PRESENTIAMO ELETTRA BEDON

Elettra: nessuno@videotron.ca

 

Elettra Bedon,  nata a Padova,  dopo aver completato gli studi in Italia si è trasferita a Montréal (Canada) dove ha conseguito, presso l'Università Mc Gill, un Dottorato di Ricerca, approfondendo gli studi sulla letteratura in lingua veneta del ventesimo secolo. Ha pubblicato, novelle e romanzi per ragazzi, poesie e saggi su poeti in lingua veneta. Ha curato la sezione Veneto in una antologia in inglese, dedicata alla poesia nei dialetti dell'Italia settentrionale. Sono uscite le seguenti pubblicazioni:

 

Writing Beyond History, (An Anthology of Prose and Poetry), Cusmano, Montreal, 2006, pp.34-38.

Yoshua, Manni, San Cesario di Lecce, 2005.

Shaping History,(L’identità italo-canadese  nel Canada anglofono),Forum, Udine, 2005, pag. 163-167.

L’évangile en tableax, Mediaspaul, Montréal, 2005

Liber Miscellus Canadensis (poesia), Marsilio, Venezia, 2002

Dopo una vita vissuta (poesie), in The Dynamics of Cultural Exchange, Cusmano Communications, Montreal, 2002, pp. 141-146.

Veneto, in Dialect Poetry of Northern & Central Italy, LEGAS, Brooklyn, NY, 2001, pp.287-359.

Le mani saccadiche di Cesare Ruffato (saggio critico), in I quaderni di Hebenon, Torino, 2000, pp. 14 – 17.

Al di là della veste (saggio critico), Hebenon, Milano, 2000

Il filo di Arianna (letteratura del XX secolo in lingua veneta), Longo ed., Ravenna, 1999

L’angelo sulla terrazza (saggio critico), in Diverse linguE, n° 17/18, Udine, 1998, pp. 133-154.

Con altre parole (poesia), Montfort & Villeroy, Montréal, 1998

Voci di G. (saggio critico), in Diverse linguE , n° 17/18, Udine, 1998, pp. 51-60.

Storie di Eglia (narrativa), Montfort & Villeroy, Montréal, 1998

Mio zio l’investigatore (ragazzi), Montfort & Villeroy, Montréal, 1998

La riflessione poetica di Cesare Ruffato : una lettura strategica, in La Battana, Fiume-Rijeka, 1997, pp. 26-35.

Francesca : immagine esemplare del « declive » dell’etica, in i libri di Steve, n° 22, Modena, 1997, pp. 126-140.

Lingua d’origine (letture ed esercizi per l’insegnamento dell’italiano, VI elementare), Montfort & Villeroy, Montréal, 1992

Lingua d’origine (c.s. V elementare), Montfort & Villeroy, 1991

Vi racconto di Gesù (ragazzi), EMP, Padova, 1991

Lingua d’origine (c.s. IV elementare), Montfort & Villeroy, 1990

Lingua d’origine (c.s. III elementare), Montfort & Villeroy, 1989

Ma l’estate verrà ancora (ragazzi), La Scuola ed., Brescia, 1985

Saggi, racconti e poesie sulle riviste di Montréal  Viceversa, Moebius, XYZ, Arcade, Arts cinéma lettres, Imagine, Accenti e Descant di Toronto.

Presentiamo su Bibliosofia i seguenti lavori: “Intervista a Elettra Bedon” di Licia Canton;  “I. Poesie inedite” e “II. Altre poesie”;  “Il pescatore di parole” e “Il naso di Apollodoro” (racconti); “Dalla realtà alla metafora” (saggio). (e.m.)

 

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Intervista a Elettra Bedon

Licia Canton

Licia: cantonli@cusmano.ca   Elettra: nessuno@videotron.ca

 

 

 

Secondo Elettra Bedon, cosa è la cosa più bella nello scrivere? What do you think is the most beautiful thing about the act of writing?

 

Il silenzio, il raccoglimento. Il lasciarsi andare a vivere in un mondo in cui ciò che si crede, il proprio modo di vedere la vita, si concretizza in parole, in personaggi, in avvenimenti.

 

Quando hai iniziato a scrivere? e cosa ti ha spinto a farlo?

