La dualità di Caterina Edwards: tra Italia e Canada

Egidio Marchese

emarchese@primus.ca

 

La teoria del “doppio,” che contempla la coesistenza di opposti o affini elementi, o personaggi con una doppia personalità, ha un raggio d’applicazione vastissimo.  L’ultimo convegno interdisciplinare su “Il Doppio” organizzato nel 2004 dall’Associazione culturale italiana “Premio Capri dell’Enigma” (http://www.caprienigma.it/precedenti.html) viene presentato in questi termini:

Il concetto di doppio trova [...] una sua espressione in [...] molteplici forme interessanti le più diverse discipline: la letteratura, l’architettura, la pittura, la psicoanalisi, la psicologia, la semiologia. 

Il doppio è poi evocativo di immagini di forte significato: lo specchio, il pensiero laterale, il doppio gioco, il doppio ruolo, lo spionaggio, la menzogna, l’omonimia, lo pseudonimo, senza dire dei doppi in matematica e in geometria, nella poesia e nella musica, nel teatro e nel cinema, nella mitologia, nella biologia, nell’astrologia: sono “doppi” per affinità o per contrasto, per somiglianza o per contrapposizione.

La teoria del “doppio” è studiata particolarmente in Canada, dove la vasta presenza di immigrati testimonia l’esperienza di un critico sdoppiamento d’identità a livello individuale e collettivo.  Uno dei primi critici del “doppio” è il poeta e critico Eli Mandel, autore del saggio “Ethnic Voice in Canadian Writing” del 1977.  Il suo pensiero è citato e condiviso da Linda Hutcheon (Splitting Images, 49):

“Eli Mandel noted that doubleness, even ‘duplicity’, was what all immigrants live and grapple with daily (Mandel, 265).  The literature that comes out of this experience itself exists at ‘the interface of two cultures’: ‘a form concerned to define itself, its voice, in the dialectic of self and other and the duplicities of self creation, transformation, and identities’ (274).”

[“Eli Mandel osserva che il doppio, anche la ‘doppiezza’ è ciò con cui hanno a che fare giornalmente gli immigrati (Mandel, 265).  La letteratura che emerge da questa esperienza esiste essa stessa nel ‘contesto di due culture’: ‘una forma preoccupata di definire se stessa, la sua voce, nella dialettica tra sé e l’altro, e le dualità della propria creazione, trasformazione e identità’ (274).”]

Da parte sua la Hutcheon, che studia il doppio anche nell’arte (Double-talking), afferma che l’ironia è la migliore arma strategica degli immigrati per negoziare la propria cultura con quella predominante della maggioranza, perché “irony is one way of coming to terms with this kind of duplicity, for it is the trope that incarnates doubleness.” (Splitting Images, 49). [“l’ironia è un modo di fare i conti con questa specie di ‘doppiezza’, perché è il tropo che incarna la dualità.”]  Pure importante è l’articolo di Joseph Pivato dal titolo significativo “The Other as Double: Italo-Quebecois Writers.”  [“L’Altro come Doppio: Scrittori Italo-Quebecchesi.”]  Citiamo pure Antonio D’Alfonso, che affronta il problema del “doppio” sia nei suoi saggi In Italics, che nelle sue poesie The Other Shores.

La teoria del “doppio” diffusa nella letteratura italo-canadese è preminente anche in Caterina Edwards.  Leggiamo nel “Dialogue. Caterina Edwards in conversation with Jacqueline Dumas”:

C. E. – … Rereading your novel [Madeleine and the Angel] I felt emotionally that Maria Goretti and Pauline fonction as different sides of the same person. […]

J. D. – That’s exactly right. The way the father is both the angel and the devil.

C. E. – Eli Mandel wrote an article once on how doubles are a particular concern of ethinic writers.

J. D. – Certainly. In The Lion’s Mouth, for example Marco is Bianca’s dark side.

C. E. – An ineffectual one.

J.D. – Morally and emotionally weak. He literally has no stomach.

C. E. – Hard not to read that symbolically. […] (“Dialogue”, 110-111).

[C. E. – ... Rileggendo il tuo romanzo [Madeleine and the Angel] ho sentito emotivamente che Maria Goretti e Pauline sono configurate come due aspetti di una stessa persona. [...]

J. D. –  È esattamente così. Allo stesso modo il padre è insieme l’angelo e il diavolo.

C. E. –  Eli Mandel una volta scrisse un articolo su come i doppi siano di particolare interesse agli scrittori etnici.

J. D. Certamente. In The Lion’s Mouth, per esempio, Marco è il gemello oscuro di Bianca, la parte italiana di lei.

C. E. –  Una parte inefficiente.

J. D. –  Moralmente ed emotivamente debole. Letteralmente non ha stomaco.

C. E. – È difficile non leggere questo simbolicamente. [...]

Nello stesso “Dialogue” si mettono ancora a confronto i personaggi maschili di Caterina Edwards “deboli” e i personaggi femminili “forti”:

J. D. – You often have male characters who take out their frustration in violence.  Your female characters don’t.  They tend to be verbal, capable, efficient.  The men are ambiguous, confused, and as I mentioned before, weak, though physically strong.

C.E. – The novel I’m working on now has the same pattern: a weak man and a capable and strong wife. (He can’t adjust to a new country while she is a success at forging a new life.)  But I don’t know where  that pattern comes from.  I don’t think I see all male and female relashionships in that light.  I hope not.

