Sempre nuovi tasselli nel mosaico canadese

Anna Foschi Ciampolini *

larthia@shaw.ca

 

Quando, nel 1978, la nuova associazione comunitaria “Italian Cultural Centre Society” fece domanda alle autorità municipali della città di Vancouver per ottenere il permesso di costruzione di un Centro comunitario e ricreativo destinato alla locale comunità italiana, la costernazione fu grande fra gli abitanti della zona dove, su un terreno che per anni era stato una discarica di rifiuti, sarebbe dovuto sorgere il nuovo edificio. Si tennero riunioni pubbliche e si firmarono petizioni contro il progetto che avrebbe portato in quel vicinato una torma di “forestieri, bevitori di vino, chiassosi e indisciplinati”a turbarne l’ordine e la quiete. Il permesso fu concesso ed il governo provinciale della Columbia Britannica elargì un generoso contributo per le spese di costruzione, ma così andavano le cose sul finire degli anni ’70, quando la comunità italiana di Vancouver, costituita da circa 40.000 persone in gran parte immigrate sino dagli anni ’50 e ’60, era una delle più numerose ed “esotiche.” Nei primi anni ’80, quando arrivai a Vancouver con il mio certificato di “landed immigrant” le cose non andavano molto diversamente. Attraverso il Centro Italiano, che gestisce una scuola di lingua italiana per i figli degli immigrati con il contributo finanziario del Ministero dell’Istruzione, la comunità fece a lungo pressioni sul Ministry of Education locale per ottenere l’inserimento dell’italiano nel curriculum delle scuole pubbliche situate in zone dove c’era una forte presenza italiana e si sentì rispondere picche. C’ero anche io, come coordinatrice della scuola d’italiano, a condurre le trattative e in uno di questi incontri, in un momento di sincerità, l’alto papavero del Ministry of Education si lasciò scappare che si trattava di una scelta politica, al di fuori e al di sopra del potere decisionale del Ministero e del Provveditorato.

Facciamo un salto agli anni 2000, quando a Vancouver e nei comuni limitrofi le scritte dei negozi e delle strade sono bilingui, inglese e Mandarino, inglese e Farsi o Punjabi, se non direttamente solo in tali e altre lingue, i due canali televisivi multiculturali trasmettono programmi etnici per le numerosissime comunità immigrate, i corsi di Heritage Languages sono parte del curriculum delle scuole pubbliche, ed il Multiculturalismo ha in gran parte cessato di essere una vuota parata di balletti folcloristici e di fiere gastronomiche etniche per diventare una forza operante nella evoluzione della società canadese. Nelle scuole oltre alle lingue si insegna il rispetto e la conoscenza delle altre culture, per gli immigrati esistono estesi servizi di assistenza sociale finanziati dal governo provinciale, che inoltre paga le spese per tradurre e stampare opuscoli e manualetti informativi nelle varie lingue, e paga per tutto il personale delle istituzioni pubbliche, come ad esempio gli insegnanti, la polizia, i medici e il personale sanitario, i quali lavorano a contatto con le famiglie immigrate. Sono offerti seminari di sensibilizzazione culturale, tenuti da  esperti in prima persona, cioè da immigrati come me, che regolarmente vado a parlare nelle scuole, università o ospedali per aiutare i professionisti a comunicare e creare un rapporto di rispetto e fiducia con gli immigrati. Le numerose organizzazioni etnico-culturali e interculturali continuano a fare pressioni sul governo provinciale e federale per ottenere sempre migliori condizioni di equità e denunciare le carenze di servizi e le discriminazioni. Ormai perfino i grandi magazzini non vengono addobbano più soltanto per il periodo natalizio ma anche per l’Anno Nuovo Cinese, per Hanukkah, per Diwhali, il Festival delle Luci indiano e  per Norouz, l’Anno Nuovo secondo il calendario iraniano.

Allora il Canada è veramente la terra dell’Utopia? Come tutte le cose in questo mondo, lo è solo in parte. Se per i figli degli immigrati, cresciuti qui ed educati dal sistema scolastico canadese, non esistono ostacoli o discriminazioni nel mondo del lavoro e della carriera, le strade sono piene di medici o giornalisti iraniani, cileni o filippini che guidano i taxi o fanno i magazzinieri da WalMart se gli va bene. Specialmente per un professionista, qui è sempre stata dura riprendere a lavorare nel proprio ramo, ci sono troppi ostacoli, la lingua, la difficoltà di ottenere il riconoscimento dei titoli di studio, gli esami di abilitazione professionale da superare, costosi e severi; e così molti si reinventano e si riciclano in carriere del tutto diverse o lavorando in proprio, qualcuno invece viene piegato dalla delusione e si lascia andare o decide di tornare al proprio paese.

