Passaggi
Carolyne Van Der Meer
Raggi a chiazze polverose danzano
sulla consunta tappezzeria satura di fumo.
Mi appoggio all’indietro sulla rigida sedia di quercia,
una copia squinternata di Jane Eyre tra le mani,
tutta presa dagli scambi arguti, appassionati,
tra lei e Rochester il traditore.
Girando le pagine, prendendo febbrilmente appunti,
comincio, in quieta solitudine,
a udire le risa dei clienti,
le loro voci forti per richiamare l’attenzione,
l’oste che disegna cerchi
di birra scura coronata di schiuma.
Branwell,
qui al Black Bull,
la chiesa di suo padre
che appare imponente in lontananza,
vigile, giudicante.
E Branwell?
Se ne rendeva conto?
No, pensava solo alla bevanda,
mi dico,
osservando il vapore che sale dalla mia tazza
di caffè preparato con cura, due porzioni di latte,
mi rannicchio in una visione indistinta
oggi e ieri
che si fondono per un breve istante
di sole sulle logore panche ricoperte di cinz.
Vado con passo deciso
sulla strada acciottolata,
la borsa appesa alla spalla –
odo un’eco lontana,
il rumore irregolare di zoccoli di cavalli.
La nebbia è tenuta prigioniera
umido sudario che la brughiera possiede.
Scorgo nella luce intermittente
una pietra tombale e lettere coperte di muschio,
HEATHCLIFF, c’è scritto,
e per un attimo
è del tutto credibile
che lui abbia preso possesso
di questo terreno.
Resto immobile,
prigioniera delle pagine,
parte del suo disperato avvinghiarsi
alla bara di Catherine;
del suo andare incontro alla morte senza rassegnazione,
unendosi finalmente a lei.
Le voci forti al Black Bull
mi riempiono la testa; Branwell torna sulla scena.
L’anima debole
dell’uno
preda della
crudeltà selvaggia
dell’altro –
e io piango
dell’uno e dell’altro
il passare alla morte.
(traduzione di Elettra Bedon)
Carolyne Van Der Meer è una scrittrice di Montreal.
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Passages
Carolyne Van Der Meer
Dappled
dusty rays dance
On well-worn smoke-laden upholstery.
I lean back in the unforgiving oak chair,
a battered copy of Jane Eyre in hand,
overwhelmed by the passionate, witty exchanges
between her and the treacherous
Flipping pages, madly scribbling notes,
I begin, in my warm solitude,
to hear the laughter of patrons,
their loud voices competing for the floor,
the publican drawing rounds
of foam-headed dark ale.
Branwell,
here at the Black Bull,
his own father’s church
looming powerfully beside,
watchful, judging.
And Branwell?
Did he feel it?
No, he felt only the drink,
I think to myself,
as I watch the steam from my cup
of richly-brewed coffee, two parts milk,
coil into the hazy view,
today and yesterday
melting into that brief moment
of sun on tired chintz-covered benches.
I walk decidedly
on the cobblestone path,
my bag slung loosely over my shoulder—
hear a distant echo,
horses’ shod hooves
clattering unevenly.
The fog is held captive,
a damp shroud possessed by the moors.
I perceive in the wandering light
a mossy gravestone, fungus-inhabited letters
H E A T H C L I F F, it says,
and for a suspended interval,
it is wholly believable
that he should
occupy this ground.
I am still,
caught between the pages,
party to his desperate clawing at
Catherine’s coffin;
his meeting death without resignation,
joining her at last.
The loud voices at the Black Bull
fill my head;
Branwell returns to the frame.
The weak soul
of one
bound to the
savage cruelty
of the other--
and I mourn
their passing,
each one.
Carolyne Van Der Meer is a Montreal writer.