MITO E MAGIA DEGLI INDIANI

in Howard O'Hagan e Leonard Cohen

 

Egidio Marchese

 

emarchese@primus.ca

 

 

Nella letteratura canadese gli indiani sono rappresentati spesso in due forme contrarie: o come esseri selvaggi e crudeli, tipo gli Iroquois che trucidarono con prolungate torture i missionari gesuiti BrébeufLalenant nel 1649, come viene rievocato nel poema Brébeuf and His Brethren di E. J. Pratt; oppure come creature innocenti, noble savages, come nel poema Tetumsheh di Charles Mair:

 

"...There lived a soul more wild than barbarous; / A tameless soul - the sunburnt savage free - / Free, and untainted by the greed of gain: / Great Nature's man content with Nature's good."

 

("...Lì viveva un'anima più selvaggia che barbara; / Un'anima indocile - l'abbronzato selvaggio libero - / Libero e incorrotto dalla brama del guadagno: / Grande uomo della Natura contento dei beni della Natura.")

 

In Klee Wyck (1941) di Emily Carr (1871-1945), una raccolta di appunti della famosa pittrice canadese, durante la sua permanenza da giovinetta fra gli indiani nella Costa occidentale, la magia delle antiche leggende degli indiani si fonde con la natura, con qualche trepidazione: si sente un brivido di fantasmi, che sconsigliano il pernottamento in villaggi lontani ("But... Jimmy won't sleep in Cha-atl... too many ghosts..."). Un vecchio indiano teme che il suo spirito fosse stato catturato e imprigionato nel disegno della scrittrice. Soprattutto emerge il fascino dei totem misteriosi e solenni, colorati, con intagli di animali e figure umane e "segni di forze soprannaturali."

 

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Il romanzo Tay John (1939) di  Howard O'Hagan (1902-1982) è particolarmente affascinante, animato da una potente forza  soprannaturale, nella figura leggendaria del protagonista indiano che dà il titolo al romanzo. Egli nasce emergendo da una tomba sottoterra, dove era stata sepolta sua madre in stato di gravidanza. Sparirà nuovamente sottoterra alla fine del romanzo con tutta la sua slitta su cui stava la sua donna morta pure lei in stato di gravidanza, dopo aver vagato invano su un lago ghiacciato e fra i boschi alla ricerca di un aiuto. La sua tribù aveva riposto in lui la speranza di essere guidata a una terra prospera, ma egli poi abbandona la sua gente e vive ai margini di una fatua civiltà dei bianchi, avvolto in un alone di magia e di leggenda. Più che di un realismo magico - nota Michael Ondaatje -abbiamo qui una realtà mitica.

 

Tutto il romanzo è costruito su due dimensioni: un mondo realistico, crudo e primitivo; e un mondo del sogno, fatto di illusioni e leggenda. Il romanzo è diviso in tre parti: 1. "Legend", la Leggenda del protagonista Tay John (Testa Gialla dal colore dei suoi capelli biondi, ossia Tête Jaune e quindi Tay John). 2. "Hearsay" ossia Dicerie o Storie che diffondono la fama e il mito di Tay John. 3. "Evidence - without a finding", ossia Prove che non provano nulla.

 

La dimensione realistica è precisamente definita nel tempo e nello spazio, fin dalle prime righe: "Il tempo di questa storia al suo inizio, al tempo dell'uomo, è il 1880, in estate, e il suo luogo è la valle Athabaska che inizia dalle montagne", ecc. È il tempo in cui si va completando il grande progetto CNR della ferrovia attraverso tutto il Canada, oltre le Montagne Rocciose, fino al Pacifico. La natura è maestosa e selvaggia, mai vista prima, con tanti laghi e fiumi e montagne e vasti territori senza ancora un nome e quindi come irreali, sembrava una natura appena creata e... a voltare le spalle sembrava che dovesse scomparire come un sogno.