J. D.  Tu spesso hai creato dei personaggi maschili che sfogano la loro frustrazione con la violenza.  I tuoi personaggi femminili non sono così. Loro tendono ad essere discorsivi, capaci, efficienti.  Gli uomini sono ambigui, confusi e come ho detto prima deboli, anche se fisicamente forti.

C. E. –  Il romanzo su cui sto lavorando adesso ha lo stesso modello: un uomo debole e una moglie capace e forte. (Egli non riesce ad adattarsi a un nuovo paese, mentre lei riesce a forgiarsi una nuova vita).  Ma non so da dove viene quel modello.  Non credo di vedere tutte le relazioni di uomini e donne sotto quella luce.  Spero di no.

Esaminiamo in Caterina Edwards la dualità degli opposti e il confronto fra uomini e donne.

*     *     *

Caterina Edwards ha una dualità di nascita, di sangue e di cultura: di madre italiana e padre inglese.  Emigrata in Canada all’età di otto anni, vive un’esperienza di contrasti ch’è riflessa nelle sue opere.  Protagonista di The Lion’s Mouth è Caterina-Bianca.

I contrasti in Canada all’inizio sono penosi e intensi.  Spogliata di tutto, Bianca si trova sola dinanzi allo sterminato e desolato spazio della prateria.  Oltre al contrasto spaziale della lontananza e  quello temporale tra il passato e il presente, ci sono i contrasti sociali e culturali alienanti: la lingua, la scuola, il lavoro, diversi usi e costumi.  Bianca a volte è anche imbarazzata della madre, che stona nell’ambiente canadese. I contrasti familiari tra figli e genitori sono spesso drammatici fra gli immigrati, come in Black Madonna di Frank G. Paci o nel saggio di Joseph Pivato La famiglia smembrata.

In The Lion’s Mouth, tuttavia, i contrasti appaiono meno traumatici.  Infatti, Bianca torna spesso a Venezia presso i parenti durante le vacanze estive.  Poi i suoi genitori sono abbastanza colti, capaci di apprendere l’inglese presto e negoziare meglio i rapporti sociali.  I conflitti si concentrano di più nel rapporto di Bianca col cugino Marco che sta a Venezia e di cui lei è innamorata.  Emerge allora anche un allucinante doppio senso della distanza: “I sense you close behind me, just out of reach. But at the same time, I am overwhelmed by the distance between us.” (11).  [“Ti sento vicino dietro me, a portata di mano. Ma allo stesso tempo, sono sopraffatta dalla distanza fra di noi.”]  Nel rapporto tra Bianca e Marco, lei nuova canadese e lui italiano, si esprime simbolicamente il conflitto tra Venezia e Edmonton, tra il vecchio e il nuovo mondo.  Un conflitto di attrazione e di perdita, una crisi di amore e di identità. Marco viene considerato come il doppio di Bianca, l’oscuro fratello gemello inefficiente, la sua parte debole italiana.

Ecco come il conflitto emblematico tra Venezia e Edmonton viene descritto da Caterina Edwards:

[...] a cycle of longing and loss […]  In Edmonton we were buffered by trees and lawn. Here [in Venice], everything and everyone was closer, louder, brighter. […]   Although I look stereotypically Venetian with my red hair, long face, and heavy-lidded eyes, the way I dress and move (hesitantly, unobtrusively) is Canadian.  At home and not at home.  […Venice] has been a symbol of decadence, death, and dissolution. [...]  Visiting Venice is such a sensual delight [...]  Home is a feeling, a haven, a cage, a heaven, a trap, a direction, an end, and the generator of more metaphors than Venice. [...]  Edmonton in Venice and Venice in Edmonton: in each place, I feel the presence of the other.  Nostalgia is always double, double presence and double absence.  (“Where They Have to Take You In”, 100-104). 1

[... un ciclo di desiderio e di perdita [...]  In Edmonton eravamo protetti da alberi e prati. Qui [a Venezia] tutti erano più vicini, più a voce alta e più brillanti. [...]  Benché io sembri un tipo stereotipato di veneziana, coi capelli rossi, un viso lungo, le forti palpebre, il mio modo di vestire e di muovermi (esitante, senza ostruire) è canadese.  A casa e non a casa.  [...Venezia]  era stata un simbolo di decadenza, morte, e dissoluzione [...]  Visitare Venezia è un tale piacere sensuale [...]  La casa è un sentimento, un santuario, una gabbia, un paradiso, una trappola, una direzione, una meta, e una fonte generatrice di più metafore che Venezia [...]  Edmonton a Venezia e Venezia ad Edmonton: in ciascun luogo, un senso di presenza dell’altro.  La nostalgia è sempre doppia, doppia presenza e doppia assenza.] 1

Vediamo come la teoria del “doppio” si applica a The Lion’s Mouth. Appare subito postulata nel Prologo.  Bianca annuncia che vuole scrivere la “verità” su Marco, mentre nei precedenti tentativi era finita con lo scrivere “falsità” (12). Ora, nel rapporto verità-falsità si annidano esattamente varie sfumature del doppio, secondo R.D.  Laing citato da Eli Mandel (Mandel, 58):

“Between such ‘truth’ and a lie there is room for the most curious and subtle ambiguities and complexities in the person’s disclosure/concealment of himself…” (Laing,120-121).  [“Tra tale ‘verità’ e una menzogna c’è posto per le più curiose e sottili ambiguità e complessità di una persona nello scoprire/celare se stessa...” ]  Nello stesso passo Laing menziona varie forme di doppi bugiardi: isterici, attori, ipocriti, impostori ecc.  La “menzogna,” è definita una delle “immagini di forte significato” evocative del doppio nella presentazione del convegno su “Il Doppio” citata sopra.2 La Edwards pare che giochi sull’ambiguità di verità-falsità, fin dall’inizio quando riporta nel frontespizio la citazione: “La Falsità non dico mai mai  ma la verità non a ognuno.” (The Lion’s Mouth, 7).  [La citazione è di Paolo Sarpi (Venezia 1552-1623) come indicato nella prima edizione NeWest Press, ma è attribuita erroneamente a Goldoni nell’ed. Guernica.]

