INTERVISTA a FRANK G. PACI*

di Dino Minni** (1984) e Joseph Pivato*** (1990 e 2001)

pivato@athabascau.ca

(Traduzione dall’inglese di Egidio Marchese)

 

Minni - Franco, Lei ha scritto prima storie su personaggi del Nord America. Cosa L’ha fatto cambiare per  concentrarsi sulle famiglie italo-canadesi?

Paci – Nel 1972, venticinque anni dopo che i miei genitori erano immigrati, sono tornato in Italia per la prima volta. Allora non me ne resi conto, ma quel viaggio fu il catalizzatore che finalmente mi fece vedere che dovevo fare i conti con le mie radici italiane, prima di poter scrivere su qualsiasi cosa. Prima e dopo quel viaggio avevo scritto cinque romanzi che nessuno voleva pubblicare. Il viaggio in Italia impresse drammaticamente su di me il vasto abisso che c’è tra la cultura italiana e quella canadese, nonché la profondità del mio retaggio, che ero stato troppo ingenuo e stupido da apprezzare. Il viaggio mi fece apprezzare pure i miei genitori. Per la prima volta cominciai a vederli chiaramente. In precedenza li avevo visti solo nel contesto del Northern Ontario Canada, se sa che voglio dire. Vederli attraverso il contesto italiano cambiò il loro ritratto, per così dire. Quando cominciai a scrivere The Italians in fondo avevo in mente di celebrare i miei genitori e altri come loro, di ringraziarli per quello che avevano fatto.  Questo aprì in me una ricchezza di sentimenti profondi, di cui non mi ero occupato in altri libri.

Minni -  Vuole dire che ha un bisogno di scrivere della Sua base culturale italo-canadese per un senso, forse, che le cose non vadano perdute?

Paci -  Sì, c’è un bisogno di preservare quello che i miei genitori hanno realizzato, con l’enfasi su “serbare. Io ho la voce che loro non hanno. È proprio questo senso di preservare che agisce come un catalizzatore, perché mentre scrivi la storia dei tuoi genitori vieni pure a fare i conti con le tue radici e definisci te stesso in un contesto storico. Inoltre, nel preciso atto di scrivere una narrativa – cioè diventare letteralmente i personaggi e le cose di cui vai scrivendo – vedi la gente della vita reale e le cose più precisamente come sono. Questa è l’umiltà di cui parlavo prima – una umiltà che genera compassione.

Minni - Scrivere, dunque, è una forma di catarsi per Lei. La Sua infanzia fu dolorosa?

Paci - Non ho avuto un’infanzia dolorosa, ma ho avuto una dolorosa adolescenza. Il mio mondo sicuro e soddisfatto andò crollando a causa di certi eventi che mi hanno tagliato fuori da tutto quello che mi aveva sostenuto. Non sarei sorpreso se molti scrittori abbiano delle ferite, interne o esterne, che li spronano a impegnarsi in una tale vocazione, solitaria e non remunerativa, quale quella dello scrittore. Forse questa frase di Hegel in un certo senso spiega quello che dico: “La mano che ferisce è anche quella che guarisce. Egli parla della ferita causata dalla Caduta di Adamo. D’altra parte tutti  naturalmente  vogliamo essere amati e accettati a modo nostro.

Minni - Nei Suoi romanzi i personaggi principali si pongono tutti la stessa domanda. Chi sono? I canadesi debbono guardare al di là dell’oceano per la risposta, per la loro identità?

Paci - Va da sé che i canadesi di discendenza italiana dovrebbero guardare oltreoceano per avere una più completa coscienza della loro identità. Chiunque è una creatura storica e deve guardare per la propria identità agli eventi che l’hanno formata. Non è solo una questione di identità. È una questione ontologica.

PivatoQuand’ è stato che ha scoperto che voleva diventare uno scrittore?