 

È il tempo della conquista dell'Ovest. Prima avanza una squadra di geografi e ingegneri che studiano i passi nel Nord-Ovest, accompagnati da guide, aiutanti, mandriani di cavalli e uno o più cuochi. Seguono i lavoratori che stendono i binari, e costruiscono ponti e agglomerati urbani intorno alle stazioni, mentre nelle pianure vengono dispersi i bisonti e le tribù degli indiani, ed i campi vengono solcati dagli aratri. Seguono poi molti altri che sopraggiungono ("si sente dietro le spalle sul collo il fiato di quelli che incalzano"): avventurieri, esploratori, cercatori d'oro, cacciatori, i tradizionali mercanti di pellicce e beni di scambio... tutti di diverse nazionalità: svedesi, scozzesi, irlandesi, franco-canadesi, varia gente delle praterie, ecc. Costoro si ritrovavano poi nei bar a bere, "creature che bevevano per aumentare la loro sete". ("Un bicchiere di whisky era buono, due erano troppi, tre non erano abbastanza"), e succedevano anche risse.

 

Tutta la realtà di questo mondo infine viene vanificata da una visione pessimistica dell'autore. Quello era un gran paese ("A great country. A place of the future") un posto di un tempo futuro che non esisteva. "La nostra vita, la nostra breve eternità, il nostro oggi non è altro che il crepuscolo tra il nostro ieri e il nostro domani." Tutto si annulla nell'immensa oscurità dell'universo; dall'oscurità del grembo materno a quella della morte il cerchio si chiude.

 

La dimensione realistica, comunque, è sempre presente e forte nello stile del romanzo, efficace e tagliente. Per esempio, c'è uno con un sogghigno stampato sulla faccia, uno che "rideva piano, profondamente as though he shuffled slack coal in his chest" (come se avesse del carbone sciolto dentro il petto...); il cavallo è visto nel suo bisogno elementare del pascolo, come "uno stomaco su quattro zampe". La descrizione degli occhi è sempre particolarmente espressiva, come quella sinistra di un guercio, o quella di uno con le borse agli occhi che scoprivano una riga di rosso sotto la pupilla, o quella degli occhi dei vecchi che guardano lontano e non vedono più niente; o la descrizione di un ispettore di polizia che aveva palpebre gialle, aperte non più della metà dell'occhio, con uno sguardo fisso e penetrante che metteva a disagio l'interlocutore, che imbarazzato si passava la mano sul viso, tossiva e strusciava i piedi per terra.

 

D'altra parte, come abbiamo detto, oltre al mondo realistico nel romanzo c'è la dimensione di un mondo di sogno e leggenda, rappresentato soprattutto da due personaggi. Uno è Mr. Dobble, un illuso sognatore che si impegna con entusiasmo a "costruire il Futuro", cioè un villaggio turistico nel cuore delle Montagne Rocciose, denominato Lucerna: un'impresa che dopo tanto lavoro di costruzione finisce miseramente nel nulla. L'altro personaggio naturalmente è l'eroe protagonista del romanzo.

 

Tay John nasce da una leggenda. Un giorno nella povera tribù indiana degli Shaswaps sarebbe arrivato un Grande Capo con la "testa gialla"  (Yellowhead), che avrebbe riscattato la tribù dalla miseria in cui viveva, conducendola ad un terra ricca di cacciagione e prospera. Nascerà infatti Tay John coi capelli biondi da una donna indiana di nome Hanni, posseduta con la forza da un bianco giunto nel villaggio come predicatore cristiano. Le donne infuriate uccideranno quell'uomo in un rogo, dopo averlo legato ad un albero ed appiccato il fuoco alla sua barba. Hanni rimane incinta, si ammala e muore, nonostante lo stregone del villaggio avesse cercato di salvarla gettando nel fuoco un'effigie della sua malattia e suonando la sua magica raganella. Ma - portento! - un giorno si vede uscire dalla tomba di Hanni un bambino coi capelli biondi, che crescerà nel villaggio e che alla fine divenuto uomo (quando dall'età di un bambino che dice "Io", si diventa un uomo che dice la magica parola "Noi") guiderà la sua gente verso l'Ovest,  giungendo infine attraverso una oscura foresta in uno splendido posto in riva a un lago con molta ricchezza di cacciagione intorno.

