Anthropoetics II, no. 1 (June 1996)

René Girard senza la Croce?
Religione e teoria mimetica

James G. Williams

Department of Religion, Syracuse University
Syracuse NY 13244-1170
jaswilli@mailbox.syr.edu

Traduzione dall’inglese di Fabio Brotto [www.bibliosophia.homestead.com/Copertina.html]

 

L'opera di Eric Gans, tesa a sviluppare un'antropologia generativa, mi attrae molto, per due ragioni. Anzitutto, è un'ipotesi stimolante sul modo in cui inizia la cultura - e specificatamente il linguaggio. L'emergere del segno dal quale è rappresentata la vittima porta con sé la nascente consapevolezza della posizione di coloro che sono radunati attorno e contro la vittima, e questa condivisione del segno fa sì che quelli che vi sono coinvolti siano in grado di sostituirlo alla vittima e di differire la violenza. La questione fondamentale che io pongo intorno a questa scena originaria, e che sarà sviluppata nella parte 4 del presente saggio, è se sia necessario presupporre una crisi sfociante nell'effettivo linciaggio di una vittima umana perché sia possibile immaginare la condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente, per l'emergere del linguaggio e della cultura (così Girard); o se la condivisione e la sostituzione del segno possano essere realizzate senza violenza reale. O bisogna pensare che il sorgere del linguaggio tramite il differimento della violenza sia ciò che definisce l'essere umano, indipendentemente dal fatto che per gli ipotetici ominidi l'oggetto centrale sia reale o immaginario? E se l'oggetto centrale è reale, ha una qualche importanza se esso sia un animale, un umano, o un oggetto di qualche altra natura, la conquista o il consumo del quale deve essere differito perché linguaggio e cultura possano nascere?

In secondo luogo, nella sua versione dell'antropologia generativa Gans prende molto sul serio la religione. In Science and Faith, egli dice che "L'ipotesi originaria è un tentativo di comprendere la nascita dell'ambito trascendentale della rappresentazione"[1]. La comparsa di segni o linguaggio è il modello di comprensione della scena originaria: al cuore di questa capacità significante vi è una contigua rappresentazione di un oggetto centrale, il differimento della violenza tramite la sostituzione del segno all'oggetto, e un'esperienza di accordo o consenso che dà luogo alla pace collettiva. Così, il linguaggio è ciò che è distintivamente e primordialmente umano, ma l'evento che genera l'umano, che è a dire "l'ambito trascendentale della rappresentazione", è rivelativo, avendo uno status di realtà sacra posta al centro delle cose. Quello per cui oggi usiamo la categoria di "religione" è la trasmissione in fieri di atti, simboli e storie collegati a quella rivelazione, quell'apertura di un ambito trascendentale della rappresentazione.

Ritornerò successivamente al concetto dell'antropologia generativa di Gans, poiché v'è un importante tema in gioco nel suo concetto di linguaggio come integrazione originaria che differisce la violenza. A questo punto mi dedicherò ad una sommaria descrizione dell'antropologia di Girard e delle radici religiose, e specificatamente bibliche e cristiane, della sua teoria mimetica. L'esito di questa duplice struttura dell'opera girardiana è rappresentato dalla condizione mimetica dell'umanità e dalla rivelazione di questa condizione, una rivelazione che contemporaneamente è la trasmissione del potere della mimesi come amore e comunità divino-umana. O, per porla in termini teologici tradizionali, questa struttura duplice dell'opera di Girard può essere compresa come peccato originale e salvezza, visti nella prospettiva delle implicazioni teologiche dell'antropologia mimetica. Dopo aver esaminato l'antropologia mimetica di Girard, porrò il problema se sia possibile separare gli aspetti religiosi e specificamente cristiani della teoria mimetica dal pensiero di Girard e dal corpo della sua opera, e mantenersi nel contempo ancorati alla teoria mimetica. La questione implicherà una rassegna del ruolo della religione nell'opera di tre allievi di Girard: Paisley Livingston, Tobin Siebers, e il già menzionato Eric Gans.

1. Mimesi: la condizione

Interpreti di diversa collocazione e prospettiva saranno d'accordo sul fatto che la visione della condizione umana che Girard ci offre è radicale. Perché se noi andiamo alla radice della cosa secondo la sua linea di pensiero, incontriamo un evento originario (o una serie di eventi) che segna la transizione dal pre-homo sapiens all'homo sapiens--la transizione che in Delle cose nascoste Girard chiama "ominizzazione"[2]. Questa transizione originaria è la fonte dell'incomprensione, o "misconoscimento" (méconnaissance) e menzogna, che è incorporata in ogni forma di rappresentazione. A dispetto di qualsiasi distinzione si possa fare tra le forme del desiderio, per Girard tutto il desiderio è propriamente parlando mimesi o desiderio mimetico. Egli ha enfatizzato l'aspetto acquisitivo del desiderio nell'identificazione di crisi personali e culturali, e questo desiderio acquisitivo (la mimésis d'appropriation) nello scenario fondativo è la dinamica che fa precipitare l'evento. Il suo funzionamento iniziale è anteriore a tutte le rappresentazioni; ma dal momento che, fin dal suo stadio embrionale, è evocato dall'altro che diviene il modello, esso diviene facilmente instabile quando delle pressioni sul raggruppamento umano, o particolari relazioni all'interno di questo, accelerano un'affannosa ricerca di certezza e di ordine. E' in situazioni di questo genere che il desiderio acquisitivo conduce al conflitto e alla rivalità, sfociando poi nella violenza.

Il controllo dei danni ottenuto linciando una vittima e preservando l'unità dei linciatori con la ripetizione dell'evento (l'origine del rituale), col divieto del supposto crimine che l'ha precipitato (l'origine della proibizione), e col rivisitare e correggere l'evento attraverso la narrazione (l'origine del mito), è per così dire un travisamento della verità. La verità del rituale e della rappresentazione mitica, che sono le basi di ogni rappresentazione, è la crisi mimetica e la violenza collettiva. La violenza collettiva in particolare può essere pressoché completamente dissimulata--ma di solito non lo è proprio del tutto[3]. Il momento del sacrificio nel rituale e il momento della violenza "buona" nel mito sono entrambi simili alle dosi di veleno che devono essere assunte (messe in atto, recitate, pensate) al fine di contrastare questo stesso veleno nelle sue forme distruttive di conflitto, violenza e disintegrazione sociale[4].

