PRESENTIAMO NINO FAMÀ

Prologo di “La stanza segreta” e Intervista di C. Aliberti

Egidio Marchese

emarchese@primus.ca

 

Nino Famà ha un bel Website http://arts.uwaterloo.ca/~afama/HOMEPAGE.htm presso la University of Waterloo ove insegna, da cui trascriviamo innanzi tutto il suo profilo biografico tradotto in italiano:

Nino Famà è nato a Barcellona P.G. nel 1943 ed è emigrato in Canada nel 1961. In Canada ha conseguito la laurea B.A. all’University of Brock (1970), il M.A alla University of Western Ontario (1972) e il Ph.D. alla State University di New York a Buffalo.

Nino Famà attualmente insegna Letteratura Latino-Americana alla University of Waterloo (Canada). Egli ha pubblicato due libri di critica letteraria: Realismo magico en la narrativa de Demetrio Aguilera Malta (Madrid, 1976) e Las ultimas obras de Alejo Carpentier (Caracas, 1995). Egli è anche autore di molti articoli e saggi pubblicati in riviste specializzate.

Recentemente Nino Famà si è dedicato alla narrativa. Il suo ultimo romanzo è intitolato La stanza segreta. Egli ha anche scritto una raccolta di novelle: Don Gaudenzio e altre storie.

Nel sito a cui rinviamo si trova un dettagliato C.V. di Nino Famà (vita, lavoro, pubblicazioni e conferenze) e in particolare la presentazione di La stanza segreta, corredata da relativi saggi, articoli, recensioni e un’intervista.

Altri lavori di critica su Nino Famà che non appaiono nel Website si potranno trovare nell’importantissimo Archivio digitale al Iacobucci Centre dell’Università di Toronto, in via di attuazione ad opera del Prof. Salvatore Bancheri, direttore anche della rivista del Centro Italian Canadiana. Il sito dell’Archivio è http://anakin.utm.utoronto.ca/~sbancher/

In Bibliosofia qui di seguito presentiamo il ‹‹Prologo›› di La stanza segreta di Nino Famà e l’intervista di Carmelo Aliberti ‹‹Incontro con lo scrittore Nino Famà››. Separatamente presentiamo altri due scritti inediti: ‹‹Nino Famà. La Stanza Segreta›› di Giuseppe Condorelli e ‹‹Struttura e Fabula ne La Stanza Segreta di Nino Famà›› di Gino Trapani.

 

(1 dicembre 2005)

 

La stanza segreta – Prologo*

di Nino Famà

afama@uwaterloo.ca

 

Ci sono dei momenti in cui le cose sembrano perdere ogni significato. Da quando è morto mio nonno il mondo si è appesantito, è diventato più lugubre. Ogni giorno che passa, la mia vita prende nuove pieghe, nascono nuovi dubbi, come se il tempo covasse in me le sue uova maligne.

Non so se al di là delle vicende personali il mio malessere non sia esacerbato dall’incertezza generale che avviluppa i nostri tempi. Intanto il senso di desolazione e di abbandono continua a logorarmi l’anima: è che non riesco a capire che volto assumerà il futuro, quali speranze ci porterà, quante nuove angosce sarà necessario affrontare.

E anche se le mie ansie sono uguali a quelle di tanti altri, tuttavia credo che siano state le mie vicende personali a farmi precipitare in questa spirale d’inquietudine che accompagna le mie giornate.

Le mie afflizioni ebbero inizio quando mio padre e mia madre decisero di andarsene ognuno per i fatti propri.

All’inizio, dopo la separazione, avevano continuato a vivere nella stessa città, ma qualche mese dopo, ottenuto il divorzio, mia madre se ne andò a vivere a Winnipeg con un uomo d’affari che aveva conosciuto qualche anno prima. Da allora, e sono trascorsi tanti anni, l’angoscia che provai in quei giorni non mi consente ancora di andare a trovarla. Lei si è offerta più volte di pagarmi il viaggio, ma io detesto i ricatti e non ho ceduto. L’ho rivista un paio di volte quando, con suo marito, è tornata da queste parti per affari.