 

Ma Tay John poi abbandona la sua gente, dopo una furiosa lotta con un suo compagno della tribù per la contesa di una ragazza, e va a vivere in solitudine ai margini della società dei bianchi. Alla fine si unisce con una straniera donna bianca, vivono nelle montagne e dopo, quando la donna muore incinta, spariranno insieme con la loro slitta sottoterra. 

 

Il mito di Tay John è costruito con pochissimi portentosi eventi, che lo avvolgono in un alone di magia e di leggenda. Egli ci viene presentato sempre in disparte, al margine, separato dagli altri. Da bambino era come gli altri, ma si scopre con meraviglia e paura che egli non aveva la propria ombra. Una maga indiana lo conduce a ritrovarla nelle montagne dell'Est dove nascono le ombre; ma quando torna al villaggio con la sua ombra ancora piccola e sbiadita, essa sparisce perché qualcuno l'aveva inavvertitamente calpestata. Da allora la gente stava discosta da lui, per evitare di calpestare la nuova ombra che egli aveva trovato. Nell'accampamento dei bianchi, dove era stato assunto come guida, la sua tenda era distante presso il lago. Quando arrivava con le sue pellicce al posto di scambio dei mercanti stava immobile lontano fin quando non venivano da lui. Lui e la sua donna "si muovevano ai confini della società senza mai entrarci interamente."

 

La fama della straordinaria bravura di Tay John si diffonde. "Egli è così forte, così sicuro, così sicuro che a volte mi fa paura" dice Julia. A caccia egli vede e sente quello che nessun altro riesce a vedere o sentire, dice Alderson: ..."poteva sentire il battito del cuore di una pecora dall'altra parte della montagna" e anche: "L'uomo ha occhi - disse Porter - occhi, occhi", concludendo "Il nascosto ora era rivelato."

 

Ma il fatto più straordinario su cui si costruisce il mito di Tay John, la sua apoteosi, avviene quando egli combatte contro un enorme orso femmina, e vince. Testimone e voce narrante è Jack Denham. Intorno domina lo scenario di una natura selvaggia: ai piedi di una montagna si stende una valle percorsa da un torrente vorticoso, stretto e profondo con i bordi frastagliati,  forse lo si sarebbe potuto attraversare anche con un balzo, ma era troppo pericoloso. Di là dal torrente, su una spianata erbosa al limite della foresta stava la figura dell'indiano coi capelli biondi, ancora una volta isolato e in disparte. Appare alto e forte con il torso nudo, come una statua di bronzo e oro sotto il sole,  impassibile e indifferente, in contrasto con Denham che per farsi notare agitava le braccia e gridava inutilmente sopra il rumore più forte e sovrastante del torrente. All'apparire dell'orso impaurito e furioso, la scena si gela nell'immobilità. Tay John fa la sola cosa ch'era possibile fare, e la fa bene. Lentamente raggiunge la benda di pelle che aveva alla fronte e la getta in aria sopra la testa dell'orso, che si solleva enorme per afferrare con la zampa in alto l'oggetto. In quello stesso istante l'uomo si scaglia contro la bestia, afferra con la sinistra la pelliccia al collo dell'animale e con la destra affonda due volte il suo lungo coltello nel petto all'altezza del cuore. Entrambi rotolano per terra in un abbraccio mortale. Tay John emerge ferito, sanguinante e vittorioso.

 

La descrizione di Tom John in questa scena di "lotta epica" dell'uomo contro la forza selvaggia della natura ("a struggle against the power of darkness"), è come la descrizione di un simbolo, di un mito e una leggenda che si crea. C'era la forza dell'uomo "eppure, c'era qualcosa, è difficile dire, qualcosa di astratto in lui - come se fosse il simbolo di qualche sorta o qualcos'altro. Sembrava che stesse per qualcosa. [... i suoi muscoli] rappresentavano forza in astratto. Resistenza, solitudine"... 

 

In conclusione, a differenza del sognatore Dobble che viveva nel futuro (to-morrow), Tay John vive sempre nel presente (to-day) reale... eppure di una sua realtà  astratta e fuori dal tempo, precisamente la realtà del mito e della leggenda. Quello di Tay John e' il mito di un eroe straordinariamente forte e coraggioso. 