Se volgiamo il nostro interesse alla psicologia "interdividuale" di Girard e ci soffermiamo sullo sviluppo dell'io, vediamo che egli concepisce l'individuo, cui è insito l'essere sempre sociale o intersoggettivo (e perciò "interdividuale"), attribuendogli una condizione analoga a quella dell'ordine socio-culturale[5]. Il bambino non possiede alcun meccanismo di tipo biogenetico che gli faccia distinguere le forme di comportamento buone da quelle cattive. I comportamenti e le regole che impara sono fondamentalmente imitazioni di quel che gli adulti dicono e fanno, sebbene indubbiamente abbia un'influenza considerevole su di lui ciò che gli altri bambini fanno e dicono, sia i più grandi che i coetanei. Il bambino non può sapere in modo innato che con l'imitazione si può andare troppo in là: se diventa troppo acquisitivo comincia ad interferire con il modello, e le ripercussioni non sono piacevoli. Ma una delle più importanti funzioni della cultura e della religione è quella di fornire differenze--ruoli, regole, istituzioni, ecc.--atte a lenire questo danno potenziale alle relazioni. Nell'Occidente moderno, in contrasto con le società arcaiche, queste funzioni si sono progressivamente indebolite, così che il bambino non dispone di alcun modo sicuro di sapere che quel comportamento che è approvato in un'occasione potrebbe essere scoraggiato o persino rifiutato in un'altra[6].

La relazione maestro-discepolo è analoga a quella genitore-bambino, e in una certa misura è sempre influenzata da quest'ultima. Girard mostra come il maestro possa essere compiaciuto di essere preso a modello dal discepolo, ma "se l'imitazione è troppo perfetta, se l'imitatore minaccia di superare il modello, ecco che il maestro cambia sistematicamente atteggiamento e comincia a mostrarsi diffidente, geloso, ostile". Egli tenterà di "sminuire il discepolo e scoraggiarlo". Ma "il discepolo è colpevole soltanto di essere il migliore dei discepoli". Precisamente perché la relazione col suo maestro è mimetica, e il maestro è la fonte delle norme e l'ostacolo che non può superare, egli è incapace di raggiungere una distanza critica e di vedere la relazione in prospettiva. La situazione del discepolo è peggiorata dalla tendenza del modello a rinforzare la cecità del seguace e "dissimulare meglio che può la vera ragione della sua ostilità"[7].

Se ho inteso bene la posizione di Girard, il potenziale di conflitto nella relazione maestro-discepolo è fondamentalmente una variazione su quello di cui il bambino fa esperienza nelle sue relazioni con modelli e mediatori. Vale a dire che la mimesi non è soltanto un'importante relazione e fenomeno che si pone accanto ad altri, ma è la base costitutiva e la dinamica di tutte le relazioni. E non è che non possa volgere le persone alla libertà, all'amore, alla non-violenza, poiché essa è anche ciò che costituisce la possibilità della salvezza e della liberazione (di questo dirò in seguito). Ma in qualunque direzione si volga la vita di un uomo, sempre procede nella mimesi e attraverso la mimesi. Imparare da qualcun altro cosa desiderare non è una dinamica "individuabile soltanto nei malati, in coloro che spingono troppo lontano il processo mimetico per funzionare normalmente, ma anche, come notava Freud, nelle persone definite 'normali'"[8].

Nei Vangeli del Nuovo Testamento questa universale condizione umana è associata all'opera dei demoni, e in particolare con l'opera dell'arci-demonio, il principe di questo mondo, l'arché o principio del mondo costituito dalla mimesi e dal meccanismo del capro espiatorio. Secondo i Vangeli di Matteo, Marco e Luca, Gesù fu tentato da Satana il demonio per quaranta giorni nel deserto. Nella Bibbia ebraica shatan o satan significa accusatore o avversario. Il greco diabolos significa in pratica la stessa cosa: accusatore o calunniatore. Il greco classico diabole significherebbe pertanto accusa (falsa) o calunnia. Il suo uso nella lunga difesa di Socrate nell'Apologia ci dà forse una percezione più profonda della sua connotazione. Socrate dice, "Riprendiamo dunque da principio: e vediamo qual è la kategoria donde è venuta la diabole contro di me" (19 AB). Qui la kategoria, da cui la nostra parola "categoria", è l'accusa formale, mentre la diabole è quel che supporta e rende più aspra l'accusa. La traduzione Loeb la rende con "falso pregiudizio". Dal momento che l'imputazione sosteneva che Socrate corrompeva i giovani ponendo in questione la tradizionale credenza negli dèi, la materia apparente del processo era la rottura dell'ordine civile e della tradizione, ma l'accusa contro di lui era informata dall'ansia--forse anche dall'invidia?--circa la sua influenza su di un grande numero di giovani. Se la traduciamo nei termini mimetici di questa discussione, diabole si identifica con la rivalità mimetica sia come sua causa che come suo risultato.

Così Satana, come dice Girard, "fa tutt'uno con il modello-ostacolo"[9]. Possiamo vederlo in modo particolarmente chiaro nel Vangelo di Matteo, dove dopo che Gesù ha parlato della sua passione, morte e resurrezione, Pietro lo riprende per aver detto che egli avrebbe sofferto e sarebbe morto. A sua volta, Gesù rampogna Pietro: "Vattene da me, Satana! Tu sei per me uno scandalo…" (Matt. 16.23)--tu sei uno scandalo, un ostacolo, un intralcio per me. Girard osserva che Satana è "decostruito" qui con l'essere reso eguale al principio mimetico, laddove in altri testi è descritto in un ruolo soprannaturale personificato[10]. In questo capitolo di Delle cose nascoste, intitolato "Al di là dello scandalo", Girard sostiene che il concetto di scandalo è radicato nell'Antico Testamento e nella lotta contro l'idolatria, e che la Croce è lo scandalo supremo che rivela e smaschera lo scandalo e la sua operazione tramite il meccanismo del capro espiatorio.

