Hermann W. Haller, “Tra Napoli e New York

Le macchiette italo-americane di Eduardo Migliaccio

Egidio Marchese

emarchese@primus.ca

 

Con la sua ultima pubblicazione di TraNapoli’ e ‘New York’. Le macchiette italo-americane di Eduardo Migliaccio (Roma: Bulzoni Editore, 2006), Hermann W. Haller* mette in rilievo l’importanza dei testi comici teatrali (macchiette) di Eduardo Migliaccio (1882-1946), sotto tre aspetti: l’aspetto dell’immigrazione italiana nel Nord America nei primi tre decenni del secolo scorso; l’aspetto linguistico della lingua napoletana-italiana-angloamericana; e l’aspetto letterario di una comicità esilarante.

Vediamo per esempio le prime tre terzine della macchietta La donna moderna:

Aggio fatto quistione n’ata vota

con mio marito… ma… chev’aggia dì?!

Se quello è un animale! Un idiota!

Voleva ch’io nun venisse a stu partì  [festa]

Io non sono una schiava! Che birbante!

È un bruto, è un ignorante. Eccoci qua:

Se fumo, bevo gioco ed ho un amante

lui non capisce, c’accussì si fa? (118).

C’è qui in chiave comico-satirica il tema dell’emancipazione storica della donna emigrata in America, che da donna “schiava” diventa “donna moderna” e libera. Lo stesso tema ricorre nell’altra macchietta Cunailando, dove la donna viene pizzicata nel sedere e si lamenta con l’amico, che le risponde: “E lassele … Qua accusì se fa.” (115). L’emancipazione e libertà della donna si accompagna al materialismo, come ne L’allegra sartina: 

L’amore è bello si nce stanno ‘e pezze,  [i soldi]

Nu disperato [squattrinato] che t’o spuse a ffà:

Pe quattre baci, pizzeche e carezze,

te miette ’o bosso [capo] ca hadda cumannà. (76).

Si ripete esacerbato lo stesso tema di libertà e materialismo ne La donna ultramoderna (121). Vedremo più avanti altri temi e aspetti tipici dell’immigrazione. Intanto si può notare, nei testi citati, oltre alla comicità anche il miscuglio linguistico tra italiano, napoletano e angloamericano. Troviamo sopra: partì (‘festa’, da party); Cunailando (o Cuneilando da Coney Island, quartiere di Brooklyng sul mare); pezze (napol. pezza, dal latino pèttia moneta da dodici carlini, in uso in Europa dal ‘500 al ‘700); bosso (‘capo’, da boss).

Il volume di Haller comprende una raccolta di quarantasei macchiette (pp.69-234), di cui solo due stampate e le altre inedite in forma dattiloscritta (quaranta) o manoscritta (due). Questo materiale si trova nell’archivio dell’Immigration History Research Center, presso l’University of Minnesota, dove l’autore ha svolto in parte le sue ricerche. Alle macchiette di Migliaccio si aggiungono altre due non sue ma incluse nel suo repertorio. Segue un opportuno lessico napoletano, una ricca bibliografia ed un indice dei nomi e degli argomenti. Il testo include anche due foto di Migliaccio abbigliato nel ruolo di una donna e alcune partiture musicali delle macchiette.

Il saggio introduttivo (pp.13-67) si estende ad una più vasta trattazione attraverso le note e la bibliografia. Viene presentato il genere teatrale delle macchiette, la sua storia dai Café-chantant di Parigi degli anni 1870 al Teatro di varietà della Belle-Époque di Napoli e poi al successo del teatro di Eduardo Migliaccio a New York. Si svolge una concisa e articolata disamina dei testi, con la tematica che riflette la situazione storica dell’immigrazione, e una erudita analisi linguistica delle macchiette, seguita da un lessico italo-americano.