 

Questa domanda mi fa andare indietro nel tempo, a ricordi che non sapevo neanche più di avere. Ho passato la mia infanzia a Pesaro. Abitavo al terzo piano di una villetta, non lontano dalla spiaggia; al piano terra viveva una famiglia con quattro bambine, la secondogenita era mia coetanea. Il ricordo è di prima che sfollassimo a causa dei bombardamenti navali, quando avevo otto anni. Non scrivevo, ancora, ma creavo già: copioni teatrali di cui ero autrice, regista e interprete, in collaborazione con Carla, la mia coetanea. Mettevamo in scena in giardino; le mie sorelle, quelle di Carla, e i bambini del vicinato erano a volte interpreti e a volte spettatori.

Ho cominciato a 11-12 anni a tenere un diario, come penso moltissimi adolescenti facciano (o, almeno, facevano …). Scrivevo anche poesiole. Non era veramente uno scrivere, ma rivelava già che mi trovo più a mio agio nell’esprimermi per iscritto piuttosto che a voce. Sempre in quel periodo ho inviato un breve racconto – che è stato poi pubblicato – a una rivista per adolescenti, collaboravo a un giornaletto scolastico. Ma in genere scrivevo per me, senza pensare a eventuali pubblicazioni, e questo sino agli anni ’80, quando ho presentato Storie di Eglia a una Casa editrice di Brescia, la città dove allora abitavo. Il giudizio era stato lusinghiero, ma i raccontini – che io avevo pensato adatti a un pubblico di ragazzi – non sono stati giudicati tali. Chi aveva valutato il mio lavoro mi consigliò di scrivere qualcosa di più esplicitamente rivolto al mio pubblico ideale; così ho fatto, ed è nato Ma l’estate verrà ancora, che la stessa Casa editrice ha poi pubblicato.

 

Qual è stato il primo genere in cui hai scritto?

 

La poesia, senza dubbio, anche se sarebbero passati molti anni prima che mi decidessi a far leggere quello che scrivevo.

 

Quale dei tuoi scritti ha per te un significato più intenso?

 

Penso sia Con altre parole, che raccoglie la maggior parte delle poesie scritte dalla fine degli anni ’50 al 1997. Ha per me un significato “intenso”, come tu dici, perché rispecchia la mia vita interiore di quegli anni – i momenti di gioia e quelli di sofferenza. Una specie di autobiografia, uno sguardo all’indietro su un periodo superato, dal punto di vista di un nuovo equilibrio raggiunto.

 

Che cosa ha maggiore influenza su i tuoi scritti?

 

Qui devo usare un termine che pare non si usi più: ispirazione. Scrivo – sia in poesia che nei racconti – quando qualcosa mi tocca: mi appassiona, mi indigna, mi mette in discussione, mi fa soffrire. In un certo senso covo uno stato d’animo, lascio che lavori in me, aspetto con pazienza, e prima o dopo nasce qualcosa.

 

Parlaci un po' delle tue pubblicazioni per bambini.

 

Ho scritto – e pubblicato – tre romanzi per ragazzi di 8-10 anni, una piccola “storia di Gesù”, e alcuni racconti per bambini più piccoli. Ho pubblicato anche, a Montreal, una serie di libri per l’insegnamento dell’italiano ai bambini che nella scuola pubblica seguivano il programma PELO (insegnamento delle lingue d’origine). A suo tempo essi sono stati adottati dalle principali Commissioni scolastiche (allora ancora in funzione). È stato un esperimento interessante. Insegnavo al PICAI, il sabato mattina, e mi ero resa conto che i libri che ci venivano dall’Italia non erano adatti ai nostri ragazzi, la cui conoscenza dell’italiano standard era ridotta. Ciò che era comprensibile per i ragazzini di dieci anni, a livello di vocaboli noti, di grammatica, di sintassi, di stile, si trovava nei libri per la seconda elementare, che trattavano argomenti di nessun interesse per loro. Con un collega ho preparato dei testi per la III e la IV elementare: io mi sono occupata principalmente delle letture, lui della didattica. Abbiamo lavorato in accordo con le consulenti pedagogiche delle due principali Commissioni scolastiche, con le quali ci siamo impegnati a completare altri due volumi, per la V e per la VI. Nel frattempo il mio collega ha assunto altri impegni e ha potuto collaborare solo in parte al libro per la V. Ho poi scritto da sola quello per la VI.

 

Quale obbiettivo hai quando scrivi (racconti) per bambini?

