CON  IL  SANGUE  DEGLI  ANTICHI

 

L’ombra del rito nella Border Trilogy di Cormac McCarthy

 

(parte seconda)

 

Fabio Brotto

brottof@libero.it

http://www.bibliosofia.net/ 

 

II.  EREDITÀ INDIANE

 

La prima impresa dell’eroe è fallita. Billy ha voluto riportare la lupa alla libertà delle sue montagne messicane, da cui era venuta, ma i Messicani ne hanno voluto la morte. Tornato a casa, l’eroe scoprirà che i suoi genitori sono stati assassinati nel loro letto (forse proprio da quell’indiano che egli aveva tanto premurosamente aiutato, scorgendovi erroneamente un figlio della Natura) e i cavalli sono stati rubati. Col fratello Boyd, varcherà per la seconda volta il confine messicano, per recuperare i cavalli della famiglia  – un atto di espiazione, animato da pietas erga parentes. Fallirà anche quest’impresa, e dopo una serie di peripezie anche Boyd morirà. E la terza impresa sarà proprio quella di andare alla ricerca del corpo del fratello, e riportarlo in patria: quest’ultima impresa riuscirà, ma porterà Billy, ridotto infine a chiamare invano il cane randagio da lui stesso scacciato, in una desolazione totale, alle soglie di un nichilismo assoluto, da cui lo salverà solo la visione del sole nascente (“the right and godmade sun did rise, once again, for all and whithout distinction”. –  p. 426). Ma prima devono accadere altre cose, si devono aprire altri orizzonti di quel doppio problema che è il rapporto dell’uomo col mondo e con Dio. Di somma importanza, in questo senso, sono le parole del vecchio indiano (pp. 133-134), e soprattutto l’episodio dell’eretico e della sua questione con Dio (uno dei momenti più alti e sofferti della teo-narrativa maccartiana – pp. 137-159 –, che richiede uno studio a sé stante). L’inizio della seconda parte di The Crossing, col primo ritorno in patria del giovane sconfitto, ci mostra un macilento e affamato Billy quasi riportato indietro nel tempo, costretto a procurarsi il cibo con arco e frecce, e tuttavia quanto mai prossimo ad una dimensione arcaico-sacrificale. Quando un falco passa sulla sua testa, Billy gli scocca contro, con un gesto apparentemente gratuito, una freccia, che lo colpisce ma non lo abbatte. Solo una piuma cade, e il falco svanisce. Sulle pietre egli trova soltanto una goccia di sangue. Allora Billy col coltello si fa un taglio e guarda le gocce del suo stesso sangue che cadono sulla pietra. Non può sfuggire il senso sacrificale e auto-sacrificale della scena nel suo complesso. Ancora pietra e sangue. può sfuggire come qui ci troviamo ancora di nuovo davanti all’inafferrabilità della natura nei suoi aspetti più ricchi di suggestione per gli umani, sempre legati alla predazione e al sangue. Il falco, uccello predatore per eccellenza, è stato costantemente rivestito da un’aura di sacralità (l’Horus egizio) e di nobiltà, anche forse a causa del suo modo di uccidere “cavalleresco”, rischioso e coraggioso, ben diverso da quello degli animali che cacciano in branco, come i lupi. In ogni caso, anche il falco in sé sfugge a Billy, e il suo gesto violento, radicalmente opposto a quello rivolto alla lupa, non può che risultare sacrilego e foriero di sventura.

 

The hawk turned and skated off down the wind and vanished beyond the cape of the mountain, a single feather fell. He rode out to look for it but he never found it. He found a single drop of blood that had dried on the rocks and darkened in the wind and nothing more. He dismounted and sat on the ground beside the horse where the wind blew and he made a cut in the heel of his hand with his knife and watched the slow blood dropping on the stone. (pp.129-130)

 

Ridotto nel suo vagabondare in lande selvagge ad una condizione pietosa, Billy trova sostegno presso gruppi di indiani che vivono una vita precaria, sconfitti dalla storia ed emarginati, figli di una cultura che si va estinguendo, e di cui McCarthy non è però affatto un cantore elegiaco, pur vedendone la grandezza (arcaica e sacrificale)(1). Ritengo necessario riportare integralmente e commentare il breve ma significativo episodio della profezia del vecchio indiano (pp. 133-134).

 

He crossed the small valley and rode west into the mountains. He’d no way to know how long he’d been in that country but for all he’d seen of it good or ill which he pondered as he rode he knew that he no longer feared whatever he might find there. Days to come he would encounter wild Indians deep in the sierras living in the chozas and wickiups of their squalid rancherías and indians wilder yet who lived in caves and all of whom may well have thought him mad for the regard with which they treated him. They fed him and the women washed his clothes and mended them and sewed his boots with a home­made awl and ligaments from a hawk’s foot. They spoke among themselves in their own tongue or with him in their broken spanish.

 

Il riguardo con cui questi indiani trattano Billy è legato alla sua singolarità: un giovane uomo bianco che vaga senza meta, lacero e affamato, può anche apparire folle, e per i popoli tradizionali la follia è un’espressione del divino. Il folle è rispettato per la sua radicale diversità, che lo fa sacro, e quindi oscillante tra l’intangibilità e la sacrificabilità. InfattiThey cautioned him only to lay clear of the Yaqui country to the west because the Yaqui would kill him”. I poveri indiani che ospitano Billy vivono, dal canto loro, un difficile rapporto con i Messicani, che, come tutti gli umani, hanno bisogno di capri espiatori, e facilmente possono trovarli nei “selvaggi” (p.133). Secondo gli indiani, è costume dei Messicani attribuire loro i crimini che essi stessi commettono tra la propria gente, e quindi inviare i soldati tra le montagne a cercare i “colpevoli”.

 

They said that most of their young people had gone to work in the mines or in the cities or on the haciendas of the Mexicans but that they did not trust the Mexicans. They traded with them in the small villages along the river and sometimes they would stand in the outer ring of light and watch them at their festivals but otherwise they kept to themselves. They said that it was the way of the Mexicans to blame them for the crimes they committed among themselves and that the Mexicans would get drunk and kill each other and then send soldiers into the mountains to seek them out.

 