Poche pagine dopo appaiono altre parole evocative, come la menzogna, del doppio: lo specchio o il riflesso.  Marco osserva dalla finestra la piazza, era piovuto e appare riflessa nel suolo la doppia immagine (“double images”) della cattedrale e anche il riflesso del campanile (“its reflection”). (16). Nella stessa pagina, la veduta di Venezia appare ad Adolfo e a Marco in modo opposto. Il primo dice “It fades”, “svanisce,” e l’altro risponde: “it’s never faded for me.” (16)  [“non è mai svanita per me.”]   Nella pagina seguente i due hanno entrambi un’espressione nel viso diversamente duplice: “The facial expression [of Adolfo] was friendly but there was a tinge of criticism, an undertone of threat to the words. Marco allowed his face an ironical twist.” (17)  [“L’espressione del viso [di Adolfo] era amichevole, ma c’era un tocco di critica, un sotto-tono di minaccia nelle sue parole. Marco atteggia il viso a una torsione ironica.”],  e ricordiamo che per la Hutcheon l’ironia “is the trope that incarnates doubleness.” [“è il tropo che incarna la dualità.”]

Ancora l’ironia in queste stesse pagine torna a sviluppare la sua intrinseca forma del doppio, quando - come nota divertita Jacqueline Dumas nel “Dialogue” con Caterina Edwards – l’architetto Marco si oppone ad un progetto di costruzione nel Lido, in opposizione a Adolfo e Raponi favorevoli al progetto, ch’era contro la natura, mentre hanno addosso una colonia “Vidal’s Pino” che evocava (artificialmente) l’odore dei pini e della natura. (19).  È tutto quasi un isterismo di doppi: Marco contro gli altri due, e ciascuno contro se stesso.3

Fin dall’inizio troviamo ugualmente come doppio l’altro tema della sensibilità decadente e malata di Marco, che viene assimilato a Venezia che “svanisce” e muore. L’espressione di Alfonso: “the Lido is dead. A cadaver.” [“il Lido è morto. Un cadavere.”] è attenuata da Marco: “Lido may be démodé...”  [“Lido può essere démodé...”] (16).

 Nello sviluppo della storia, l’esperienza dei conflitti di Bianca in Canada è penosa.  Tuttavia, la bambina viene descritta con quella leggerezza poetica che si addice sempre al mondo dell’infanzia.  Nell’autobus della scuola è attenta a non attrarre l’attenzione su di sé, per non svergognarsi, ma ad una curva viene sballottata e cade in mezzo ai bambini che ridono.  Fraintende l’inglese della maestra e porta a scuola  non dei bei nastri, come gli altri alunni, ma dei banali lacci di scarpe. Nel cortile viene esclusa dal cerchio delle altre bambine che giocano, perché era una immigrata dislocata (“displaced person”), non sapeva neanche pronunciare in inglese Th, dicendo Di.  In seguito a Venezia, da adolescente, Bianca soffre di non pronunciare bene le parole italiane, “the words in my tongue were English.” [“le parole nella mia lingua erano inglesi.”] (123).  Si sforza davanti uno specchio – lo “specchio” immagine evocativa della duplicità – per esercitare i muscoli della faccia, una maggiore apertura della bocca per le parole italiane, una maggiore chiusura per le parole inglesi più strette.

Lo specchio appare anche in una scena doppiamente duplice, quando Elena fa il trucco a Bianca: lo specchio duplica l’immagine di Bianca che viene duplicata dal trucco, prima nella parte destra del viso e poi nella sinistra (173-74). Anche la “maschera” è un’immagine allusiva del doppio. A un certo punto Bianca si sente in accordo con la sua amichetta canadese Jody e in accordo con se stessa:  “With Jody, for the first time, I sensed how the two halves of my life could meet, the mask and the self fuse.”  [“Con Jody, per la prima volta, sentii come le due metà della mia vita potessero incontrarsi, la maschera e il mio io fondersi”] (122).  Tuttavia resta in lei la diffidenza.  Quello che fa soffrire di più Bianca è la mancanza di armonia cogli altri, la maschera della duplicità.  Perciò supplica la madre di non farle indossare i suoi eleganti abiti italiani. Vuole vestire come gli altri, coi jeans, le scarpe di plastica lucida, i giubbotti da sci.  La madre si oppone  e reagisce con disgusto: “Do you want be like one of these Canadians?” [“Vuoi essere come una di queste canadesi?”] (113), cioè senza stile, senza buone maniere e senza senso?   Inevitabilmente Bianca passerà attraverso la fase di essere metà e metà, italiana e canadese, cioè né l’una né l’altra, ma un doppio imperfetto e in conflitto.  Perciò cerca di camuffarsi: “camoufflage” (117), altra figura evocativa del doppio.

