Film Festival: Il pubblico ha scelto Totsi di Hood

Consegnati gli Award: premiati "Totsi", "C.R.A.Z.Y." e "Look both ways"

Paola Bernardini

p8bern@hotmail.com

 

 

Il Toronto Film Festival ha superato un'altra prova e con i 335 film da 60 Paesi (di questi, 109 sono state anteprime internazionali o per il Nordamerica) presentati in questi dieci giorni si è confermato una vetrina di successo. Sono state 110 le produzioni arrivate dall'Europa, comprese l'Italia, la Francia che quest'anno ha portato ben 28 film e la Gran Bretagna con 29. Numeri interessanti per il Toronto Film Festival che, terminata la sua 30ª edizione vanta il record di partecipazione di pubblico ed è secondo solo a Cannes. Ma soprattutto si è confermato una bella piazza per i produttori, per le compagnie che ruotano attorno al business del cinema e che guardano con attenzione al mercato invernale e soprattutto agli Oscar. Più di mille delegati in rappresentanza di 530 aziende produttrici dell'industria cinematografica di 47 Paesi differenti si sono riversati a Toronto (40% in più rispetto all'edizione dello scorso anno).

Una cinquantina di film sono stati venduti e messi nel mercato della distribuzione, tra questi Thank you for smoking, Fletching Cody, Harsh Times, C.R.A.Z.Y., Look Both Ways, Sunflower, A.K.A. Tommy Chong, Iberia e Headbanger's Journey.

«Molti artisti internazionali scelgono Toronto per il debutto e questa non è una novità», spiega il direttore e Ceo del Toronto Film Festival Piers Handling «dati che confermano il nostro obiettivo e cioè proporre il meglio del panorama internazionale offrendo al contempo una "vetrina" del cinema canadese».

Anche il regista Cameron Crowe che ha presentato Elizabettown con Orlando Bloom e Kirsten Dunst è d'accordo: «Eravamo già venuti a Toronto con Almost Famous e ci aveva portato fortuna. Toronto, per noi dell'ambiente, è un test molto importante». Gli fa eco Richard Shepard, regista di The Matador con Pierce Brosnan e Greg Kinnear: «Toronto è un importantissimo palco per lanciare i nostri lavori e soprattutto è una piazza tenuta molto in considerazione dai critici».

Dunque Toronto per gli affari ma anche Toronto per il pubblico. E si è visto con la massiccia partecipazione della gente in fila per l'acquisto dei biglietti, davanti le sale cinematografiche, in attesa per ore in tutte le passerelle dei divi alla ricerca di autografi al fianco di paparazzi scatenati.

Ed è stato proprio il pubblico a scegliere il miglior film del Festival. Il People Choise Award è andato a Tsotsi, una co-produzione Sudafrica e Gran Bretagna che, quasi per ironia della sorte, ha avuto una debolissima copertura da parte dei media. «Questo è un buon segno», ribatte Piers Handling «a dimostrazione che il pubblico sceglie Toronto non perché è ammaliato dalle grandi stelle di Hollywood, come spesso accade nei Festival, bensì perché ama il cinema».

Totsi di Gavin Hood racconta sei giorni nella vita di uno spietato gangster di Johannesburg che ruba un'auto e scopre che sul sedile posteriore c'è un bambino. Il premio è spesso un indicatore per le nomination agli Academy Award come accaduto con American Beauty, Chariots of Fire o nel '98 con La vita è bella di Roberto Benigni e lo scorso anno con Hotel Rwanda.

Il Toronto City Award per il miglior film canadese è andato a Jean-Marc Vallee per C.R.A.Z.Y. un omaggio alla cultura pop della classe media negli anni Settanta. «Mi hanno dato anche dei soldi?», ha detto Vallee visibilmente emozionato quando ha ritirato il premio e ha stretto nelle mani un assegno di $30,000. «Che grande Festival! Addirittura con i soldi! Pazzesco!».

Mentre il Citytv Award per i nuovi registi canadesi è andato a Louise Archambault per Familia e a Michael Mabbott per The life and gard time of Guy Terrifico che si sono divisi un assegno da $15,000. «Sono felicissimo ed è davvero buffo pensare che un piccolo film su omiciattoli, droga e rock-and-roll sia stato premiato da questo grande, elaborato festival», ha commentatoMabbott.