Mio fratello Mario e mia sorella Emma erano allora già maggiorenni  e preferirono andarsene per conto loro; io rimasi con mio padre, almeno fino a quando avrei finito gli studi. Dopo tutto, anche se non ero proprio contento, quali altre alternative mi rimanevano? Abitando con lui avrei potuto continuare a frequentare la stessa scuola e non avrei dovuto abbandonare i miei amici. Allora avevo dodici anni e queste erano considerazioni importantissime.

Con mio padre non vi è mai stato un rapporto di affetto come quello di un padre verso il proprio figlio. Non so se anche lui fosse rimasto frastornato dall’assenza di mia madre. Queste cose se le è tenute sempre per sé, di mia madre non ha mai parlato, non so se per evitarmi qualche dispiacere o perché il rievocare il tempo passato lo facesse soffrire. Comunque, ci accomodammo ognuno nella nostra personale solitudine e se, da un lato, non vi furono manifestazioni di amore reciproco, dall’altro non vi furono mai scontri seri al di là di qualche raro conflitto o di qualche temporanea baruffa.

L’affetto che mi mancava in famiglia andavo a cercarlo da mio nonno.

Da quando era rimasto vedovo, non si era mai allontanato dalla vecchia casa nella quale era vissuto per tanti anni e lì mi accoglieva sempre con grande gioia.

E strano che la sua morte mi abbia causato tanto dolore. Sebbene non sia più un adolescente, sento un dolore lancinante quando penso che d’ora in avanti non sentirò più la sua voce e non vedrò più il suo viso di vecchio fanciullo. Diceva sempre che avrebbe voluto vivere per vedere il nuovo millennio. Non ce l’ha fatta. Ma, ad onore del vero, non credo che abbia perso granché.

Certe volte penso che di questa mia fragilità non ne verrò mai a capo. Anche il mio medico, con tutte le sue domande e relative risposte, mi dà l’impressione di annaspare nel buio. Sono mesi che vado a trovarlo ogni settimana per quelle che lui chiama sedute terapeutiche, ma che a me paiono sempre di più una inutile perdita di tempo. Ma continuo ad andarci come una piacevole abitudine, come fumare una sigaretta o andare in chiesa la domenica. Non abbiamo tutti bisogno di qualche istante di benessere, anche se solo immaginario?

Ma non sempre quelle visite danno sollievo. A volte capita il contrario, che esse si tramutino in un vero e proprio tormento. Un tormento insopportabile che si trascina dentro di me per qualche giorno, almeno fino alla prossima seduta.

L’ultima volta che ci siamo visti i miei nervi non hanno retto. Tutto ebbe inizio quando, dopo un breve dialogo introduttivo, si giunse al nocciolo della questione.

– Per comprendere bene il problema – cercò di spiegarmi il mio analista – bisogna arrivare in fondo, risalire un po’ nel tempo e arrivare alle origini. Quanti anni ha detto che aveva quando i suoi genitori hanno divorziato?

– Uffa! Camminiamo, camminiamo e rimaniamo sempre al punto di partenza; non ne voglio più parlare.

E invece è importante che ne parliamo. Le fa ancora male parlarne, vero? Mi dica la verità, su, mi dica: quanti anni aveva?

– Ma gliel’ho detto, ne avevo dodici.

– Mi descriva la sua prima sensazione quando ha saputo che i suoi genitori si sarebbero separati definitivamente.

– Sono cose ormai lontane, dottore.

– Lei le deve ricordare.

È un passato chiuso a chiave ormai, seppellito, capisce? Mettiamoci una pietra sopra e basta.

– Non si arrabbi, Nicky, deve tirare fuori tutto, vedrà, le farà bene. Le sue parole sono ancora rigonfie di amarezza, di dolore, di risentimenti, non se ne accorge? Tiri fuori tutto, Nicky. Immagini che dentro di lei ci sia una specie di contenitore ripieno di cose vecchie, fuori uso; lei crede che non portino alcun disturbo, però ingombrano, pur non accorgendosene sono un peso che si tira dietro. Mi ascolti: bisogna ripulire tutto, disinfettare e incominciare daccapo. Non abbia nessuna vergogna, dica tutto, come se si stesse confessando, non abbia paura se la assalgono delle forti emozioni, non tema le lacrime, immagini che è tutto un marciume che adesso viene fuori, e che solo così la sua ferita si potrà risanare. Ora si rilassi, faccia che il suo passato le si presenti in modo naturale, come rigurgitare un pasto mal digerito.

