Traduzione dall'inglese di Fabio Brotto
[1] “Le concezioni etiche hanno occupato una posizione centrale nei sistemi di rappresentazione di tutte le società precedenti, sebbene in una forma estetica (rituale o secolare) piuttosto che teoretica. Oggi solo la teoria può elaborare una simile concezione, e perciò la teoria è chiamata a situarsi al centro della nostra cultura. Secondo questa ipotesi, la scienza umana deve diventare l’ ‘alta cultura’ del nostro tempo. Ma questo si può realizzare solo se essa accetta di addossarsi il peso di prendere molto sul serio la propria cultura” (p. 97).
[2] Non intendo mettere in discussione la spiegazione gansiana delle condizioni storiche della nascita del pensiero originario, individuate solitamente nell’universalizzazione del sistema di mercato e nella scoperta postmoderna del primato del linguaggio (i due punti sono ovviamente connessi). Piuttosto, la mia ipotesi verte sul possibile potente emergere dell’antropologia generativa sulla scena della teoria contemporanea.
[3] Vedi in una delle recenti Chronicles (305, “The Supernatural”) per una impostazione simile a questa: “Forse la prova più convincente del fatto che l’antropologia generativa costituisce un radicale passo in avanti nel pensiero umano è data dal suo incontrare non solo resistenza ma indifferenza”. In parte l’intento di questo saggio è di aiutare a provocare una resistenza produttiva—del tipo che può essere trasformato in un campo d’indagine per l’antropologia generativa.
[4] Vedi Eshelman, "Performatism, or the End of Postmodernism," e "Performatism in Architecture: On Framing and the Spatial Realization of Ostensivity," rispettivamente in Anthropoetics VI, no. 2 (autunno 2000/ inverno 2001) e VII no. 2 (autunno 2001/inverno 2002).
[5] Yoram Hazony in The Dawn:
The Political Teachings of the Book of Esther, fornisce un’utile
discussione di Amalek nella tradizione
giudaica. Hazony legge Amalek come il rifiuto di tutti i
confini morali. L’ironia, o piuttosto il paradosso, che Hazony
mette in rilievo sarà anch’esso rilevante per la mia discussione: “La promessa
di Dio di annientare la memoria di Amalek sulla terra
è minata in misura non lieve dalla sua promessa di guerra contro Amalek di generazione in generazione” (p.102).
Mi si consenta anche di situare la mia discussione nei termini in cui
Gans pone la sua analisi del problema del male in Signs
of Paradox. Gans qui insiste, in un certo
senso, sul concetto che il male non è sradicabile, in quanto esso occupa un
posto (subordinato) nella scena originaria. Naturalmente, il bene deve avere la
priorità sul male, e quindi il male è intelligibile soltanto in relazione al
bene: “Il concetto finito di male che è il solo ad avere significanza
antropologica è possibile soltanto una volta che il bene, la fondazione morale
dell’umano, sia stato fondato” (p. 144). Nondimeno, il male “è una componente
necessaria dell’universo della virtualità umana creato dal segno” (p.145). Il passo chiave è il seguente: “Questo passage à l’acte [lo sparagmos, o distribuzione e
consumo dell’oggetto sacro] fornisce il modello per la realizzazione cruciale dell’intenzione
di male, che altrimenti rimarrebbe l’oggetto puramente immaginario della
catarsi estetica. Non vi è alcun bisogno di postulare una differenziazione
interna della comunità che violerebbe la moralità egualitaria del segno. Lo sparagmos,
nel quale l’esercizio della violenza sul centro sacro è accompagnato dalla
negazione della responsabilità individuale verso questa violenza, è il modello
per tutti gli atti di male, sia collettivi che individuali” (145).
Come sarà chiaro, io postulo una differenziazione interna della comunità che non viola la moralità egualitaria del segno. Il concetto di male che io avanzerò qui, come suggerisce Gans, è diretto prima di tutto al centro non-umano (p. 145) piuttosto che verso gli altri che stanno alla periferia. Suggerirò che si tratta di un male che ricorda l’istante precedente l’emissione del segno, e che questa memoria, seguente l’emissione del segno, è un risentimento verso la scena in quanto tale e che mira a svuotare i segni che la costituiscono, nella consapevolezza che è solo tramite siffatti segni che il suo progetto può essere portato avanti.
[6] Per il concetto di rinascita islamica, vedi Michael Vlahos, “The Muslim Renovatio and U.S. Strategy”.
[7] Vedi il suo Perpetrators
Victims Bystanders, e
ovviamente Eichmann
in Jerusalem: A Report on
the Banality of Evil della Arendt.
(back)
[8] Qui faccio una affermazione molto ampia, per difendere adeguatamente la quale ci vorrebbe molto spazio. La mia idea è che Gans adotta una strategia perfettamente legittima nei conflitti potenzialmente violenti del post-millenniale, quella del differimento: “L’abbandono del pensiero vittimario è l’impegno universale a permanere pacificamente non solo entro relazioni egualitarie, ma anche entro relazioni asimmetriche, nella fede che perfino queste siano preferibili alla violenza—e che, in un mondo di scambi di mercato, nel lungo periodo esse tenderanno a mitigare la loro asimmetria (Chronicle 253, Pensieri post-millenniali). La mia argomentazione è in totale accordo con questa, specialmente dal momento che Gans chiaramente considera (Chronicles 247 e 248, scritte poco dopo l’11 settembre, solo per menzionare alcuni luoghi) che potrebbe ben essere necessaria una difesa della civiltà assertiva e potenzialmente costosa, ed è ovviamente chiaro che noi potremmo non essere mai in grado di far desistere coloro che rigettano questo principio dall’indirizzare un violento risentimento contro di noi. Così, di nuovo, il mio scopo non è confutare o correggere, ma piuttosto impiegare le risorse del pensiero originario per una ricerca a breve termine, che investe uno spazio temporale in cui il confronto con coloro che “nessuna dimostrazione della bontà di un dato ordine sociale riuscirà mai a persuadere” (Chronicle 248) rende il negoziato non solo irrilevante ma un’abitudine che si risolve in beneficio degli efferati. In casi simili, certe asimmetrie debbono essere valorizzate, almeno temporaneamente, ed una logica altra da quella del mercato (non contro il mercato) può darne conto.