Il rispetto che la sacralità di Billy gli conferisce tra gli indiani si traduce anche nella loro apparente mancanza di curiosità intorno alla realtà personale dell’ospite statunitense. L’unico che possa parlare direttamente con lui è lo sciamano, che tale si rivela per l’abbigliamento “odd and garish”, con le vesti che recano segni simbolici. Come sempre in McCarthy, i segni non più leggibili appartengono ad un ordine del mondo caduto, la cui sostituzione con un nuovo ordine appare del tutto problematica. Mi pare di poter sostenere che quest’ordine è l’ordine basato sul sacrificio, alla cui rivelazione tutta la fabula della Border Trilogy tende inesorabilmente, e che si compirà solo nelle ultime pagine di Cities of the Plain. Il vecchio deve aver indossato quei paramenti proprio per parlare con Billy. Si tratta dunque di una sorta di cerimonia di congedo. Come tutti i riti, anche questo ha la funzione – certo non immediatamente coglibile ma non per questo meno certa – di differire la violenza. Che ogni cerimonia abbia questo valore, del resto, è apertamente riconosciuto dallo scrittore (2). Il discorso che il vecchio rivolge  a Billy qualifica il protagonista come orfano, una condizione in cui egli non può riconoscersi, non avendo ancora avuto notizia dell’eccidio dei suoi, la cui realtà non gli si è ancora palesata. Egli rifiuta perciò il senso globale del discorso del vecchio, proprio perché esso muove da questa sua condizione ancora celata. Ma qual è, in se stesso,  il senso del discorso? È che l’estraniarsi dal consorzio umano che i wanderings del giovane hanno realizzato è cosa estremamente pericolosa. Potrebbe infatti  anche tradursi in una passione di straniamento, destinata a condurre Billy infine a estraniarsi anche da se stesso. La conoscenza del mondo, secondo il vecchio indiano, è infatti una conoscenza sociale, che si può realizzare solo rimanendo all’interno della società umana: il mondo può essere conosciuto solo nel cuore dell’uomo, perché in realtà esso vi è contenuto. L’invito che il vecchio sciamano rivolge a  Billy, a tornare tra gli uomini, ci appare dunque basato su una visione della realtà non molto differente da quella espressa dal vecchio Arnulfo, eppure radicalmente opposta. Infatti, per Arnulfo l’uomo appare straniero nel mondo, e inconsapevole del senso delle proprie azioni, mentre per lo sciamano il mondo è l’uomo e l’uomo è il mondo.

Una lettura superficiale del passo potrebbe indurci a vedere nel vecchio indiano una figura pittoresca, idillica, quella del vecchio stregone indiano saggio e buono, una figura di un tipo cui il cinema western “revisionista” ci ha abituato.  Ma la conclusione del discorso, apparentemente enigmatica, ci deve indurre a vedere la sua saggezza arcaica  in un modo diverso dall’oleografia. Si legga ora l’intero brano.

 

When he told them where he came from he was surprised to find that they knew that country also but of it they would not speak. No one tried to trade horses with him. No one asked him why he had come. (…)Then the women packed for him a dinner of some dried and leathern meat or machaca and parched corn and sootstained tortillas and an old man came forward and addressed him in a spanish he could scarcely understand, speaking with great earnestness into the boy’s eyes and holding his saddle fore and aft so that the boy sat almost in his arms. He was dressed in odd and garish fashion and his clothes were embroidered with signs that had about them the geometric look of instructions, perhaps a game. He wore jewelry of jade and silver and his hair was long and blacker than his age would seem to warrant. He told the boy that although he was huérfano still he must cease his wanderings and make for himself some place in the world because to wander in this way would become for him a passion and by this passion he would become estranged from men and so ultimately from himself. He said that the world could only be known as it existed in men’s hearts. For while it seemed a place which contained men it was in reality a place contained within them and therefore to know it one must look there and come to know those hearts and to do this one must live with men and not simply pass among them. He said that while the huérfano might feel that he no longer belonged among men he must set this feeling aside for he contained within him a largeness of spirit which men could see and that men would wish to know him and that the world would need him even as he needed the world for they were one. Lastly he said that while this itself was a good thing like all good things it was also a danger. Then he removed his hands from the boy’s sad e and stepped away and stood. The boy thanked him for his words but he said that he was in fact not an orphan and then he thanked the women standing there and turned the horse and rode out. They stood watching him go. As he passed the last of the brush wickiups he turned and looked back and as he did so the old man called out to him. Eres, he said. Eres huérfano. But the boy only raised one band and touched his hat and rode on.

 

Esaminiamo ora la frase cruciale nel discorso del vecchio. “Infine disse che mentre in se stessa questa era una cosa buona, come tutte le cose buone essa era anche un pericolo”. L’espressione si riferisce a un qualcosa di terribilmente ambiguo, e non è affatto di facile decifrazione. Potrebbe riferirsi alla condizione di Billy, alla grandezza di spirito che gli uomini possono vedere in lui, e al fatto che il mondo ha bisogno di lui, ma anche soltanto all’identità tra uomo e mondo, al loro essere una cosa sola. Possiamo osservare che proprio l’attribuzione di una psichicità e di una intenzionalità umane alle realtà non umane che sono nel mondo sta alla radice delle pratiche sacrificali, che appaiono sensate proprio nella misura in cui consentono di sopravvivere alla costante minaccia (3).

A conferma della pericolosità del mondo – e della violenza che alligna anche negli ordinamenti sociali tradizionali – i segni umani che il paesaggio offre allo sguardo di Billy sono le mojoneras de muerte, le file di cippi funerari che indicano i luoghi ove viaggiatori sono stati massacrati dagli indiani nei tempi andati (4).

 

In two days he struck a wagonroad passing east and west across the sierras. The woods were green with ilex and madroño, the road seemed little used. In a day’s travel he passed no soul. He crossed through a high pass where the way was so narrow that the rocks bore old scars of wagonhubs and below the pass were scattered stone cairns, the mojoneras de muerte of that country where travelers had been slain by indians years before (p. 134).

 

Tutta la vicenda di Billy tende dunque ad una piena rivelazione del fondamento sacrificale dell’umano, che, come abbiamo detto, si darà soltanto alla fine di Città della pianura. Essa è preceduta da alcune illuminazioni. Dopo la visione delle mojoneras de muerte Billy sosta per riposare. E sulle pareti di roccia ecco dei pittogrammi, che rimandano a un ordinamento del mondo che è crollato, ad un codice scaduto, ad un universo di segni che sembra non avere più alcun referente nel mondo reale.

 

        At the eastern escarpment he dismounted and led the horse long a shelf of gray rock. The scrub juniper that grew along the rim leaned in a wind that had long since passed. Along the face of the stone bluffs were old pictographs of men and animals and suns and moons as well as other representations that seemed to have no referent in the world although they once may have. (p.135)

 

Billy ha con sé delle noccioline, che rompe con una pietra. Il suo è un gesto arcaico, che sta davvero alle radici dell’umano, anzi in una zona indifferenziata, preumana, trattandosi di un’azione che può compiere anche una scimmia, in quanto non implica nemmeno la preparazione di uno strumento, ma solo l’utilizzazione di un elemento offerto dalla natura in modo casuale. Siamo all’età della pietra, nel senso più letterale. Ma in McCarthy la forza evocativa e suggestionante della pietra è davvero possente.

 

He ( …) sat cracking and eating the rest of the nuts himself while the horse watched. Then he stood and walked to the edge of the escarpment and threw the handstone. It sailed out turning and fell and fell and vanished in the silence. He stood listening. From far below the faint clatter of stone on stone. He walked back and stretched out on the warm rock shelving and cradled his head in the crook of his arm and stared into the dark of his hatcrown. His home had come to seem remote and dreamlike. (ibidem)

 

Prima di cadere addormentato, Billy scaglia lontano la pietra da lui utilizzata, che rimbalza sulla pietra, pietra su pietra, andando a cadere lontano. Billy si addormenta, ma è come se il suo gesto avesse risvegliato incubi di tempi remoti.