Paci – La risposta a questa domanda è veramente complessa – ho cercato di rispondere nel mio romanzo Black Blood (1991). Ci sono alcuni fatti che fanno a pensare alla mia inclinazione verso la scrittura. Sono diventato un vorace lettore appena scoprii che non ero un atleta tanto bravo come pensavo di essere. O forse il mio interesse alla lettura venne prima, diminuendo la mia capacità di vedere chiaramente dove fossero i palloni o i dischi dell’hokey. Ecco una parte del discorso complicato. Un altro fatto è che mio padre mi comprò inaspettatamente una macchina da scrivere, quando ero alla scuola secondaria superiore. Un altro fatto è la reazione alla mia famiglia, e parte di questa reazione era il fatto che i miei genitori non leggevano, non avevano nessun libro in casa. Perciò, naturalmente, volevo correggere presisamente questo difetto della loro vita. Un altro fatto è che il mio mondo, salvo e sicuro, cominciò a sgretolarsi sopra di me quando ero un adolescente, e crollò anche la mia fede – e si può ben discutere sul fatto che scrivere è una forma di creare dei miti, per compensare la perdita di vecchi miti. Inoltre, c’è il fatto che lo scrittore è uno impegnato a curare sé stesso dalle terribili ferite della propria psiche, o a trasformare la realtà secondo la sua incredibile vanità, o a reinterpretare il passato per dare un senso a tutto il suo mistero. Non so. Un altro fattore è il mio incanto per il linguaggio, il potere della lingua di trasformare la vita della gente e la realtà. Ma, probabilmente, la ragione più concreta fu che la scrittura mi sembrò la via più appropriata, ideale, per scoprire chi ero e perché ero sulla terra. Queste cose si andarono costruendo gradatamente ed entro il secondo anno dell’università, quando scrissi il mio primo racconto, che portavo in giro con me nella tasca posteriore, mi sembrò di saltare da un livello dell’esistenza ad un altro – e lì vidi la strada aperta davanti a me. All’Università di Toronto, in seguito, mi iscrissi al corso di letteratura creativa di Dave Godfrey e incontrai pure Margaret Laurence che mi incoraggiò a scrivere.

PivatoLa letteratura canadese inglese è dominata dai canonici scrittori dell’Ontario. Lei descriverebbe la letteratura italo-canadese come una letteratura marginale?

Paci – Beh, la stessa designazione di “italo-canadese” è un problema, perché riferendosi a un corpo di opere come “italo-canadese” automaticamente gli si ascrive una marginalità. Ciò è colpa nostra.  Naturalmente se alcuni scrivono in italiano, automaticamente questi scrittori sono tagliati fuori dalla corrente maggioritaria, “mainstream,” dei lettori. Io non mi considero uno scrittore italo-canadese. Sono semplicemente uno scrittore, che vive in Canada, usa l’inglese ed è di ascendenza italiana. Non so, ma mi chiedo se Joy Kogawa pensi a sé stessa quale una scrittrice giapponese-canadese. Ne dubito. Se Lei intende marginale nel senso che questo corpo di opere non sia accettato come parte della corrente maggioritaria, allora probabilmente è così.  Ma ciò non è colpa degli scrittori. È piuttosto colpa dei lettori, soprattutto di coloro che non sono pronti ad ammetere che l’inclinazione della loro principale corrente (cioè, quella britannica) sia nella direzione di culture etniche “marginali.” C’è qui una comprensibile paura di dislocamento – e naturalmente la cultura della corrente maggioritaria ha in pugno i canali del potere culturale.

PivatoLa Sua narrativa è al di fuori della corrente maggioritaria, perché tratta di personaggi marginali: immigranti, i loro figli, le donne immigranti, un protagonista andicappato, gente del Nord Ontario e altri stranieri. Perché è interessata a quesa gente non-eroica?

Paci – La risposta ovvia è che quello è il mondo da dove vengo. La domanda interessante è come faccia ad emergere da questo suolo una persona originale quale uno scrittore. Non sono d’accordo con Lei. Gli immigranti non sono marginali in Canada, e neppure le domme e i bambini. Gli altri tre tipi ovviamente non rappresentano la maggioranza della gente. Ma non direi necessariamente che questa gente sia non- eroica. Per esempio, un uomo che lavora sodo per la sua famiglia in una fabbrica può essere molto più eroico di un criminale della Mafia, che intimidisce la gente secondo il codice del West americano. Naturalmente quest’ultimo attrarrà più lettori. Ma ciò è colpa dei lettori. La concezione popolare di eroismo non è necessariamente la giusta concezione. Io sono più interessato a eroi ed eroine quieti, qualcuno che farà la giusta scelta di fronte ai valori della maggioranza. La maggior parte delle Sue questioni conduce al problema del valore, questioni di etica, e problemi di significato. Cos’è veramente eroico? Che tipo di gente contempliamo? Chi dovrebbero essere i modelli del nostro comportamento? Queste domande concernono antiche questioni di carattere etico, politico e religioso su cosa significhi essere un vero essere umano. Questo è precisamente ciò a cui il mio lavoro cerca di rispondere.

 PivatoHo trovato che gli scrittori di minoranza etnica spesso si sono concentrati a documentare l’esperienza degli immigranti e possono diventare eccessivamente interessati al realismo. Condivide questa preoccupazione?

