Licia Canton, Un’intervista con Gabriella Jacobucci

Translating Italian-Canadian Writers / Tradurre scrittori italocanadesi

cantonli@accenti.ca             gabriiacob@alice.it  

 

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orn in Vinchiaturo, a town in the Molise region, Gabriella Jacobucci is best known as the Italian translator of Italian-Canadian works by writers from this region. When she retired from her teaching career in Rome, she began spending more time in her native region and associating with a group of Molisan intellectuals. In 1992, they founded “Coordinamento dei Molisani nel Mondo,” a group which aims to create and maintain links with Molisans worldwide. It was in this setting that Gabriella Jacobucci became interested in discovering and promoting writers of Molisan roots who live outside of Italy and, in particular, those who live in Canada. Italian-Canadian writers with Molisan roots include Filippo Salvatore, Antonio D’Alfonso, Nino Ricci, Marco Micone, Mary Melfi, Ermanno La Riccia. (See Filippo Salvatore’s Tra Molise e Canada (Lions Club, 1994) and the English version translated by Domenic Cusmano, Ancient Memories, Modern Identities (Guernica, 1999). She has translated Nino Ricci’s Lives of the Saints (Vite dei Santi) and Where She Has Gone (Il Fratello Italiano). I first met Gabriella Jacobucci in November 2000, at the Montreal conference of the Association of Italian-Canadian Writers. In this interview, she discusses her translation work and her interests in writing.

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ata a Vinchiaturo, un paese del Molise, Gabriella Jacobucci è meglio conosciuta come la traduttrice italiana di opere di scrittori italocanadesi originari della sua regione. Quando andò in pensione alla fine della sua carriera d’insegnante a Roma, cominciò a passare più tempo nella sua regione nativa e associarsi con un gruppo di intellettuali molisani.  Nel 1992 fondarono “Coordinamento dei Molisani nel Mondo,” un ente che si prefigge di mantenere e sviluppare i legami coi Molisani nel mondo. Fu in questo contesto che Gabriella Jacobucci s’interessò a scoprire e promuovere gli scrittori con radici molisane che vivevano fuori dell’Italia e, in modo particolare, coloro che vivevano in Canada. Fra gli scrittori italocanadesi con radici molisane sono compresi Filippo Salvatore, Antonio D’Alfonso, Nino Ricci, Marco Micone, Mary Melfi, Ermanno La Riccia. (Si veda Tra Molise e Canada di Filippo Salvatore, Lions Club, 1994; e la versione inglese nella traduzione di Domenic Cusmano, Ancient Memories, Modern Identities, Guernica, 1999). Gabriella Jacobucci ha tradotto Lives of the Saints (Vite dei Santi) di Nino Ricci e Where She Has Gone (Il Fratello Italiano). La prima volta che incontrai Gabriella fu nel novembre del 2000, alla Conferenza dell’Associazione degli Scrittori Italocanadesi a Montreal. In questa intervista discute del suo lavoro di traduttrice e dei suoi interessi alla letteratura.

 

Licia Canton: Chi è Gabriella Jacobucci?

Gabriella Jacobucci: Sono nata a Vinchiaturo, un paese del Molise che si trova a pochi chilometri dal capoluogo della regione. Oggi la vita culturale di questo bel paese in collina si è appiattita, ma conservo ancora il ricordo delle sue belle case signorili e del suo teatro municipale, dove le compagnie di giro davano spettacoli di prosa e di varietà.  In seguito si trasformò in un cinematografo, e infine il bel palazzo comunale con il suo teatro fu abbattuto per essere sostituito da una brutta costruzione senz’anima. Mio padre amava declamare poesie di Carducci e Pascoli, e quand’ero malata si sedeva accanto al mio letto e me le leggeva. Ci comprava libri. Ecco, sono nata in questo ambiente, e ho sviluppato qui l’amore per la lettura e per il teatro. Da ragazza, entrai a far parte di una compagnia filodrammatica che rappresentava i classici nei teatri di Campobasso e provincia. Cechov, Ibsen, Wilde, Goldoni... Dopo la Laurea in Lettere Moderne conseguita presso l’Università di Napoli mi trasferii a Roma. Lì ho insegnato per molti anni nelle scuole medie superiori e ancora ci vivo, ma da quando ho lasciato l’insegnamento torno per lunghi periodi nel Molise. La mia vera passione era il teatro. Avevo vinto una borsa di studio per l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma, ma gravi motivi mi avevano riportato in famiglia, a Campobasso, e avevo dovuto lasciare, con grande dolore. In seguito, tornata definitivamente nella capitale, frequentai la Scuola di Teatro Fersen e iniziai a lavorare in teatro, senza però abbandonare l’insegnamento, che mi assicurava una stabilità economica.  Erano gli anni dell’avanguardia, e quella romana ne fu un capitolo importante. Saltuariamente mi cimentavo anche con il doppiaggio e la pubblicità, le uniche attività del settore che permettevano di guadagnare bene.  Alcuni anni fa lasciai l’insegnamento e ripresi i contatti col Molise. Conobbi, per puro caso, un gruppo di intellettuali molisani che avevano stabilito rapporti con quelli emigrati all’estero. Fu con loro che nel 1992, a Toronto, fondammo il Coordinamento dei Molisani nel Mondo. In quell’ambito si delineò il mio interesse per la scoperta e la promozione degli scrittori molisani all’estero, e il vecchio amore per la letteratura riprese il sopravvento.  Anche la passione per il teatro, quando c’è da organizzare presentazioni di libri, o eventi del genere, fa risentire la sua voce, e tutto per me diventa occasione di spettacolo.