 Se in Caterina Edwards la descrizione dei bambini è poetica, la descrizione della madre di Bianca è da commedia.  Lei è orgogliosa di appartenere alla borghesia di Venezia, dove aveva pure amicizie coi nobili, e disdegna i canadesi. In Canada ha conflitti d’identità; lei ch’era quella istruita della famiglia ora fa la cameriera (un ruolo che la umilia) e poi lavorerà in ufficio.  Anche i “doppi ruoli” sono evocativi della duplicità.  Assistiamo al confronto-contrasto con la famiglia canadese di Jody, “a model of calmness and rationality.” (118).  [“un modello di calma e di razionalità”].  Questo modello è lo stesso del marito canadese di Marie in Black Madonna di Frank Paci.  I genitori trattano Jody con rispetto, come un’adulta.  Tutti fanno attività sportive.  Mangiano specialità di cibo canadese già confezionato o in barattoli, che la madre disdegna, ma piace a Bianca.  In quella ricca e altolocata famiglia tradizionale canadese, il padre si era fatto da sé, dalla miniera di carbone era diventato un avvocato ricco e famoso.  Il Canada è un mito: ossia, come dice Jean Boudrillard dell’America, è una “utopia achieved” [utopia realizzata] (Boudrillard, 75); il padre di Jody afferma: “It’s a good country this. No limits.  You can make yourself. Country of the future.” (The Lion’s Mouth, 119).  [È un buon paese questo. Senza limiti. Ti puoi fare da te. Paese del futuro.]  Questo stesso mito del Canada viene celebrato, abbastanza ironicamente, nel romanzo Taj John (1939) di  Howard O'Hagan, il primo importante scrittore canadese del West.  Caterina Edwards ci mostra la mamma italiana e la mamma canadese sedute nel salotto faccia a faccia, con contrastanti atteggiamenti.  Una commedia di contrasti sottilmente ironica e divertente.

Ma i contrasti tra il vecchio e il nuovo mondo sono anche drammatici, più sulla scena italiana, che quella canadese.  Personaggio drammatico è Marco, che vive a Venezia: la Venezia decadente “with those deserted, rotting palaces” (37)  [con quei palazzi deserti che marciscono], Venezia col Carnevale dalle maschere della duplicità e della doppiezza. Come non ricordare l’atmosfera di Morte a Venezia di Thomas Mann?  Marco e Venezia si identificano in un pensiero collaterale. Marco è malato allo stomaco, il figlioletto Francesco è malato al cuore, c’è il senso di una malattia di geni ereditaria, una corruzione e una degenerazione.  Una decadenza storica progressiva: “Since Venice’s decline in the eightheenth century, the city has been a symbol of decadence, death, and dissolution.” (“Where They Have to Take You In,” 103).  [“Dal declino di Venezia nel diciottesimo secolo, la città à stata un simbolo della decadenza, di morte e di dissoluzione.”]  Il grande maestro del decadentismo del secolo scorso, Thomas Mann, rappresenta la decadenza fisica e morale, come questa di Marco e di Venezia, in un sanatorio di tubercolosi nella Montagna incantata, dove pure si discute la dualità tra la fede nel progresso e lo scetticismo.  La dualità in The Lion’s Mouth è tra il vecchio mondo decadente che muore e il nuovo mondo canadese.  La morte a Venezia risuona come un’eco per tutto il romanzo ancora nelle parole di Elena: “Venice is dying. There’s no hope for her anyway.”  [“Venezia muore. Non c’è alcuna speranza per lei.”] (44).  E poco prima, in un pensiero laterale, aveva detto a Marco, giocando da bambini: “‘Murder’ […] ‘You’re dead, silly’ – her fingers tightening on his throat.” (40).  [“Assassino [...] ‘Sei morto, sciocco’ - mentre le sue dita si stringevano alla sua gola.”]

Tarquinio, il fratello di Marco, prima di sposarsi voleva emigrare, poi si rassegna e resta.  “I was disperate to leave Venice – to leave Italy.  I felt if I could just get away from the family, the class system, the useless, endless politics, the rot.”  [Volevo disperatamente partire da Venezia, partire dall’Italia. Sentivo di poter semplicemente abbandonare la famiglia, il sistema classista, le azioni politiche inutili e senza fine, il marcio.”] (53).  Tarquinio lotta per un rinnovamente contro “il marcio,” è comunista e ammira Gramsci, come pure Marco ed Elena.  Ma le azioni politiche, dice Tarquinio, risultano “inutili.” Fallisce pure l’azione dei giovani studenti brigatisti di Venezia negli anni settanta, gli anni di “piombo”.  Secondo Jean Baudrillard: “The confrontation between America and Europe reveals […] a whole chasm of modernity. You are born modern, you do not become so. And we have never become so.” (Baudrillard, 73).  [“Il confronto tra l’America e l’Europa rivela [...] un intero abisso di modernità. Moderni si nasce. Non lo si diventa. E noi non lo siamo mai diventati.”]