La macchietta (“monologo a contenuto parodistico”) (17), è un genere teatrale comico e burlesco, con un testo letterario di prosa e di poesia o canzonetta in rima musicata. Lo spettacolo di varietà, della durata da un’ora a tre ore, oltre alle macchiette e le canzonette, la gestualità e la mimica, la danza inclusiva della tarantella, l’abbigliamento comico e i travestimenti, si estese e venne composto anche “da parodie, spogliarelli, presentatori, maghi, trasformisti, ventriloqui, e più tardi da acrobati.” (17). Era uno sciò (‘spettacolo,show) di grande successo a quel tempo. Migliaccio, in arte “Farfariello” - folletto o demonio - riscuoteva uno straordinario successo di pubblico e di critica: otteneva buoni guadagni, favorevoli e spesso entusiastiche recensioni perfino in un giornale etnico cinese, come scopre l’autore (20-21). Il suo teatro ebbe grande affluenza di pubblico di ogni ceto sociale, soprattutto immigrati che si riconoscevano nello spettacolo:

Le macchiette italo-americane di Eduardo Migliaccio evocano in modo originale l’esperienza dell’emigrazione nel periodo del grande esodo dei primi decenni del Novecento (15) […] la condizione sociale, le speranze, i sogni e le disillusioni dei trapiantati attraverso il sorriso ironico e divertito dell’attore-autore partecipe ai quotidiani drammi umani. (9) […] una condizione psicologica ambigua e piena di tensione per l’uomo diviso tra due società, quella rurale abbandonata e quella urbana eccitante ma minacciosa (24-25).

Migliaccio, immigrato in America all’età di quindici anni, si trovò a fare spesso lo “scrivano” nel comporre le lettere degli immigrati ai familiari in Italia. Da lì – fine osservatore della gente - apprese gli interessi e i problemi degli immigrati di vario tipo: interessi e problemi comici, gioiosi e tragi-comici.

Un esempio di macchietta tragi-comica è quella di Franceschino a New York. Questi, spinto dal padre ad emigrare, trova un misero lavoro, un povero alloggio, ma scrive in Italia che fa già molti soldi. I familiari piangono dalla contentezza e progettano di venire tutti in America. Ma Franceschino non riesce a pagare l’affitto, rischia di essere licenziato e non ha di che sfamarsi; perciò pensa di buttarsi sotto una macchina e ottenere così una fortuna dalla compagnia di assicurazione. Scrive dunque ai suoi che sarà presto molto ricco, ma chiede che intanto gli mandino di che sfamarsi:

Dopodomani hai la fortuna ca vai sotta a nu carro [‘macchina,car], citi la compagnia e addeviente ricco...

Anze a papà mo’ scrivo: mio caro genitore,

nun serve ca venite, ma fatemi un favore:

Di mandarmi quaccosa pe mo’ – perché ricco fra poco sarò!

Altra macchietta dello stesso tipo è A canzone d’ ’a depressione (del periodo 1929-1933):

Concè, ti scrivo per farti assapere

l’ottimo stato della mia salute. […]

Concè!...

Io stongo disperato

Concè!

Io stongo arruvinato.

Concè!

Io stongo scamassato [‘pestato, schiacciato.’]

Quando lo vuoi sapé!

Perciò c’a depressione

Che pozzo Concè?!

Nu poco penzo ’e diebbete [debiti],

nu poco penzo a tte! […]

Ma ci sono anche temi gioiosi e giocosi: “Nei ritratti giocosi si avverte la divertita e sofferta partecipazione dell’artista ai destini dei suoi personaggi, partecipazione per lo più bonariamente cinica. (23). Così i “divertimenti con la fidanzata al Luna Park” (Cunailando); “l’elogio dell’emancipazione dell’uomo” (Nicola Cuntentezza); “edonismo dell’immigrato” (Matteo Bellezza); “vita di un donnaiolo” (’E tengo accussì); “elogio della vita americana disinvolta” (’O cafone c’ ’a sciammeria); etc. C’è anche il gioco nella “sventura di un napoletano che s’illude di corteggiare una ragazza straniera”, che invece è un’italiana che non gli dà neanche un bacio e gli scrocca un pranzo (Come Darling):

Come darling, give me a kiss, I love you  [Vieni cara, dammi un bacio, ti amo]

Mentre gli occhi miei

Pien di desir le domandavan di più,

Come darling give me a kiss, Guarda ccà.

Io smaniavo... smaniavo... e lei,

Pensava solo a magnà.