 

(Una nota particolare della vita di Howard O'Hagan. Nato nel 1902 a Lethbridge, Alberta, egli nel 1963 si trasferì in Sicilia, dove visse per più di un decennio.) 

 

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Beautiful Losers (1966) di Leonard Cohen (1934-) è una sconcertante e affascinante e anche disgustosa e importante opera canadese del "post-modernismo" degli anni Sessanta. Il romanzo  si svolge su due piani: un piano del passato, cioè la rievocazione del tempo di Catherine Tekakwitha, una santa giovanetta vergine indiana morta nel 1680; e un piano del presente al tempo dei tre protagonisti  negli anni Sessanta. I due piani si alternano e si confondono in una visione del mondo totalmente orgiastica di magia e di sesso.

 

I tre protagonisti costituiscono un triangolo di reciproci amanti. Il narratore (senza la dignità di un nome) è uno studioso della vita della giovane santa Catherine della tribù dei Mohawks, e sviluppa delle fantasie erotiche nei riguardi della giovanetta vergine morta quasi tre secoli prima. La moglie del narratore Edith è una giovane indiana, superstite della tribù A---'s (senza  nome), una tribù famosa per non aver mai vinto una battaglia, essere sempre sconfitta La donna fu violentata sessualmente all'età di tredici anni; il marito è eccitato dalle fantasie dello stupro e delle tredicenni. Il terzo personaggio F. è un super hippy degli anni Sessanta, un tipo pieno di emotional extravagance, di emotiva stravaganza, un presunto maestro dall'aria profetica (F. disse: ...), che istruisce e condiziona gli altri due. F. aiuta  Edith a recuperare la sua capacità di avere orgasmo, con racconti erotici, racconti di torture e di sangue, oggetti meccanici come un tremendo vibratore danese. Tutti finiscono sconfitti. Edith sceglie di morire schiacciata sotto un ascensore. F. finisce in manicomio (F.s final horror meaningless, un orrore finale senza senso.) Il narratore finisce da vecchio pedofilo sotto il controllo della polizia. Anche la vergine santa Catherine era una vittima masochista, si flagellava a sangue e giaceva su un letto di rovi e di spine.

 

Gli indiani in questo romanzo appaiono in un alone di magia come vittime dei colonizzatori bianchi. C'è uno scontro di culture, religioni e magie diverse, tra indigeni da una parte e invasori e missionari dall'altra. Lo stesso scontro si trova in Africa nel romanzo Things fall apart / Il crollo, di Chinua Achebe, il primo importante romanzo della letteratura africana del 1958.

 

La vita degli indiani è rappresentata realisticamente: gli uomini dediti alla caccia e alla pesca; le donne occupate nei lavori più ordinari (dopo l'uccisione dell'animale, l'uomo si stende a dormire accanto al fuoco e spetta alle donne andare a recuperare la preda e lavorarci sopra); le fanciulle indiane, al risorgere della primavera, si adornano di monili e gambali, tessono e intrecciano e fabbricano vesti e mocassini, si pitturano il corpo e acconciano i capelli. All'arrivo degli stranieri, molti della tribù dei Mohawks preferirono la magia dell'invasore alla forza delle sue armi. Sotto le minacce dell'inferno gli indiani accettano la magia dell'acqua battesimale del missionario vestito di nero, Black-Robe. Ma lo zio di Catherine si oppone all'intrusione della magia straniera, manda contro Black-Robe la propria magia di Shadow, l'Ombra che combatte contro il missionario, ma essa resta impigliata nell'abito nero e scompare dentro una tasca. Il vecchio indiano si rattrista a vedere la sua tribù scomparire (there would be no harvest! - non ci sarà raccolta!), in ogni collina si ode il lamento di uno spirito, la cacciagione scarseggia, egli invoca la clemenza del Grande Cervo, aspira il coraggio dalle narici di un lupo e poi soffia nella campagna per atterrire la selvaggina.

