Note sparse nell'agenda 2006 (II)
Fabio Brotto
«Quel che rende indissolubili le amicizie e ne
raddoppia l’incanto è un sentimento che manca
all’amore: la sicurezza» ha scritto Balzac. Quando un amico muore, viene meno la possibilità di
rievocare il tempo passato, l’esperienza comune. Perdita terribile, che solo la
luce dell’eternità può riscattare.
Nel 1958 dalla riva del lago di Levico vidi dei pesci “a strisce”.
Erano persici reali. Mi prese allora un forte interesse anche per le creature
che vivono nelle acque. L’anno dopo li
rividi nel lago di Ginevra. E mi sembrò strano che
pesci identici vivessero in laghi lontani e separati.
Per uno che non ama il calcio, anzi per uno cui
il calcio non interessa affatto, questo mese di Mondiali è un saggio di
totalitarismo. Il mondo totalitario infatti è quello in
cui tutti debbono fare lo stesso sogno, il sogno sognato dal Potere (come
scrisse la Weil).
Nessuno può dirsi
veramente libero se non sa percorrere la strada che ha scelto anche in
solitudine. La libertà, tuttavia, non è dei misantropi.
La libertà non appartiene nemmeno a coloro che vivono
solo nella massa, come sue cellule. La libertà ha sempre avuto un alto prezzo. Sosta però, ogni tanto, sul ciglio della tua strada. Può
essere che intorno vi sia molta bellezza da contemplare.
Ieri sera, mentre tornavo a casa, ho visto sulla riva
del Botteniga, in centro a Treviso, una bella casarca. Un’anatra selvatica rara e
splendida, regale. Luce dorata sui miei pensieri.
Lo si sa da tempo
immemorabile: la formazione dell’anima umana termina con la morte. Solo se l’anima è aperta, però. Ma
questo pochi lo sanno. I più, chiusi, si fermano a vent’anni, o anche prima. Non
crescono più. Le loro anime sono simili a quegli alberi macilenti e stentati
che crescono su terra povera, in climi inospitali. Ma
loro non lo sanno. Lo stupido psicologismo contemporaneo, che ci vorrebbe tutti
eguali, nulla sa di queste cose. E oggi nel mondo
occidentale non si formano uomini, ma strumenti, o eterni bambini.
Il lacanismo: fertile
terreno per ogni sorta di pseudointellettuali
parolai. Jacques Lacan: sublime maestro di (non)pensiero
costruito su pseudoconcetti. Differenza tra psicanalisi
e psicoanalisi: c’è da perdersi. Meglio perdersi in altri mondi.
Trent’anni giusti da quel mese
in Toscana con la mia CZ 125 cecoslovacca. Una moto per squattrinati,
comprata a rate. Un giovane aspirante filosofo un po’ easy rider con
tenda canadese all’Argentario. Giri senza fine nella Maremma etrusca.
Fu allora che compresi in modo definitivo che la vera ricchezza è la libertà. E che la libertà dello spirito può essere conquistata, o perduta,
in un singolo decisivo istante, per sempre.
Sto leggendo questo libro, che raccoglie pagine
in cui Pavel Florenskij
narra ai suoi figli la sua infanzia e la sua giovinezza, insomma la sua
formazione. Se penso che un genio simile, la cui mente spaziava dalla elettrodinamica alla teologia, uno spirito magno
nel senso più alto del termine, ha passato anni nel gulag ed è stato infine
fucilato come antirivoluzionario nel 1937, mi vengono i brividi. In tutte le
rivoluzioni gli spiriti liberi e grandi hanno sofferto terribilmente. La
maggior parte di loro è stata eliminata.
Sono molto poco zapaterista, a dire la verità. Per molti aspetti, potrei
essere etichettato come maschilista reazionario. Tuttavia, la difesa strenua
della famiglia come quella della vita biologica da parte del Magistero
ecclesiastico, come fossero i valori supremi, non mi
convince fino in fondo. Per i cristiani, penso, il valore supremo è altro.