Così non è importante se uno crede in una persona soprannaturale, Satana, o vede Satana come il principio dell'ordine che opera attraverso la mimesi ed un inconscio processo di capro espiatorio, che scatta quando il sistema culturale è minacciato o sbilanciato a causa di qualcuno dei suoi tributari nella società, nel governo o nell'economia. Secondo questa prospettiva, c'è una sola cosa peggiore del credere in Satana: non credere in Satana. Non so se Girard l'abbia mai scritto in testi pubblicati, ma da conversazioni avute con lui so che è d'accordo su questo. E questo significa che tutti gli esseri umani in ogni circostanza sono sempre o soggetti allo scandalo e alla relazione dei doppi o prossimi a divenirne soggetti. Coloro che sono intrappolati nella relazione dei doppi sono veramente "posseduti"; per loro, a meno di una prodigiosa liberazione, la violenza del desiderio tende verso la morte, sia la morte del modello-ostacolo mediante l'assassinio o la morte della persona posseduta mediante il suicidio. Quando Girard parla del desiderio che tende alla morte o dice, come all'inizio dell'ultimo capitolo di Mensonge romantique, verité romanesque, che "il significato ultimo del desiderio è la morte…"[11], egli non parla di tutto il desiderio o del desiderio in tutte le sue manifestazioni. Egli piuttosto intende il desiderio in quanto si fissa sul supposto desiderio del mediatore, e più fondamentalmente sul mediatore stesso, tanto che esso per il soggetto desiderante assume una realtà metafisica indipendente. Quella che mette in luce Girard non è la necessità di quel desiderio che si traduce nello scandalo e nella relazione dei doppi, ma l'inevitabilità di questo sviluppo, cioè il fatto che non vi è alcuna necessità assoluta che questo avvenga, mentre la condizione umana è tale che in pratica riesce impossibile evitarlo. Il successo umano in scala universale è stato quello di vincere il disordine per mezzo di un disordine limitato; o se si vuole, di annullare il veleno della violenza iniettandone una piccola dose, abbastanza perché la specie umana la tolleri ma non così massiccia che il sistema socioculturale si ammali fatalmente. L'operazione di un qualche tipo di meccanismo generativo del capro espiatorio consente alla maggior parte delle culture di funzionare per la maggior parte del tempo. Posto in termini di satana: Satana, il principio dell'ordine (il "principe" di questo mondo) espelle Satana il principio del disordine, quel grande "spirito di auto-distruzione e nonesistenza", come lo chiama il Grande Inquisitore di Dostoevskij. Così nel senso del potere di Satana quale è stato appena indicato, noi esistiamo o sotto l'influsso del rivale affascinante oppure, secondo la efficace immagine di Kafka, come coloro che tentano di camminare lungo una fune distesa proprio sopra il suolo. "Essa pare designata a causare inciampo piuttosto che a farsi camminare sopra"[12]. Questa è la comune esistenza umana, l'esistenza "secondo la carne". Ma v'è la possibilità di diventare "i fedeli dell'imitazione non violenta"[13]. Di questo ci occuperemo ora.

2. Mimesi: la liberazione o redenzione

Prendo questi termini, liberazione e redenzione, da due testi evangelici. In Marco, seguito da Matteo, Gesù dice ai suoi discepoli: "Poiché il Figlio dell'Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come riscatto per molti" (10.45). "Riscatto" è una traduzione della parola greca lutron, la cui radice significa "liberazione" o rilascio. Riscatto, con una connotazione di riscatto sacrificale, probabilmente rende il senso con precisione. Nei Settanta, la traduzione in greco della Bibbia ebraica, lutron traduce parole tipicamente sacrificali, come geulah, redenzione, e kofer, riscatto. Tuttavia, nel contesto di Marco è praticamente sinonimo dell'umiliazione di sé da parte del Figlio dell'Uomo, per cui egli diventa il servo, un modello che i discepoli sono chiamati a seguire. La proclamazione circa il Figlio dell'Uomo come riscatto avviene in risposta all'ira dei discepoli nei confronti di Giacomo e Giovanni che avevano chiesto di diventare i luogotenenti di Gesù al momento della sua glorificazione. In altre parole, il suo obbiettivo è la rivalità mimetica. La stessa disputa si era scatenata in precedenza, quando i discepoli avevano disputato tra loro su chi fosse il più grande. E' là che troviamo il detto: "Se qualcuno vuole essere il primo, deve essere l'ultimo di tutti e il servo di tutti". Allora Gesù prese un bambino e ponendolo in mezzo a loro disse: "Chiunque riceve uno di questi bambini in mio nome riceve me; e chiunque riceve me, non riceve me ma colui che mi ha mandato" (Marco 9.33-37). In Matteo il detto comprende non solo il ricevere, ma anche l'essere come il bambino. "In verità io vi dico, se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete mai nel regno dei cieli" (Matteo 18.3).

Allora la liberazione o rilascio dalla rivalità mimetica ha molto a che fare con la libertà di essere capaci di imitare come il bambino. La libertà--di questo si tratta--di imitare il Figlio dell'Uomo o di imitare chiunque imiti Dio padre.

Luca accoglie la disputa tra i discepoli, ma la colloca in un punto diverso della storia. Gesù e gli apostoli sono a tavola per l'ultima cena. Dopo che Gesù e gli apostoli hanno condiviso il pane e il vino, nasce una disputa a proposito di chi tra loro debba essere considerato il più grande. Anche qui Gesù li ammaestra spiegando loro che il più grande, il leader, è quello che serve, ma non dice nulla circa il suo dare la vita come lutron per molti. E' probabile che l'autore di Luca faccia cadere questo termine dal suo resoconto, poiché in genere egli evita ogni indicazione ovvia di espiazione sacrificale.

Un altro importante passaggio su questo argomento è il racconto lucano dei due discepoli sulla strada di Emmaus dopo la crocifissione di Gesù. Si imbattono in un "viandante" o "straniero" che comincia a parlare loro. Risulta essere Gesù, ma essi non lo riconoscono se non alla fine del cammino, quando si siede a tavola e spezza il pane con loro (Luca 24.13-35). Lungo la via dicono allo straniero che Gesù "era un profeta potente in parole e in opere davanti a Dio e al popolo", e che loro hanno sperato "che fosse quello che doveva redimere Israele" (24.19,21). Il verbo tradotto con "redimere" è lutrousthai, raro nel Nuovo Testamento, mentre una sua forma è usata frequentemente nei Settanta con un chiaro significato sacrificale. Ma si deve notare che sebbene i due discepoli usino questa parola, Gesù non lo fa. Egli interpreta loro le Scritture, (24.27), si fa riconoscere "nello spezzare il pane" (24.35), e prima della sua ascensione, "aprì la loro mente alla comprensione delle Scritture", insegnando ancora loro della sua passione e resurrezione e che "la conversione e la remissione dei peccati saranno predicati in suo nome a tutte le nazioni" (24.45-47)[14]. La parola sacrificale viene evitata in questa sequenza della storia della salvezza. Lo stesso punto può essere sottolineato ripetutamente in Luca e negli Atti. Fondamentalmente, non vi è nulla riguardo al sacrificio e alla redenzione nei significati biblico classico o universalmente religioso, che ruotano attorno alla catarsi e all'espiazione ottenute tramite il versamento del sangue di una vittima.