– Fu come se all’improvviso il mondo si fosse capovolto, come se la fine fosse in vista. Tutto ciò che prima sembrava normale perdette il suo senso, mi sentivo come se stessi per precipitare nell’abisso, non vi era cosa o argomento che mi facesse riacquistare l’equilibrio. Tutto questo si svolgeva dentro di me, non avevo voglia di parlarne con nessuno, se qualcuno mi chiedeva spiegazioni rispondevo che tutto andava bene, che tutto stava a posto, mentre dentro di me quelle domande avevano lo stesso effetto del sale sulla ferita.

– Per quanto tempo ha provato questo senso di desolazione?

Perché mi fa queste domande? Lei stesso mi dice che la mia inerzia, le mie inquietudini sono residui recalcitranti di esperienze passate e ora torna a chiedere cose che già sa, come se mi volesse prendere in giro. Non fa altro che saccheggiarmi l’anima.

– Mi scusi se le mie domande le hanno creato questa impressione, ma le posso assicurare che quelle non erano le mie intenzioni. Mi dica, dopo qualche tempo si sarà almeno calmato un po’, avrà accettato le cose come erano e si sarà tranquillizzato, si sarà rassegnato alla realtà, che tutto era andato per il verso sbagliato, ma come succede sempre, quando ci si trova davanti all’inevitabile, prima o poi si finisce per accettare gli avvenimenti e ci si rassegna.

– Forse. Non credo di poter trovare parole adeguate per descrivere tutto ciò che ho provato. Dopo un po’ di tempo ho incominciato ad andare sempre più spesso da mio nonno. Mia nonna era morta da poco, ma quando arrivavo io mi accoglieva sempre con un bel sorriso, sembrava così contento di vedermi.

– E lei era contento di vedere suo nonno?

Era diventato così importante vederlo, non mi so spiegare... il suo sorriso... la sua accoglienza... stare in sua presenza mi dava un senso di sicurezza. Credo che mi volesse veramente bene, l’unica persona che non suscitasse in me alcun dubbio, alcun sospetto della sua sincerità. Allora pensavo solo a me stesso ma oggi, riflettendoci bene, credo che anche mio nonno provasse un po’ di solitudine dopo la morte di mia nonna, ma a me sembrava così rassegnato. Così forte che non mi passò mai per la testa che una persona forte come lui potesse soffrire. “Nicky, siediti qua accanto a me”, mi diceva, e poi mi parlava sempre di cose belle, della sua terra, della sua famiglia. Erano tutte cose che io non conoscevo e per il modo in cui le raccontava sembrava che stesse parlando del paese delle meraviglie, ma ripensandoci ora, credo vedesse le cose attraverso il velo della nostalgia, che lui agognasse quel paese che aveva lasciato nella sua gioventù e dove non era più tornato.

– Vede, anche suo nonno si era separato da qualcosa a lui cara. Se ci pensa bene, suo nonno, alla sua età, aveva lasciato genitori, fratelli, sorelle, amici, patria, eppure si era rassegnato. Che lo vogliamo ammettere o no, la vita è come un viaggio in treno, un continuo scorrere e lasciare indietro, una continua perdita di cose che ci sono care e che rimangono nella nostra memoria come chimere sospese nel tempo.

– Tutte le cose che mi raccontava sono rimaste così vive nella mia mente, come rocce incastonate dentro di me. Solo lui mi viene in mente nei momenti della mia più profonda disperazione. “Nicky, dovresti andare un giorno a vedere la terra di tuo nonno”, mi ripeteva spesso come se spettasse a me adesso compiere quello che lui non aveva fatto. Gli promisi che un giorno l’avrei fatto e lui ne rimase contento.

Anch’io glielo consiglio. Scoprire la terra degli antenati è un po’ come recuperare un pezzo di se stessi.

Già, trovare le proprie radici. E a parte ciò questo viaggio a mio nonno glielo devo. Un giorno o l’altro lo farò. Per adesso però non saprei nemmeno da dove cominciare.

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* Nino Famà. La stanza segreta. Caltanissetta-Roma: Sciascia Editore, 2004 Pp.190.