Dice il Maestro: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra;
non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto
infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora
dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il
padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama
il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce
e non mi segue, non è degno di me».
14 luglio: Rivoluzione.
Tempesta di affratellamento.
Libertà, uguaglianza, fraternità.
Accorciamento.
Sangue.
Dalla finestra della mia cucina. Sui fiori
compare una farfalla calabrone (o macroglossa). Lieto presagio, non ne
vedevo da anni.
Nessun popolo, mai, ha preso a cuore le sorti di un altro popolo piagato dalla guerra, se non erano direttamente o indirettamente in gioco i suoi interessi.
E nessuno, mai, ha contribuito a far cessare una
guerra e creato pace avendo nel suo cuore odio, risentimento, rabbia. Se non vincendo quella guerra. Pace instabile, illusoria.
Noto che molti di quelli che si dicono pacifisti hanno il cuore colmo di odio verso coloro che ritengono fautori della guerra. Hanno
violenza nel loro cuore, anche se non vogliono ammetterlo. Hanno bisogno anche
loro di capri espiatori, come tutti gli uomini di tutti i tempi. Dovrebbero
purificare le loro anime.
Nessun luogo è totalmente immune dalla guerra. Sono
andato a rivedere le vecchie foto della mia vacanza in Croazia del 1983. Beata
solitudine in agosto, isola di Hvar, nel mare di Odisseo. Fanciulle nude sugli
scogli. C’era ancora la Jugoslavia. Come avrei potuto pensare che di lì a pochi
anni, a breve distanza da quei luoghi incantati, quegli stessi ragazzi serbi e
croati che in quelle isole erano allora insieme sulle scogliere e nelle
discoteche si sarebbero massacrati in una guerra fratricida?
Calciopoli rivela ciò che già stava sotto gli occhi di tutti. Nel mondo dello sport contemporaneo il vero signore è il denaro. Il resto è retorica pseudonazionalistica, illusione, follia. Gli atleti sono imbottiti di sostanze varie, i medici doping nascosto, gli ultras sono manovrati dalle sportivi sono maghi del società.
Ma di sport, cioè
di religione, le nostre società avanzate hanno bisogno. Come ogni
religione, lo sport ha come scopo la regolazione della violenza che alberga in
ogni società. Scandalizzarsi è inutile. Mi sovvengono le parole di René Girard:
«Lo scandalo è una relazione che ha conseguenze ugualmente cattive per la
persona che lo causa e per la persona che lo prova. Lo scandalo è sempre una
relazione di doppi, e la distinzione tra la persona che provoca lo scandalo e
quella che lo sperimenta su di sé tenderà sempre a svanire».
La prima volta che vidi una salamandra gialla e
nera fu nel 1958, in un bosco vicino a Roncegno in Valsugana, dove mio padre mi aveva portato in
cerca di funghi. Quella creatura mi lasciò senza fiato. Mi sembrava appartenere
ad un altro mondo. Ed era vero.
Mi capita spesso di vedere qualche candida garzetta, lungo i tre piccoli corsi d’acqua che scorrono
vicino a casa mia, acque dove un tempo vivevano,
secondo i racconti della mia vecchia vicina di casa, anche i gamberi di fiume.
Una immagine non ben
conservata, che trovo nel web, esprime bene il rapporto che la nazione italiana
ha con Falcone e Borsellino. Il coraggio (la fortezza, una delle
quattro virtù cardinali) non può essere molto stimato in una terra che
disprezza profondamente la giustizia, la sapienza e la temperanza.
Il mio desiderio è una terra lontana, una rocca
inaccessibile.
Dal campetto luminoso e pieno di voci al silenzio
dell’interno della chiesa di San Giacomo dall’Orio, a Venezia, antica e
misteriosa (cosa sarà stato quell’Orio?). Con
le luci rosse dei lumi sugli altari col Santissimo. Il passaggio dalla luce a
quella penombra insegnò a me bambino il senso del Sacro, la dimensione del
totalmente altro, dell’infinito che si nasconde dentro
il finito.