 

Il mio obiettivo è di interessarli, di divertirli, aiutandoli a osservare la natura, a scoprire in se stessi e negli altri – sia coetanei che adulti – il desiderio e la capacità di fare amicizia, il gusto di fare qualcosa insieme.

 

Sei arrivata in Canada negli anni ottanta e sono più di vent'anni che non vivi in Italia. Hai già detto che non ti consideri immigrante. Ci puoi dire perché?

 

Non mi considero immigrante perché, in senso proprio, non lo sono: ho lasciato l’Italia per libera scelta e avrei potuto tornarci se lo avessi voluto. Non ho dunque mai avuto il problema della ricerca di identità, dell’insieme complesso di sentimenti (nostalgia, amore-odio, tendenza alla mitizzazione) che l’immigrato prova verso il paese che ha dovuto lasciare. Però una parte dell’esperienza dell’emigrante è stata anche la mia: non si strappano le radici da un luogo dove si è vissuti per quasi cinquant’anni, per trapiantarle in un altro paese, senza che sia necessario un periodo di adattamento.

 

Ti consideri a 'casa tua' in Canada?

 

Sì, lo dico senza esitazione. La tolleranza, la ricerca del compromesso per mantenere la pace, la franchezza e la semplicità che ancora caratterizzano il Canada (benché, mi sembra, a un livello inferiore di quando vi sono arrivata) mi sono più congeniali di ciò che vigeva in Italia quando l’ho lasciata, e che credo sia ancora attuale: la litigiosità diffusa, il complesso di superiorità di tutti verso tutti che porta gli individui a costruirsi e a difendere personali regole di comportamento.

 

Cosa ti manca di più dell'Italia?

 

L’estate. Vengo dall’Italia settentrionale, e non penso dunque ai lunghi periodi di caldo e di sole di quella meridionale e delle isole, ma quando arrivava giugno si poteva essere certi di avere almeno due mesi di “bello stabile”, un giorno dopo l’altro. Ma questo era vent’anni fa, forse entra in gioco anche il fatto che avevo vent’anni di meno …

 

Cosa hai 'avuto' essendo ora stabilita in Canada che non avresti mai avuto o vissuto se fossi rimasta in Italia?

 

Be’, ho avuto la possibilità di ricominciare da capo, in un certo senso.

Sono partita per accompagnare i figli adolescenti che venivano a studiare qui: questa è stata l’occasione, e soltanto in seguito si è deciso il trasferimento. Loro andavano all’università, e ci sono andata anch’io. Allora in Italia c’erano sì dei corsi per adulti, ma nell’ambito della “terza età”: informazioni sulla salute, su come occupare il tempo libero … Qui mi sono ritrovata studente tra studenti, in un ambiente di giovani. Prima a Concordia e poi a McGill ho seguito l’iter completo del programma di Italian Studies, sino al PhD. Ho conosciuto persone stimolanti, professori e studenti; ho partecipato a concorsi organizzati da riviste letterarie quebecchesi, e diversi miei racconti – tradotti in francese- sono stati scelti per la pubblicazione. Mi sono messa in contatto con l’AICW (associazione scrittori italocanadesi), ne ho conosciuto parecchi membri, con alcuni dei quali si è stabilita una bella amicizia. Per la mia tesi sulla Letteratura italiana del XX secolo in lingua veneta sono andata in Italia dove ho incontrato e intervistato diverse persone, raccogliendo un ricco materiale e facendo una ancor più ricca esperienza di contatti umani.

Tutto questo non sarebbe avvenuto se fossi rimasta in Italia.

 

Parlaci un po' del tuo ultimo libro. La tua fede che ruolo ha nei tuoi scritti?

 

Il mio ultimo libro – Yoshua in italiano, L’Evangile en tableaux in versione francese – si discosta in certa misura da ciò che sono andata scrivendo per anni. Non è veramente un nuovo filone, avevo già scritto per i bambini una “vita di Gesù”, e tra le poesie di Con altre parole ce ne sono alcune di ispirazione religiosa.