Paci – Come vede il “realismo?” Io lo vedo come il narratore ch’è più occupato con l’oggetto della narrazione che la coscienza che osserva l’oggetto. Lo scrittore certamente deve preoccuparsi del migliore modo di rappresentare la storia e i personaggi. La stessa materia del tema trova da sé il migliore metodo, come Faulkner direbbe. Questo lo rese a suo tempo “sperimentalista,” ma solo nel senso che si occupava appassionatamente della materia del tema. Se qualcuno sperimenta solo per essere moderno, egli abbaia all’albero sbagliato. Se una nuova maniera di rappresentare un personaggio o una presa di coscienza viene, viene. Se no, niente.  Quando tratti dell’esperienza dell’emigrante, a volte hai a che fare con un più semplice stato di coscienza, che deve essere rappresentato nella cosiddetta maniera realistica, che più propriamente dovrebbe essere chiamata maniera-mimetica. La narrativa di per sé non è mai reale. È sempre la costruzione di un mondo diverso, un mondo mimetico, in cui sono coinvolti  tutti i livelli della coscienza. La questione è, piuttosto, dov’è la linea di demarcazione tra la lingua della narrativa e la lingua poetica. Io metterei Finnegans Wake e The Waves, per esempio, nel campo poetico. Nella narrativa c’è un narratore e c’è una storia e la storia è successa a qualcuno in un certo luogo. Puoi giocare fin quanto vuoi con questi fondamentali elementi, ma credo che tu abbia bisogno di essi, altrimenti non hai la re-azione di una esperienza sentita. Se hai un autore, per esempio, che si inserisce dentro la storia ed espone la storia come una invenzione, allora ciò è tutta una più vasta storia: in altre parole ciò è solo un’altra via di creare una verosimiglianza con la cosiddetta realtà. Ogni storia cerca di essere “reale” essendo “irreale”.

PivatoCome descriverebbe lo sviluppo della Sua scrittura? (1990)

Paci – La mia scrittura va diventando sempre più piena di preghiere, sempre più rivelatrice di una nuova spiritualità, che ha liquidato le vecchie incrostate discipline di una istituzionalizzata religione. Se, diventando piena di preghiere la mia narrativa diventa meno narrativa e meno “artistica,” checché questo significhi, allora così sia. Non credo che la narrativa o arte in generale sia superiore a agni cosa, che sia il proprio dio, penso che la narrativa e l’arte “servano” un superiore scopo nella vita. Cosa questo scopo superiore sia, non lo so ancora esattamente. Ne ho un sentore, ho certe idee, ma fin quando non le tiro fuori in qualche specie di azione comunitaria, rimangono solo astrazioni. Naturalmente l’arte dello scrivere è un atto comunitario. Senonché ci sono pochi che ascoltano. Ci sono molti che sono perduti nella loro florida salute, perduti nella loro vergognosa vita. Penso che il mio lavoro d’ora in avanti sia  di trovare quello ch’è importante dire, e trovare chi è disposto a sentire quello ch’è importante sentire.

PivatoCome descriverebbe lo sviluppo della sua scrittura? (2001)

Paci – Prima di tutto, comincio a vedere sempre più chiaramente che essa non è la “mia” scrittura. È semplicemente “la” scrittura. Ma allo scopo di una conversazione convenzionale, riferirò ad essa come “mia.” Sotto l’influenza di Godfrey durante i miei anni all’università, la mia scrittura inizialmente era sperimentalista. Ero innamorato del nouveau roman francese e di persone come Joyce a Faulkner. Ma non avevo abbastanza padronanza della lingua, o un senso abbastanza forte di identità, a quel tempo, per avere successo. Veramente, ero troppo egotista per sapere chi fossi. Quattro romanzi abortivi furono il risultato di quel falso inizio. Comunque andavo imparando attraverso tutti gli errori. Dopo molta frustrazione e pena, mi accorsi che dovevo immergermi nel mio background di immigrante, e fare i conti con esso, prima di poter fare qualsiasi cosa come scrittore. E per essere onesto e fedele a quella mia base culturale e renderla intelligibile alla gente stessa che essa onorava, dovevo documentarla in uno stile realista. I primi tre romanzi pubblicati furono il risultato di questa fase. Ricordo, durante quel tempo, che mi sentii obbligato, nel mio piccolo, a rappresentare l’esperienza di quella gente ordinaria d’immigranti che lavoravano sodo e si erano fatto una nuova vita,  e contrapporli ai criminali e altri vistosi stereotipi etnici che avevano attratto tutta l’attenzione dei media.