Pare che i Veneti non amino molto gli alberi,
almeno in pianura. Li tagliano dappertutto, li potano
selvaggiamente lungo le strade. Io, mezzo veneziano e mezzo cortinese, amo le foreste e i loro silenzi. E col caldo di oggi il mio olmo non mi basta. Vorrei un grande leccio.
Nel Mondo Piccolo gli emitteri non sono mai stati il mio interesse principale: in ordine di
tempo mi hanno entusiasmato i lepidotteri, i coleotteri e gli imenotteri (gli
ortotteri e i ditteri sempre pochino).
Ma devo ammettere che l’Horvathiolus
superbus con la sua livrea da maschera africana rossa e nera mi è
sempre stato fonte di gioia contemplativa. E il suo
nome scientifico è pura poesia.
Puoi scambiarla per un grosso moscone, se non hai
l’occhio ammaestrato. Per me è stata un’ambasciatrice del Mondo Piccolo,
insieme al carabo dorato. Veloce, affascinante, tremenda predatrice cicindela
campestris.
Quasi ogni sera, passeggiando
lungo un fiumicello, vedo delle arvicole d’acqua. Sembrano castori in miniatura.
Sono sempre affaccendate. La gente le scambia per topi e non le
cura. Osservarle è invece un piacere dell’anima.
Questi ragni, le tegenarie,
che fanno le tele in orizzontale e aspettano che le prede cadano dall’alto,
sono creature altamente filosofiche. Ho passato ore,
da piccolo, ad osservarle.
Quando i Monti Pallidi si infuocano
in certi tramonti, si percepisce la sovrana fugacità di ogni bellezza. Enrosadira, il nome ladino che alla mia parte di
sangue ladino evoca il regno dei Fanes: felicità perdute,
sogno, pace.
La confusione tra libidine e passione, che è
molto presente in gran parte della cultura contemporanea, ovvero la mancata
distinzione tra qualcosa che è anche degli animali e quello che è proprio
dell’uomo soltanto, mi sembra una cifra di quest’epoca nemica del pensiero.
Nei campi di patate intorno a Roncegno,
durante le vacanze del 1958, vidi tantissime dorifore. Mi piacevano molto quei
piccoli coleotteri striati. E non capivo l’odio che i
contadini nutrivano per loro. Mi spiegarono che esistevano guerre tra animali e
uomini, e che le dorifore distruggendo le piante di patate avevano un tempo
affamato l’Irlanda.
Non mi sarei
meravigliato se negli anni passati il potente Padoa-Schioppa
dal fragoroso nome avesse diretto la politica
economica del Governo Berlusconi. Non mi sono
meravigliato vedendolo svolgere la sua azione di economista
alto-borghese nel governo cosiddetto di centro-sinistra, che ha a capo
un democristiano inaffondabile. Siamo in Italia. La componente
di sinistra-sinistra (che io chiamo kefijota
a causa del suo amore per i Palestinesi, o meglio del suo odio per l’America e
Israele) non ha una politica economica praticabile, e questo governo potrà al
massimo farlo cadere. E penso che ciò accadrà
abbastanza presto.
In una mia escursione lungo il greto del Piave,
ho trovato un boschetto letteralmente infestato dai ramarri. E mi sono
ricordato che in quella famosa estate del 1958, in Valsugana, ne avevo visto uno per la prima volta. Le sue dimensioni,
tanto maggiori di quelle delle lucertoline che conoscevo,
mi impressionarono. E mio padre mi infuse
rispetto per il suo coraggio e la sua combattività. «Se
lo prendi ti morsica» mi disse. Veramente, di prenderlo in mano, ammesso che fossi riuscito ad acchiapparlo con la mia retina per
farfalle, non avevo alcuna intenzione.
Questo indulto mi sembra la classica una tantum all’italiana. Come
dire:
Non siamo capaci di realizzare un sistema carcerario efficiente ed umano.
Non siamo capaci di realizzare processi rapidi ed equi.
Non siamo capaci di distinguere i crimini a seconda del
loro peso reale.
Non siamo capaci di comminare pene adeguate ai reati.