 

He slept and in his sleep he dreamt of wild men who came to him with clubs and their teeth were filed to points and they gathered round him and warned him of their work before they even set about it. He woke and lay listening. As if they might yet be there just beyond the darkness of his hat. Squatting among the rocks. Chiseling in stone with stones those semblances of the living world they’d have endure and the world dead at their hands. (pp. 135 – 136)

 

Il gruppo primordiale di selvaggi che circonda Billy nel suo incubo rivela l’origine violenta, e insieme significante, di ciò che è l’umano. Essi lo circondano (sono raccolti intorno a lui, gathered round him) e gli dicono ciò che gli faranno. Ciò che gli faranno è chiaro al lettore: lo sacrificheranno. Essi sono violenti verso i membri della loro stessa specie, e insieme sono esseri creatori di segni, nel momento in cui lo sparagmos della vittima è associato all’atto di rappresentazione sulla pietra delle sembianze del mondo, in cui l’opera delle mani è anzitutto un’opera di uccisione. Il mondo rappresentato è anzitutto il mondo che le mani dell’uomo possono uccidere.

 

 

Tornato a casa, trovati i genitori uccisi e la piccola proprietà spogliata, Billy decide dunque insieme al fratello Boyd di varcare nuovamente il confine, ritornando nel Messico alla ricerca dei cavalli rubati. E ben presto i due si imbattono nuovamente in una forma di vita umana arcaica. Sono indiani Tarahumara. Poverissimi e primitivi, ospitano i due fratelli, offrendo loro il povero cibo di cui dispongono. Anche qui, tuttavia, la scena non ha nulla di oleografico o moraleggiante, ma ci offre una visione di un mondo che ha come cifra fondamentale un’assoluta precarietà della vita. Accade qualcosa di simile a quello che Billy aveva sperimentato nel suo precedente incontro con un gruppo di indiani: non appaiono segni di una curiosità collettiva nei confronti dei due giovani estranei bianchi.

 

The women at the cookfire regarded them with little interest where they stood at the edge of the glade in their newly laun­dered rags. An old man and a young boy were playing home­made violins and the boy stopped playing but the old man played on. The Tarahumara had watered here a thousand years and a good deal of what could be seen in the world had passed this way. Armored Spaniards and hunters and trappers and grandees and their women and slaves and fugitives and armies and revolutions and the dead and the dying. And all that was seen was told and all that was told remembered. Two pale and wasted orphans from the north in outsized hats were easily accommodated. They sat on the ground a little apart from the others and ate from tin plates too hot to hold a kind of succotash in which they recognized the seeds of squash and mesquite beans and bits of wild celery. They ate with the plates balanced on the insides of their boots where they’d drawn them up before them heel to heel. While they were eating a woman came from the fire and dished up from a gourd a brickcolored mucilage made from God knew what. They sat looking at it. There was nothing to drink. No one spoke. The indians were dark almost to blackness and their reticence and their silence bespoke a view of a world provisional, contingent, deeply suspect. They had about them a wary absorption, as if they observed some hazard­ous truce. They seemed in a state of improvident and hopeless vigilance. Like men committed upon uncertain ice.

When they’d done eating they said their thanks and withdrew. Nothing was acknowledged. Nothing spoken. As they passed out through the trees Billy looked back but not even the children had been watching them leave. (p.192-193)

 

Parlare implica un contatto. Entrare in contatto con uomini che provengono dall’esterno può essere molto pericoloso per i membri di un gruppo. Tutte le precauzioni devono essere prese per impedire che un qualche membro della comunità subisca un contagio, e possa trasmetterlo agli altri. Solo dove vi sia un tecnico esperto nella manipolazione del sacro, vi potrà essere un contatto, mediato, tra il gruppo e la fonte del sacro stesso (5). Come è nel caso dello sciamano della comunità indiana incontrata precedentemente. Il mondo agli occhi dei “primitivi” è sospeso su un abisso di violenza distruttiva, che può esplodere repentinamente. In questo senso, il novum è sempre annunciatore di un qualche pericolo, è sempre potenzialmente un male. Contro l’improvvisa esplosione della violenza, che rappresenta la fondamentale minaccia per gli umani, nessuna precauzione è però mai sufficiente a garantire la tranquillità. La condizione di questi indiani appare come quella di chi stia osservando “una tregua incerta”, come quella di uomini che si trovino su una sottile crosta di ghiaccio. In queste righe è perfettamente dipinta l’esistenza millenaria degli umani, il cui futuro è reso incerto proprio dall’esistenza degli altri umani: ogni hospes può sempre volgersi in hostis.

 

I ricordi della guerra civile, che ha ulteriormente impregnato di sangue la terra del paese, emergono spesso dai discorsi dei vecchi messicani, uomini e donne, che fanno da contrappunto a tutta la fabula della Border Trilogy. Essi delineano una concezione della realtà di tipo fatalistico, in cui la propensione degli umani alla violenza appare un dato ineluttabile. Questo si può cogliere, ad esempio, nel discorso di una messicana che sottolinea l’attrazione fatale provata dalle donne nei confronti degli uomini imprudenti. La donna riporta il pensiero di sua nonna, che riteneva la situazione senza rimedio: gli uomini imprudenti attirano le donne, che vivendo con loro e amandoli finiscono per averne molti dolori. Ma … “if women were drawn to rash men it was only that in their secret hearts they knew that a man who would not kill for them was of not use at all” (p. 322). Nel profondo del proprio cuore, ogni donna sa di desiderare per sé un uomo che per lei sia pronto ad uccidere. Anche le femmine degli umani, dunque, mantengono con la violenza un rapporto stretto, che non può essere interrotto finché si rimane al livello del puramente umano. E il Messico rappresenta sempre per McCarthy la terra in cui più che in qualsiasi altra si può cogliere la vera essenza dell’ordine del mondo (6), quell’ordine un tempo cifrato in segni che sono ora illeggibili, ma che continua a sussistere privo di un discorso che lo posa dire adeguatamente. Quell’ordine crollato solo nei suoi epifenomeni più appariscenti, come la ritualità religiosa del meccanismo sacrificale, che si è trasferito su altri piani, ma che non per questo è meno micidiale, meno assetato di sangue umano (7).

 

I fatti degli umani, che sono sanguinosi, chiamano la narrazione, il canto epico. I canti popolari messicani, i corridos, rimandano alle origini della narratività, ove il fatto per eccellenza è l’uccisione di un uomo e la giustizia che invoca la vendetta, la restituzione dell’ordine infranto mediante l’ulteriore spargimento di sangue. L’arte popolare, fino ai nostri giorni, ha declinato questo in mille modi, che poi si riducono ad uno. La storia che viene narrata è sempre la stessa, dall’inizio della narratività umana fino al film popolare violento del 2004.  

 

He asked the corridero who was this joven of which he sang but he only said that it was a youth who sought justice as the song told and that he had been dead many years. The corridero held the fretted neck of his instrument with one hand and raised his glass from the table and toasted silently his inquisitor and toasted aloud the memory of all just men in the world for as it was sung in the corrido theirs was a bloodfilled road and the deeds of their lives were writ in that blood which was the world’s heart’s blood and he said that serious men sang their song and their song only. (p. 375)

 

Questa storia  è ben saputa dalla sapienza popolare di cui i cantori corrideros sono i portavoce. Corre dovunque in Messico la canzone del giovane che viene dal nord a cercare giustizia, e che finisce ammazzato. È Boyd, il fratello di Billy? Sì, ma Boyd è morto da poco, e il güero di cui dice il corrido è morto da molti anni. Ma, appunto, sono la stessa persona. Da una serie innumerevole di anni, infatti, i giovani eroi sono uccisi, sacrificati sull’altare del mondo. Il corrido canta proprio questo: in quanto uomini giusti la loro strada è una strada di sangue, ed essi la devono percorrere fino in fondo. Questo sangue, spiega il corridero a Billy, è il sangue del cuore del mondo (8). È un’eterna e immodificabile legge quella per cui i veri uomini seguono senza esitare l’antica via, cantando sempre e soltanto la loro eterna canzone, ed essendone senza sosta cantati.