Pivato - Ho spesso notato che Lei e altri scrittori, Caterina Edwards, Nino Ricci e Marisa De Franceschi, hanno scritto sensibilmente contro gli stereotipi del Padrino. Questo è ciò ch’è attraente degli italo-canadesi, la loro inflessibile onestà. 

Paci – In seguito ho sentito di non essere stato abbastanza onesto contro quelle interpretazioni, e la serie di Black Blood è un progetto in progresso che durerà tutta la vita. Il quinto romanzo di questa serie è Italian Shoes. Il prossimo, Lisa James, [Hard Edge] è stato già scritto. Poi son saltato avanti nel tempo e ho trattato delle presenti circostanze di Mark Trecroci – e la gente ch’è stata coinvolta nella sua vita. Un romanzo, Losers (che tratta di studenti e insegnanti), ha la pubblicazione programmata per l’autunno del 2002. Altri due sono in fase di stesura. Il mio interesse adesso è di trattare quello che Mark chiama “cercare le tracce del divino” nella vita ordinaria e disfarsi  di tutte le illusioni che ci fanno sembrare stupidi nella vita. In altre parole, riconoscere quello che i grandi pensatori e i profeti dissero realmente e fecero e cercare di vivere secondo la loro scrittura (Black Blood) e il loro esempio. 

PivatoIn Sex and Character (1993) l’ambiente è Rochdale College e Yorkville nella Toronto degli anni ’60. Cosa ha trovato d’interessante in quel tempo e luogo?

Paci – Quello che ho trovato d’interessante specificamente è nel romanzo. Ma in generale e visto in retrospettiva, quello che mi interessò fu la transitorietà di ogni cosa. Fu intorno a Rochdale prima, durante e dopo, che vidi idealismo ed entusiasmo mutarsi in qualcosa piuttosto sinistro. Durante gli anni Sessanta, la gente era presa da tante cose – alcune nobili, altre ignobili – ma l’intero complesso mi sembrò spazzato via così facilmente. Riguardo a Yorkville, ciò fu letteralmente il caso, dacché si tramutò in un raffinato luogo di moda da un giorno all’altro. Così fu pure spazzata via la vibrante vita della zona italiana del mio paese nativo. Quando questo succede, penso che la sola maniera di mantenere permanenti le cose sia di documentarle, metterle giù per iscritto. Infatti idee e parole – “black blood” – sopravvivono davvero a molte cose. 

PivatoIn The Rooming’House Mark Trecroci cerca di diventare uno scrittore, dopo aver sopravvissuto agli anni ‘6o. Sembra che abbia lasciato molto indietro a Sou la sua famiglia italiana e abbandonato la sua cultura etnica. È stato questo un passo necessario per Mark Trecroci al fine di diventare uno scrittore?

Paci – Sì, Mark aveva bisogno di una rottura radicale con la sua famiglia e la sua cultura, prima di poter acquisire un senso di sé (ciò non è egotistico) e definitivamente prima di poter acquisire quella prospettiva necessaria per scrivere su qualsiasi cosa. Naturalmente egli cercava di acquisire quella prospettiva interiore mentre stava con la sua famiglia. Andava riempiendosi di black blood. Ma aveva bisogno di fare questo anche fisicamente – lontano dalla famiglia. In un certo modo, egli doveva staccarsi anche da ogni essere umano in generale, per andare attraverso la punizione che consiste nel passare tra due file di commilitoni di cui si devono subire i colpi – come se si trattasse di questo – per acquisire quella necessaria introspezione per registrare la coscienza della gente. 

Pivato – L’ultimo volume della serie di Black Blood è Italian Shoes, in cui  Mark Trecroci torna in Italia per la prima volta. Questo pellegrinaggio in molti romanzi di minoranza etnica è stato romanticizzato. Perchè Lei ha trattato questo viaggio in un tale stile comune.

Paci – Beh, Lei chiama queste narrative romanzi etnici. Io certamente non vedo Italian Shoes  come un romanzo etnico. Per quanto concerne il romanticismo, io non credo in esso. È falso perpetuare tante auto-delusioni, anche nella sue più elevate versioni dei poeti romantici (benché io non trascuri  tutti i loro attributi). Uno, per essere onesto nei riguardi dei suoi personaggi ed eliminare tanto le illusioni che le delusioni, deve essere scrupopolosamente onesto nel rappresentarli come sono. Perciò, lo stile della scrittura non dovrebbe attrarre attenzione su di sé.  Non dico che io riesca interamente in questo, ma ci provo.

Pivato Con Iceland (1999) Lei si è distaccata dalla serie dei romanzi di “Black Blood”, per concentrarsi sulla nostra ossessione canadese per l’hockey. Perché ha fatto questo?