LICIA: Come mai ti sei dedicata alla traduzione?

GABRIELLA: Mi è sempre piaciuto tradurre, traducevo per puro piacere carmi di Orazio e liriche di Catullo da dedicare agli amici per le ricorrenze. Ma la mia prima esperienza professionale è stata quella di Lives of the Saints, di Nino Ricci, nel 1993. Ed è stata forse quella più sentita, proprio come succede a certi artisti, a volte, con le loro prime opere. Inizialmente volevo tradurne solo qualche brano da utilizzare in una serie radiofonica intitolata Molise d’Autore che stavo realizzando. Il primo “autore” era stato una scrittrice molisana degli Anni Trenta, Lina Pietravalle, il secondo doveva essere Ricci. Ma quando sfogliai le prime pagine del romanzo, e vi scoprii qualcosa che mi apparteneva, decisi di tradurlo tutto, di riportarlo a quella che per me era “la sua lingua originaria”, l’italiano. Sì, perché avevo la strana impressione che quella lingua americana in cui era descritta una realtà a me così familiare fosse solo un’anomalia, un travestimento. Non volevo tradurlo, volevo “svelarlo”, nel senso letterale del termine. Attualmente sono membro dell’AITI, associazione italiana traduttori e interpreti.

LICIA: Perché hai scelto la traduzione letteraria, e in particolare gli scrittori italo-canadesi?

GABRIELLA: Solo la traduzione letteraria mi appassiona, perché mi appassiona la letteratura, innanzitutto, mi appassionano le parole. Trovare la parola giusta, “quella” parola, è importante, quando traduci certi passi particolarmente intensi, così frequenti nelle opere di Ricci. A volte ti arrovelli, ma non viene, poi arriva quando meno te l’aspetti. La decisione di occuparmi in particolare di scrittori italo-canadesi è venuta per caso. Durante i miei viaggi in Canada, attraverso i contatti con parenti, amici e associazioni. Ho visto in giro dei libri, li ho sfogliati, qualcuno mi ha colpito.

LICIA: Come hai trovato il libro di Frank Colantonio?

GABRIELLA: Di quello di Frank Colantonio avevo letto su un giornale canadese che c’era la presentazione al Columbus Center, a Toronto. Non potevo andarci, ma telefonai alla famiglia e la vedova fu lieta di darmene una copia. Avevo conosciuto Frank, morto qualche mese prima della pubblicazione del suo libro, la prima volta che venni in Canada, nel 92, ma non sapevo che avesse scritto un libro, ero curiosa. La curiosità è una qualità positiva, no? Quando poi ne tradussi le prime pagine, capii il valore e l’originalità di quel memoriale, e ne parlai a un mio amico che dirige una collana intitolata Quaderni dell’Emigrazione per una casa editrice molisana, la Iannone (la collana è dedicata ai nonni, che furono appunto degli emigranti). Anche lui rimase colpito, e decidemmo che il libro andava pubblicato. Tradurre gli scrittori italo-canadesi è solo un passaggio necessario per farli conoscere in Italia. Sono molto felice quando scopro un autore interessante (se poi è addirittura di origine molisana...). C’è l’euforia della scoperta e il desiderio di renderne partecipi gli altri. La traduzione, come dicevo, è un momento indispensabile di questo processo, e non rinuncio al privilegio di occuparmene personalmente. Come si fa con un figlio...

