DUE LIBRI, UNA PAGINA (40)

Letture di Fabio Brotto

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Mi viene in mente un concetto di T. S. Eliot, secondo cui la poesia “is not a turning loose of emotion, but an escape from emotion; it is not the expression of personality, but an escape from personality” (sta in Tradition and the Individual Talent, che apre la raccolta dei Selected Essays 1917-1932, Harcourt, Brace and Company, New York 1932, a pag.10 – ci sono arrivato grazie ad una segnalazione del prof. Thomas F. Bertonneau, che mi faceva presente come Tradition and the Individual Talent anticipi alcune intuizioni di René Girard). Questo concetto mi viene in mente nel leggere una pagina del romanzo di Pär Lagerkvist Pellegrino sul mare (Pilgrim havet, 1962, trad. C. G. Cima, Iperborea, Milano 1999, 6ªed.). Pellegrino sul Mare è un romanzo breve e straordinariamente ambizioso, che cerca di coniugare lirismo e concettosità nello sforzo di creare una metafora della condizione umana: della sua tensione ad un Altrove che sempre sfugge, ad un Assoluto che forse non esiste ma attira a sé gli umani. Le ambizioni di Lagerkvist non approdano mai al capolavoro, e tuttavia l’autore mi è simpatico perché la sua ricerca è genuina. O, almeno, egli dà l’impressione di essere insoddisfatto, il che mi sembra giusto e sacrosanto. Lagerkvist non è originale, e sa di non poter esserlo. In fondo, ciò che la sua opera dice non è forse ciò che dice il mainstream dell’arte occidentale novecentesca? Che il senso della vita non c’è, o che al massimo sta nella ricerca di un senso.

Il nucleo di Pellegrino sul mare, storia del viaggio per mare di un uomo, Tobias, che vuol raggiungere la Terra Santa su di una nave pirata - è costituito dalla lunga confessione di Giovanni, un altro uomo – un ecclesiastico - che ha vissuto una devastante, romantica e deludente passione amorosa. Le sue parole sulla grande menzogna dell’amore-passione mi piacciono assai.

 

La nostra relazione era fin dall’inizio co­struita su errori, falsità e inconsapevoli o consa­pevoli menzogne, ancor più di quanto non lo sia l’amore in generale. La passione che diventa abitudine è, da questo punto di vista, più onesta e leale, in quanto ci si dice vicendevolmente la verità e ci si aiuta a distruggere le reciproche illusioni, anche se spesso in modo crudele e brutale. Il rapporto fra i due esseri umani si fa più sincero e leale via via che l’amore diminui­sce. Può sembrare amaro, ma purtroppo è così.

In compenso, la nostra falsità verso il mondo esterno aumentava, eravamo costretti a mentire sempre più per nascondere il nostro segreto. È straordinario quanto si debba men­tire una volta che si è incominciato. Come si debba aggiungere menzogna a menzogna che lo si voglia oppure no, fin quando non si rimane circondati da una rete ingarbugliata di bugie e di mezze verità che non si è più capaci di sbro­gliare E come si sia costretti a mentire su cose di nessuna importanza, o che non hanno nulla a che vedere con l’autentica grande menzogna. La grande menzogna originaria può essere fa­tale e necessaria, ma le menzogne che si trascina dietro sono spesso straordinariamente ridicole e insignificanti.

 

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Ho letto il romanzo di Kate Chopin Il risveglio (The Awakening, 1899, trad. C. Costa, Marsilio, Venezia 1993) sollecitato dal testo di Peter Koper sulle immagini di Afrodite, La ragazza presso l’acqua  (http://www.bibliosofia.net/files/Aphrodite.htm ). Il risveglio è la storia di una giovane (e ovviamente bellissima, c’è poco spazio in letteratura per le donne men che belle, e su questo bisogna sviluppare una ulteriore riflessione) moglie di uomo ricco, indaffarato, banale e soddisfatto. Non è Charles Bovary lui, né lei la sua romantica e pre-consumista Emma. Lei è una donna che ha due bambini che non ama troppo, con lunghe vacanze al mare, con un marito molto assente. Un giorno impara a nuotare in mare e nel far ciò le si manifesta qualcosa come un inatteso splendore, il suo risveglio, una possibilità di vita autonoma. Vorrà, da quel giorno, essere se stessa, e non più un ruolo sociale e un’appendice del marito. Rivelatrici le parole che rivolge al suo amore impossibile, un giovane sensibile ma legato ad un codice cavalleresco di onore e decoro, quando lui le prospetta la propria speranza di una rinuncia formale del marito ai diritti su di lei.

 

Lei gli prese il volto fra le mani, e io scrutò come se non avesse voluto più distoglierne lo sguardo. Lo baciò sulla fronte, sugli occhi, sulle guance, e sulle labbra.

«È stato un ragazzo molto, molto sciocco, a perdere tempo sognando cose impossibili, quando parla del si­gnor Pontellier che mi lascia libera! Io non sono più una delle proprietà del signor Pontellier, di cui egli possa disporre o meno. Io mi do quando e dove lo de­cido io. Se dovesse dire, “Ecco, Robert, la prenda e sia­te felici; lei è sua”, io riderei di entrambi». (p. 178)

 

Si capisce quindi perché questo libro sia molto piaciuto al femminismo storico americano. E tuttavia la presa di coscienza di Edna Pontellier, che la porta a rompere col marito, ad andare a vivere per conto proprio, a cercare di realizzarsi nella pittura, è fortemente limitata dall’eros,  è oscillante tra romanticismo e sensualità. Il corpo femminile, la cui liberazione è stata la bandiera del femminismo storico, rimane sempre un corpo estetizzato, che vale in quanto concupiscibile, sia che si conceda al desiderio maschile sia che si sottragga ad esso. Tra l’amato Robert e il goduto Arobin si consuma una scissione predestinata. Negato il matrimonio e la sua legge, rimane la dialettica tra amore liberato e piacere liberato. Incapace di trovare una forma stabile, Edna non può che tornare al mare, a dissolversi nell’informe di cui ha sentito il richiamo.

 

1 gennaio 2004

DUE LIBRI