Paci – Ero personalmente coinvolto con l’“ossessione canadese per l’hokey” con mio figlio di dieci anni. Sono cresciuto a Sault Ste. Marie, che  rimane ancora un focolaio dell’hockey. L’ossessione con lo sport in generale è un fenomeno mondiale del ventesimo secolo. Perché siamo tanto ossessionati con lo sport? A giocare o guardare lo sport? Perché siamo ossessionati dalla competizione, dal trarre il meglio da qualcun altro?  È perché è una vicaria via di soddisfare i nostri istinti del potere? È un mezzo di “intensificare il momento” in contrasto con la nostra noiosa vita di ogni giorno? O è una forma di purificazione per le masse, molto com’erano le tragedie dell’antica Grecia? Quale che sia il caso, l’hockey si suppone essere il nostro passatempo nazionale. È quello in cui si ritiene che siamo i migliori. Perciò volevo mostrare cosa comporta quel sogno oggi nella vita quotidiana di gente ordinaria.

Pivato – Una nota finale. Con Losers /2002) Lei esplora temi religiosi, di cui ha trattato in romanzi precedenti. Sarà interessante vedere se Lei tornerà ancora a questi temi con maggiori dettagli e maggiore profondità. Forse acconsentiremo che i Suoi nuovi romanzi trattino di questi argomenti.

 

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* La presente Intervista è pubblicata in F. G. Paci: Essays on His Works, edited by Joseph Pivato, Toronto: Guernica Editions, 2003. L’Intervista viene qui riprodotta per gentile autorizzazione dell’autore Joseph Pivato e dell’editore nella persona di Antonio D’Alfonso.

 

** Dino Minni nacque a Bagnoli del Trigno in provincia di Isernia, Italia, nel 1942 e venne in Canada all’età di nove anni. Crebbe in British Columbia. I suoi racconti, articoli ed interviste sono stati pubblicati in varie riviste letterarie, antologie e pubblicazioni scolastiche di letteratura canadese. Dal 1977 al 1980 è stato crico della radazione di The Canadian Author & Bookman. Ha recensito regolarmente per The Vancouver Sun per otto anni, fino al 1984. La sua prima collezione di di racconti Other Selves è stata pubblicata da Guernica Editions nel 1985. Ha curato l’edizione di Ricordi, un’antologia di novelle sull’esperienza italiana in Canada, ed  è stato rappresentante della Costa Occidentale nell’Associatione degli Scrittori Italo/Canadese. È  morto nel 1989.  

 

*** Joseph Pivato nacque a Tezze sul Brenta presso Vicenza nel 1946 e giunse in Canada nel 1952. Ha conseguito la laurea B.A. in Inglese e Francese alla York University di Toronto, M.A. e Ph.D. in Letteratura Comparata alla University of Alberta. Attualmente insegna alla Athabasca University in Edmonton. Rinomato critico letterario e poeta egli stesso, a partite dal 1978 si è dedicato particolarmente alla letteratura italo canadese, di cui è oggi uno studioso d’avanguardia. In questo campo ha tenuto conferenze e pubblicato articoli in Canadian Ethnic Studies, Italian Canadiana, Il Caffè, The Canadian Encyclopedia, Polyphony, e altre pubblicazioni. È stato pure presidente dell’Associazione degli Scrittori Italo-Canadesi. Le sue poesie sono state pubblicate nei volumi Roman Candle a cura di Pier Giorgio di Cicco, Italian-Canadian Voices a cura di C. Morgan Di Giovanni, Poetry Toronto e altre edizioni. Le maggiori pubblicazioni di critica letterarie di J. Pivato sono a tutt’oggi le seguenti:

 

__  F.G. Paci: Essays on His Works. Toronto: Guernica Editions 2003, 151 pages.

__  Caterina Edwards: Essays on Her Works. Toronto: Guernica Editions, 2000, 127 pages.

__ The Anthology of Italian-Canadian Writing. Toronto: Guernica Editions, 1998, 390 pages. This unique volume includes 52 authors and a variety of genres.

__ Echo: Essays on Other Literatures. Toronto: Guernica Editions, 1994, 273 pages, on ethnic minority writing in Canada and Australia.

__ Contrasts: Comparative Essays on Italian-Canadian Writing. Montreal: Guernica Editions, 1985 & 1990, 255 pages.

__ Literatures of Lesser Diffusion / Les Litteratures de Moindre Diffusion. edited with S. Totosy and M.V. Dimic. Edmonton: Research Institute for Comparative Literature, 1990, 320 pages.

Si deva pure A History of Italian-Canadian Writing, e il rinomato sito Canadian Writers website.

 

1 gennaio 2006

 

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