Gran parte delle Macchiette vertono sul tema del lavoro e del danaro: la giobba e le pezze, e anche l’arte di arrangiarsi. Così, troviamo “lavori umili dell’emigrato” (Addò fatiche Giuvà); “l’inno ai disoccupati” (L’organizzatore); la tarantella dei debiti (Tarantella d’ ’e diebbete); “i debiti e il matrimonio” (Nun pozzo cchiù spusà); “disillusione di chi vuole ‘far l’America’” (Mastantonio); “l’arte di non pagare i debiti” (Pascale ’ o male pavatore); “l’estortore che sfrutta gli amori nascosti” (Gemì ’o racchettiere); etc. Si trovano anche macchiette sulle donne, l’amore, l’infatuazione, la gelosia e l’adulterio: “elogio dell’emancipazione della donna” (La donna moderna); “autonomia della donna; materialismo del Nuovo Mondo” (L’allegra sartina); “volubilità della donna” (Picchetto d’amore); “infatuazione che porta a disturbi mentali” (Nicoletta); “gelosia verso la moglie lasciata in Italia con il compare” (Il mio Compare); “fantasia dell’omicidio per gelosia” (Erano le sei); etc. Si trova una appassionata oratoria piena di sproloqui in  Rosso, “la donna come salvezza dell’umanità”:

[...] Io sono convinto che la società moderna, la compagine sociale, ultra democratica futuristica, nell’evoluzione storica dell’atavismo borghese, come vulesseme dì: levate a lloco, cance metto i’, urta il proletariato dinamico contro il pescecanismo sfruttatore che cozza contro cozzi, che non credo che avete capito niente e siamo perfettamente d’accordo. [...] La nostra salvezza? La donna. Buttiamoci su di essa. Rendiamola libera per potere operare. Il matrimonio è il carcere della vita. Liberiamo il mondo dai mariti, figli, parenti, padroni di casa, il caldo, le mosche ed altri insetti politici. […] In alto le gonne / Abbasso i pantaloni. (101-02).

Sono pure presenti le macchiette patriottiche, macchiette di amore per l’Italia e Napoli, la lingua italiana e il napoletano. Così abbiamo: “patriottismo, inno dell’emigrato all’Italia” (L’Aeroplano ’e Balbo); “l’emigrato a cavallo tra due paesi: lezione popolare di storia italiana” (Il cafone patriota); “difesa dell’Italia e della lingua italiana” (L’Italiano al 100/100); “elogio delle donne toscane, del toscano e del napoletano” (’A lengua d’ ’a dummeneca); “difesa del dialetto napoletano” (’A lengua taliana); “superiorità di Napoli su Parigi” (’O Napulitano a Parigge); “guerra in Etiopia e ‘guerra’ in casa” (Parto pe ll’Africa amice arrivederci).

*   *   *

Nella seconda parte del suo saggio, Hermann Haller tratta degli aspetti linguistici dei testi. Precisamente: La lingua delle macchiette. - Tra italiano, napoletano, e angloamericano. - Tra dialetto e angloamericano. - Il gioco plurilingue delle macchiette. - Le macchiette come specchio dell’italiano parlato nell’emigrazione. - Lessico italo-americano.

Il primo rilievo di Haller nell’approccio al linguaggio è ch’esso è un parlato “riflesso,” non proprio parlato-parlato, ma parlato-scritto, e come tale non interamente attendibile per uno studio linguistico (27). A questo proposito egli cita anche il compianto professor Gianrenzo Clivio dell’Università di Toronto, co-curatore del volume I dialetti italiani. Storia, struttura, uso (Torino: UTET, 2002). Il linguaggio delle macchiette è simulato, nota Haller, “con interventi ludico-espressionistici dell’autore” (27). Questi rendono il testo di un valore letterario e comico straordinario. Il testo non è solo uno “specchio” della vita reale degli immigrati di quel tempo, ma anche una “testimonianza preziosa degli usi linguistici tendenziali della comunità italo-americana in un periodo per il quale esistono poche documentazioni. (36)  Proprio per gli studi linguistici degli immigrati l’autore ha pubblicato il volume “Una lingua perduta e ritrovata: l’italiano degli italo-americani” (Firenze, La Nuova Italia, 1993).

La lingua delle macchiette - corretta o storpiata con effetti comici – comprende soprattutto, quasi sempre in alternanza, l’italiano, il napoletano e l’angloamericano. Ci sono anche macchiette con una breve alternanza di siciliano: “Gennaro talia [guarda]! Signuri Iddiu c’è beddizza cchiù bedda [bellezza più bella] di Palermu...”(138). O francese in O Napulitano a Parigge: “Parigge mussiù [‘signore,’  monsieur] / Tre sciarmà jolì boccu [‘molto carina, molto bella,’ très charmant, joli baucoup] /  Ma ve manca chesto a vu / ’O mar de Napoli, mussiù!” (157). O spagnolo in La cacaroccia: “Oh quando penso a quella mucciaccia [ragazza], quello mo’ nce ne stanno mucciacce ma como a quella. Chilli capille nires como ’e gravunes [carboni], quelli occhi incantatores che ti sceppavano el corazzon da piettos […]” (87).

