L'emigrazione raccontata da Mazzucco

A Toronto ha presentato l'edizione inglese del libro che ripercorre la vita di suo nonno Diamante arrivato a New York nel 1908

Niccolò Marras *

 

nmarras@corriere.com

 

 

Melania Mazzucco, autrice del romanzo Vita, ha presentato a Toronto l'edizione in inglese del suo libro che ha vinto nel 2003 il premio Strega.

Ad assistere alla sua lettura pubblica ha partecipato un folto pubblico che ha fatto i complimenti a Mazzucco per la bella traduzione in inglese. «Un inglese così bello, così musicale non lo leggiamo facilmente», ha riferito l'autrice mentre rilasciava un'intervista al Corriere Canadese. La lettura e la successiva tavola rotonda si sono tenute domenica 23 a Harbourfront Lakeside Terrace in occasione dell'Ifoa (International Festival of Authors). Ma per noi, qui a Toronto, patria del multiculturalismo è stata un'ottima occasione per parlare dei vari problemi dell'immigrazione e del "sogno americano" che oggi è anche il "sogno europeo".

Mazzucco è una scrittrice che si è calata nel profondo dei problemi dell'emigrazione, sia per aver avuto un'esperienza familiare (con suo nonno Diamante, uno dei protagonisti del romanzo), sia per essersi documentata a fondo prima di scrivere Vita, sia per aver viaggiato molto e conosciuto le aree di provenienza dei "disperati" che continuano a sbarcare in Italia e sia per aver avuto dei rapporti diretti a Roma con gli immigrati e con i loro problemi. Chiediamo.

Il sogno americano, la ricerca della felicità, concetto sancito dalla costituzione americana, abitano ancora negli Stati Uniti?

«Oggi è un concetto appassito - dice Melania Mazzucco -. All'inizio del 1900 per gli italiani significava liberazione e speranza, ma questo è stato valido fino a 10 anni fa circa. Ad esempio molti pittori, artisti vari hanno avuto un'attrazione magnetica, specialmente di New York fino a pochi anni fa. Ora, il "sogno" visto dall'Europa è sbiadito per vari fattori fra cui le guerre. Ma a New York io mi sono sentita sempre a casa, la città ha una strana realtà, tutta a sé stante».

Qual è stato il ruolo delle donne italiane nelle vicende dell'emigrazione, cosa le ha trasmesso Vita?

«Un grande silenzio. Nell'immaginario collettivo è l'uomo che parte. Poi arrivano le donne. E per loro l'America ha rappresentato un cambiamento epocale. Sono partite dall'Italia che facevano le casalinghe o le contadine e sono arrivate a fare le operaie in fabbrica. C'è stato un cambio di abitudini ed è avvenuto un vero e proprio shock culturale.

In Italia erano oppresse e chiuse in casa, mentre, in America hanno avuto indipendenza e libertà. Ad esempio il padre di Vita a New York, cercava di tenerla chiusa in casa per paura che si "contaminasse", che prendesse le abitudini americane. Se Vita fosse tornata in Italia, non avrebbe fatto di certo le stesse cose che ha fatto in America. Lo stesso fenomeno, la stessa emancipazione è avvenuta in Italia nel dopoguerra».

Mazzucco è d'accordo nel dire che in Nordamerica, le donne italiane, pur andando in fabbrica, pur acquisendo libertà, sono sempre rimaste custodi della memoria storica, delle tradizioni, delle abitudini familiari e della sua unità. Ma ora con le nuove generazioni questi valori si stanno diluendo.

E gli uomini, come hanno vissuto l'emigrazione; cosa diceva suo nonno Diamante?

«È importante dire che il 48 per cento degli uomini sono tornati in patria. Non si sono adattati e non riuscivano a stare con le donne italiane ormai "contaminate" dalle abitudini di vita americane. Mio nonno Diamante, ad esempio, quando è tornato a casa, ha sposato una donna semplice, tradizionale, contadina. Non ha pensato certo di sposare Vita, ormai diventata "americana"». «Gli italiani arrivati in America hanno subito tante violenze e umiliazioni - racconta Mazzucco -. Per loro l'arrivo in terra straniera è stato al tempo stesso annientamento e rinascita. È stata distrutta la loro identità, a molti hanno cambiato il nome "inglesizzandolo". Chi veniva dal sud Italia veniva "segnato" come un Southern Italian, mentre gli italiani del nord erano considerati più civili; europei. Ma chi ce l'ha fatta è "rinato"». «Quelli che son tornati hanno rifiutato la competitività, la ferocia di quelle terre di frontiera, hanno rifiutato il razzismo. A casa poi non hanno parlato a nessuno di quelle violenze, di quelle umiliazioni e dei loro insuccessi».

E suo nonno Diamante come ha vissuto lo sbarco a New York?