Il Canada, contrapposto all’Italia, offre la rinascita di una nuova vita dopo la disintegrazione. Questo processo di morte e rinascita è un tema di Caterina Edwards che, nel suo “Dialogue” con Jacqueline Dumas, asserisce: “So we are both concerned with the process of disintegrating and starting again.” (“Dialogue,” 110 ).  [“Dunque siamo tutt’e due interessate al processo di disintegrazione e ricominciare di nuovo.”]  Infatti Jacqueline Dumas, parlando del suo personaggio Pauline, dice: “The only way she can find herself is to reject everything and start anew. It is almost like a positive disintegration.” (110). [“Il solo modo per lei di ritrovare se stessa è di rigettare tutto e ricominciare daccapo. È come una positiva disintegrazione.”]  Troviamo questo in un importante punto di svolta della vita di Bianca, quando si sente rigenerare dentro di sé insieme al cambiamento della natura tra l’inverno e la primavera:

The snow was in retreat, exposing last year vegetation, last year garbage. Still, underneath the rot, there was a bracing tang, not yet a new beginning but the potential, the ready fertility of that earth. (The Lion’s Mouth, 66).  [La neve si ritraeva, esponendo la vegetazione dell’anno scorso, I rifiuti dell’anno scorso. Eppure, sotto c’era un forte rinvigorante odore, non ancora un nuovo inizio, ma uno potenziale, la pronta fertilità di quella terra.]

Bianca fa all’amore con Jack, il suo nuovo amico che le insegna a conoscere e amare il Canada: “I feel confortable, at home in the deepest sense: my house, my city.” (60).  [Mi sento ad agio, a casa nel senso più profondo: la mia casa, la mia città].  Ama anche la sconfinata distesa della prateria, che all’inizio l’aveva angosciata: “that sense of the wild has become necessary to me.” (60).  [quel senso della natura selvaggia mi è diventato necessario.]  Anche quando si lascia con Jack, (per le sue origini ucraine a lei estranee), il Canada è la sua nuova patria.  Tuttavia ha sempre in bocca le parole di Goldoni (7):

Da Venezia lontan tresento mia [trecento miglia]
No passa dì che no me vegna in mente
El dolce nome de la patria mia,
El linguazo e i costumi de la zente.

(Carlo Goldoni)

Nelle opere di Caterina Edwards in generale i personaggi accettano di rimanere in Canada, mentre l’Italia per lo più diventa un nostalgico sogno d’amore. Ma spesso è anche un incubo da cui fuggire, anche se nel ricordo rimane poi un odio-amore. Quando ne I Promessi Sposi Renzo fugge da Milano, passata l’Adda si volta indietro e dice: “Sta lì, maledetto paese,” (Manzoni, Cap. XVII, 327-28) una bestemmia di addio alla patria.  Questo stesso sentimento si trova nel racconto “On the Plate” [Su un Vassoio] dove Fulvia rigetta ogni memoria della Sicilia (then there, allora lì) e vive bene una nuova vita intraprendente in Canada.  Il marito vorrebbe tornare in Sicilia, ma lei rimane ostile. “Sta lì, maledetto paese.” Quello che rende più intensa la sua avversione, è la ragione nascosta del suo odio.  Sappiamo solo che era di una famiglia molto ricca.  Si intuisce in brevi cenni il suo bisogno di libertà, la fuga dall’oppressione religiosa, dagli addobbi delle chiese barocche, il culto di Sant’Agata mutilata e martire, la Sicilia sonnolenta e tragica. In un altro racconto, “Everlasting Life” [Vita Eterna], appare ancora la Sicilia sotto il segno della morte. Anche qui Patrizia era fuggita dall’oppressione sociale, trova libertà e indipendenza in California.  Torna brevemente per accudire alla madre vecchia e malata, con la quale poi scappa via subito nuovamente.  Non c’è un ritorno al mondo della madre come in Black Madonna. “Sta lì, maledetto paese.”  Nella commedia Homeground, Maria e i giovani coinquilini a casa sua in “terra straniera” (titolo originario dell’opera) soffrono tutti l’angoscia della solitudine.  Cesare era tornato per sposare Maria senza che neanche si conoscessero, disperato e solo.  Anche i giovani sono soli senza una donna; uno di loro viene anche lasciato dalla ragazza con cui era in corrispondenza in Italia, ancora una volta tradito dall’Italia.  Egli quando alla fine torna commette il suicidio.

Tra l’Italia e il Canada c’è un contrasto di comportamento.  In Italia l’esuberanza emotiva rende l’individuo apparentemente più estroso, mentre il modello canadese è quello di un maggiore controllo di calma e razionalità, “calmness and rationality.” (The Lion’s Mouth, 118).  Ma Caterina Edwards nel “Dialogue” asserisce che in realtà i canadesi hanno una maggiore libertà di comportamento, sono più originali e meno prevedibili, più capaci di uscire da predesignati ruoli.

C. E - Sometimes in Europe, I feel that I don’t have enough space.

J. D. – In many of your scenes, like the family meal at Tarquinio’s, everyone is playing a role. You seem to be saying that people here are allowed more freedoom in their roles.

C. E – I think they do have more freedom here. I think people in Italy do break out of their roles, but it involves more of a struggle because the family is so strong, and your position in the family is so important.

J. D. – I see that as a thread all through your work.  The importance of breaking out of the predictable, away from what is expected of you.

C. E – Yes. I don’t think I have entirely succeded at breaking out in my life. (“Duologue,” 112-113).

C. E. -  Alle volte in Europa ho la sensazione di non avere abbastanza spazio.

J. D. –  In molte tue scene, come la famiglia a tavola da Tarquinio, ognuno ha un proprio ruolo. Sembra che tu voglia dire che la gente qui abbia più libertà nei suoi ruoli.

C. E. –  Infatti penso che la gente qui abbia più libertà.  Penso che la gente in Italia esca fuori dai suoi ruoli, ma questo comporta una maggiore lotta perché la famiglia è così forte, e la tua posizione nella famiglia è così importante.