Le macchiette interamente in italiano sono rare (Pagliaccio, Picchetto d’amore, Rosso). Farfariello ammira “Lighieri” che ha dato alla lingua una “scianata” (‘lucidata,to shine) (141). Si trova spesso anche l’italiano popolare o semi colto, con l’apostrofo tra l’articolo indeterminativo e il sostantivo maschile con inizio vocalico (diffuso oggi anche in Italia: un’amico) (29), o una confusione dei pronomi lei/voi/te come in questo passo: “Professore lei siete un miserabile e con rispetto e con crianza io te dongo cento ala panza” (141), o un uso polivalente del “che”: l’Italia rassomiglia a “una pizza che ognuno ne teneva una fetta.” (94). Si trova pure un italiano “sfatto” in questa frase: “mio padre murette 10 anni prima di nascere io,” nella cui sintassi si trova “il costrutto subordinato implicito al posto di quello esplicito.” (33). L’italiano dei colti politico-burocratico viene deriso, come abbiamo visto sopra in Rosso e ancora in La tarantella d’ ’e diebbete: “Ora tutta la malattia di questa depressione che noi chiameremo microbo congenito della massa politica intromettente nella pecunia tascabile di tutta la progenia [...]” (18).

Ma è il dialetto napoletano che predomina nelle macchiette. Farfariello ama e celebra il napoletano “che è superiore a tutte le lingue del mondo, sia per le belle parole che per le male parole. E per le male parole specialmente [...].” (147) e infatti quando la moglie l’insulta egli gode, a sentire tanta bella varietà di espressioni napoletane. Migliaccio usa il napoletano con grande maestria, alternandolo all’italiano o l’angloamericano o altre lingue. Quest’alternanza avviene per ottenere effetti comici, o per esprimere in napoletano più intensi momenti emotivi, o per rendere il suo discorso più comprensibile a un più vasto pubblico. L’italianizzazione del dialetto è più evidente nelle macchiette Nicoletta e La donna moderna. L’attenuazione del dialetto avviene anche con l’uso alternativo di parole come testa e capa, chiù e più, pezze e dollari. L’italianizzazione del dialetto avviene anche in Italia, per esempio in Eduardo De Filippo (30). L’esigenza di una lingua comune era molto sentita a quei tempi sia in Italia che in Nord America.

“Migliaccio mira tendenzialmente alla diffusione di una lingua parlata unitaria media nello spazio linguistico extraterritoriale. (28). Egli, secondo Haller, mediante la “ricerca di una lingua media collocata tra dialetto e italiano mira non solo a una migliore comprensibilità e all’effetto comico, bensì a unificare linguisticamente gli emigrati dialettofoni, a promuovere l’alfabetizzazione, al far lettera [...] (30). Ciò facendo Migliaccio non seguiva le direttive di Mussolini che osteggiava i dialetti e anche l’uso di parole straniere. Una cosa, questa, inconcepibile per gli immigrati italiani, che vivevano nel mondo anglofono d’America, dove il napoletano era il dialetto parlato più diffuso, seguito dal siciliano, e tutti avevano una limitata e incerta conoscenza dell’italiano. Gli immigrati italiani sentivano orgoglio e vergogna della loro lingua. Il teatro di Migliaccio li aiutò a ridere dei loro difetti, a migliorare la loro lingua, e, come abbiamo visto in molte macchiette, ad amare sia l’italiano che il napoletano.

Ma gli immigrati italiani dovevano fare i conti anche con la lingua angloamericana. Essa è una cospicua componente delle macchiette di Migliaccio, la parte più originale del suo teatro in confronto a quello napoletano in Italia, di cui Nicola Maldacea (1870-1945) era l’attore comico più famoso. A Napoli il teatro fronteggiava una ben diversa realtà, con macchiette che bersagliavano, per esempio, D’Annunzio (Il superuomo), altre con testi di Trilussa, ecc.