Il vecchio Quijada, che non è un messicano ma un indiano Yaqui, in un pericoloso colloquio con Billy, che sfiora lo scontro, espone la verità del corrido, che, secondo lui,  è la storia come viene rappresentata dai poveri. Si tratta di una verità desolata: “It believes that where two men meet one of two things can occur and nothing else. In the one case a lie is born and in the other death”(p. 386). L’alternativa tra menzogna e morte nei rapporti tra gli umani fa sì che chi è veridico debba intraprendere la strada della morte. Anzi, la verità è propriamente la morte.         

Mi pare che nelle ultime pagine di Oltre il confine McCarthy delinei un’alternativa: da un lato c’è la visione del mondo come fondamentalmente insensato, o assolutamente polisenso, comunque inconsistente, e in ogni caso ineluttabile, un mondo-racconto che ciascuno narra a suo modo, come lo disegna lo zingaro che narra a Billy la strana storia dell’aereo perduto tra le montagne. Una visione che è una variante di una interpretazione del mondo molto presente nella Trilogy, esposta con vari accenti da diversi personaggi. In essa il mondo è privato della radicalità del suo dolore, che viene riportato alla dimensione dell’impermanenza e del sogno.

 

He said that journeys involving the company of the dead were notorious for their difficulty but that in truth every journey was so accompanied. He said that in his opinion it was imprudent to suppose that the dead have no power to act in the world, for their power is great and their influence often most weighty with just those who suspect it least. He said that what men do not understand is that what the dead have quit is itself no world but is also only the picture of the world in men’s hearts. He said that the world cannot be quit for it is eternal in whatever form as are all things within it. In those faces that shall now be forever nameless among their outworn chattels there is writ a message that can never be spoken because time would always slay the messenger before he could ever arrive.

He smiled. Pensamos, he said, que somos las víctimas del tiempo. En realidad la vía del mundo no es fijada en ningún lugar. Cómo sería posible? Nosotros mismos somos nuestra pro­pia jornada. Y por eso somos el tiempo también. Somos lo mismo. Fugitivo. Inescrutable. Desapíadado. (pp. 413-414)

 

Di contro sta la visione, che potremmo definire giobbica, della resistenza a Dio, della testimonianza per Dio e contro lo stesso Dio, nel dolore e nel vuoto del mondo, che è propria del narratore della storia dell’eretico nella Chiesa di Caborca, per cui nulla è reale al di fuori della grazia di Dio, e del vecchio soldato cieco, per cui la misericordia di Dio si evidenzia infine proprio nel fatto che tutto è polvere. E ne è icona l’eterna mater dolorosa messicana che sta di fronte a Dio. Il terrore millenario adorno di piume e scaglie di pesce, che le mura della chiesa e le preghiere della vecchia messicana tengono a distanza faticosamente, figura evocatrice di piramidi a gradoni e paramenti sacerdotali mesoamericani, rappresenta ciò che nel Messico antico ha raggiunto il suo culmine e la sua precaria perfezione: la punta estrema del meccanismo sacrificale, nella sua inarrestabile spirale sacrificio-guerra-sacrificio.

 

 He knew her well enough, this old woman of Mexico, her sons long dead in that blood and violence which her prayers and her prostrations seemed powerless to appease. Her frail form was a constant in that land, her silent anguishings. Beyond the church walls the night harbored a millennial dread panoplied in feathers and the scales of royal fish and if it yet fed upon the children still who could say what worse wastes of war and torment and despair the old woman’s constancy might not have stayed, what direr histories yet against which could be counted at last nothing more than her small figure bent and mumbling, her crone’s hands clutching her beads of fruitseed. Unmoving, austere, implacable. Before just such a God. (p. 390)

 

 

CITTA’ DELLA PIANURA

 

Immagini di pittogrammi e petroglifi  ricompaiono nell’ultimo romanzo della Border Trilogy, in cui l’eroe del primo libro e quello del secondo sono amici, e lavorano nel medesimo ranch, presso la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Quelle immagini segnano la costante presenza di un riferimento alla sfera arcaica (pp. 87, 165). È da notare come queste immagini sulla pietra compaiano anche nei momenti in cui, insieme ad altri cow-boy, Billy e John Grady sono impegnati in una strana caccia ai cani inselvatichiti che, riprodottisi fuori del controllo umano, assalgono le mandrie di bovini. Questo branco di cani ritornati allo stato originario sono tuttavia decisamente animali ignobili, in essi non vi è traccia di quello status che in The Crossing era proprio del lupo. E infatti verranno uccisi come cani, presi al lazo e sfracellati contro le pietre del terreno, in una scena che, nella sua differenza, evoca tuttavia quella del macello di Berlino in Berlin Alexanderplatz (9), poiché anche qui tra uccisore e ucciso non appare alcun legame di tipo religioso, né alcun senso di colpa, né alcuna atmosfera poetica, ma tutto è carneficina, mera esecuzione di massa. Quale caduta dalle scene in cui i lupi avevano assunto per Billy un valore di epifania rivelatrice! È come se agli occhi di Billy (e del lettore) il mondo fosse stato privato di ogni incanto e di ogni aura, così che la violenza possa darsi nella sua purezza. Tuttavia, nelle righe finali del passo qui riportato, da me enfatizzate, possiamo cogliere una sconvolgente epifania del sangue, resa possibile dal sole, che ancora una volta è accostato da McCarthy alla violenza degli umani. Dalla testa involontariamente tranciata di un cane selvatico uno spruzzo di sangue riporta di colpo coloro che erano entrati nella moderna dimensione della violenza tecnicizzata, e quindi negata come tale, alle origini sacre, ove lo spargimento di sangue è una manifestazione del tremendum et fascinans. “Qualcosa di evocato dal nulla e totalmente inspiegabile” (10) che anticipa l’apparizione onirica della processione sacrificale nell’Epilogo. Non a caso McCarthy, come vedremo, ambienterà la rivelazione finale ai bordi di una trafficatissima autostrada, sì che più forte risalti il contrasto apparente tra mondo contemporaneo ed origini remote.

 

He overtook the dogs again and rode past so as to head them. The running dogs looked up, their eyes lost, their tongues lolling. Their dead companion came sliding up beside them at the end of the trailing rope. Billy looked back and reined the horse to the right and dragged the dead dog in front of them and headed them in a long running arc. John Grady was coming hard across the mesa and Billy brought the dun horse to a halt in a series of hops and jumped down and freed his noose from the dog and rewound it on the run and mounted up again.