Non siamo capaci di rendere giustizia alle vittime.
Non siamo in grado di distinguere il giusto dall’ingiusto.
Non siamo in grado di rendere uguali di fronte alla legge il povero e il ricco.
Quindi: abboniamo qualche anno ugualmente a tutti, così
1)le carceri non scoppiano, (ché tanto quelle nuove
che abbiamo costruito devono restare là vuote, l’importante è che qualcuno ci
abbia guadagnato qualcosa, e di altre nuove del tutto non se ne parla nemmeno -
mica siamo uno stato di polizia) e soprattutto
2) i politici corrotti e i corrotti dai politici possono uscire, come è loro
sacrosanto diritto.
I proprietari di farmacia (meglio distinguere,
non parlo di tutti i farmacisti) sembrano pensare che il consumatore italiano
in un supermercato, di fronte ad uno scaffale pieno di confezioni di aspirina e di supposte di glicerina, ne farebbe incetta,
usando i farmaci poi in modo improprio (che so, prendendo un’intera scatola di
aspirine in un colpo solo, o mettendosi nel sedere 10 supposte); mentre lo
stesso consumatore di fronte ad uno scaffale di bottiglie di whisky rimarrebbe
razionale e impassibile, facendosi consigliare eventualmente dall’esercente sul
modo di bere il superalcolico. «Mi raccomando, solo mezzo bicchierino a stomaco
pieno, una volta alla settimana, mai prima di mettersi
al volante». Sarà perché molte farmacie sembrano dei piccoli supermercati, cui
manca solo la licenza per la vendita dei superalcolici?
I sostenitori dell’indulto che affermano la sua necessità per «svuotare un po’ le carceri» che essendo poche e vecchie e sovraffollate rendono inumana la condizione dei carcerati, mi paiono seguire una logica analoga a quella di coloro che anni or sono, per risolvere il problema degli inquinanti nell’acqua degli acquedotti, decisero di innalzare i limiti di legge. Nei sedici anni passati dall’ultimo provvedimento di clemenza generalizzata, che cosa si è fatto per dare al sistema carcerario italiano una parvenza di efficienza e umanità? C’è qualcuno che pensa davvero che negli anni che seguiranno questo provvedimento si realizzerà qualcosa per far funzionare il meccanismo giustizia-carcere?
O è invece pensabile che tra poco le carceri
italiane scoppieranno di nuovo e si dovrà rimettere fuori un sacco di gente?
Mi pare importante questo dato: in Italia viene punito
solo il 20% dei reati commessi. Almeno l’80% di furti,
rapine, ecc. rimane senza un colpevole accertato. Cosa
succederebbe nelle carceri se una maggior efficienza delle polizie portasse
alla cattura di un maggior numero di delinquenti?
Ecco Chavez con
l’idolo, Castro. Guardando queste foto comprendo perché io non sono
appartenuto, non appartengo, e non apparterrò mai al popolo di sinistra.
Molti ragazzi non sanno che cosa sia un bue, e
che relazione abbia col toro. Me ne sono accorto interrogando sull’argomento
una mia classe liceale. Almeno la metà degli studenti non sapeva che un bue si ottiene castrando un vitello. Non parliamo poi del mulo. Non
sanno nemmeno che aspetto abbia… Credo che per quanto riguarda la natura, la
storia, e in generale il mondo reale, le generazioni che avanzano siano avvolte dall’ignoranza. Un’ignoranza diversa, e forse
peggiore di quella che opprimeva le generazioni passate.