Così noi troviamo nei Vangeli non solo che Gesù ha svelato la rivalità mimetica, ma che egli costituisce il suo antidoto, il mezzo per ottenere la remissione o liberazione da questa condizione. Se Matteo e Marco mantengono un linguaggio dalle forti connotazioni sacrificali, Luca si allontana da questo tipo di linguaggio, certo deliberatamente, al fine di sottolineare l'imitazione di Cristo, il servo di tutti, nel nome del quale--il potere della rappresentazione di Cristo negli apostoli--può darsi una conversione che comincia col pentimento ed il perdono dei peccati. "E non vi è salvezza in alcun altro, poiché non vi è alcun altro nome tra gli uomini sotto il cielo da cui possiamo essere salvati" (Atti 4.12). Questa conversione non può aver luogo sulla base di una scelta religiosa o morale che sia presa considerando delle alternative razionali. "In realtà, nessun procedimento solamente intellettuale, nessuna esperienza di tipo filosofico potrà mai procurare a un individuo la minima vittoria sul desiderio mimetico e la passione vittimaria; avverranno soltanto degli spostamenti e dei fenomeni di sostituzione che potranno forse dare agli individui l'impressione di una tale vittoria. Perché vi sia progresso, anche minimo, bisogna trionfare sul misconoscimento vittimario (méconnaissance victimaire) nell'esperienza intima…"[15]. Questo misconoscimento è il rifiuto inconscio o preconscio della conoscenza del meccanismo del capro espiatorio, e della propria complicità in esso. Lo sfaldarsi di questo mancato riconoscimento deve causare il crollo, o quantomeno l'incrinatura, di tutte le opposizioni interdividuali--"di quanto possiamo definire il nostro 'Io', la nostra 'personalità', il nostro 'temperamento', ecc."[16].

Un'imitazione che sia conversione è pertanto la chiave per un cambiamento umano significativo. I Vangeli "raccomandano di imitare il solo modello che non rischia, se lo imitiamo veramente come imitano i fanciulli, di trasformarsi per noi in rivale affascinante"[17]. Seguire Cristo implica una sorta di rinuncia, un abbandono di quel desiderio mimetico che va ostinatamente alla ricerca su di un sentiero che finisce nel vicolo cieco dell'ostacolo, della scommessa sempre perduta, della tomba che contiene solo il morto [18].

Ovviamente Girard non può parlare di una imitazione sana e nonviolenta e insieme sostenere che è necessario rinunciare al desiderio mimetico in tutte le sue forme, dato che questo è assolutamente essenziale per la sua antropologia. Come lui chiarisce in un'intervista con Rebecca Adams, egli non intende "la rinuncia al desiderio mimetico, poiché ciò che Gesù perora è il desiderio mimetico stesso. Imitate me, e attraverso di me il Padre, dice Gesù, e questo è due volte mimetico… Così l'idea che il desiderio mimetico sia cattivo in sé non ha senso". L'uso girardiano di "desiderio mimetico" nel senso negativo si applica solo al tipo di desiderio "che genera rivalità mimetica e a sua volta è generato da essa"[19].

Tutte le vittime del desiderio mimetico incontrano l'ostacolo del modello-rivale, e ,a meno che non si dia il dono dello scioglimento di questo vincolo, il risultato è la morte. "Tutti gli ostacoli sono una sorta di tombe"[20]. Perché la pietra sia rimossa e la tomba sia trovata vuota, senza un cadavere, è necessaria una conversione--un superamento dell'illusione vittimaria al livello più intimo dell'esperienza.

3. La teoria mimetica senza la religione

La mia tesi in questa parte 3 del presente saggio è che nella misura in cui si attinga dall'opera di Girard rifiutando nel contempo l'evidente struttura duplice del suo pensiero, la dialettica della condizione mimetica e l'imitazione dell'amore divino nella conversione, diviene necessario modificare la propria teoria nella direzione delle linee principali dell'eredità illuministica. Nell'usare il termine "eredità illuministica" ho in mente soprattutto il modo di intendere la religione o la trascendenza religiosa che è emersa con forza per la prima volta nel diciottesimo secolo e che è diventato totalmente secolarizzato nel corso del ventesimo, al punto che, negli ambienti intellettuali e nelle discussioni politiche in cui sono sostenute le pretese di una ragione e di una moralità "illuminate", la religione, e particolarmente quella cristiana, è messa al bando o ignorata. L'eredità illuministica consiste in un certo razionalismo, solitamente di stampo pragmatico o utilitaristico. E' tipico di questo razionalismo utilitaristico essere incline a vedere la persona individuale come autonoma ed in possesso di "certi inalienabili diritti", per citare un documento ben conosciuto, ma di solito esso presenta una corrispondente tendenza socio-politica a favorire programmi di governo che proteggono e accrescono i diritti individuali[21]. La possibilità che questo concetto moderno dell'io autonomo sia stata influenzata dalla comprensione biblica di Dio come il soggetto assoluto[22], o che la tradizione dei diritti individuali sia radicata nell'antropologia biblica, è ignorata o liquidata.

Qui prenderò in considerazione l'approccio di due critici influenzati da Girard, di cui entrambi sono stati allievi: Paisley Livingston e Tobin Siebers. Entrambi, almeno nella loro opera di pensatori e studiosi, nel pensiero di Girard rifiutano la Croce. Nel suo Models of Desire Livingston propone di dar inizio al progetto di guadagnare un migliore concetto del desiderio in quanto esso è relativo ad agenti, attitudini e contesti sociali e storici umani ed in essi radicato. Girard, afferma, si è impegnato in un discorso incoerente circa il desiderio mimetico. Egli tende a conglobare ogni sorta di desideri sotto l'etichetta di "mimetico", sebbene in alcuni casi abbia distinto una forma preculturale di desiderio, la mimésis d'appropriation, che però, propriamente parlando, non è desiderio mimetico. Egli cita l'affermazione di Girard, secondo cui "Si può anche decidere di utilizzare il termine desiderio soltanto a partire dal momento in cui il meccanismo non compreso della rivalità mimetica ha conferito questa dimensione ontologica o metafisica a ciò che in precedenza non era altro che appetito o bisogno"[23]. La cura di Livingston nell'analizzare e definire il concetto di desiderio fa tutt'uno con la sua insistenza sull'idea che una psicologia della mimesi dovrebbe implicare la presa in considerazione, come agente morale, di un soggetto che non sia completamente sussunto da attrazioni mimetiche di natura non cosciente e non razionale, ma che invece abbia attitudini e disposizioni dotate di senso[24].

La delineazione, da parte di Livingston, di un agente morale, il cui input riflessivo è una parte rilevante dei cambiamenti della vita che possono essere correttamente descritti come "decisioni" o "scelte", è un'espressione delle due fondamentali critiche che egli avanza alla psicologia della mimesi di Girard: (1) Il sistema mimetico operante in tutte le società e culture umane non è tanto chiuso quanto pensa Girard. (2) La parte del modello di Girard che comprende la rivelazione e l'escatologia non è necessaria per una valida psicologia della mimesi. "…Non ho bisogno dell'ipotesi di Girard per cui il progetto scientifico è un effetto secondario della sotterranea Rivelazione portata dalla Sacra Scrittura"[25]. Circa il primo punto, Livingston dice che "sicuramente non è stato stabilito che l'errore del misconoscimento della pratica del capro espiatorio sia stato un elemento caratteristico della conoscenza umana fino all'avvento di Gesù Cristo"[26]. Per quanto riguarda il secondo punto, la tradizione biblica e specificatamente la rivelazione cristiana non hanno provocato la trasformazione della nostra eredità mimetica nella misura pretesa da Girard. Egli osserva che vi sono molti esempi proprio di questo misconoscimento nel mondo sociale contemporaneo, a cominciare dalle istituzioni economiche che si suppongono essere un effetto collaterale della rivelazione cristiana[27].