He reached the dogs first and snapped his loop around the big yellow dog in the head. The speckled dog cut back almost under the horse’s legs and headed toward the rim. The yellow dog rolled and bounced and got up again and continued run­ning with the noose about its neck. John Grady came riding up behind Billy and swung his rope and heeled the yellow dog and quirted the horse on with the doubled rope end and then dal­lied. The slack of Billy’s catchrope hissed along the ground and stopped and the big yellow dog rose suddenly from the ground in headlong flight taut between the two ropes and the ropes resonated a single brief dull note and then the dog exploded.

The sun was not an hour up and in the flat traverse of the light on the mesa the blood that burst in the air before them was as bright and unexpected as an apparition. Something evoked out of nothing and wholly unaccountable. The dog’s head went cartwheeling, the ropes recoiled in the air, the dog’s body slammed to the ground with a dull thud. (p.167)

 

Ma mentre agli occhi di Billy sembra essersi dissolto il fascino della natura, ed egli appare disincantato, l’ostinatamente romantico John Grady continua a subire l’attrazione dell’amore assoluto e incondizionato. Lo stesso sentimento non negoziabile e non mediabile dalla ragione che lo aveva preso per la bella figlia del grande proprietario terriero in All the Pretty Horses lo prende qui per un’umile prostituta. E mentre nella prima vicenda il conflitto era divampato con personaggi di alta statura sociale, nobili, come Don Héctor e Dueña Alfonsa, il cui rango elevato era sufficiente a rendere impensabile un tentativo di annientamento dell’ostacolo da parte dell’eroe, qui esso scoppia, fino a divenire un vero conflitto di doppi, con un lenone messicano, l’inesorabile Eduardo, anch’egli a modo suo innamorato della stessa donna. Il punto culminante della vicenda narrata in Cities of the Plain è infatti nel duello mortale tra John Grady ed Eduardo, a colpi di coltello, anticipato in All The Pretty Horses da quello sostenuto dallo stesso John Grady nell’inferno del carcere di Saltillo. E come i consigli del saggio cugino Rawlins non avevano potuto fermarlo sulla via dell’innamoramento folle e mortale, così vana è l’opera di moderazione dell’amico Billy. Nulla potrà impedire a John Grady di percorrere fino in fondo la via dell’amore passionale e irragionevole che porta alla mimesi violenta, che ne è causa causata, e che è sempre indisgiungibile da essa. Il suo destino è tutto contenuto nella figura del toro sacrificale che è apparsa alla fine del primo romanzo della Trilogy. Egli è convinto che nulla di ciò che è messo in moto nel mondo possa fermarsi finché l’ultimo testimone non sia scomparso. Col suo amico egli ha in comune la percezione dell’inesorabile passare di tutte le cose, del dileguare della bellezza e del bene, il senso della perdita per sempre e della sostanziale vanità delle azioni umane. Parlando con la giovane prostituta che ama, destinata a sua volta ad essere uccisa da Eduardo, e a causare la morte del suo protettore e del suo innamorato, John Grady evoca ancora i fantasmi degli antichi guerrieri che ha visto marciare dal nulla verso il nulla.

 

… the Comanche trail that ran through the western sections and how he would ride that trail in the moonlight in the fall of the year when he was a boy and the ghosts of the Comanches would pass all about him on their way to the other world again and again for a thing once set in motion has no ending in this world until the last witness has passed. (p. 205)

 

Il fallimento di Billy nel tentativo di aiutare in tutti i modi l’amico e salvargli la vita è il suo ultimo grande fallimento. Con la morte di John Grady e con la disperazione di Billy che si allontana nelle strade della città messicana portando in braccio il suo corpo, simile ad una post-moderna pietà semovente, si conclude la fabula di Cities of the Plain e dell’intera Trilogy. Il McCarthy dei libri precedenti la Border Trilogy si sarebbe fermato a questo punto. La morte di un protagonista e la disperazione dell’altro, l’affermazione narrativa dell’insensatezza del mondo: una chiusa di romanzo tipicamente moderna e postmoderna.

Ma l’ultimo McCarthy è già al di là dell’orizzonte postmoderno, e in fondo il suono stesso della sua voce di narratore dice (ma ovviamente lo dice già dall’inizio di All the Pretty Horses) che egli ha oltrepassato il Border al di qua del quale sono ancora confinati quasi tutti i narratori contemporanei. Lo si sente bene nella prima conclusione del romanzo che stiamo considerando.

 

The Sabbath had passed and in the gray Monday dawn a pro­cession of schoolchildren dressed in blue uniforms all alike were being led along the gritty walkway. The woman had stepped from the curb to take them across at the intersection when she saw the man coming up the street all dark with blood bearing in his arms the dead body of his friend. She held up her hand and the children stopped and huddled with their books at their breasts. He passed. They could not take their eyes from him. The dead boy in his arms hung with his head back and those partly opened eyes beheld nothing at all out of that pass­ing landscape of street or wall or paling sky or the figures of the children who stood blessing themselves in the gray light. This man and his burden passed on forever out of that nameless crossroads and the woman stepped once more into the street and the children followed and all continued on to their appointed places which as some believe were chosen long ago even to the beginning of the world. (p. 261)

 

Se nella chiusa di All the Pretty Horses il verbo passare ricorreva tre volte, nella conclusione di Cities of the Plain ricorre quattro volte. In tutto sette volte, sempre in stretto riferimento al destino sacrificale di John Grady. Questo passare si carica di un significato filosofico-religioso di straordinario peso, evocando tutta una tradizione ebraico-cristiana, dall’Ecclesiaste a S. Paolo e oltre, e rimandando a colui al quale del divenire inteso filosoficamente è stata tradizionalmente attribuita la paternità, Eraclito di Efeso.

“Il sacrificio è la vera chiave dei detti di Eraclito l’oscuro” afferma Giuseppe Fornari(11), che accosta la riflessione sulla pratica sacrificale alla percezione del divenire di tutte le cose (12). Il problema a cui non si può dare una risposta univoca e convincente è: perché gli umani percepiscono per lo più il mutamento, che è un’assoluta e incontestabile evidenza – a meno di essere presi da una sorta di lucida e concettuale follia –, come perdita, caduta nell’oblio e nel nulla? Poiché ogni sapienza proprio questo cerca di esorcizzare, e i modelli culturali che gli umani si sono dati nei millenni costituiscono risposte alla paura profonda e radicata del dissolvimento dell’ordine (cosmos, bellezza) del gruppo, e del singolo. Ciò che è già pienamente contenuto nell’Epopea di Gilgamesh (13), e detto molte altre volte nella letteratura universale (basti pensare all’Achille omerico), viene ripreso da McCarthy nella scena del lutto di Billy. Ma benché Billy sia stato permeabile ad una visione mitica della realtà, la cui cifra sono i lupi, egli appartiene in tutto alla contemporaneità, e tanto più per questo, perché gli ultimi due secoli dell’Occidente hanno evidenziato il fortissimo impulso ad un recupero del mito, di quello greco in particolare, ovvero di una visione sostanzialmente pagana del mondo. E ciò nello stesso momento in cui la scienza e la téchne si pongono come uniche portatrici di verità oggettive e incontestabili, a causa del loro fondamento matematico. Billy ha subito un processo di disincanto, di demitizzazione, ma non mediante un apprendimento delle verità scientifico-matematiche sul mondo, sibbene attraverso la via doloris. Infatti “Il dolore è la sola sensazione interiore, trovata dall’introspezione, che possa rivaleggiare in indipendenza da esperienze esterne con la certezza immediata della logica e del ragionamento aritmetico” (14).