Oggi la gente in molti casi può ancora fare una scelta, anche in paesi poveri c’è un minimo di possibilità di reinserimento; ma per gli italiani che emigrarono negli anni della fame del dopoguerra e anche un poco più tardi, questa scelta non c’era. Lasciavamo alle spalle la miseria ed il nulla e si accontentavano con gratitudine di ciò che questo  Paese offriva loro: i lavori nell’edilizia, nell’industria forestale, nella manutenzione delle Ferrovie e il modesto benessere che questi lavori portavano alle loro famiglie.  Oggi non emigra più nessuno dall’Italia. Le cose sono cambiate e le poche famiglie o individui che ancora si stabiliscono qui sono quasi sempre gente privilegiata che sceglie per motivi ecologici o altro di vivere in un posto tranquillo e che raramento si mescola agli altri connazionali residenti da lungo tempo, e magari sotto sotto li considera tremendi cafoni.

 La comunità italiana invecchia pacatamente, non fa più notizia e non è più “esotica”, ne sono arrivati altri ben più esotici da tutti gli angoli del mondo! I giovani di seconda o terza generazione si sentono canadesi, non si vergognano più di essere italiani ma avvertono di essere distaccati, diversi dai giovani che vivono in Italia. La nostra Madre Patria, che tanti anni fa spinse fuori e sbarrò la porta  a catenaccio dietro a milioni di persone, oggi si ricorda degli italiani all’estero e gli ha perfino dato il diritto di votare; ma da certi racconti che sento, per tornare a vivere in patria pare che si debba avere un bel capitale, altrimenti la porta rimane chiusa e gli aiuti governativi e delle Regioni sono soprattutto sulla carta. La maggior parte della gente della nostra piccola comunità vancouverita resta qui, ormai ha messo radici troppo profonde con figli e nipotini e nell’Italia ricca e un po’ spocchiosa di oggi non si ritrova più, preferisce ricreare l’Italia della memoria nelle feste regionali al Centro Italiano, dove l’orchestrina suona ancora “Un Italiano Vero”, “Calabresella” e “Vola Colomba.”

 

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* Anna Foschi Ciampolini è nata a Firenze e vive a Vancouver dal 1983. Scrittrice, giornalista, traduttrice, ha anche prodotto e condotto programmi radio e televisivi ed ha organizzato numerosissimi avvenimenti culturali e conferenze internazionali.  Ha pubblicato due antologie: Emigrante (1985) e Writers In Transition: Yesterday, Today and Tomorrow (1990) ed i suoi racconti e lavori di critica letteraria sono stati pubblicati in sei antologie in Italia e in Canada. I suoi articoli sono usciti su giornali e riviste letterarie in Italia, Stati Uniti, Australia, Costarica e Canada.  Ha vinto il terzo premio della  “Settimana Italiana - Ottawa”,  il premio speciale giuria di “Voci di Donne - Città di Savona” ed è stata finalista del Premio Pietro Conti-Filef: il suo racconto “Una  giornata come un’altra” è stato letto alla RAI sul programma nazionale rete culturale; inoltre, nel marzo 2006, la radio Emiliano-Romagnoli nel Mondo ha mandato in onda un altro suo racconto, “Struggente Rimini”.  Anna è la co-fondatrice del Premio Letterario Francesco Giuseppe Bressani del Centro Culturale Italiano di Vancouver, è stata per due mandati la Presidente della Associazione Scrittori/Scrittrici Italo-Canadesi di cui è co-fondatrice e tuttora fa parte del direttivo della associazione. RAI International le ha dedicato una intervista nel 2005 e nello stesso anno è stata inserita nella Hall of Fame del Centro Culturale Italiano di Vancouver, BC.  Anna lavora da molti anni a Vancouver nel campo dell’assistenza a famiglie di immigrati vittime di violenza domestica, e tiene corsi e seminari per immigrati e professionisti che lavorano a contatto. Inoltre, partecipa come esperta di letteratura italo canadese e di aspetti  e problemi dell’emigrazione a conferenze ed avvenimenti letterari in Italia.

 

 

1 ottobre 2006

 

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