Ho i miei dubbi sul fatto che Livingston abbia ragione circa la cecità davanti all'illusione e all'inganno operanti nelle istituzioni economiche. Non dubito che siano operanti, ma non penso che non vengano riconosciuti. Non soltanto lo stesso Girard, ma anche Jean-Pierre Dupuy, Paul Dumouchel, Eric Gans, Cesareo Bandera, e altri hanno preso atto dell'oggetto messo al bando, il denaro come bene escluso, e del parallelo dislocamento del desiderio su altri beni, servizi, ed agenti umani. In altre parole, noi siamo più o meno "sopra" il meccanismo del capro espiatorio, ma questa conoscenza si è diffusa e ha informato la vita pubblica meno lentamente, si può dire, dei diritti della vittima.

Quel che mi colpisce maggiormente nell'approccio di Livingston alla psicologia della mimesi è la sua pretesa di essere in grado di appropriarsi dell'essenza analitica dell'antropologia mimetica di Girard senza prendere in seria considerazione la sua interpretazione del rapporto tra Vangeli e mitologia. Invero, nell'impostazione di Livingston la religione non trova spazio se non come un fattore socio-psicologico limitato. Il risultato è duplice. (1) Egli non può vedere come le società e gli individui siano coinvolti in una condizione mimetica. L'individuo, in fin dei conti, è in linea di principio un agente razionale, almeno nella misura in cui è possibile "un programma descrittivo ed esplicativo delle attitudini significative"[28]. E le culture umane e le espressioni culturali mantengono, in linea di principio, una sorta di apertura che non necessariamente riproduce un meccanismo vittimario. Non vi è alcun peccato originale. (2) E non c'è bisogno di rivelazione o trasformazione attinte a qualche fonte esterna all'uomo o all'ordine sociale umano. Egli palesa una fondamentale fiducia nella nostra capacità di criticare e "prevenire il genere di errore sacrificale identificato dalla teoria mimetica" [29].

Non vi è alcun peccato (originale) e non vi è alcun bisogno di salvezza nel senso delle tradizioni religiose. Tutto questo risulta evidente dal programma di pensiero illuministico di Livingston. La nostra situazione di uomini pencola tra il problema/irrazionalità e la soluzione/razionalità. La possibilità di questa soluzione è immanente alla specie umana in quanto si evolve e si sviluppa. Tutto questo sembra chiaro. E allora? Ovvero, non è così che dovrebbe essere, soprattutto per pensatori e ricercatori che hanno affinato i loro particolari talenti per analizzare la condizione umana e offrire proposte ragionevoli per il bene degli esseri umani loro consimili? Sì, afferma Livingston, è così che dovrebbe essere. La visione originaria di Girard è logicamente separata dalle pretese teologiche dell'autore[30]--il che significa che si può avere un Girard senza la Croce.

La conclusione è non solo una sfida alla versione del suo modello mimetico, portata dicendo a Girard che in realtà "la nostra situazione non è così cattiva come tu sostieni", ma anche la controaffermazione che "noi possiamo fare qualcosa per risolvere i nostri problemi tramite le funzioni analitiche e sintetiche della ragione".

Ma cosa offre in effetti questa posizione, a fronte dei cicli del desiderio e della vendetta? Non ho familiarità con l'esempio testuale addotto da Livingston in Models of Desire, la Brennu-Njalls Saga. Tuttavia, l'elemento positivo di azione morale che egli ne estrae ha poco da offrire: Gunnar rifiuta di cercare la riparazione, ponendo un'interruzione temporanea al ciclo della vendetta, e Njall offre una riparazione volontaria, affinché il suo amico non sia disonorato dalla mancanza della parità. Questa è davvero "una forma cooperativa di mimesi", ma questo è il modo in cui hanno sempre operato i sistemi sacrificali e retributivi quando gli individui si comportano con essi con spirito di nobiltà. Individui nobili e moralmente sensibili usano il sistema o per impedire al meccanismo--retributivo o del capro espiatorio-- di entrare in azione, o per minimizzare i danni da esso causati. Ma nella saga come lui la descrive io non vedo nulla che ponga realmente in questione il sistema; su di esso regna un certo fatalismo. E, come nota lo stesso Livingston, l'arresto nella rivalità, nella generazione dei doppi e nella vendetta è soltanto temporaneo. In breve, nell'analisi di Livingston vi è una mancanza di profondità antropologica, e una mancanza di una qualsiasi percezione di ciò che dovrebbe indurre un agente morale a rompere con un sistema, ovvero di ciò che dovrebbe spingere un individuo che si trovi entro una folla di linciatori non solo a lasciar cadere la pietra che sta per scagliare, ma anche a proclamare agli altri che la cosiddetta "buona" violenza non è il giusto rimedio per quella "cattiva".

Tobin Siebers è un critico letterario interdisciplinare il cui forte è la capacità di collocarsi nell'e di letteratura e antropologia, letteratura ed etica, letteratura e politica. Il suo pensiero non è guidato dal razionalismo illuministico nella stessa misura di Livingston, ma egli certamente guarda con sospetto ai temi e problemi di natura dichiaratamente religiosa che sono presenti nell'opera di Girard. A dire il vero, egli pensa che sia un grave errore per i critici quello di negare l'importanza della religione e di rifiutarsi di riflettere su di essa. Espellere la religione significherebbe mancare di riconoscere la "relazione dinamica tra atti di espulsione ed evoluzione del sacro". Siebers osserva che "non è accidentale il fatto che i metafisici della presenza, che cercano di sradicare le ultime sopravvivenze del sacro nel linguaggio, collocano l'intero linguaggio sotto l'egida della scrittura, parola che dice Scrittura"[31]. In realtà, Siebers si spinge tanto oltre da affermare che "La critica letteraria dovrebbe affermare il rispetto per la nostra vita interiore" [32].

