LICIA CANTON

cantonli@cusmano.com

Licia Canton, nata a Cavarzere (Venezia), è arrivata a Montreal nel 1967. Ha studiato all'Università McGill (BA, MA), poi ha completato un dottorato di ricerca (PhD) in letteratura canadese all'Université de Montréal. Da oltre dieci anni si occupa di letteratura delle minoranze canadesi ed in particolare di quella italo-canadese. È stata relatrice a numerose conferenze e ha pubblicato vari articoli, oltre ad aver curato cinque libri: The Dynamics of Cultural Exchange: Creative and Critical Works (2002) , Adjacencies: Canadian Minority Writing (con D. Beneventi & L. Moyes) (2004), Writing Beyond History (con De Santis & Fazio) (2006), and Rebus: Artists and Poets in Correspondence (con Anna Carlevaris). Sono di prossima pubblicazione, Antonio D'Alfonso: Essays on His Works, e The Butcher’s Daughter, una raccolta di racconti. Dal 1998 al 2002 è stata parte dell'esecutivo dell'Associazione Scrittori/Scrittrici Italo-Canadesi, prima come responsabile del Bollettino e poi come vicepresidente. Licia Canton è anche direttrice della nuova rivista nazionale in lingua inglese, “ACCENTI: The Canadian Magazine with an Italian Accent. Si veda: www.accenti.ca.  /  Licia Canton: http://www.aicw.ca/membership.htm#LiciaCanton

 

Dal sesto piano*

 

Ero convinta di aver trovato la felicità. E invece non è così.

Ogni notte è un brutto sogno. Non è possibile! Mi risveglio al mattino e mi trovo allo stesso punto e non c’è via di scampo. Mi guardo allo specchio e mi sembra di non essere più me stessa!

Lui mi ha detto, ancora una volta, che la donna del quinto piano trent’anni fa si è gettata dalla finestra. Era appena diventata mamma e soffriva di depressione post-partum: una mattina mise fine alla sua tristezza lasciando un bimbo di appena due mesi!

Ma io non ho bimbi!

Sento ancora le voci dei miei … «non partire, ti prego … non andare via…» e le voci mi tormentavano perché li pens a vo egoisti, non volevano perdere in uno la figlia e la sorella.  Ritenevo non volessero vedermi felice e per questo ero arrabbiata. Forse avevano ragione ma ormai è troppo tardi. E qui, ora, non c’è nessuno: soltanto lui e mi odia!  «Salta dalla finestra, dai!» mi dice. «Quella del quinto piano ha tutto risolto gettandosi: salta, se sei così infelice!» E io gli rispondo: «Cosa? Pensi proprio sia pazza?» Però forse lo sono davvero: ho le idee annebbiate.  Rivedo soltanto la donna che ero mesi fa, una donna viva con tante idee e tante aspirazioni con una laurea in tasca.  «La laurea non vale nulla!» mi dice lui.

Ma io riguardo il mio curriculum, le mie refe r e n z e .  Li rileggo ogni giorno, li sfoglio per ricordarmi la donna che ero e per intravedere quella che avrei potuto essere.

E, invece, lui mi dice che non valgo nulla…«salta, forza, falla finita!»

 

*     *     *

 

Ogni giorno mi avvicino alla finestra e scrollo la tovaglia: guardo i piccioni sul davanzale che mangiano le briciole e poi volano via. Guardo giù dove giocano i bambini.  Rimango lì inerte, ogni volta sempre più a lungo. Mi sembra di avere poche scelte: o gettarmi o essere infelice. 

Non ho il coraggio di dire a nessuno quello che p r o vo. Soltanto tu sai la donna che ero! 

Se ci fosse qualcuno che mi potesse aiutare, che mi potesse prospettare una soluzione diversa: partire?... F o r s e …

«No! Non puoi partire, sarebbe una disgrazia per la fa m i g l i a . » «E se mi butto dalla finestra non sarebbe una d i s g r a z i a ? » « Vorrebbe dire che sei pazza ... e dato che lo sei sarebbe la cosa giusta da fa r e … » Lui minaccia di mandarmi al manicomio. «Non stai bene»mi dice continu a m e n t e .

Pazza? Ma come si permette! Evidentemente mi vuole spaventare. Ma non c’è via d’uscita, ma cosa posso fare?  «Cosa posso fare per cambiare le cose?» «Nulla … non sei una di noi … non è casa tua questa…» mi dice.

Forse avrei dovuto ascoltarlo prima e cedere ai desideri della famiglia. Quando sono arrivata avevo già un l a voro che mi aspettava come segretaria nell’impresa famigliare. Ma io insistevo di avere una laurea e di vo l e r e un lavoro personale e adeguato, e loro ridevano: devi lavorare con la famiglia! Altro non succederà! Sembrava quasi una minaccia.

«Guarda, non è troppo tardi per rimediare: ti prego dimmi cosa debbo fare, cerchiamo aiuto, forse da un consulente matrimoniale…» «Non si fanno queste cose qui: non abbiamo problemi di matrimonio» mi dice lui «e poi non sono io che p r o voco problemi, sei tu … e tu sei il problema, è semplice!  Per te è difficile comprendere ciò perché non hai le idee chiare, ma qui basta eliminare il problema.» «Ma non posso partire: non posso tornare dai miei…» «Non hai capito niente: non ti dico di andartene…» E allora? Ho cercato qualcuno che mi dica di partire:

ho parlato anche con diversi sacerdoti ma tutti mi dicono di non lasciare il marito, il matrimonio è cosa sacra, chi è unito da Dio lo deve rimanere fino alla morte.