Le alborelle sono dei pesciolini argentei che
vivono in frotte nei fiumi e nei laghi dalle acque pulite. Da piccolo mi hanno
insegnato a pescarle con la canna. Se ne prendevano a centinaia, con ami
piccolissimi e con le larve di mosca come esca. Ed erano buonissime fritte, si mangiavano intere, testa compresa.No, non sono un animalista. Anche
adesso mi piace pescare e mangiare il pesce. All’occorrenza, so anche tirare il
collo ad un pollastro e spennarlo. Ho anche proposto alla mia scuola un corso di immersione nella civiltà contadina, comprendente
l’uccisione e la preparazione culinaria di animali, che per i ragazzi di oggi
sarebbe molto istruttivo, ma pare che i tempi non siano favorevoli. Per la
verità, ho fatto anche di peggio, ho proposto di inscenare un rito sacrificale
al modo dei Greci, ma i colleghi lo hanno preso come uno scherzo…
Preganziol, sconosciuto
paese alle porte di Treviso, ha ottenuto per decreto della Presidenza della
Repubblica il diritto di fregiarsi dell’appellativo di
città. Per poter essere chiamato città, un abitato deve poter
vantare qualche monumento storico. Preganziol vanta,
come monumenti storici che le attribuiscono il diritto di chiamarsi città,
alcune ville venete. Dunque è da considerarsi città perché entro il suo territorio i patrizi veneti andavano a trascorrere la loro
villeggiatura (in campagna). Dunque è sempre stata
campagna, e proprio per questo ora è città.
Una delle tante assurdità che derivano dalla sete di
grandezza che alberga nell’animo di tutti i politici, compresi sindaci e
amministratori di piccoli borghi. Un segno dei tempi.
«Segui il tuo sentiero. Sei un guerriero». Forse
è perché ho sempre sentito in me molto forte il richiamo della violenza e della
guerra che ho tanto studiato l’antropologia
fondamentale, arrivando a vedere nella teoria mimetica e nell’antropologia
generativa due strumenti intellettuali per comprendere l’uomo in generale, e me
in particolare. Infine, mi risulta chiaro come il sole
che l’autentica jihad è quella lanciata contro le forze del male che sono in te
stesso.
Il ghiozzo chiamato go
(con cui a Venezia si faceva il celebre risotto coi go) è legato a
molti ricordi della mia infanzia e adolescenza. Quanti ne ho
pescati, tra il finire degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta! Alla
Salute, dove abitavo, ce n’erano molti anche nel Rio delle Fornase,
sotto casa mia. Dal pescivendolo costavano poco, erano,
allora, pesci plebei. Io rubavo pezzetti di bistecca dal frigorifero per farne
delle esche. A casa mia però non si amava il pesce, a causa dell’odore della
cottura, che ai miei genitori risultava
insopportabile. Così, i cestini di go con cui tornavo
a casa finivano regolarmente alla nostra domestica, che li apprezzava come si
meritavano. Oggi, divenuti rarissimi a causa degli
sconvolgimenti ambientali che negli anni Settanta hanno stravolto l’habitat
della Laguna, valgono l’oro che il colore giallastro della parte inferiore del
loro corpo ha il potere di evocare.
Si può simpatizzare per la Cuba castrista solo se
si antipatizza per gli USA. Questo
mi pare di una evidenza lampante. Se
non si nutrono simpatie e antipatie apriori, occorre
ragionare, e sgombrare il campo dagli equivoci. Io non parto dal
presupposto che se uno stato democratico si confronta con uno non democratico
la ragione è sempre dalla parte del primo in tutto e per tutto: bisogna vedere,
ragionare e analizzare. Nella Guerra del Peloponneso, in cui uno stato
proto-democratico si è confrontato con uno
aristocratico, le tendenze aggressive che hanno innescato il conflitto erano
del primo, ateniesi, non spartane.
Mi guardo anche dal pensare che se si confrontano un
popolo debole e uno forte la ragione sia sempre dalla parte del debole. L’Italia
fascista era più debole della Francia e
dell’Inghilterra: aveva forse ragione?
Né mai le ragioni stanno tutte da una parte soltanto. Dunque,
ciò premesso, si può affermare che Cuba non è uno stato democratico, e che
Castro è un dittatore. Infatti a Cuba non si può fare
esercizio pubblico di dissenso, pena il carcere, mentre il riconoscimento del
diritto di manifestare il dissenso dal potere, in forma organizzata e pubblica,
è il requisito fondamentale perché uno stato possa definirsi democratico.
