In custodia di Anita Desai

 

Egidio Marchese

 

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La storia del romanzo In custody / In custodia (1986, Vintage Random House, London, 1999 / Einaudi, 2000) di Anita Desai (1937-) è quella di un povero professore di provincia, Deven, che lotta da una parte per provvedere ai bisogni della famiglia con il suo magro stipendio, e dall'altra per realizzare le sue aspirazioni letterarie. La sua lotta ha poco successo. Ma ecco che un giorno l'amico Murad gli propone di intervistare il grande poeta Nur, e di scrivere per la sua rivista un saggio speciale sulla poesia urdu.

In Deven si accende l'entusiasmo, ma sorge anche la paura. In viaggio verso Delhi, per incontrare il grande poeta, Daven è agitato: "Quale pazzia lo ha trascinato a intraprendere questo viaggio verso ciò che può essere solo il suo disastro?" Il suo sogno (da cui il titolo del romanzo) è di diventare il "custode" del grande Nur e della gloriosa poesia urdu.

Nel romanzo si sviluppa una costante geometria di contrapposti, su una verticale di stati alti e bassi, esaltazione e depressione, fiducia e disperazione, successo e fallimento. La storia è narrata con precisa e spietata analisi psicologica. La prosa è concisa, lo stile usa varie forme di espressioni: dal discorso diretto, al linguaggio dei gesti, alla inter-reazione dei personaggi, agli eventi e immagini simbolo, alla percezione e significato dei colori, odori e suoni.

La situazione iniziale di Deven è uno stare giù (to lie low). Il paese dove vive è per lui una prigione, ricorrono le immagini di recinti di filo di ferro, c'è una totale aridità e ovunque un continuo perenne cumulo di polvere (dust). Spera che la rara opportunità di salvezza e di successo che gli si presenta non finisca anch'essa in polvere.

La debolezza di carattere del protagonista è evidenziata nei suoi rapporti con gli altri. Murad abusa di lui, lo tira... lui si stacca e va a sbattere su un gruppo di studentesse che ridono di lui. Un mendicante sulla strada lo affronta con un pauroso pitone. I suoi studenti lo minacciano per avere dei buoni voti. Il commerciante gli vende un registratore di seconda mano. Un ciclista l'investe, lo sgrida, l'accusa e lo colpisce.

La vita misera e opaca è espressa da ricorrenti colori tetri (deprimenti grigi, tinte scure, o un tetro - gloom - verde); cattivi odori e sporcizia; rumori assordanti e discordanti che sorgono dal traffico stradale e dalla confusione dei bazaar.

Segni simboli di cattivo presagio appaiono durante il suo viaggio verso Delhi. Un cane investito dall'autobus giace moribondo o già morto sul ciglio della strada coi corvi che volteggiano sopra gracchianti. Deven trova una mosca in fondo alla tazza, dopo aver bevuto il tè. Ma per il solito gioco dei contrasti ci sono anche segni di buon augurio: come la luce che filtra verticale giù dal soffitto attraverso l'aria impolverata. C'è anche il contrasto tra i detriti e l'inquinamento nel paesaggio, e il progresso e il benessere dei tempi moderni. Nelle strade sovrastano grandi cartelloni pubblicitari con trattori, grandi ruote e famiglie di indiani sorridenti. Si pensa all'America come il paese del progresso verso cui fuggire, l'America “scientifica”.

Finalmente Deven arriva alla sua meta. Il suo incontro con il poeta Nur, suo idolo e eroe, è una vera apoteosi, letteralmente un'ascensione - nella geometria del romanzo - una elevazione dal basso verso l'alto.

Al bussare alla porta risponde dall'alto una voce, quella del Poeta, in verità ironicamente non troppo gentile: "Chi è quel pazzo che mi disturba a quest'ora?" L'edificio sorge in alto con diversi piani, Deven è fatto entrare e comincia a salire in su per le scale, finché arriva alla soglia alta della porta, dietro cui c'è il Poeta. Alla fase ascendente c'è un arresto, succede una fase di impressioni negative, di entusiasmo discendente. La stanza è buia, con mattonelle di quel colore tetro verde scuro che Denver detesta. Ma riprende la fase ascendente dell'emozione. In contrasto all'oscurità dell'ambiente il poeta appare vestito di bianco, con una grande barba bianca sparsa sul petto e anche le sue dita sono bianche. La contrapposizione degli opposti è costante ed essi coesistono anche allo stesso tempo: come quando nella terrazza i piccioni affamati si scagliano volteggiando aggressivamente sulla testa del poeta. "Chi l'avrebbe pensato”  mormorò a labbra strette Nur “che un giorno l'uccello, simbolo di volo e canzone, avrebbe cessato di essere l'ispirazione del poeta e sarebbe diventato una minaccia?"

Il racconto continua con solennità e umorismo, con aspetti grotteschi e ironici, con momenti di disperazione e di grande commozione, tenendo il lettore sospeso e avvinto fino all'ultima pagina.

 

 

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