 

 

 

Incontro Con Lo Scrittore Nino Famà

di Carmelo Aliberti*

 

 

C. A. Come è nata in Lei l’urgenza di scrivere?

 

N. F. Credo che nel mio caso particolare scrivere sia una necessità di dialogo. Soprattutto dialogare con la mia terra lontana. Colmare con la scrittura quel vuoto di esperienze mancate che esigono risposte. Quindi, scrivere è seguire il dettame di un impulso, di un’immagine che persiste e ci ossessiona. Poi si cerca il personaggio o personaggi che rappresentino quell’idea e successivamente si identificano le vicende, storiche, sociali o psicologiche che diano vita ai personaggi e significato alla narrazione.

 

C. A. Nel primo volume di racconti, il motivo del nostos si coniuga come il bisogno di una congiunzione “panica” con la terra delle origini, in un’atmosfera di sapore verghiano. In che misura l’opera dello scrittore siciliano ha influenzato le tematiche della Sua prova d’esordio?

 

N. F. Don Gaudenzio ed altre storie, il volumetto di racconti pubblicato nel 1996, è stata una cosa del tutto spontanea, una specie d’impulso interiore che mi spingeva a ricreare scene di un mondo contadino, visto con l’occhio della memoria e sostenuto da una visione mitica della realtà. Certo che in quei racconti si fa palese l’angoscia dell’esilio dell’anima. Credo che la scrittura di Verga faccia un po’ parte del nostro ritmo interiore. Il suo stile, i temi che tratta ci appartengono anche se non ne siamo totalmente consapevoli, l’impronta verghiana è una specie di DNA, qualcosa che abbiamo nel sangue.

 

C. A.  Anche Nicky, il protagonista de La stanza segreta (Sciascia editore 2004), rampollo di emigranti siciliani in America, nell’età della ragione è invaso da vittoriniani “astratti furori” che lo spingono in una condizione di alienazione e di nevrosi, tanto da immobilizzarne ogni propulsione vitalistica. Da quale ragione è stata determinata una tale dimensione interiore?

 

N. F. È la storia di un giovane universitario che vive un po’ i problemi della sua generazione, cioè i problemi della nostra società post-moderna. I valori standardizzati di una società consumistica, la mancanza di rapporti affettivi, il divorzio dei genitori, il rapporto poco felice con il padre con cui vive, lo fanno scivolare in una nevrosi acuta che nemmeno le frequenti sedute con il psichiatra riescono a mitigare. Essendo Nicky un giovane emigrante di terza generazione, soffre quella scissione tra un qui, la cultura del paese in cui è nato e vissuto ed un altrove, fomentato dall’immagine edenica che il nonno ha creato nella sua coscienza. Dato il suo senso di smarrimento, quell’altrove, la terra del nonno, diventa l’agognato spazio della ricerca delle sue radici, nonché lo spazio della speranza. Quindi, la fonte dell’angoscia e dell’alienazione del giovane non è una sola e non è nemmeno così facilmente decifrabile, per cui, la causa degli astratti furori di Nicky va ricercata, sì nelle vicissitudini della sua vita personale, ma anche nei condizionamenti sociali dell’epoca che gli tocca vivere.

 

C. A. Lei applica al personaggio in crisi terapie psicoanalitiche di ascendenza Freudjunghiana, che procedono ad una ipotetica chiarificazione interiore,  attraverso la tecnica della trascrizione diaristica. Quali esiti produce tale soluzione negli sviluppi e nella restituzione del protagonista alla propria identità?

 

N. F. Credo che al di là dei problemi personali, soggiace nella coscienza di Nicky un’angoscia causata da una profonda crisi d’identità che spinge il personaggio al baratro di una crisi esistenziale. Più che le sedute con lo psichiatra, che il giovane studente odia, sono le frequenti visite dal nonno che lo tranquillizzano. Quindi, ciò che il nonno racconta della sua terra lontana agisce sulla coscienza del giovane studente e risveglia in lui un ipotetico cammino verso le proprie radici. La trascrizione del diario del nonno si trasforma, dunque, in una necessità: quella della ricerca di un’identità, ma anche quella della ricerca del luogo della speranza.

 

C. A. Nella riappropriazione memoriale della civiltà di una terra, emerge un particolare sentimento religioso, come commistione tra un retaggio magico-rituale-feticistico e la prospettiva di un cristianesimo concreto ma dinamicamente poco definito. In realtà, quale tipologia religiosa risulta, alla fine, preponderante ed insostituibile?