J. D. –  Vedo questo come una trama  in tutte le tue opere.  L’importanza di uscire da un ruolo, da quello che è previsto, fuori da quello che ci si aspetta da te.

C. E.  Sì.  Io non credo di essere riuscita del tutto ad uscire dalle convenzioni nella mia vita.

Si conferma quello che dicevamo degli italiani che emigrano perché oppressi dalle ristrettezze: carenza di spazio, di opportunità e di scelte.  Anche l’eleganza della moda italiana livella e conforma come nota Anna, la protagonista del racconto “Home and Away” che va in Italia con l’intenzione di rimanerci, ma torna poi in Canada.  Lei è canadese, scrive anche alla sorella di tenere i genitori “calm and rational” (90), secondo il modello canadese. (118).

Marco aspira ad essere un artista, di vivere con intensità la sua individualità.  Si era illuso di poter rivelare con l’arte nuovi aspetti di Venezia (“la luce, la fantasia”) (123): ma scopre di non riuscire ad essere originale e autentico.  Sembra che la grande arte, storia e cultura dell’Italia renda i cittadini vittime della loro stessa passata grandezza. “Moderni si nasce. Non lo si diventa” afferma Baudrillard citato sopra. Anche il sistema delle classi sociali non lascia spazio a nuove iniziative e opprime Tarquinio.  Elena dice: “Oh, Marco, it’s impossible to be flourishing on a personal level, only on that  level.” (39).  [“Oh, Marco, è impossibile rifiorire ad un livello personale, solo a quel livello.”]  Lei è una comunista rivoluzionaria e critica Tarquinio di essere solo un revisionista (90).  Paola invece è una borghese di alta classe e Marco oscilla tra le due donne, anche sessualmente, tipicamente ironico e inetto.  Anche la libertà sognata da Elena e dai suoi compagni brigatisti fallisce, collegata al “caos.” Gli studenti del professore Piero, capo brigatista, erano affascinati “expectantly not for the truth but for the latest approach to chaos”. (101)  [“in attesa non della verità ma dell’approccio finale al caos”.]  In contrasto a questo mondo Jack, il canadese innamorato di Bianca, quando vanno insieme a visitare l’Italia, si presenta pieno di “energy and enthusiasm;” appare “eccentric,” e sa che “in Venice no choices are individual and that his were” (64).  [“a Venezia non ci sono scelte individuali mentre le sue lo erano”.]     

I conflitti di contrasto tra uomini e donne sono un altro tema fondamentale.  Anche qui c’è molta ambigua dualità.  Gli uomini spesso sono più deboli delle donne e tuttavia sono i loro oppressori; le donne più forti sono invece le vittime.  La Edwards dice: “But I don’t know where that pattern comes from. I don’t think I see all male and female relationships in that light. I hope not.” (“Dialogue,” 112).  [“Ma non so da dove venga quel modello. Non credo di vedere tutte le relazioni di uomini e donne sotto quella luce. Spero di no.”] Certamente quell’atteggiamento viene dalla storia, dall’antica tradizione di oppressione della donna.  La grande femminista Christa Wolf, per esempio, scrive: “Mi ha interessato il momento in cui, con l'avvento della società patriarcale e gerarchica, l'espressione letteraria femminile sparisce per millenni." (Wolf, retro copertina). Principale caratteristica di Caterina Edwards è la sua lotta per l’emancipazione delle donne.  Testimonianza di questo sono le due antologie di life writing che lei ha curato insieme a Kay Stewart, dai titoli: Eating Apples. Knowing Women’s Lives  [Mangiare le Mele. Conoscere la Vita delle Donne], (1994) e poi Wrestling with the Angel. Women reclaiming their Lives  [Lottare contro l’Angelo. Donne che reclamano la loro Vita], (2001).  Viene data una voce alle donne che reclamano la loro vita.

“Entrapped Women: Edwards Short Stories” è il titolo di un saggio di Elizabeth Sarlo-Hayes.  Le donne sono intrappolate, infatti, a due livelli: donne immigrate in un paese straniero e donne oppresse dagli uomini e dalla società.  Nel racconto “Prima Vera,” Maria è perduta in Canada, sposata ad un uomo immigrato che neanche conosce. Appare subito la parola “obbedire”: “And Maria would obey him” e si mette in enfasi il suo sforzo “That is, she would try.”  [“E Maria avrebbe ubbidito.Cioè, avrebbe tentato.] (“Prima Vera,” 7).  Un uomo aveva le dita “proprietorial” [da padrone] sul suo braccio. (8).  Il marito “Cesare was so quick to anger, and she didn’t want to be called stupida, not again.”  [Cesare era così pronto all’ira, e lei non voleva essere chiamata stupida, non ancora].  Grossa, prossima a partorire, il medico la rimprovera in modo stereotipato: “Less spaghetti.” [meno spaghetti] e durante il parto, mentre lei invocava piangendo la madre, sola e perduta, sente l’infermiera che esclama con disgusto: “Italians!”