Tuttavia, è precisamente l'affermazione appena citata che indica uno spostamento di Siebers dalla religione alla letteratura--o uno spostamento dalla tradizione giudeo-cristiana ad una letteratura accostata con un certo vestigio secolare di devozione religiosa. Egli sostiene che Girard si contraddice. Girard mette in rilievo che il folle di Nietzsche nella Gaia scienza dice che gli umani stessi hanno ucciso Dio, così che in questo contesto gli esseri umani hanno sia creato che assassinato gli dèi. Tuttavia nella conclusione del Capro espiatorio sostiene che "Non per questo gli assassini hanno smesso di credere che i loro sacrifici siano meritori. Neppure loro sanno quello che fanno, e dobbiamo perdonarli"[33]. La contraddizione, per Siebers, sta evidentemente nell'affermazione della possibilità del perdono, che ha una fonte ed un'ispirazione soprannaturali, aderendo nel contempo alla conoscenza antropologica dell'ignoranza e della colpa umane. Le due non possono realmente coesistere. E per Siebers questo significa che la dimensione religiosa dell'opera di Girard è un ostacolo che dovrebbe essere messo da parte. "Le credenze personali di Girard non dovrebbero renderci ciechi all'enorme portata delle sue intuizioni, specialmente entro una comunità di studiosi che propugnano pluralismo e libertà di pensiero"[34]. L'antidoto generale e contestuale a Girard è, in altre parole, una comunità che pratica "pluralismo e libertà di pensiero". Ed essenziale a questo contesto, se non il fattore più importante, è il ruolo della letteratura e della narrativa, che Siebers descrive religiosamente. La critica letteraria dovrebbe sostenere il rispetto per la nostra vita interiore. La letteratura "stimola la meraviglia, la sollecitudine e la memoria", tutte associate tradizionalmente al mito e al rituale. Nel senso della connessione all'esperienza vitale, "non esiste storia che non sia vera"[35]. Per Siebers la letteratura si appropria della stessa definizione di Adamo/Anthropos, che è radicata nelle fonti della religione e della filosofia occidentali. "Essere umano", dice Siebers, "è narrare storie su di sé e su di altri esseri umani… Il definitivamente umano è la letteratura"[36].

E' fuori discussione l'importanza della letteratura per la comprensione di quel che gli esseri umani sono, e la tendenza umana a raccontare storie e a vivere in esse e di esse è altamente significativa. Ma la letteratura non può sostenere il peso che Siebers le addossa. Egli sostiene un'etica della critica letteraria che lotta per il rispetto verso la vita dell'io individuale in una società più o meno democratica e pluralista. Egli crede non solo che noi siamo esseri-che-narrano-storie, ma anche che "la memoria e il giudizio" ci chiedono di continuare a raccontare certe storie, come quelle che derivano dall'Olocausto[37]. Ma Siebers non offre una sua propria antropologia al di là della nostra esistenza linguistica e narrativa, che così facilmente si può frantumare in rivalità mimetica e violenza. Egli si sottrae ad una prospettiva religiosa su inizio e fine dell'umanità, lasciando così senza risposta la questione se noi umani siamo determinati o meno da una condizione. Egli sembra credere di no, dato che non ci propone di fare alcunché se non raccontare storie importanti ed esaminarle dal punto di vista critico ed etico per le sfide e le possibilità che esse ci offrono. E' una posizione strettamente circoscritta. Sebbene egli dia l'impressione di apprezzare l'importanza del fatto religioso, storicamente e psicologicamente, finisce per assumere una posizione analoga a quella di Livingston: non vi è una condizione umana in quanto tale, ma piuttosto una serie di problemi, soprattutto quello della violenza; e non si dà salvezza o liberazione, ma piuttosto una critica del linguaggio e della letteratura che potrebbe fare un po' di luce e renderci più uniti. Questo si risolve in un forte annacquamento dell'antropologia mimetica di Girard, che è del tutto radicale nel senso che noi umani siamo esseri mimetici che in modo inevitabile e caratteristico restano intrappolati nella rivalità mimetica, ma che possono essere salvati attraverso la mimesi, la mimesi della imitazione di Cristo che nasce nella conversione, o di quel modello-mediatore che rivela e mette in atto l'amore di Dio. Non vi è alcun modo per cui la memoria, il giudizio e la ragione possano sollevarsi sopra il misconoscimento delle loro proprie rappresentazioni, a meno che i loro racconti, le loro consuetudini e i loro principî non siano convertiti al punto di vista della vittima innocente. Quando Saulo/Paolo il persecutore dei Cristiani era in viaggio sulla via di Damasco, la voce che egli udì non era la sua memoria che gli diceva di esaminare e apprezzare i racconti cristiani; non era il suo giudizio che gli chiedeva di riconsiderare i casi di coloro che egli vedeva come Giudei sedicenti tali, o eretici, o blasfemi; non era la sua ragione che lo sfidava a diventare miglior critico delle azioni morali proprie e altrui. No, era la voce di Gesù che gli diceva "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" (Atti 9.4). Nel resoconto che egli dà della sua conversione, Paolo stesso dice che il vangelo che egli predica non lo ha ricevuto da una fonte umana, né gli è stato insegnato, "ma è venuto attraverso una rivelazione di Gesù Cristo" (Galati 1.12).

Allora, dov'è la fonte umana da cui attingere la rinuncia alla violenza? Chi insegnerà un essere nuovo, un'umanità rinnovata, e che cosa sarà questo insegnamento? Potrà essere una psicologia razionalista della mimesi o un'etica narrativa della critica? La teoria mimetica di Girard è radicale, il che significa che deve essere religiosa. E questo significa che per afferrare le sue implicazioni, per considerare quelle alternative che possano gettare luce sulla condizione umana e sulla libertà umana, è necessario passare per la Croce. Non si può aggirarla, o passarvi sopra o sotto; è necessario passarvi attraverso.

4. La teoria mimetica con la rivelazione trascendente

 Eric Gans prende sul serio la religione e non la liquida né la mette tra parentesi. Tuttavia per me è una questione aperta se essa risulti qualcosa di più che una parte della struttura formale della sua teoria della "antropologia generativa". Sebbene egli sottolinei l'importanza del "referente materiale", la vittima [38] e nei suoi articoli su Anthropoetics si sia riferito al diasparagmos o smembramento e spartizione della vittima, io non sono certo che questo sia necessario alla sua teoria.

La scena che Gans descrive in Science and Faith è quella di un gruppo di pre-umani i cui appetiti sono eccitati dall'animale che è appena caduto sotto i loro colpi. Ognuno di essi nota i movimenti appropriativi che tutti gli altri stanno facendo e così ciascuno interrompe il proprio gesto per timore dello scatenarsi di un conflitto generalizzato. Questo gesto mancato è la designazione ostensiva dell'oggetto desiderato. Il gesto ostensivo è stampato nella loro memoria e costituisce l'inizio della rappresentazione tramite il linguaggio. L'iniziale indicazione o esibizione dell'oggetto designato contiene simultaneamente il seme della distinzione tra "esso" o "quello" e "noi", e così rappresenta il primo stadio della comunità umana propriamente intesa. Esso implica le due ulteriori forme strutturali del linguaggio che si evolveranno. L'oggetto designato implica l'imperativo, la forma grammaticale del comando, dicendo effettivamente che tu devi cooperare e che non devi combattere per l'oggetto. Ma perché emergesse un essere umano come l'homo sapiens era necessario raggiungere una terza forma strutturale, quella dichiarativa, la forma grammaticale dell'enunciazione, che in realtà dice che vi è qualcosa di altro dall'oggetto designato--dèi, comunità, prestigio, proprietà, potere, rituale, storia, ecc.--tutto ciò che è associato alla rappresentazione, ovvero al linguaggio e alla cultura, con cui gli esseri umani proteggono se stessi dal pericolo originario e tentano di trovare il senso.