LICIA: Quali difficoltà hai incontrato nel tradurre Ricci?

GABRIELLA: Nel primo romanzo, Lives of the Saints, mi sentivo più a casa mia, se posso dire così. Ricci descriveva un ambiente e un’atmosfera che conoscevo, il linguaggio che i personaggi usavano mi era noto, so bene come parla la gente dei nostri paesi, ci sono vissuta. Anche i riferimenti a luoghi e paesaggi non mi trovavano impreparata. È più difficile, per un traduttore, ricostruire la descrizione di un posto che non si conosce personalmente.  Il Molise di quel romanzo lo conoscevo nei particolari, e d’altronde la nostra regione è piccola. L’altro romanzo, invece, Where She Has Gone, sotto questo profilo era diverso. L’ambiente universitario di Toronto in cui Vittorio e la sorella Rita si muovono, ad esempio, era nuovo, per me. Certe strade, certi caffè, certi paesaggi, li ho visti solo in seguito. C’è un episodio, nella prima parte del romanzo, che si svolge alle Cascate del Niagara. Il fatto di averle visitate durante il mio primo viaggio in Canada, in questo caso, mi ha molto facilitato nella traduzione. La difficoltà maggiore, comunque, non è stata questa. È stata seguire il protagonista nel lungo e tormentato viaggio che egli compie nei meandri oscuri della sua coscienza, dare un nome alle immagini sfuggenti dei sogni che egli si sforza di afferrare nel tentativo, mai veramente risolto, di capire.  Lavoro difficile e affascinante. Credo, dopo questa esperienza, di essere pronta a tradurre qualunque libro...  Prima di consegnare il manoscritto all’editore ho telefonato a Nino Ricci alcune volte, per fargli sentire come avevo tradotto qualche passaggio particolarmente delicato, e chiedergli se ne era soddisfatto, se avevo reso bene quello che lui voleva dire, o per chiedere dei chiarimenti.  Lui è stato molto disponibile, ha collaborato. Ma ho capito che l’autore, una volta terminata la scrittura del libro, abbandona con esso anche il mondo interiore che a quel libro ha affidato. E che gli è penoso, quindi, tornarci dentro.

LICIA: E il secondo romanzo della trilogia?

GABRIELLA: Non sono stati ancora venduti, in Italia, i diritti per il secondo romanzo della trilogia. So che ci sono ottimi editori che desiderano pubblicarlo, e prima o poi avverrà.  Io sono pronta.

LICIA: Immagino che il libro di Colantonio sia stata un’esperienza di traduzione molto diversa...

GABRIELLA: Il libro di Colantonio è un’opera semplice, dal punto di vista narrativo. Frank racconta la sua vita, il suo lavoro, nell’unico intento di affidare i suoi ricordi alla carta stampata affinché non vadano persi, affinché i giovani sappiano. È un racconto avvincente, che riflette la personalità appassionata dell’Autore, e la sua struttura narrativa è lineare, la trascrizione di un racconto orale.  Se ho trovato delle difficoltà, sono state anche qui quelle di dover descrivere con i termini appropriati il mondo dell’edilizia e dei sindacati. Non sapevo che nei cantieri lavorassero tante categorie di operai, come gruisti, palchettisti, pompisti, pontatori, armatori, martellisti, non sapevo niente di paghe sindacali e di contratti. Ma mi sono documentata. Mi sono perfino procurata il libro dei contratti sindacali per gli edili. Ci si fa una cultura. Per altri fatti, poi, ho cercato la testimonianza della moglie Nella. Tradurre mi ha dato la bellissima opportunità di fare tanti incontri. Molti cercano le informazioni su Internet. Quando posso, io mi metto in contatto con le persone che possono darmi le informazioni che cerco. Mi diverte molto raccontare che uno dei miei migliori amici oggi è un ex comandante di marina conosciuto per caso a Civitavecchia mentre traducevo le ultime pagine di Vite dei Santi, quelle ambientate sulla nave durante la traversata in mare. Gli telefonavo per chiedergli come si chiamavano i vari tipi di ponti, che tipo di colletto avevano le camicie degli ufficiali, e altro...

LICIA: Quali sono i tuoi ultimi progetti di traduzione?

GABRIELLA: Ho trovato un altro memoriale di un italo-canadese di origine molisana. Mi piace molto, e sto cercando l’editore giusto. È faticoso, fare la talent scout... Anche nell’AICW ci sono molti scrittori interessanti, e mi piacerebbe vederli pubblicati. A volte il problema non è trovare un editore, ma quello che abbia una distribuzione.  Lo stesso Vite dei Santi, pur essendo stato pubblicato da una casa editrice valida per le sue scelte e per la qualità delle sue edizioni, non ha poi avuto alcuna distribuzione. È per questo motivo, credo, che l’agente letterario di Ricci adesso è più cauto...