 

N. F. Credo che il contadino che viveva in un ambiente semi primitivo, come Toloma, possedeva una profonda fede cristiana. Ciò nonostante, egli non si sottraeva ad altri riti di magia o di feticismo di provenienza popolare. Gli abitanti di Toloma vivono una realtà quasi primordiale, dove il loro rapporto con la natura e con la terra trascende anche la loro fede cristiana. In altre parole, la mente contadina non sa e non si pone mai il problema che risulta dalle varie contraddizioni presenti nelle loro credenze.

 

C. A. Il sentimento della natura, intesa sia come necessità di nòstos, che come assoluto valore terapeutico, intride i percorsi del ricordo e della espansione del cuore di Nicky, in cui sembrano rifrangersi gli echi delle opere di Verga, de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e il ritratto di Colapesce. Quali funzioni Lei attribuisce nel romanzo alla natura e quali al rapporto tra la sua concezione della natura e il sentimento religioso del personaggio?

 

N. F. Per chi ha radici contadine, ma anche per chi è sempre vissuto in città, il sentimento della natura si manifesta in varie forme. Il desiderio del nòstos, contenuto nel seno della natura, credo sia valido per chi lavora la terra, ma anche per chi desidera evadere dalla città per una vacanza o per un weekend. Infatti, i rumori della città ci infastidiscono facilmente, ci straziano, ci rendono nervosi, ci sentiamo aggrediti, stremati. Invece il fruscio del vento, o lo scorrere dell’acqua d’un ruscello ci calma. Credo che i ritmi della natura siano ritmi cosmici che entrano in sintonia con il nostro ritmo interiore. Come detto in precedenza, questi autori siciliani hanno creato delle opere nelle quali ci riconosciamo, hanno creato immagini che rispecchiano il nostro inconscio collettivo e quindi mi sembra naturale che si riverberino echi di questi grandi maestri, anche se questa non sia stata una cosa voluta .

 

C. A. Aleggia sullo sfondo della storia e ne condiziona una parte dell’esistenza dei tolomesi l’ombra invadente del fascismo e delle categorie sociali ad esso collegate. Quale incidenza svolge il regime sulla storia della piccola comunità di Toloma e in che misura tale realtà riflette la più generale condizione dell’Italia di allora?

 

N. F. Il contadino siciliano aveva vissuto una delusione dopo l’altra dall’unificazione in poi. L’avvento del Fascismo, anche se inizialmente crea entusiasmo in alcuni, perché una nuova politica, un cambio di direzione, alimenta sempre la speranza dei cittadini. Ma se da una parte il contadino sperava nelle promesse miracolose del regime, dall’altra rimaneva diffidente, le frequenti delusioni gli avevano insegnato ad essere pessimista, e sapeva bene che l’unica cosa su cui poteva contare erano le sue braccia. Quindi, anche se inizialmente i tolomesi accolgono il Fascismo con indifferenza, con il passar del tempo incominciano ad avere dei sospetti. Credo che a livello nazionale gli atteggiamenti non siano stati così diversi, ma tutti conosciamo le vicissitudini storiche di quel periodo.

 

C. A. La figura della donna, in particolare di Emily, si rivela importante ad arginare il dilagare dei “mostri” della civiltà post-moderna nella coscienza di Nicky. Perché appare riduttiva (e non redentiva) la sua funzione nel viaggio interiore del protagonista?

 

N. F. Emily è una amica sincera, ma non disposta a sacrificare nulla di suo. Il rapporto che lei ha con Nicky è un rapporto comodo che non deve per nulla interferire con le sue aspirazioni. Le stesse caratteristiche assume il personaggio della madre di Nicky, segue la sua strada senza mai preoccuparsi dell’impatto che le sue azioni possano avere sugli altri ed in particolare sulla sua famiglia, i suoi figli. Fa ciò che le conviene. Diverso è l’atteggiamento della donna di Toloma. Sia Berta che Nicoletta svolgono il ruolo di madre, di moglie e sono l’incarnazione dell’amore altruista. Quindi due tipi  di donna: Emily e la madre del protagonista rappresentano i valori che ci propone il mondo post-moderno, mentre Berta e Nicoletta rappresentano quei valori primordiali inerenti all’essere umano.

