso subito conto che alcuni dei temi e racconti per il libro erano cambiati... si erano approfonditi. Ho riscritto il libro quasi dall'inizio, e per questo sono occorsi altri tre anni. Ma non avevo nulla da perdere. Sentivo che quei personaggi potevano essere spinti fino al limite e tirati indietro, abbattuti dalla tragedia e innalzati dall'esaltazione. Avrebbero scoperto, come me,  delle verità sulla loro vita. E le mie parole avrebbero cercato di esprimere quelle verità. Sento che sia essenziale nella letteratura scoprire quello che conta. Non posso dire abbastanza sul potere della narrativa di dare un significato alla vita di uno. Immagino che ogni scrittore speri di poter fare questo un giorno con la sua scrittura.

[Discovering what Matters. An interview with Wayson Choy by Scott Sellers was published in READMagazine, Volume 5 Issue 1, Fall 2004. Translation in Italian by Egidio Marchese]

 

Wayson Choy - Professor Hemeritus ad Humber College in Toronto e membro di varie associazioni culturali - è autore delle seguenti opere:

- All That Matters [Tutto ciò che conta], Doubleday Canada, 2004, romanzo che ha vinto il premio The Trillium Book Award del 2005 (e Finalista per il premio The 2004 Giller Prize.)

- Paper Shadows [Ombre di Carta], Viking/Penguing Canada, 1999, un memoriale dell'infanzia a Chinatown di Vancouver, vincitore del premio The Edna Staebler Award for Creative Non-Fiction del 2000 (e Finalista per il Governor-General Award, il Charles Taylor Prize for Literary Non-Fiction, e il Drainie-Taylor Biography Prize.)

- The Jade Peony [La Peonia di Jada], Douglas & McIntyre, 1995, un romanzo sulla Chinatown di Vancouver, che ha vinto il premio The Trillium Book Award del 1996 (a pari merito con Margaret Atwood); The City of Vancouver Book Award del 1996; American Library Association (ALA) Notable Book del 1998.

Attraverso una conversazione e corrispondenza con Wayson Choy, ho ricevuto queste ulteriori informazioni (che traduco in italiano):

«Sia come insegnante o consulente, sia come parte di una tavola rotonda o conferenziere, spesso tratto argomenti relativi a "la scrittura di vita" ["the writing life"], facendo discorsi sulla mia guarigione da malattie che minacciavano la mia vita, o su temi attinenti al razzismo e alla diversità culturale. Questi discorsi - e i miei seminari - esplorano e contestano gli atteggiamenti interiorizzati (specialmente i miei) di razzismo e di differenze tra sessi. Metto a fuoco aneddoti e idee che incoraggiano il rispetto di tutte le minoranze, e in special modo esploro il tema di "Rischiare nella vita, e rischiare ancora di più nelle parole."»

Wayson Choy è apparso come protagonista in "Unfolding the Butterfly" [Schiudere la Farfalla], un lungometraggio di Michael Glassbourg; è stato il personaggio di rilievo nel programma televisivo di TVO "Person-2-Person" [A tu-per-tu] con Paula Tod, e intervistato nel programma "Fine Print" [Buona Stampa] di Carolyn Weavers; è stato ospite in molti programmi della CBC e altre stazioni radio e televisive, etc.; ed era presentatore nel film documentario di co-produzione Cina-Canada "In Search of Confucius" [Alla ricerca di Confucio]. Adesso sta lavorando su due nuovi libri per [l'editore] Doubleday.

 

 (e.m.)

 

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