E allora se mi gettassi dalla finestra, quella sarebbe la

morte. Ma io voglio vivere e lavorare secondo la mia

riconosciuta capacità e istruzione, però tutto questo sembra

non valga nulla. Aiutatemi, vi prego…

 

*     *     *

 

Questi pensieri ieri sera mi giravano nella testa mentre l a v a vo i piatti. Lui gridava, al solito, che non valgo nulla … che è impossibile vivere con me … che tutto è un disastro a causa mia … che dovevo prendere in mano la situazione con un’unica soluzione… Per un attimo, avendo in mano la padella nera piuttosto pesante, ho pensato di dargliela in testa. Così se cominciassi a difendermi non mi torturerebbe più. Ma poi la sua reazione sarebbe stata tremenda dato che è forte, molto forte, e così non ho fatto nulla.

Chi mi potrebbe aiutare? Il prete? La mia fa m i g l i a ?  No, non debbono sapere niente di me. Per di più non ho amici perché lui non vuole che ne abbia. Non posso telefonare perché costa e se lo faccio di nascosto se ne accorge dalla bolletta e sono urli a non finire.

 

*     *     *

 

Nessuno può aiutarmi? Vorrei partire perché non penso a ffatto di gettarmi dalla finestra: tutti direbbero che sono matta mentre io sono convinta di non esserlo.  « Ti metto in manicomio perché stai minacciando il mio quieto vivere» è il suo urlo quotidiano.  Ho paura perché con le sue conoscenze potrebbe riuscirci facilmente. Io sono sola, senza la mia famiglia né amici e nessuno se non ci fossi più si renderebbe conto del fatto.

Ho solamente il mio diario e lo manderò a qualcuno perché si sappia la verità.

 

*     *     *

 

Sono fuggita e sono seduta nel treno che sta partendo.

Non so dove andare ma sono fuggita!

Ho lasciato soltanto un messaggio nella segreteria telefonica: «Non far morire le piante...» Non ho trovato nessuno che mi desse un consiglio:

ho vissuto mesi duri e infelici tra insulti e ingiurie. Av r e i potuto sopportare ancora, tanto a tutto ci si abitua? Non so. Ma ieri sera ho raggiunto il limite massimo di sopportazione.  A cena lui ha perso ogni controllo e mentre mang i a vo a capo chino mi ha versato in testa la bottiglia dell’acqua, poi, infuriato, mi ha sollevato dalla sedia, mi ha sbattuto sul muro e, quasi soffocandomi, mi ha sputato in faccia urlando «sei matta! Devi buttarti dalla finestra perché sei mattaaa…» Di colpo, però, mi ha lasciata e sbattendo l’uscio di casa se ne è corso via. Perché? Forse ha t e muto che per la rabbia mi avrebbe lui buttato dalla fi n e stra?  Chissà. A quel punto ho capito che il matto era veramente lui. Ho messo alcune cose nella borsa da viaggio e ora sono qui.

Quella scenata finalmente mi ha dato la forza di partire: nessuno al mondo merita di essere trattato così.  Ho fatto bene a non gettarmi dalla finestra. Non sarebbe servito a niente e tantomeno a me.

 

Chi Non Viene**

 

Sorda e cieca, non si muove

se qualcuno non la muove.

Seduta vicino alla finestra

lo scialle sulle spalle,

un’altro sulle gambe

Tutto il giorno da sola,

aspetta chi non viene

chi dovrebbe venire

Il campanello

suona e suona,

ma non viene nessuno

Sono andati via,

la vita continua

ma lei ne vede, ne sente.

Che triste diventare vecchia,

che brutto aspettare chi non viene

Ecco, c’è qualcuno!

Un’ombra sulla porta,

una vocina lontana.

È lei?

“Sei tu? Ti ho tanto aspettata

Pensavo fossi già andata via

lontano.

Sei tu? Vieni vicino.

Vedo poco, solo un’ombra.

Dammi un bacio.”

Che triste diventare vecchia,

che brutto aspettare chi non viene

Aspettare la corriera che non arriva mai,

quella gratis che non torna più.

 

 

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* Il racconto “Dal sesto piano” è pubblicato in Writing Beyond History, a cura di Licia Canton, Delia De Santis e Venera Fazio. Montreal: Cusmano, 2006, pp. 156-159, ed è online in Bibliosofia, anche nella versione italiana di Elettra Bedon, per gentile concessione dell’autore e dell’editore.

** La poesia  “Chi non viene” è pubblicato in Writing Beyond History, a cura di Licia Canton, Delia De Santis e Venera Fazio. Montreal: Cusmano, 2006, pp. 160, ed è online in Bibliosofia, anche nella versione italiana di Elettra Bedon, per gentile concessione dell’autore e dell’editore.

 

 

 

 

 

1 febbraio 2007

 

LETTERATURA CANADESE E ALTRE CULTURE

 

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