«Mio nonno ha raccontato sempre a tutti cosa gli è successo al suo arrivo, l'umiliazione e la vergogna che ha patito. A 12 anni era partito dall'Italia con 10 dollari cuciti nelle mutande e quando è arrivato al porto di New York, alle barriere di Ellis Island, doveva mostrare ai funzionari dell'immigrazione 10 dollari. Ma lui siccome li aveva nelle mutande si vergognava di spogliarsi e farli vedere. Così gli hanno segnato una croce sulla schiena che voleva dire che lo rimpatriavano. Quando ha capito che stava per tornare a casa, si è spogliato e nudo, coprendosi come meglio poteva il sesso, con i 10 dollari in mano e bene in vista si è ripresentato agli agenti ed è passato».

Dopo la pubblicazione del libro Vita sulla storia di due ragazzi, Diamante e Vita di 9 anni, Mazzucco ha ricevuto numerose lettere di italiani che vivono negli Stati Uniti e una di queste, racconta la scrittrice «era di una donna che si chiama Vita Mazzucco. Mi ha detto che quando è arrivata in America le hanno cambiato il cognome in Fritzpatrick e che ora voleva riappropriarsi del suo cognome d'origine».

Ciò che dice la scrittrice lo constatiamo anche a Toronto dove è successa la stessa cosa e ora alcuni di quelli che sono stati costretti a cambiare nome per potersi integrare vogliono riprendersi il loro nome vero. Almeno quello, visto che non si sentono né italiani né canadesi, dicono.

Perché ha sentito la necessità di scavare nel passato della sua famiglia?

«È stata una specie di resa dei conti. Per sentirsi parte del proprio tempo. Per riappropriarsi della propria storia senza vergognarsi più in quanto le storie degli emigranti erano anche le nostre storie. È la storia degli italiani, di coloro che hanno vissuto la vergogna sulla propria pelle e che il Governo italiano l'ha fatta pesare ancora di più non aiutandoli».

Melania Mazzucco racconta con calma. Medita, si tuffa nei ricordi, emerge e fa nuove considerazioni socio politiche sul presente, sulle responsabilità di noi tutti di fronte ai drammi umani che si consumano lungo le coste italiane e le chiediamo.

Di fronte alle vicende attuali dell'emigrazione, come dei disperati che sbarcano a Lampedusa, o di chi perisce lungo la strada, cosa è cambiato rispetto al 1908, anno in cui Diamante e Vita arrivano a New York? Quali responsabilità abbiamo?

«L'ultima scena di Vita la vediamo ogni giorno nei telegiornali. Noi siamo ciechi. Non abbiamo capito che chi parte da regioni remote è già morto. È disposto a tutto. Io lo so. Sono andata nel deserto del Sahara e ho visto la realtà. I resti di questi emigranti: scarpe, ossa. Loro quando partono salutano per sempre i loro familiari e dicono "ci vediamo in un'altra vita"». «Noi non abbiamo capito che sono per i nostri Paesi una ricchezza. Sono persone che vengono per rimanere. Chi parte dall'Africa non tornerà mai più indietro, al contrario di come hanno fatto quasi la metà degli italiani o come hanno fatto molti albanesi che sono venuti in Italia: hanno fatto un po' di soldi e poi sono tornati a casa per avviare un'attività».

Con l'aumento del multiculturalismo si può parlare di globalizzazione della cultura?

«È difficile parlare di globalizzazione della cultura in quanto le traduzioni sono difficili e spesso non riflettono i veri contenuti. Finché parliamo di testi scritti in inglese per un pubblico anglofono va bene, altrimenti no. Possiamo parlare di globalizzazione dei prodotti di consumo, ma per la cultura non è così».

E Toronto che impressione le ha fatto?

«In Canada ero stata solo a Vancouver e sulle Montagne Rocciose. Toronto mi ha colpita veramente per il multiculturalismo. A New York non è così. Qui si va in banca e si vedono persone di tutte le razze. Purtroppo però ho solo dato uno sguardo superficiale per mancanza di tempo».

Che cosa racconta nel suo ultimo romanzo "Un giorno perfetto"?

«È una storia sull'Italia di oggi. Racconto 24 ore a Roma attraverso dieci personaggi, dai bambini ai politici. È come un affresco».

Il romanzo è edito da Rizzoli che così lo recensisce: "Con Un giorno perfetto, dopo il successo di Vita, Melania Mazzucco si addentra per la prima volta nei territori del presente. È un romanzo corale che si legge a perdifiato, affresco sociale ricco di ironia e di pietà, foto di gruppo di una nazione, questa cronaca di un giorno apparentemente qualunque in una grande città di oggi è un'immersione totale nella realtà che ci circonda. Una storia d'amore e disincanto, di scuola e di lavoro, una notizia da prima pagina e uno straziante caso di nera. Ma Un giorno perfetto è soprattutto l'anatomia di una famiglia: ragazze e bambini, uomini e donne, madri e padri, figli e figlie - scene da un matrimonio in cui tutti noi, nel bene e nel male, possiamo riconoscerci. È il racconto di un'unica, vorticosa giornata nella Roma di oggi".

 * Niccolò Marras è giornalista del Corriere Canadese di Toronto, nella cui edizione del 27/10/05 è stato pubblicato l'articolo sopra riprodotto per gentile concessione.

 

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