 

Dove sono ora le città della pianura? Non ci sono più, perché Dio “distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo” (Genesi 19, 25). Le città della pianura sono Sodoma e Gomorra. Esse sono un emblema della corruzione degli umani, che non è altro che la cifra del loro esasperato mimetismo. Nelle città della pianura tutti gli uomini sono eguali, perfettamente omologati l’uno all’altro nel loro essere non giusti, ovvero totalmente soggetti alla violenza mimetica, con la sola eccezione di Lot e della sua famiglia. Cities of the Plain è una narrazione della perversione violenta degli umani, a cui nemmeno gli eroi dal cuore puro come John Grady possono sottrarsi, e insieme di quella totale spogliazione che porta infine Billy ad una tarda conciliazione con il mondo e con Dio, mediata da due figure, l’una della narrazione stessa, l’altra del dono.

 

Non vi è, tuttavia, reale conciliazione col mondo se non attraverso la sofferenza della perdita. Senza la contemplazione e lo struggimento della perdita per sempre, infatti, non si può sentire né la bellezza né il bene. Non a caso, all’inizio dell’Epilogo, dopo il commiato di Billy dal ranch in cui ha lavorato per molto tempo con il suo amico John Grady, sette sole righe riassumono gli eventi di mezzo secolo della vita del protagonista, fino ai settantotto anni, all’inizio del nuovo millennio.

 

In the night he dreamt of his sister dead seventy years and buried near Fort Sumner. He saw her so clearly. Nothing had changed, nothing faded. She was walking slowly along the dirt road past the house. She wore the white dress her grandmother had sewn for her from sheeting and in her grandmother’s hands the dress had taken on a shirred bodice and borders of tatting threaded with blue ribbon. That’s what she wore. That and the straw hat she’d gotten for Easter. When she passed the house he knew that she would never enter there again nor would be see her ever again and in his sleep he called out to her but she did not turn or answer him but only passed on down that empty road in infinite sadness and infinite loss. (pp. 265-266)

 

Questo sogno di Billy vecchio, in cui inaspettatamente appare la sorellina morta settant’anni prima(15), rappresenta una sorta di struggente epifania del tempo perduto. Ma non si tratta qui di un tempo ritrovato, perché sottesa ad ogni parola v’è l’immensa angoscia dell’irrevocabilità, e della coincidenza tra bellezza e perdita (16): il protagonista dormiente chiama con forza la bambina, ma ella passa oltre, e svanisce per sempre. Ciò che può ritornare soltanto nella visione e nel sogno è ciò che possiede la consistenza dell’ombra e del fantasma.

 Il sogno della sorellina morta avviene proprio nel momento in cui Billy, che ha lavorato per molti anni saltuariamente, campando alla giornata, dopo aver ricoperto infine un ruolo di aiuto sul set di un film si ritrova senza un soldo, senza mezzi di alcun tipo, senza niente, se non qualche pacchetto di cracker, nuovamente outcast in an alien world. A camminare verso nessun luogo. Un wanderer postmillenniale, senza speranze, e tuttavia senza risentimenti, che tutto accetta, anche un destino apparentemente vuoto di ogni senso; pronto, anche, a condividere le sue ultime gallette con uno sconosciuto. Da questo gesto di condivisione inizia un lungo dialogo, che occupa gran parte dell’Epilogo. Si tratta di un dialogo complesso, in cui la parte di Billy è decisamente più attiva rispetto a quella da lui svolta all’interno delle altre grandi e piccole narrazioni nella narrazione che costellano l’intera Trilogy.

Billy passa la notte sotto il cavalcavia di un’autostrada, nell’Arizona centrale. Al suo risveglio, dall’altra parte vi è un uomo simile a lui, che in un primo momento il protagonista pensa possa essere addirittura la morte. Invece è solo un uomo, con cui egli divide le sue ultime gallette. Come sovente avviene nella Trilogy, quest’uomo è un narratore, e inevitabilmente, nel suo dialogo con Billy, un racconto emerge. È il racconto di un sogno, anzi di un sogno doppio. In questa sede non ci interessa discutere la teoria del discorso di McCarthy (17), e nemmeno cercare di determinare i rapporti che sussistono tra la figura dello sconosciuto, possibile ultima figura della narrazione, e lo scrittore stesso. Ci interessa, invece, il modo in cui l’Epilogo riporta ancora una volta la narrazione a contatto con l’origine violenta e religiosa dell’umano. Vediamo dunque che cosa accade nel sogno che il viandante sconosciuto racconta a Billy.

 

Nel sogno c’è un viaggiatore, che procede tra le montagne, fino a giungere in un luogo ove nei tempi antichi, certi pellegrini solevano radunarsi.

 

 

 

En tiempos antiguos. It was a high pass in the mountains that he had come to and here there was a table of rock and the table of rock was very old and it had fallen in the early days of the earth from a high peñasco in the mountains and lay in the floor of the pass with its flat and cloven side to the weather and the sun. And on the face of that rock there were yet to be seen the stains of blood from those who’d been slaughtered upon it to appease the gods. The iron in the blood of these vanished beings had blackened the rock and there it could be seen. Together with the hatching of axemarks or the marks of swords upon the stone to show where the work was done. (p.270)

 

Ecco il luogo in cui si rivela pienamente il rapporto tra il sangue e la pietra. La pietra chiama il sangue, il sangue la pietra. I tempi antichi sono i tempi degli antichi riti. Gli antichi riti sono riti di sacrificio, la cui funzione è quella di rendere gli dèi favorevoli agli umani. La traccia di quel sangue, versato dagli antichi su pietre come questa, sono incancellabili: lo sguardo dell’uomo sognato cade sulle macchie di quella lastra di altare, macchie di antico sangue, che tutti i temporali della sierra nel corso dei millenni sono stati impotenti a cancellare. L’imprudenza dell’uomo sognato è tale che egli stende la sua coperta su quel giaciglio “freddo e terribile” e si addormenta. Ed ecco che nel suo dormire, reso difficile da una tempesta sulla sierra, l’uomo sognato vede in un suo sogno avvicinarsi un piccolo corteo, di forse otto uomini. Si tratta di una scena dei tiempos antiguos.

 

he was surprised to see descending down through the rocky arroyos a troupe of men bearing torches in the rain and singing some low chant or prayer as they came. He raised himself up from his stone the better to make them out. He could see little more than their heads and shoulders jostling in the torchlight but they seemed to wear a variety of adorn­ments, primitive headpieces contrived from the feathers of birds or the hides of jungle cats. The fur of marmosets. They wore necklaces of bead or stone or ocean shell and shawls of woven stuff that may have been moss. By the smoky lamps hiss­ing in the ram he could see that they carried upon their shoul­ders a litter or bier and now he could hear echoing among the rocks the floating notes of a horn and the slow beat of a drum.

When they came into the road he could see them better. In the forefront was a man in a mask made from the carved shell of a seaturtle all inlaid with agate and jasper. He carried a scep­tre on the head of which was his own likeness and the likeness carried also such a sceptre in miniature and this sceptre too in what we must imagine to be some unknown infinitude of alter­nate being and likeness.