Questo libro viene presentato dagli editori tra le opere di spiritualità; ogni capitoletto – non più lungo di una pagina e mezzo – descrive un episodio della vita del Cristo, permettendo al lettore di ritrovarcisi, come se vi assistesse. Non solo: pur senza togliere, senza cambiare niente di quanto si trova nei vangeli, ogni episodio è narrato dal punto di vista di uno dei protagonisti, nel quale il lettore può identificarsi. Benché lo si possa leggere tutto in meno di un’ora, non incoraggerei nessuno a fare così, a meno che chi legge fosse interessato soltanto a vedere che cosa di nuovo si sia potuto dire sulla vita di Cristo. È piuttosto un libro da leggere un poco alla volta, un capitoletto alla volta, come aiuto alla preghiera personale.

Non è facile parlare della propria fede senza banalizzarla, senza ritrovarsi nelle frasi fatte. La fede è un dono, che sta a noi accettare o rifiutare. Ciò che posso dire è che la dimensione del sacro è una parte di ciò che sono; è un cammino piuttosto che uno stato, un cammino non sempre cosciente, alimentato dalla vita stessa, da ciò che succede, dalle persone che si incontrano, dalla propria reazione a tutto questo.

Dal momento che riconosco la “fede” come parte di ciò che sono, è evidente che essa entra in quello che scrivo, ma solo occasionalmente in modo esplicito. Nella maggior parte dei casi è l’ordito su cui si intrecciano i fili della trama: il modo di guardare alla vita, ciò che vi dà senso.

 

Quale scrittore o scrittrice preferisci leggere? Quale ti ha ispirato?

 

Se devo dire un nome solo, questo è Italo Calvino. Il suo stile è chiaro ed essenziale; nei suoi scritti la dimensione fantastica è spesso presente, così come l’osservazione empatica degli esseri umani. Leggo moltissimo, e la narrativa che preferisco è appunto quella in cui ritrovo queste caratteristiche.

 

Che consiglio daresti a un(a) giovane che ha la passione di scrivere e che vorrebbe farlo come professione?

 

Al giorno d’oggi in cui sembra che il numero di chi scrive aumenti in proporzione inversa a quello di chi legge (di chi legge poesia e narrativa, intendo) penso che il consiglio debba essere: credi in te stesso, non scoraggiarti, prova e riprova, perché è scrivendo che si impara a scrivere. Naturalmente parlo di scrivere e non di pubblicare, perché sappiamo tutti che in questo secondo campo impera la legge di mercato…

 

Cosa potrebbe fare la nostra comunità italiana in Canada per migliorare le condizioni o lo statuto dello scrittore?

 

Non vedo un ruolo della comunità italiana (di qualunque comunità, se è per questo) nel “migliorare le condizioni o lo statuto dello scrittore”. Ciò che fa di uno che scrive uno “scrittore” non è la lingua in cui si esprime, o l’argomento di cui tratta (l’esperienza di emigrazione, per esempio), ma ciò che ha da dire, e come lo sa dire. Certo, essere appoggiati da una associazione, da una “comunità”, specialmente agli inizi, quando è necessario farsi conoscere, può essere importante, e ben vengano le iniziative in questo senso. Ma poi bisogna buttarsi nel mare grande, e nuotare da soli.

 

Ti consideri scrittrice italiana, canadese, quebecchese o …? Perché?

 

Mi considero “scrittrice italiana”, e non solo perché l’italiano è la lingua in cui scrivo. Ho vissuto in Italia per molti anni della mia vita: gran parte dei miei ricordi vi appartengono. Sono cresciuta là, mi ci sono formata, vi ho conosciuto persone che si sono rivelate importanti per le mie scelte future. La mia amica più cara, conosciuta negli anni dell’adolescenza, è italiana. In Italia mi sono sposata, là sono nati i miei figli. È la terra dei miei affetti, non so se sarei ciò che sono se fossi cresciuta in Nordamerica.

 

Cosa stai scrivendo ora? Quali sono i tuoi progetti futuri?

 

Non sono in un periodo particolarmente creativo. Sto scrivendo poesia, sto cercando una forma nuova, non so ancora quale sarà l’esito. Ho tirato fuori “dal cassetto” materiale che vi giaceva da lungo tempo, sto tentando strade diverse per farlo pubblicare. Qualche casa editrice si è detta interessata a valutarlo, aspetto le risposte, so che non bisogna avere fretta. Mi occupo di traduzioni (dall’inglese e dal francese in italiano), è una cosa che mi piace molto, è comunque qualcosa di creativo.

 

 

 

 

1 gennaio 2007

 

LETTERATURA CANADESE E ALTRE CULTURE

 

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