L’alternanza tra l’angloamericano, il napoletano e l’italiano nelle macchiette di Migliaccio sortisce effetti comici esilaranti. Ma il plurilinguismo produce anche una seria confusione e crisi d’identità negli immigrati. Il loro atteggiamento verso l’angloamericano, secondo Haller, è duplice: una posizione di “chiusura” e una di “apertura. Da una parte c’è una forma di italianizzazione dell’angloamericano, come una forma di fedeltà alla propria lingua, una language loyalty (anche per una “scarsa dimestichezza” dell’inglese): una volontà di “mantenere la propria identità linguistica” (31). I “prestiti” angloamericani sono “un lessico tendenzialmente ‘chiuso’. (31). D’altra parte, benché “l’adattamento all’italiano dei prestiti anglofoni [rifletti] la volontà e l’impegno dell’emigrato a mantenere la propria identità,” essa è “un’identità che si apre gradualmente al nuovo, alla lingua della cultura dominante e alle altre lingue di contatto.” (37). In questo contesto sociale il teatro di Migliaccio svolge una importante funzione didattica oltre che ludica.

Osserviamo alcune espressioni del lessico italo-americano e ancora altri esempi di quello che Haller chiama “il gioco plurilingue” delle macchiette. L’italiano, il napoletano e l’angloamericano si trovano insieme in Presidente Pazziariello: “ecco qua il cassiere... Io già stevompenzierito... auaie” [how are you?] (34). La pronuncia fricativa th- diventa dentale: dis (this), der (there), da (the), dezzol (that’s all). Una vocale è aggiunta alla fine della parola angloamericana: oppo (up), natingo (nothing), orioppo (hurry up), gherle (girl), iu mecche mi sicche (you make me sick). Alla parola modificata si applica spesso il rotacismo napoletano d > r : Scerappe evry barì (body > barì) (shut up every body). Viene imitato anche lo slang e il linguaggio colloquiale: iu gonne si (you are going [gonna] see), mi no itte natingo (Me [I] not eat nothing [enything]) (30). E ancora: Iù gonne si iur gherle – Ies – Too leit n’aru uanno is oppe stese (you are gonna see your girl – Yes – Too late, another one is upstairs) (193).  

Alla fine del saggio è aggiunto un utile “lessico italo-americano,” da cui citiamo alcune voci: giobba (‘lavoro,’ da Job), monì (‘danaro’, da money), pennì (‘monetina, centesimo’, da penny), murghegge (‘mutuo ipotecario’, da mortgage), dezzol (‘basta, è tutto’, da that’s all), Bruccolino (luogo, Brooklyn), custumi (‘clienti’, da customer), ghella (o gherla, ‘ragazza’, da girl), bassamento (o basciamente, ‘sottinterrato’, da basement), besinisso (o bisinisso, beseness/o, besenisso/e, ‘affari, affari parsonali, vendita’, da business), naise (‘bello, piacevole’, da nice), olrraite (‘bene, giusto’, da all right), orrioppo (o orrioppa, arrioppi, ‘spicciati’, da hurry up), uozzemare (‘che cosa succede?’ da what’s the matter), grussaria (‘negozio alimentare’, da grocery [store]), ecc.

Avremmo preferito che nel volume di Haller all’indice delle macchiette a pagina 11 fosse segnato anche il numero di pagina delle stesse macchiette. Ma, in conclusione, con questo studio Hermann Haller assolve ampiamente all’intento enunciato nella premessa: “Il volume s’intende come testimonianza sociale e linguistica  in chiave ludica  della vita ‘coloniale’ newyorchese nei primi tre decenni del secolo scorso.” L’autore realizza l’edizione delle macchiette di Eduardo Migliaccio, e ne illustra magnificamente il loro valore storico di “preziosa” e diretta testimonianza della vita degli immigrati italiani, attraverso quella che sembra la loro stessa voce, solo mediata, ma invece accuratamente inventata e ricreata, dall’arte di Migliaccio. Il quale ha fatto ridere ed ha educato gli emigrati, come pure i lettori di questo molto pregevole e divertente volume di Hermann Haller.

 

*  Hermann W. Haller è professore di Lingua e letteratura italiana al Queens College e direttore di Dipartimento al Graduate Center della City University di New York. È uno dei principali studiosi dei problemi linguistici dell’emigrazione italiana all’estero e della tradizione dialettale italiana. È autore dei volumi The Hidden Italy (Detroit, 1986), Una lingua perduta e ritrovata: l’italiano degli italo-americani (Firenze, 1993) e La festa delle lingue. La letteratura dialettale in Italia (Roma, 2002). (Dal retro della copertina)

 

1 giugno 2006

 

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