Behind him came the drummer with his drum of saltcured rawhide stretched upon a frame of ash and this he beat with a sort of flail made of a hardwood ball tethered to a stick. The drum gave off a low note of great resonance and he struck it with an upward swing of the flail and at each beat he bent his head to listen as perhaps a man might who were tuning a drum. There followed a man bearing a sheathed sword upon a leather cushion and after him the bearers of torches and then the litter and the men who carried it. The traveler could not tell if the person they carried were alive or if this were not perhaps some sort of funeral procession passing through the mountains in the rain and the night.  (pp. 275-276).

 

Si vedrà che la persona trasportata su quella lettiga è viva, ma è destinata evidentemente alla morte.

Il particolare dello scettro mi sembra massimamente significativo in quanto rimanda alla sostanziale somiglianza degli umani, che si succede per infinite generazioni evocando l’origine comune di tutti. Questo particolare si collega al fatto che il volto di colui che appare come il capo del gruppo è coperto da una maschera, ma quando quello la solleva esso non è visibile. Questo sacrificatore non ha dunque un’identità propria, o meglio la sua identità non ha qui alcuna importanza, egli di conseguenza è ogni uomo, e la sua figura ha una valenza simbolica universale. I sacrificatori offrono all’uomo che sogna una coppa, ed egli senza esitare beve il liquido che vi è contenuto. Subito si sente riportato alla condizione di bambino e una grande pace scende su di lui, e le sue paure svaniscono, al punto che egli si fa “complice di una cerimonia di sangue che era allora ed è ora un affronto a Dio” (p. 280). Questa cerimonia è un sacrificio, e il Dio al quale essa è un affronto è quel Dio che è nemico del sacro, poiché il sacro è ricerca della potenza, di una condizione divina, è rifiuto della dimensione creaturale e della radicale differenza tra il Creatore e la creatura (18), ed ha quindi necessariamente in sé la dimensione della violenza. E il prezzo da pagare per quella coppa bevuta, che gli ha dato la pace, non è solo la compartecipazione alla cerimonia sacrificale, oltraggiosa per Dio, ma anche “il fatto che tutto questo sarebbe stato dimenticato” (p. 280). Che le cose presenti fin dalla fondazione del mondo umano sarebbero state nascoste ancora una volta. Dopo aver bevuto dalla coppa, l’uomo sognante “gave himself to the dark mercies of these ancient serranos” (ibidem). Cosa dicevano quegli antichi? Che linguaggio era il loro? Il narratore spiega a Billy che per il sognatore questo era un sogno profondo, ricco di senso, e che “in such dreams there is a language that is older than the spoken word at all. The idiom is another specie and with it there can be no lie or no dissemblance of the truth” (pp. 280-281). Qui siamo riportati all’origine dell’umano, ad un linguaggio che non è ancora la parola, e la precede fondandola. Prima del linguaggio delle parole, c’è questo linguaggio antico del sacrificio, del gruppo umano che per sopravvivere deve uccidere. In esso non compare ancora la differenza tra menzogna e verità, perché esso stesso è menzogna. Ma che sia tale lo può dire solo la parola, e la parola umana ancora non c’è.

Tra noi e il mondo dei nostri padri c’è una assoluta continuità. E noi non siamo sciolti dalla colpa dei padri. “The ancient world holds us to account” (p. 281). “ The world of our fathers resides within us. Then thousand generations and more” (ibidem). Ma il sognatore non si offre alla morte di sua spontanea volontà. Non è un martire, è una vittima. Egli cerca lo sguardo dei suoi sacrificatori, ma esso gli si nega. L’uomo del sogno sul punto di essere ucciso pensa di vedere  “nel silenzio del mondo una grande cospirazione”, e di essere giunto a questo grado di conoscenza per il fatto di essersi liberato di tutte le sue vedute precedenti. E dice ai suoi sacrificatori: “Non vi dirò niente” (p. 282). La ragazza al posto della quale egli viene sacrificato lo bacia. Il capo del gruppo lo uccide tagliandogli la testa. E il sognatore si sveglia. Ma è dentro il sogno del narratore.

E il sognatore è turbato del suo terribile sogno.

 

The traveler stood at the stone and on the stone visible to see were marks of axe and sword and the dark oxidations of the blood of those who’d died there and which the weathers of the world were powerless to erase. Here the traveler had lain down to sleep with no thought of death and yet when he awoke he’d no thought other. The heavens which be had been invited to scrutinize by his executioners now wore a different look. The order of his life seemed altered in midstride. Some halt­stitch in the workings of things. Those heavens in whose forms men see commensurate destinies cognate to their own now seemed to pulse with a reckless energy. As if in their turning things had come uncottered, uncalendared. He thought that there might even be some timefault in the record. That hence­forth there might be no way to log new sightings. Would that matter? (pp. 285-286)

 

L’ordine della vita del sognatore è crollato, ma anche l’ordine del mondo è collassato. L’energia senza freni di cui pulsano i cieli è un segno del caos cui la scomparsa dell’ordine sacrificale apre le porte.

 

The log of the world is composed of its entries, but it cannot be divided back into them. And at some point this log must out­distance any possible description of it and this I believe is what the dreamer saw. For as the power to speak of the world recedes from us so also must the story of the world lose its thread and therefore its authority. The world to come must be composed of what is past. No other material is at hand. And yet I think he saw the world unraveling at his feet. The procedures which he had adopted for his journey now seemed like an echo from the death of things. I think he saw a terrible darkness looming. (p. 286)

 

La terribile oscurità è rappresentata dal venir meno dell’ordito del mondo tessuto dalla universalità della pratica sacrificale, dal realizzarsi graduale del suo svuotamento. Come René Girard ha messo in luce, ciò che sostituisce l’antico ordine non si è ancora definitivamente affermato, e la minaccia di un annientamento dell’umanità è sempre presente. Qui sta anche l’essenziale differenza tra il pensiero di Girard e quello di Gans. Quest’ultimo infatti vede nell’affermarsi dell’universalità del sistema dello scambio,  cioè nel mercato globale, un graduale trionfo del differimento della violenza. Il mercato come fondato per essenza su una logica di pace. Girard non è altrettanto ottimista. La differenza è sostanzialmente religioso-metafisica, anche se nessuno dei due pensatori ama questa terminologia e i concetti retrostanti. In verità, sia Girard che Gans mi paiono convinti che l’umano possa essere spiegato in termini teorici, o addirittura “scientifici”. Io penso, invece, che l’umano non possa essere mai complessivamente e senza residui spiegato da alcuna teoria, a causa del suo carattere originario di radicale apertura, cioè di trascendenza. Trascendenza che appare certo come falsa nei processi vittimari, come afferma Girard, ma che è falsa proprio in quanto imita quella che deriva dal fatto che l’umano è imago Dei. Insomma, per dirla miticamente, l’umano non nasce né col peccato di Adamo né con quello di Caino, ma con Adamo ed Eva. Altrimenti, se l’uomo fosse costitutivamente già da sempre peccatore (19), egli non potrebbe essere il riflesso di Dio nella creazione. Il pensiero umano non può cogliere l’Origine, ma solo affermare che vi è stata.