Inoltre Castro passa i poteri a suo fratello. Un atto assoluto, la mera voluntas principis. Se Bush fratello vuole succedere a George,
deve vincere le elezioni (questa è la differenza). Gli USA sono una democrazia
(che può piacere o non piacere), Cuba no. Altra cosa
è la questione se nei rapporti tra i due stati abbia
ragione l’uno o l’altro. Qui occorre un minimo di chiarezza intellettuale, che
in genere manca.
Terribile è il volto della battaglia, che anche i
più determinati fra coloro che vi partecipano non riescono mai a sostenere
nella sua verità. Un classico della storiografia militare che ho letto in
questi giorni di guerra (ma tutti i giorni sono di guerra) è il libro di John Keegan Il volto della battaglia. Tre battaglie (Azincourt, Waterloo e
Somme) descritte in un modo che le rende indimenticabili, nella loro atrocità,
dando anche ragione al Tolstoj di Guerra e Pace.
Anche la notte profonda
ha i suoi occhi aperti. Quando quelli degli umani dovrebbero
essere chiusi. Non è sano vegliare insieme agli abitatori delle tenebre.
È molto difficile riuscire a distinguere tra
l’adorazione di Dio e l’adorazione della propria anima collettiva.
La religione ha anzitutto una funzione sociale:
regola i comportamenti degli umani e le loro interazioni. Religione, da re-ligare: costringere, stringere insieme. La
religione ha come fine la convivenza pacifica tra gli umani. Ciò che riguarda
l’individuo è secondario e derivato.
Il sacrificio in tutte le religioni è il momento fondativo. I rituali di sacrificio hanno come
funzione principale quella di stringere la comunità intorno ad una o più
vittime, scaricando così la violenza collettiva sempre latente.
Non c’è alcuna società umana senza vittime. Non c’è alcuna società umana senza
una sua religione.
Mentre in Libano ci si massacra, gli Italiani,
che in genere non sanno riconoscere un cerbiatto da un capriolo, hanno l’anima
straziata da una saggia decisione di sfoltimento della eccessiva
popolazione di caprioli. Ma hanno mai guardato negli
occhi un vitello avviato a diventare vaschetta di fettine al supermercato? Hanno
mai visitato uno dei macelli che gli procura lo
spezzatino?
Se gli Africani si massacrano tra loro, poco ci importa. Ci interessiamo dei
loro conflitti solo se c’è l’America di mezzo. Se si uccidono tra loro, ci
sembrano in fondo meno colpevoli dei bianchi, quasi
fossero meno umani, e perciò scusabili.
Spesso nel mondo non-occidentale la guerra è invocata pubblicamente, religiosamente, spesso la sua idea può
portare all’estasi. Gli umani, tutti, hanno bisogno di nemici.
Chi vuole davvero la pace deve conoscere la via
della rinuncia. Anzitutto alle proprie tendenze più profonde.
Personalmente, sono convinto che gran parte dei pacifisti italiani, e
occidentali in genere, sia composta da egoisti, legati
ai piaceri e al benessere, che da una guerra temono la perdita dei propri
privilegi, e della vita fisica, sommo e unico loro bene. Non si oppongono per
giustizia a tutte le guerre, ma solo a quelle che in qualche modo li potrebbero
coinvolgere. Infatti quelle africane non li
interessano affatto. Per questo l’azione europea per la pace ha un volto così
gretto e meschino.
Dag Hammarskjöld
è stato un grande uomo. Un Segretario dell’ONU di altissimo
livello spirituale. Il discorso di inaugurazione della
Sala di Meditazione che volle nel Palazzo di vetro per gli uomini di tutte le
fedi mi sembra indicare la via per il superamento degli interessi particolari
che portano al conflitto. Il “centro interiore di quiete” di cui parla Hammarskjöld è esattamente ciò che da sempre, e nella
nostra civiltà con particolare pervicacia, il potere di questo mondo cerca di
coprire con i suoi dissonanti rumori.