In “Everlasting Life” Maria, entrando nella stanza della madre vecchia e malata, coglie d’un tratto nel suo viso un’improvvisa espressione di terrore.  Aveva immaginato che tornasse il marito?  Ma è nel rapporto tra Marco e la moglie Paola che si articola maggiormente la debolezza dell’uomo e la sottomissione risentita della moglie, peraltro più forte di lui. Lei è in terra a ginocchioni davanti a lui, a pulire con uno straccio il pavimento con del latte versato; mentre lui la deride ironicamente.  Lei lo colpisce al ginocchio, piange, lui continua, “Bastardo” è la risposta di lei. (The Lion’s Mouth, 128).  Lo scontro si ripete in varie circostanze, lui ironico debole patetico e inetto, lei superiore risoluta capace e vittima.  La foto del loro matrimonio tradisce il contrasto: egli appare imbarazzato della cerimonia convenzionale e ironico, mentre lei borghese in abito nuziale col lungo velo è fedele alla tradizione, ma senza l’espressione della moglie modesta e devota, anzi con la rabbia dentro: “her head was lifted in anger” (34).  [la testa alta con rabbia.]

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Abbiamo esaminato soprattutto in The Lion’s Mouth contrasti di vario tipo, che si possono ridurre tutti ad una sola dualità interiore. Marco è l’altra metà di Bianca, che vive dentro Caterina, che vive dentro il cuore di tutti gli uomini e le donne immigrati dall’Italia in Canada. Italia e Canada sono il dualismo dei simboli di Marco-Bianca, Venezia-Edmonton, il vecchio e il nuovo mondo.  Un dualismo di nostalgia e di speranza, di dissoluzione e di rinascita. Forse la sintesi di una grande delusione-illusione: “Old masks replaced by new?” (63).  [“Vecchie maschere sostituite da nuove?”]  Certo nel romanzo sorge una nuova vita, oltre l’illusione di una propria esistenza - una storia d’amore - che si conclude amaramente. Bianca matura. Viene rotto con un bacio l’incantesimo dell’infanzia: “The spell of childhood was broken.  I was awakened.” (270)  [“L’incantesimo dell’infanzia fu rotto. Ero svegliata.]  Ecco cosa resta, alla fine, nelle parole di Bianca a Marco:

You are not longer my Prince Charming with your theatrical disillusion, your dated, alienated young man role. […] You are a Venetian. How can you not feel the exhaustion, the decay of the world ? My kiss – hopeful and Canadian – could never awaken you from your sleep of negativism. (270).

(Tu non sei più il mio Principe Affascinante con la tua disillusione teatrale, nel tuo ruolo di un giovane superato e alienato. […]  Tu sei Veneziano.  Come puoi non sentire lo sfinimento, la dissoluzione del mondo ?   Il mio bacio – pieno di speranza e canadese – non potrà mai svegliarti dal sonno del tuo negativismo.)

Il confronto tra l’Italia e il Canada rimane una dualità interiore.  Bianca ha sempre Venezia nel cuore, ma comincia ad amare il Canada che accetta come sua nuova patria, la casa dove si riconosce.*

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* Caterina Edwards, in una recente lettera riguardo alla sua relazione con l’Italia e Venezia, precisa:

As you are aware, my attitude towards Italy and, in particular, Venezia, is complex and dynamic.  It evolves and changes, partly because of my going back and forth. So it is more like a relationship - with ups and downs - than a fixed idea.  (I find that in the writing of some Italian-Canadian or Italian-American writers, Italy is an unchanging, 2-dimensional representation.)  

[“Come sai la mia attitudine verso l’Italia e, in particolare, Venetia, è complessa e dinamica.  Si evolve e cambia, in parte per il mio andare avanti e indietro.  Perciò è più come una relazione – con i suoi alti e bassi – che una idea fissa.  (Trovo che nella narrativa di alcuni scrittori italo’canadesi e italo’americani, l’Italia è una immutabile bi-dimenzionale rappresentazione.)”] 

E continua riguardo ai suoi personaggi:

And, of course, the attitude of some of the characters - say Fulvia in "On a Platter" is negative.  Actually, that story is a chapter in a novel that is awaiting its final rewrite.  Your analysis of what she represents - the immigrant who makes a new life - is correct.  I deliberately contrast her with her husband.  However, you need the entire book to see the thematic pattern.” 

[“E, naturalmente, l’attitudine di alcuni personaggi – diciamo Fulvia in “On a Platter” è negativa.  In realtà quel racconto è un capitolo di un romanzo nella fase della sua revisione finale.  La tua analisi di quello che lei rappresenta – l’immigrata che si costruisce una nuova vita – è corretta.  Ho messo lei deliberatamente in contrasto con il marito.  Comunque, hai bisogno dell’intero libro per vedere la trama tematica.”]

Attendiamo con entusiasmo il nuovo libro di Caterina Edwards con le sue nuove prospettive. (Si veda anche nota 1.)

 

NOTE

1.  Caterina Edwards ha un sentimento doppio verso Venice, “such a sensual delight”:  “It is the strangeness, the sheer otherness, of this slippery city [Venice] that classifies it as a place of reversals, of trasgressions. I played with the notion in my first novel. The wicked carnival city, where nothing and no one is what it seems. But with age and experience I am more skeptical of received ideas and literary conceits. Visiting Venice is such a sensual delight that I wonder if her reputation for wickedness sprang from an Anglo or Nordic puratism. A place so dedicated to pleasure must be evil.” (“Where They Have to Take You In,” p. 103)   (È la sua stranezza, la mera diversità di questa scivolosa città [Venezia] che la classifica come un posto di contraddizioni e trasgressioni. Ho lavorato con questa nozione nel mio primo romanzo. La città viziosa del carnevale, dove nulla e nessuno è come appare.  Ma con l’età e l’esperienza sono diventata più scettica delle idee preconcette e delle presunzioni letterarie. Visitare Venezia è un tale piacere sensuale che mi chiedo se la sua reputazione di malvagità non scaturisca dal puritanesimo Anglosassone o del Nord. Un luogo tanto dedito al piacere dev’essere cattivo.)