Il Discovery Award (anche qui un assegno da $15,000) scelto da una giuria composta da giornalisti della stampa internazionale, è andato all'australiana Sarah Watt per il suo Look both ways.

Il FIPRESCI Prize, scelto da una giuria di critici internazionali, al sudcoreano Kang Yi-kwan per Sa-Kwa. Il Bravo/ FACT per i cortometraggi canadesi a Renuka Jeyapalan per Big Girl interpretato da Samantha Weinstein, 10 anni, di Toronto. Una menzione d'onore è andata ad Andrea Dorfman per There's a flower in my pedal.

«Speriamo, 30 anni dopo, di essere riusciti a catturare il vero spirito dei fondatori del festival e cioè mostrare il meglio del cinema locale e internazionale anche attraverso un collegamento tra i registi, gli atto.ri e il pubblico. Abbiamo grandi nomi di Hollywood e nuovi registi da tutte le parti del mondo. Questo, per noi, è la chiave del successo», dice Piers Handling che risponde anche alle critiche che danno il Festival "troppo dispersivo". «Non è troppo grande, come qualcuno dice, anche se sappiamo che non è possibile riuscire a vedere tutti i film nel cartellone», dice ricordando che gli ultimi sondaggi degli ultimi anni dimostrano che questa kermesse porta alla città di Toronto 67 milioni di dollari. E conclude: «Quando il pubblico diminuirà, faremo un Festival più piccolo».

 

Otto registi d'autore per i "bambini invisibili"

Film prodotto da Maria Grazia Cucinotta

 

Bambini soldato, ragazzini sfruttati, resi ladruncoli dalla famiglia assente, meninos de Rua per le strade di San Paolo, figli di genitori con l'Aids, bambini rifugiati di guerra, piccole orfanelle claudicanti e ricche bamboline cinesi altrettanto sole in case milionarie. Sono i protagonisti di All invisible children, il film collettivo firmato da otto registi promosso dall'Unicef e dal World Food Program e prodotto da Maria Grazia Cucinotta. Il film è stato presentato sabato al Toronto Film Festival da Spike Lee che ha firmato il lavoro con John Woo, Emir Kusturica, i fratelli John e Ridley Scott, la documentarista brasiliana Katia Lund, l'algerino Mahdi Charef e l'italiano Stefano Veneruso. Spike Lee ha attraversato il tappeto rosso con la sorella Joie e il fratello Cirqué.

All invisible children è la trasposizione sullo schermo di molte storie di infanzia tradita. E Maria Grazia Cucinotta, che è testimonial del WFP, ha fatto un piccolo cameo nell'episodio napoletano. «Ho scelto di raccontare la storia di questa ragazzina latinoamericana figlia di due tossicodipendenti, affetta dall'Aids ma che lo scopre a scuola dalle compagne, invece che dai genitori, perché è una storia che solitamente non vediamo al cinema», ha detto Spike Lee, regista dell'episodio Jesus Children of America.

Un ritorno in Cina per John Woo che ha ambientato a Pechino l'incontro fra due solitudini, quella della bambina ricca ma povera di affetto e quella di un'orfanella che si ritrova a vendere rose lungo la strada. Bambini di strada sono anche i protagonisti dell'episodio brasiliano, due ragazzini che nella realtà vivono in edifici occupati del centro di San Paolo, girato da Katia Lund. Il film, i cui profitti andranno a un fondo della cooperazione internazionale, Unicef e WFP, ha già raggiunto un risultato: per il set del film africano del regista algerino Mahdi Charef, che ha per protagonista un dodicenne ragazzo soldato, in Burkina Faso è stata costruita una scuola che poi è rimasta a disposizione dei ragazzini. Nell'unica storia italiana del regista Stefano Veneruso, un "guaglioncello" napoletano che proviene da una famiglia disastrata passa la giornata fra furtarelli. «Poter comunicare un messaggio così importante attraverso il cinema, che per me è fonte di passione, è una grande gioia», ha detto Cucinotta. «Questo progetto mi ha dato una forza magica che non ho mai avuto. Nel mondo i bambini sono tutti uguali, siamo noi adulti a creare le diversificazioni, sono le condizioni socioeconomiche a cambiarli».

 

[Paola Bernardini è Capo Redattore del Corriere Canadese di Toronto, nella cui edizione del16/09/05 sono stati pubblicati gli articoli sopra riprodotti per gentile concessione]

 

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