Acque trasparenti e verdi alberi ed erbe. Uccellini che cinguettano. Vita dovunque. Il locus amoenus dei
poeti si fonda sul piacere ancestrale dell’essere
umano. La sensazione di essere a casa.
Molti vogliono andare più in là, ma non hanno né
barca né remo.
L’età ferrea del mondo, la nostra, il Kali-yuga che prepara l’Apocalisse: quando tutto tende a rovesciarsi, e l’ordine maschile e quello
femminile si confondono.
Vagavo nei luoghi di acque
correnti, di pozze misteriose, nei regni delle trote e degli elfi silvani. Fantasia
e scienza della natura negli anni della mia fanciullezza si fondevano insieme.
Forse prima o poi tutti
intravedono, più o meno oscuramente, spesso come in un riflesso confuso e
instabile, i contorni della loro vera casa. Quella che li aspetta da sempre,
invano.
Carabo dorato. Ero così affascinato dal
Mondo Piccolo, in quei lontani anni in cui ero bambino, che i miei genitori
giunsero a preoccuparsi di una mia anormalità. Mi vedevano strano, e piuttosto
isolato. In realtà io non volevo evitare le persone (anche se gli adulti mi
apparivano noiosi e troppo curiosi della mia vita privata), ma entrare sempre
più in profondità nella vita della natura animale.
Così, un angolo di giardino poteva rivelare ai miei occhi cacciatori una gemma
vivente, piccola fredda e feroce. Una conoscenza che non
poteva essere condivisa, un sapere segreto.
Quando dentro uno stato sorge un altro stato, la conseguenza è sempre solo una: guerra.
Non c’è essere umano che non si ritrovi, prima o poi, per una selva. Ma oggi
come ieri pochi hanno gli occhi per scorgere Virgilio.
Il richiamo della foresta. Uno dei libri
su cui mi sono formato da bambino, uno di quelli che
ho letto decine di volte.
Quanto al richiamo, lo sento ancora.
Caccia grossa in Africa. Quanto ho sognato, nel 1960, leggendo e rileggendo le avventure del
white hunter Alexander
Lake… Ricordo la frase “quaranta miglia al giorno [a
piedi] erano uno scherzo per Ubusuku”.
Nei tumulti di piazza servono vittime. Spesso in
mancanza di vittime umane la violenza si scarica su oggetti simbolici in cui
gli uomini si riflettono. Ed è singolare come le automobili che vengono fatte a pezzi siano di solito quelle della gente
comune.
Manifestazioni a Londra, durante la questione
delle vignette satiriche. La multietnicità
può reggersi solo su valori comuni forti. Se i valori forti non sono comuni, prima o poi sarà guerra.
Ricordo un giorno del 1964, il temporale nel
rifugio. Gli oggetti metallici scintillavano. Vicini alle Potenze dell’aria.
Soldati israeliani in questa foto. Facce da bar
dell’angolo, o da biblioteca comunale. Si può pensare, e io lo penso, che per
alcuni anni almeno non ci sarà più una guerra tradizionale, con scontri in
campo aperto tra eserciti, ma solo guerre squilibrate, con forze che si mescolano
alla popolazione civile. In un certo senso, ma con mezzi
potentissimi, un ritorno all’arcaico e alla sua violenza sacrificale.
Anticipo in me l’autunno che
viene. Stagione filosofica. Inadatta a coloro che
vogliono apparire sempre giovani. Alle vecchie coi
capelli rossi e biondi. Ai sessantenni sempre abbronzati.
Leggo, dunque sono. Sono quello
che leggo. Quello che leggo, divento. I libri sono milioni e milioni. Cresce
sempre il loro numero. Cosa leggere, ora? “Quanto a
ciò che è più di questo, figlio mio, bada bene: i libri si moltiplicano senza
fine ma il molto studio affatica il corpo” (Ecclesiaste 12, 12).
Matthias Grünewald, uno dei pittori supremi, ha dipinto in modo
inarrivabile la scena del Cristo deriso e umiliato prima della crocifissione. Scena che si ripete infinite volte nella storia del mondo. Scena
da contemplare infinitamente.