LICIA: Che importanza ha la traduzione nell’opera letteraria?

GABRIELLA: Discorso lungo... Comunque la traduzione ha un’importanza primaria. È una cosa che non si nota, quando è fatta bene (e questo genera l’equivoco che non sia importante) ma che quando non lo è può compromettere il valore di un testo. Prima di iniziare a tradurre non lo sapevo neanche io, ovviamente, e penso che nemmeno i lettori se ne rendano conto. Una volta lessi un libro di racconti di una scrittrice famosissima. Non l’avevo mai letta prima, e mi chiesi, francamente, cosa ci trovassero... Non riuscivo a capirne il senso, era come se le parole non riuscissero a mettere a fuoco le cose che descrivevano. Un’amica canadese mi ha fatto sorridere raccontandomi che l’anziana madre, italiana, quando leggeva i suoi racconti in inglese si puliva continuamente gli occhiali col fazzoletto, perché “non ci vedeva bene”. Ma che la vista le era improvvisamente tornata quando i racconti glieli aveva dati da leggere in italiano...  Nel mio caso, invece, la cosa era diversa: il libro non mi piaceva perché non mi trasmetteva niente, e non mi trasmetteva niente perché – ma lo compresi in seguito –era tradotto male. Sulle bottiglie di vino buono c’è l’etichetta DOC, che garantisce l’origine controllata. Io penso che gli editori dovrebbero mettere sulla copertina del libro l’etichetta TOC, traduttore d’origine controllata.  E che i buoni lettori, come i buoni bevitori, non dovrebbero acquistare libri che non l’avessero. Dico sul serio, e forse in altra forma lo proporrò al prossimo convegno dell’AITI. Ma finora non si è riusciti nemmeno ad avere un Albo Professionale...

LICIA: La letteratura canadese ha un pubblico di lettori, in Italia?

GABRIELLA: Sì, ed è aumentato da quando l’attenzione sul mondo degli Italiani all’Estero si è fatta più viva. Lo scorso anno a Roma c’è stata la Conferenza Mondiale degli Italiani all’Estero, ad esempio, cui hanno partecipato nomi della politica e della cultura provenienti da tutto il mondo. Ho visitato la Galassia Gutenberg, giorni fa, una grande mostra dell’editoria che si tiene a Napoli ogni anno. Uno degli editori, Avagliano, inaugurava la sua nuova collana di narrativa che si chiama Transatlantica. Un nome e un progetto.

 

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Crediti. Licia Canton, Un’intervista con Gabriella Jacobucci / Translating Italian-Canadian Writers / Tradurre scrittori italocanadesi è stata pubblicata su The Dynamics of Cultural Exchange / Creative and Critical Works, a cura di Licia Canton. Montreal: Cusmano 2002 ed è online in Bibliosofia per gentile autorizzazione di Ganriella Jacobucci e Licia Canton.

Licia Canton, nata a Cavarzere (Venezia), è arrivata a Montreal nel 1967. Ha studiato all'Università McGill (BA, MA), poi ha completato un dottorato di ricerca (PhD) in letteratura canadese all'Université de Montréal. Da oltre dieci anni si occupa di letteratura delle minoranze canadesi ed in particolare di quella italo-canadese. È stata relatrice a numerose conferenze e ha pubblicato vari articoli, oltre ad aver curato cinque libri: The Dynamics of Cultural Exchange: Creative and Critical Works (2002) , Adjacencies: Canadian Minority Writing (con D. Beneventi & L. Moyes) (2004), Writing Beyond History (con De Santis & Fazio) (2006), and Rebus: Artists and Poets in Correspondence (con Anna Carlevaris). Sono di prossima pubblicazione, Antonio D'Alfonso: Essays on His Works, e The Butcher’s Daughter, una raccolta di racconti. Dal 1998 al 2002 è stata parte dell'esecutivo dell'Associazione Scrittori/Scrittrici Italo-Canadesi, prima come responsabile del Bollettino e poi come vicepresidente. Licia Canton è anche direttrice della nuova rivista nazionale in lingua inglese, “ACCENTI: The Canadian Magazine with an Italian Accent.” See: www.accenti.ca.

 

1 ottobre 2006

 

 

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