Si tratta di un'ipotesi originaria significativa e interessante, e la sua struttura è la stessa del modello di Girard [39]. Naturalmente Gans non deve aver inteso circoscrivere la scena originaria ad una situazione di caccia. Ma da quello che egli scrive in Science and Faith e in molte delle sue pagine su Anthropoetics si può ragionevolmente inferire che l'oggetto designato può essere qualunque cosa. Ultimamente egli ha fatto capire che sarebbe tornato a incentrare il discorso sulla spartizione della vittima, ma le conseguenze materiali di ciò per l'argomentazione formale della sua teoria non appaiono rilevanti. Sull'altro versante, per Girard la scena originaria deve avere come centro la vittima umana come oggetto designato. Soltanto questa ipotesi è in grado di dar conto della potenza del sistema culturale basato su integrazione e sostituzione. I tabù universali ruotano attorno al crimine, in particolare al parricidio e all'incesto, i due pericoli più minacciosi per l'ordine e la pace della comunità umana. In via d'ipotesi è semplicemente più ragionevole ed elegante sostenere che nel sacrificio, per esempio, un animale possa essere sostituito ad una vittima umana, o che un dono possa essere dedicato in luogo di un animale o di un uomo, mentre è difficile concepire il movimento in senso contrario. Perché mai una comunità umana avrebbe aumentato il suo proprio pericolo col sostituire uno dei suoi membri ad una vittima o ad un oggetto non-umani?

E' significativo che Gans asserisca l'esistenza di due e soltanto di due rivelazioni fondamentali: "quella dell'evento alle origini dell'uomo e quella del roveto ardente, che diede origine alla concezione del Dio unico che è condivisa da tutte le religioni occidentali e dai loro derivati secolari"[40]. La rivelazione presso il roveto ardente (Esodo 3) presuppone la dimensione ostensiva del linguaggio e include l'imperativa e la dichiarativa. Il progresso rivelativo che consegue è "la separabilità dello scambio delle rappresentazioni dallo scambio delle cose"[41]. Il big man è stato sempre necessario nella cultura umana. In quanto rappresentazione data, da parte della comunità, dell'oggetto designato così come della fonte degli imperativi e delle espressioni della verità sacra, egli era stato l'unico che, in linea di principio, operava la divisione dei beni. Egli era, naturalmente, sia divisore che diviso, capo e capro espiatorio il cui potere e la cui autorità poggiano su una sentenza di esecuzione procrastinata, come ha notato Girard. Egli era il centro sacro della presenza e dell'assenza, dell'attualizzazione e del differimento. Nell'episodio del roveto ardente una nuova rivelazione irrompe nella storia umana: il big man, Dio, o Dio tramite Mosè, non è più necessario per spartire i beni. Il mio modo di vedere la cosa è che la rivelazione a Mosè di ehyeh asher ehyeh ("Io sono chi sono" o "Io sarò ciò/colui che sarò" o "Io diventerò ciò/colui che diventerò") come colui che lo incarica di condurre gli Ebrei fuori dall'Egitto è una testimonianza negativa contro la méconnaissance della base della cultura. I segni e i simboli di Israele da quel momento in poi faranno registrare un "no!" a tutti i sistemi del sacro visibile, al fine di affermare una visione della liberazione umana e della comunità umana basata sul patto e sulla legge.

Vi è un racconto talmudico circa il ruolo dei saggi in rapporto alla rivelazione e all'intervento soprannaturale. Mentre i maestri stavano disputando su di un argomento, qualcuno si appellò ad un intervento miracoloso. Rabbi Eliezer fu d'accordo e chiamò in causa il "cielo" (Dio) per provare che aveva ragione lui, e una voce celeste disse: "La Halakah [la legge orale mishnaica] è sempre con lui". Rabbi Geremia, imperturbato, disse: "La legge ci fu data dal Sinai. Noi non prestiamo attenzione a una voce dal cielo. Poiché la Legge ha già parlato dal Sinai, voi dovete decidere a maggioranza"[42].Il detto di Rabbi Geremia era una "forzatura" omiletica, possiamo dire, basata su Esodo 33.2, ma la sua logica è implicita nella rivelazione del roveto ardente come è interpretata da Gans. La separabilità dello scambio di parole dallo scambio di cose significa che non vi dovrà più essere un big man, il dio o l'eroe in funzione di capro espiatorio, caricato di potenza sacra e frapponentesi alla responsabilità umana. La responsabilità umana per Israele è fondata e circoscritta dalla Torah.

Quindi la rivelazione cristiana incentrata nel Cristo e nei Vangeli del Nuovo Testamento è semplicemente un'ulteriore elaborazione di ciò che era stato già pienamente rivelato. Cristo è una reminiscenza della vittima nella scena originaria, e attraverso il cristianesimo l'apertura dell'uguaglianza umana, compresa come mutuo accesso al linguaggio, è diffusa in tutto il mondo. Ma io sono in dubbio circa la rivelazione nella teoria di Gans: essa rimane al livello del trascendentale. Ovvero, l'eleganza della "minimalità" è basata sull'a priori del linguaggio che non è connesso internamente e necessariamente con ciò che è reale. O per qualificare l'ultima affermazione, il sorgere del linguaggio è reale, ma non è legato alla vittimizzazione umana o ad un qualche oggetto specifico; qualsiasi oggetto di desiderio può andar bene, pare. Lo scenario del suo sorgere semplicemente segue la necessità della ragione di fornire ragioni o principî attingendoli dal linguaggio stesso. Per dirlo con una formula:

(1) Qualcosa significa (2) Qualcosa è significato (3) Qualcosa = (1) Significante (2) Significato (3) Referente.

In un altro modo: (1) Oggetto (2) Mediazione tramite il segno (3) Espressione del segno = (1) Vittima (2) Segno come suono-immagine (3) Espressione che differisce il desiderio per l'oggetto-vittima.

Solo nel senso più formale la rivelazione è legata ad un evento reale o ad una serie di eventi derivanti da una condizione. La rivelazione della scena originaria rivela la condizione e nello stesso tempo la supera. Il differimento della violenza tramite il linguaggio già contiene la rivelazione del distacco delle parole dalle cose e l'accesso universale di tutti al linguaggio; ma ciò che è contenuto, nel duplice senso di contenuto inizialmente implicito e di contenuto entro dei limiti, è liberato nelle rivelazioni fondative del Giudaismo e del Cristianesimo. Il problema della mimesi diventa molto meno significativo, sebbene aiuti a spiegare la presa di Cristo sui Cristiani, laddove gli Ebrei hanno avuto la rivelazione tramite Mosè e la Torah a renderli capaci di uscire dalla mimesi e di controllarla.