Questa immagine di una bella fanciulla
sciita, raggiante ed esultante mentre innalza al cielo l’immagine del
sorridente Nazrallah che agita il mitra, dice tutto. La
felicità si lega alle armi, come sempre. Anni difficili per
il mondo, come sempre.
Ben comprendo, ora, l’orrore del tamburino. Anche l’icona G. Grass è stato da
giovanissimo un fervente nazionalsocialista. Non solo: nelle
SS. Scusabile, forse, l’essere stato nazi a 17 anni.
Imperdonabile l’averlo taciuto fino a qualche giorno fa.
L’immagine di un persico sole in una vaschetta di
vetro mi ha riportato a tempi molto lontani. Credo che un persico sole sia
stato uno dei primi pesci da me pescati in un fiume. Per molti mesi, da
ragazzo, ne tenni uno nella vasca dei pesci rossi, alimentandolo con larve di
mosca. Ma in cattività perse tutti i suoi meravigliosi
colori. Finché, un giorno, decisi di liberarlo in un fossato di
acque pure. Spero che vi si sia trovato bene.
Sono pesci spinosi. Mi dicono che ne sono rimasti pochi, e che in certi luoghi
li usino per il risotto.
Melancholia
I. Ne ho fatto lo sfondo della mia homepage. La grande opera di Dürer sulla
melanconia è di una ricchezza di significati straordinaria. Inesauribile,
insondabile, problematica e sconvolgente.
Negli eserciti si è sempre pregato. Il sacro e la
violenza sono fratelli.
Il sacro non necessariamente è religioso nel
senso tradizionale. Può anche essere un sacro ideologico. Ma
la sua funzione di giustificazione della violenza non cambia. Nel sacro
l’individualità è annegata nel collettivo. Non a caso la massima sacralità
degli stati si celebra sulle tombe dei militi ignoti.
Il mondo occidentale (e in esso
soprattutto gli Europei), che si pretende de-ideologizzato,
ha dimenticato l’originaria connessione tra religione e sacrificio. Per questo
si trova spaesato davanti al religioso forte. Non ha nemmeno più le categorie
per pensarlo.
Sembra sacro, ma non lo è. Il Dio cristiano è
soltanto e puramente amore. Quindi tutti i cristiani
che, nei millenni, hanno coniugato violenza e divino ne hanno ignorato la
natura. Il vero cristianesimo è, in realtà, vicino ad una sorta di ateismo. Non è, propriamente, una religione. Cosa che la tradizione cattolica ha sovente obnubilato.
La Madonna non è stata buonista durante tutti i secoli del Cattolicesimo,
come l’attuale vulgata vorrebbe far credere. Ha promosso crociate e
incitato a combattere contro i musulmani. Questo quadro del
1572 mostra Madonna e Santi che fanno vincere la flotta cristiana a Lepanto.
In un sito web dei Domenicani si legge una nota interessante:
L’attuale memoria liturgica della Madonna del Rosario (7 ottobre) prende
origine dalla memoria della Beata Vergine Maria della
Vittoria, istituita dal Papa domenicano S. Pio V in seguito alla vittoria
conseguita dai cristiani nella battaglia di Lepanto (7 ottobre1571).
I mussulmani, che già avevano occupato una parte dell’Europa e che dominavano
il Mediterraneo, minacciavano sempre più l’intera Cristianità. Allora il Papa
sollecitò una lega tra le nazioni cristiane, alcune si costituirono in una lega
e allestirono una flotta, mentre tutti i cristiani di buona volontà
rispondevano all’appello del Papa per una mobilitazione spirituale con la
recita del Rosario. Il 7 ottobre 1571, domenica, la flotta cristiana e quella
turca si scontrarono nel golfo di Lepanto; i cristiani, benché inferiori nelle
forze, riportarono una grande e decisiva vittoria. S. Pio V attribuì il
successo alla Madonna auxilium christianorum
(aiuto dei cristiani) e volle esprimere la sua gratitudine istituendo la festa
della “Beata Vergine delle Vittoria” per il giorno 7 ottobre.