2.  La menzogna ricorre spesso nel romanzo. Quando Marco fa all’amore con Elena, lei mente “ ‘Wonderful.’ She lied. ‘Wonderful. It feels so good.’ ” (The Lion’s Mouth, 84)  [“ ‘Meraviglioso.’ Lei mente. ‘Meraviglioso.’ Che buona sensazione.”]  Marco cerca anche il sostegno, “conspiracy,” della madre nelle sue bugie alla moglie dopo il suo tradimento (97). Ammonisce anche Bianca di guardarsi dalle bugie: “They lie. They lie all the time”, (168). [“Mentono. Mentono sempre”.]

3.  Anche lo “spionaggio,” come quello di Marco coi brigatisti, è, secondo Caprienigna, evocatico del doppio. E così pure il “teatro” il riflesso delle luci e il “palcoscenico,” come quando Marco entra nella piazza vuota di Campo Bartolomeo: “so he felt as if he had stumbled upon a stage. The audience watching him from behind the shuttered windows. Both he and they waiting for the action to beging.” (45)  [così egli ebbe la sensazione di inciampare sul palcoscenico. Gli spettatori a guardare dietro le finestre chiuse. Tutti in attesa dell’inizio della scena.”]

 

 

BIBLIOGRAFIA

BOUDRILLARD, Jean. America, Translated by Chris Turner, London-New York, Verso ed., 1996

CAPRIENIGMA, Convegno “Il Doppio,” Napoli, 2004. http://www.caprienigma.it/precedenti.html

CATERINA, Edwards:

Romanzi

- The Lion’s Mouth.  Edmonton: NeWest Press, 1982.  New Edition. Montreal: Guernica Editions, 1993.

Novelle:

-          Whiter Shade of Pale / Becoming Emma (Two Novellas) Edmonton: NeWest Press, 1992.

Racconti:

- “Everlasting Life,” in Island of the Nightingales. Toronto: Guernica Editions, 2000, pp. 21-43.

- “Home and Away,” in Island of the Nightingales. Toronto: Guernica Editions, 2000, pp. 89-101.

- “Island of the Nightingales,” in Island of the Nightingales (Short Stories). Toronto: Guernica Editions, 2000.

-  Island of the Nightingales (Short Stories). Toronto: Guernica Editions, 2000, pp. 44-69.

- “Multiculturalism,” in Island of the Nightingales (Short Stories). Toronto: Guernica Ed., 2000, pp. 70-101.

- “On a. Platter,” in Island of the Nightingales (Short Stories). Toronto: Guernica Editions, 2000, 102-109.

- “Prima Vera,” in Island of the Nightingales (Short Stories). Toronto: Guernica Editions, 2000, pp. 7-20.

Teatro:

- Homeground. Montreal: Guernica Editions, 1990.

- The Great Antonio. Directed by Damiano Pietropaolo. In “Little Italies. A journey into the drama of Growing up Italian in Canada.” Disc 4. Produced by Damiano Pietropaolo et al.  “Sunday Showcase,” CBC Radio, aired Feb. 19, 2006; “Monday Night Playhouse,” Feb 20, 2006

Conferenze:

Caterina Edwards ha fatto numerose conferenze in Nord America e in Europe, fra cui l’ultima:

- Relazione alla Conferenza “Translating Experience as narrative” della Association of American Writers and Writing Programs in Austin, Texas, 10 marzo 2006. 

Interviste/Dialoghi:

- “Dialogue: Caterina Edwards and Jacqueline Dumas,” in Pivato, Joseph, ed. Caterina Edwards: Essays on Her Works. Toronto: Guernica Editions, 2000, pp. 105-118.

- “Constructing Memories through Imagination: An Interview with Caterina Edwards" di Sabrina Francesconi, in Il Tolomeo, NuovaSerie, 2005, v. 9, pp. 16-17,  rivista dell'AISLI, edita dal Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari Europei e Postcoloniali dell'Univ. Ca’ Foscari di Venezia.

Saggi:

- "A Playwrght's Experience," Writers in Transition. eds. C. D. Minni & Anna Foschi Ciampolini. Montreal: Guernica Editions, 1990, pp. 107-110.

- "Care Calling Care," Eating Apples: Knowing Women's Lives. Edmonton: NeWest Press, 1996, pp.210-216

- “The Confessions of Mark Trecroci: Style in Frank Paci’s Black Blood and Under the Bridge,” in Pivato, Joseph, ed. F.G. Paci : Essays on His Works. Toronto: Guernica Editions, 2003, pp. 19-27.

- “Where They Have to Take You In,” in Wrestling with the Angel. Women reclaiming their Lives. Edited with Kay Stewart. Red Deer: Red  Deer College Press, 2001, pp.100-108.

- “Wrestling with the Angel, the Self and the Publisher in ‘Life Writing’”in Shaping History. L’Identità Italo-canadese nel Canada anglofono,  a cura di Anna P. De Luca e Alessandra Ferraro, Udine: Forum Editrice Universitaria Udinese, 2005, pp. 23-30.

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PIVATO, Joseph, Ed., Caterina Edwards, Essays oh Her Works. Toronto: Guernica Editions, 2000

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WOLF, Christa. Cassandra (trad. di Anita Raja). Roma: Tascabili e/o, 1997.

 

 

1 maggio 2006

 

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