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Nelle mie conclusioni circa l'opera di Livingston e di Siebers mi chiedevo se la prospettiva e le implicazioni dello sviluppo da parte di Girard del modello mimetico potessero essere propriamente comprese ed apprezzate al di fuori di un reale coinvolgimento nel suo fondamento religioso. E' una teoria radicale, cioè religiosa. Sebbene Gans sia un critico della religione che ha delle cose molto costruttive da dire circa la storia, i testi, i simboli e le idee del Giudaismo e del Cristianesimo (ad esempio, la dottrina della Trinità), mi chiedo se la sua antropologia generativa non abbia perduto le radici realmente potenti della teoria mimetica girardiana col trascendentalizzare, di fatto, la scena originaria. I poli dialettici del pensiero girardiano sono la condizione mimetica e la liberazione mimetica. Gans li ha integrati con il significato come oggetto immaginato del desiderio ed il significante come parola-concetto che indica l'assenza e differisce il desiderio e la violenza? Anche per lui non vi è salvezza perché non vi è alcuna condizione, ma semplicemente una serie di problemi da risolvere con lo sfondo del linguaggio?

 

Note

 [1] Gans, Science and Faith: The Anthropology of Revelation (Savage, MD: Rowman and Littlefield , 1990), 14.

[2] Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, ricerche con Jean Michel Oughourlian e Guy Lefort, trad. R.Damiani, Adelphi, Milano 1983, p.110 e sgg.

 [3] Un mito del capro espiatorio da considerarsi esemplare, in cui vi è una mascheratura soltanto sottile, è la versione di un mito Venda su Pitone e le sue due mogli, analizzato da René Girard in "A Venda Myth Analyzed," in Richard J. Golsan, René Girard and Myth (NY: Garland, 1993), 151-79. Un mito in cui la violenza collettiva è in qualche modo meno ovvia è quello degli esseri soprannaturali antropomorfici che sono gli antenati dei clan Ojibwa. Esso è riportato in Claude Lévi-Strauss, Totemism Today, e discusso da Girard in Delle cose nascoste, p.135 -148, e in "Generative Scapegoating", in R. Hamerton Kelly, ed., Violent Origins (Stanford: Stanford University, 1987), 95-103.

[4] Si veda James G. Williams, "On Job and Writing: Derrida, Girard, and the Remedy-Poison", Scandinavian Journal of the Old Testament 7 (1993), 34-39, per una discussione ed una critica dell'Analisi svolta da Derrida sul pharmakon in Platone.

[5] Eccetto che l'individuo ha un potenziale di liberazione dalla condizione mimetica molto più grande di quello delle società e delle tradizioni, i cui meccanismi inconsci di capro espiatorio sono precisamente ciò che le lega e che ne fa sistemi coerenti. Questo tema sarà ripreso infra.

[6] Girard, Delle cose nascoste, cit., p.359.

[ 7] ibid.

[8] Ivi, p.497.

[9] Ivi, p.504.

[10] Ibid. In effetti, in molti salmi della Bibbia ebraica il shatan o satan è semplicemente l'accusatore o l'avversario umano, colui/coloro che perseguitano chi parla nei salmi stessi.

[11] Deceit, Desire, and the Novel. Self and Other in Literary Structure, tr. Y. Freccero (Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 1966), 290.

[12] Kafka, Hochzeitvorbereitungen auf dem Lande und andera Prosa aus dem Nachlass, ed. M. Brod (NY: Schocken, 1970), 42 (#26).

[13] Delle cose nascoste, cit., p.516.

[14] La parola tradotta con "remissione", aphesis, è simile a lutron in quanto il significato della radice è "rilascio".

[15] Delle cose nascoste, cit., p.481.

[16] ibidem.

[17] Ivi, p.516.

[18] Ivi, p.516-17

[19] "Violence, Difference, Sacrifice: A Conversation with René Girard," Religion and Literature 25.2 (1993), 23. Vedi anche Quand ces choses commenceront... Entretiens avec Michel Treguer (Paris: arl‚a, 1994), 70-71, 76.

 

[20] Delle cose nascoste, p.517

[21] Questi tratti del pensiero e dell'atteggiamento illuministici sono quelli più cospicui nella cultura euroamericana del ventesimo secolo. Tuttavia, nel diciottesimo secolo l'"illuminismo" era spesso associato al rifiuto del pensiero di Descartes e col potere assoluto, particolarmente se un sovrano assoluto poteva "ridurre il potere della Chiesa, incoraggiare la tolleranza religiosa, liberarsi dei Gesuiti e degli altri ordini, abolire la tortura e la pena di morte", ecc.. . Derek Beales, "The Enlightened Despot," a review of Kenneth Maxwell, Pombal: Paradox of the Enlightenment by Kenneth Maxwell (Cambridge: Cambridge University, nd), New York Review of Books 43,7, April 18, 1996, 34.

[22] Si veda Girard, Dostoevskij dal doppio all'unità, tr. R. Rossi, SE, Milano1987.

[23] Delle cose nascoste, cit., p.366. Livingston, Models of Desire. René Girard and the Psychology of Mimesis (Baltimore: The Johns Hopkins University, 1992), 103. 24. Livingston, ibid., 172-4.

[25] Ivi, xviii.

[26] Ivi, 134.

[27] Ibid.

[28] Ivi, 174.

[29] Ibid.

[30] Ibid., xviii.

[31] Siebers, "Language, Violence, and the Sacred: A Polemical Survey of Critical Theories," in To Honor René Girard, ed. by members of Dept. of French and Italian, Stanford University (Saratoga, CA: ANMA LIBRI, 1986), 217. Vedi anche Siebers, The Ethics of Criticism (Ithaca: Cornell University, 1988): "L'espulsione della religione per la sua apparente ristrettezza e intolleranza ripete il crimine di cui il pensiero moderno accusa la religione" (155).

[32] Cold War Criticism and the Politics of Skepticism (New York: Oxford University, 1993), p.157

[33] Girard, "Dionysus versus the Crucified," Modern Language Notes 99 (1984), 828-35, e Il capro espiatorio, trad. Leverd e Bovoli, Adelphi, Milano 1987, p.325.

[34] To Honor René Girard, 217.

[35] Morals and Stories (New York: Columbia University, 1992), 210.

[36] The Ethics of Criticism, 240.

[37] Cold War Criticism, 141.

[38] Science and Faith: The Anthropology of Revelation, 3-4.

[39] Delle cose nascoste, cit., pp. 68-109.

[40] Science and Faith, 73.

[41] Ivi, p.37.

[42] Baba Metsia 59b, citato in C.G. Montefiore and H. Loewe, eds., A Rabbinic Anthology (NY: Schocken, 1974), 340-41.