 

Sogni e rituali degli uomini non possono aver mai fine. Essi sono in realtà generati e sospinti da una “terribile fame” (p. 287). Il bisogno che sta alla base del comportamento degli umani, creature del Desiderio, non può mai essere soddisfatto. Poiché “The thing that is sought is altogether other”. La cosa cercata è totalmente altra. La totale alterità è quella della trascendenza divina.

 

L’uomo sognato si desta dal suo sonno, entro il sogno del narratore, e insieme camminano per un poco, vedendo i resti di un accampamento di uomini antichi, tracce di un passato che il divenire ha cancellato dalla terra, ma che rimangono nel cuore profondo degli umani. E quando si risveglia, dice di sé il narratore, “All I had forsaken I would come upon again” (p.288). La lunga narrazione del viandante, interrotta molte volte dalle domande e dalle interlocuzioni di Billy, termina con una sorta di esortazione all’amore tra gli umani. Esso è l’unica alternativa all’ antica via degli empi. Il principio dello scambio totale è fondato sulla comprensione del fatto che la morte di ogni uomo sta in luogo di quella di ogni altro. Questa comprensione abbatte la logica vittimaria su cui si sono fondate nei millenni le società umane mediante le loro religioni sempre bisognose di sacrifici sostitutivi.

 

Every man’s death is a standing in for every other. And since death comes to all there is no way to abate the fear of it except to love that man who stands for us. We are not waiting for his history to be written. He passed here long ago. That man who is all men and who stands in the dock for us until our own time come and we must stand for him. Do you love him, that man? Will you honor the path he has taken? Will you listen to his tale? (pp. 288-289)

 

Billy, che non ha più nulla, vaga verso il New Mexico, mentre la stagione si fa sempre più clemente. Egli riceve cibo dalle donne nelle cucine delle loro case. Cerca, senza trovarla, la tomba della sorellina. Infine, trova una sistemazione nell’ospitalità di una famiglia. Una donna, con pura gratuità, si prende amorevole cura di lui, avverando la profezia di colei che assisteva il vecchio Arnulfo. Una notte, egli le dice di non capire perché perda tempo con lui, che non è nulla, visto che certamente lui non è quello che lei pensa. E lei lo rassicura: sa chi lui è, e sa perché lo assiste.

 

Il libro termina con una piccola poesia, quasi una filastrocca, molto intensa però, e che la traduzione italiana altera non poco. “ I will be your child to hold / And you be me when I am old / The world grows cold / The heathen rage / The story’s told / Turn the page.”  “The heathen rage” è tradotto con “qualcosa infuria in cielo” (che il traduttore abbia confuso heathen, le genti, i pagani, gli oppositori del messia del Salmo 2, con heaven, il cielo?). Perché l’espressione è tolta dalla traduzione inglese del Salmo 2, un salmo messianico (ma si sa, la cultura italiana in generale in materia di Bibbia è ignorantissima): “Why do the heaten rage, and the people imagine a vain thing?”. La dimensione religioso-metafisica della Trilogy è qualcosa che la cultura letteraria italiana farebbe molta fatica a sondare.  Ma questo è un altro discorso.

 

 

NOTE

1. Questo è ben visibile in tutti i testi di McCarthy, e in particolare in Blood Meridian.

2.“The ends of all ceremony are but to avert bloodshed” (p. 359).

3. Ma non sempre. Hans Blumenberg fa, guarda caso, proprio l’esempio degli Aztechi, la cui “isteria sacrificale” nata dalla convinzione che la saldezza del loro dominio e del loro ordine dipendesse dalla qualità e dal numero dei sacrificati, portò al crollo di quell’ordine stesso (Arbeit am Mythos, 1979, trad. it. Elaborazione del mito, a cura di B. Argenton, il Mulino, Bologna 1991, p. 28).

4. In McCarthy gli indiani appartengono ad una dimensione arcaica, fortemente segnata dalla sacrificalità, ma tuttavia sono diversi tra loro, ve ne sono di pacifici e di più inclini alla violenza, secondo le differenti culture di appartenenza. Billy un giorno passa attraverso la città messicana di Tamichopa, rasa al suolo e bruciata dagli Apache alla vigilia di Pasqua del 1758 (p. 159). Perché di molti si può dire ciò che è detto a p. 148: “The very ground under his feet is composted with the blood of the ancients”.

5. “L’empirismo religioso giunge sempre alla medesima conclusione: bisogna tenersi il più lontano possibile dalle forze del sacro, bisogna evitare tutti i contatti” (La violenza e il sacro, p. 51).

6. “… the whole of Mexico where the antique world clung to the stones and to the spores of living things and dwelt in the blood of men”. (p. 331)

7. Cfr. Britton Johnston, Moneta di sangue, in questo sito, un testo in cui il capitalismo viene interpretato come un sistema sacro e sacrificale. http://www.bibliosofia.net/files/Moneta_di_sangue.htm

8. Nella seconda epifania lupesca di The Crossing, quando una banda di lupi appare in sogno a Billy, circonfusa di un’aura sacra come nella prima visione che apre la storia, e si conferma fino in fondo l’arcaica fascinazione di cui abbiamo parlato, le belve toccano la faccia dell’eroe coi loro musi, ed egli sente che il loro respiro è caldo è odora della terra e del cuore della terra (p. 295). Si ricordi che il cuore del mondo sanguina, e che la terra è impastata di sangue umano. La nobiltà dell’animale lupo è strettamente legata alla sua natura di uccisore.

9. Alfred Döblin, Berlin Alexanderplatz, trad. it. A. Spaini, RCS libri, Milano 1999, pp. 151 – 159.

10. La traduzione di R. Montanari (Città dell pianura, Einaudi, Torino 1999, p. 193) di “unaccountable” è “incontrollabile”, che rende comunque bene l’idea della indisponibilità che caratterizza la percezione del numinoso.

11. Giuseppe Fornari, Fra Dioniso e Cristo, Pitagora Editrice, Bologna 2001, p. 293. Per Fornari non v’è quasi frammento significativo di Eraclito “che non venga spiegato in modo rivelatore dalla lettura sacrificale” (p. 319).

12. Fornari, op. cit., pp. 322 – 323.

13. Come ho suggerito in Divenire nulla, Giacobino editore, Susegana 2000, p. 41.

14. Hannah Arendt, Vita activa, trad. it. A. Dal Lago, Bompiani, Milano 1997, p. 231.

15. E non  “a settant’anni”, come erroneamente traduce Montanari nell’edizione italiana (p. 304), alterando il senso del passo.

16. “…a knowing deep in the bone that beauty and loss are one” (p. 71).

17. Si può vedere qualcosa sul discorso in McCarthy, limitatamente a The Crossing, in Scott Gilbert, Discourse Theory in The Crossing, in questo stesso sito:

http://www.bibliosofia.net/files/Scott_Gilbert.htm

18. Si veda l’interpretazione del peccato originale offerta nel mio scritto Dio e il sacro, in questo stesso sito:

http://www.bibliosofia.net/files/Dio.htm

19. Ovvero, in termini girardiani e gansiani, violento. Tuttavia la creazione contiene una problematica che travalica quella della violenza – con cui il male coincide secondo Girard – che è quella della sofferenza universale,entro la quale i processi vittimari si inseriscono senza esaurirla, come mi pare evidente e percepibile da chiunque.

 

GENERATIVA