 

Questo personaggio dello Zio è una preminente bella vittima, beautiful loser. Lo scrittore non risparmia neanche lui e la sua tribù dall'orgia del sesso. Era una credenza degli indiani che un  malato potesse sognare come guarire, e tutti attuavano ogni sua richiesta. Ora lo Zio indiano era malato e ordinò che tutte le ragazze del villaggio coi loro giovani compagni si radunassero intorno a lui per una lunga notte di orgia sessuale. Era anche presente, ma in disparte, la giovane nipote Catherine, dichiarata poi vergine santa.

 

Lo stesso Zio ci presenta una visione  mitologica dell'aldilà. Quando l'uomo muore il suo spirito inizia un lungo pericoloso viaggio, che mette a prova il suo valore. Deve attraversare un fiume vorticoso, evitare di essere travolto e sfracellato sulle rocce, sfuggire ad un cane alle sue calcagna, evitare di essere schiacciato da macigni che si muovono (danzano) in uno stretto passaggio, e infine, se supera tutti gli ostacoli, arriverà alla capanna di Oscotarach, colui che gli estrarrà dal cranio il cervello, che è "la necessaria preparazione dell' Eterna Cacciagione" (Eternal Hunt). Il mito dell'indiano che si evince da questa visione è essenzialmente quello di un eroe di un superiore valore di forza e abilità fisica e di coraggio. Esattamente come il mito di Tay John.

 

Insieme all'orgia sessuale in questo romanzo c'è pure, come dicevamo, una visione orgiastica di magia. Entro un alone di magia vengono osannati ambiguamente i Gesuiti che convertivano gli indiani: "Amo i Gesuiti perché loro vedono i miracoli. Omaggio ai Gesuiti che hanno fatto tanto per conquistare la frontiera tra il naturale e il soprannaturale." Si ascolta anche un lungo inno (che è stato pure musicato) che si innalza come in un delirio o una isterica esultanza ed esaltazione: "God is alive. Magic is aloof... / Dio è vivo. La magia è in disparte" ecc. C'è come un'ossessione con la magia, e altrove si legge: "Credo di aver concepito il più vasto sogno della mia generazione: voglio essere un mago. Quella era la mia idea di gloria. Ecco una istanza basata sulla mia intera esperienza: non essere un mago, sii magico".

 

In conclusione, Beautiful Losers è un romanzo del caos. La sfida al lettore è quella di trovare un ordine, una logica e un senso tra l'ammasso di frammenti di fantasie e pensieri. Nell'isteria distruttiva di questo romanzo, in primo luogo contro il tradizionale tabù del sesso, c'è come una sperimentale ricerca di una nuova visione del mondo (come avviene per ogni artista innovativo); c'è la ricerca di un nuovo "ordine" dopo le sconclusionate ma coinvolgenti stravaganze di F., compreso il suo J'accuse, particolarmente contro la Chiesa. Lo studio del narratore sulla vergine santa Catherine, alla fine, viene consegnato comunque nelle mani dei Gesuiti.

 

Per quanto riguarda particolarmente gli indiani, essi in generale rientrano nella comune visione orgiastica di sesso, magia e distruzione del romanzo. Particolarmente emerge la figura dello zio di Catherine che resiste fieramente, ma invano, all'invasione degli stranieri e alla distruzione della sua tribù. Egli ordina un'orgia fra i giovani della tribù, propiziatrice di benessere. Egli infine presenta una visione religiosa o mitologica dell'indiano, dopo la morte: cioè il mito dell'eroe di una straordinaria forza e abilità fisica e coraggio, come lo stesso mito di Tay John di Howard O'Hagan.

 

 

Bibliografia

 

E. J. PRAT, Brébeuf and His Brethren, Macmillan. (Also Selected Poems, Macmillan). 

CHARLES MAIR, Tetumsheh, excerps in The Book od Canadian Poetry, ed. A. J. M. Smith.

EMILY CARR,  Klee Wyck\ (1941) in The Emily Carr Collection, Prospero Books, Canada, 2002.

HOWARD O'HAGAN, Tay John (1939), McClelland & Steward, Toronto, 1989.

LEONARD COHEN, Beautiful Loser (1966), McClelland & Steward, Toronto, 1991.

CHINUA ACHEBE, Things fall apart (1958), Alfred A. Knopf, New York, Toronto, 1992 / Il crollo, E/O, 2002.

 

 

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