 

C. A. Evidente è lo scontro tra due tipologie di civiltà, quella della religione del focolare domestico di stampo patriarcale e quella della società delle trappole di perdizione e di morte, di cui Nicky è rimasto prigioniero. Vuole gentilmente delineare le connotazioni e i condizionamenti delle due contrapposte forme di valori sul dipanarsi delle vicende?

 

N. F. È vero che nel romanzo si presentano due mondi diversi con atteggiamenti totalmente contrari. Sebbene la voce narrante rimanga al di sopra delle parti, cioè, non giudica, lasciando che il lettore tragga le proprie conclusioni, rimane evidente, tuttavia, il contrasto tra il mondo frivolo dei nostri tempi e quello più antico degli avi contadini, che nonostante l’indigente miseria, vivevano con dignità la loro vita. I rapporti affettivi che vengono a mancare nella società moderna erano dei capisaldi sacrosanti di quella degli antenati.

 

C. A. In che misura il recupero della civiltà delle radici contadine può ancora essere valido in una società fagocitata dal consumismo, da forme di tecnologia così avanzate dove l’uomo sembra volersi sostituire allo stesso Dio?

 

N. F. Credo sia il dovere dello scrittore creare un mondo a passo d’uomo, un mondo sorretto da impulsi cosmici dove uomo, terra e universo siano guidati da uno stesso ritmo cosmico. Nel nostro mondo moderno l’uomo è diventato uno strumento, un oggetto del consumismo ed ha perso il senso d’identità e di dignità umana. Credo che un ritorno alla civiltà contadina, se non come realtà, come metafora d’un mondo più semplice, sia ancora valida.

 

C. A. Con un recupero oscillante tra realismo e visionarietà, il protagonista nell’incontro naturalistico di Toloma, ritrova la quiete interiore. Nella Sua invenzione narrativa, quanto realisticamente risolutiva può essere la tecnica del nòstos della crisi che lacera le coscienze delle nuove generazioni, e quanto, invece, di utopica sovrapposizione letteraria? Insomma, può ancora la letteratura influire sui percorsi di maturazione interiore, oppure lo scrittore, il poeta, viaggiano in un mondo astratto che, anziché restituire all’uomo gli assoluti valori dello spirito, li trascinerà in un astratto contesto di autoinganno che finiscono con il sospingerlo verso la deriva esistenziale?

 

N. F. Anche se esiste una letteratura intenta a travolgere il lettore, trasportarlo a mondi fantasiosi e affascinanti, questa letteratura vuole solo divertire e intrattenere e non ci stimola a pensare. Ma esiste ancora lo scrittore, il poeta, che scrive perché spinto dall’angoscia esistenziale e quindi la scrittura si trasforma in una specie di ricerca dell’io, per sondare le ragioni dell’essere. Quindi, la ricerca si svincola nel tempo e nello spazio, ma è sempre spinta dai valori dell’anima. Unamuno, il grande filosofo spagnolo, equiparava il divertimento, lo svago, con il desiderio di dimenticare chi siamo, mentre la grande letteratura non si propone di divertire, ma di creare consapevolezza.

 

C. A. Particolarmente agile, elegante, densa di figurazioni analogiche risulta la tecnica espressiva, sempre funzionale alla progressione espressiva, che sembra omogeneamente fondersi all’incredibile profluviare dell’immaginazione. Quali modelli letterari hanno inciso nella sua originalità elaborativa e quanto, invece, il Suo lavoro di lima e il patrimonio personale di esperto di linguistica e studioso di letteratura?

 

N. F. Questo romanzo è stato scritto e riscritto una quindicina di volte. Non credo di aver seguito un modello particolare, ma devo dire che alcuni modelli siciliani fanno parte del nostro sapere collettivo e che durante la mia carriera di docente della letteratura ibero-americana avrò assimilato tantissimi modelli narrativi senza saperlo.

 

 

* Carmelo Aliberti, poeta e critico letterario. Caro dolce poeta, Il giusto senso, I luoghi del tempo, Aiamotomea; sono solo alcune delle numerose collezioni di poesia pubblicate da Aliberti. Ha anche pubblicato numerosi studi monografici su Ignazio Silone, Michele Prisco, Fulvio Tomizza, Carlo Sgorlon e tanti altri.

 

 

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