Labbra d’acciaio per una stazione metropolitana

 

Isabella Guarini

 

i.guarini@libero.it

 

 

Qualche  decennio  fa si discuteva d'architettura e delle trasformazioni urbane in vari convegni pubblici, organizzati da istituzioni e associazioni. Oggi,  è calato il silenzio,  forse per annichilimento di fronte alla potenza economica dei mezzi impiegati nelle  progettazioni, nelle realizzazioni e nelle esposizioni di mostre e pubblicazioni. In ambito globale, la piramide delle gerarchie professionali si fa sempre più aguzza e la base sempre più stretta. Ma non  voglio soffermarmi oltre sul verticismo che caratterizza l'attuale fase delle trasformazioni urbane anche in Napoli. Espongo qualche mia riflessione sulla stazione di Anish Kapoor per  Monte Sant'Angelo nella periferia occidentale di Napoli. Kapoor è l'unico artista che io abbia apprezzato per la installazione del 2000 in Piazza del Plebiscito in Napoli.  Taratantara” è il nome della mega-tenda rossa tesa nella piazza a forma d' iperboloide con cui l’artista ha rivelato il segreto spaziale della piazza stessa , che è quello del ricongiungimento ideale tra il potere politico e religioso. Tale significato, legato alla contingenza storica del ritorno dei Borbone dopo la Repubblica Partenopea, è concretizzato  dal cannocchiale a forma d' iperboloide  teso tra i due simboli, il palazzo e la chiesa, che nella realtà corrisponde all' asse visivo dal centro del cortile di  Palazzo Reale fino all'altare maggiore della  Chiesa di San Francesco di Paola. Il colore rosso e la forma ad iperbole della tenda, possono rappresentare il sacrale congiungimento tra il cielo e la terra e,  pur evocando immutabili valori dell'esistenza,  l'installazione  ha il pregio di essere effimera. Invece, la stazione in acciaio corten,  ispirata alle stesse forme coniche, resterà ai posteri  e ci vorrebbe il realismo di un Courbet per rivelare il suo significato subliminale in quanto penetrazione nel ventre della terra madre, che, nell'immaginario metropolitano, potrebbe associarsi ai giganteschi totem pubblicitari installati in tutta la città. Ora  non più soli!

Qualcuno ha detto che il capolavoro rientrerà  nella storia dell'arte e dell'architettura. Questa affermazione apre un ampio dibattito sulla definizione di arte e di architettura. In primis, c'è da  interrogarsi  se la differenza tra arte e architettura sia  appropriata. Bruno Zevi, nel suo libro Architettura in nuce, fa una disamina attenta della definizione di architettura nelle varie culture, ma non perviene a una scelta certa, dal momento che l'architettura può essere connotata, di volta in volta, dall'espressione  formale, dalla tecnica del fare, dalla funzionalità. Molte delle definizioni riportate da Zevi, alcune dettate da sincera passione, altre, semplicemente retoriche, insistono sul valore dell'architettura in quanto rappresentazione di valori collettivi  per cui  se diviene “lo specializzato prodotto di un solo genio, il suo declino è inevitabile” (R.A. Cram). Altro argomento è la questione spaziale. È incontrovertibile il fatto che l'architettura sia connotata dallo spazio interno abitabile, rispetto alla scultura, tant'è che il tempio greco è stato considerato più una scultura che un'architettura vera e propria  per l'assenza di spazio interno, ridotto a semplice  dimora del dio,  tanto da far svolgere le funzioni religiose all' esterno.

Fidia scultore è, di fatto, più famoso di Ictino architetto. Il genio rinascimentale fu contemporaneamente architetto, scultore, pittore, da Brunelleschi a Michelangelo. Con l'affermarsi della tecnica costruttiva  dell'acciaio e del cemento, però,  l'architettura si separa dalle altre arti.  Oggi, invece,  gli scultori si appropriano dello specifico architettonico e  scavano nelle loro sculture materiche spazi interni  funzionali, che per esistere  hanno bisogno del sostegno tecnico e scientifico degli ingegneri. C'è da chiedersi, dunque, a che cosa servano le facoltà d'architettura, che sono sorte  dalle accademie di belle arti, proprio perché non si potevano più costruire architetture  ricavate in forme  precostituite,  ingombranti simulacri  della tradizione storica. Nel fatale avvicendarsi dei corsi e ricorsi, è di ritorno l'elogio della forma per la forma,  che si  fa architettura per l'azione, peraltro autonoma,  della tecnica mastodontica che può realizzare  di tutto, dalla sonda spaziale, alle grandi petroliere, ai sommergibili da guerra.

 

Ci troviamo di fronte all'affermarsi di una nuova accademia, quella della metamorfosi in architettura delle forme industriali, dinosauri della obsolescenza tecnologica. Se diamo un sguardo alla storia delle avanguardie del ventesimo secolo, a cui s'ispirano le recenti architetture-cattedrali del terzo millennio, dobbiamo prendere serialmente in conto la possibilità di veder realizzate le utopie urbane più ardite, macro-strutture in cui sono concentrati milioni di abitanti, coni, imbuti, bolle, cieli e colline artificiali, quartieri ziggurat, grattacieli alti un miglio, alberi infiniti. Oppure potrebbe esserci anche  una  reazione come quella storica verso lo stile  gotico in Italia. Il Rinascimento, appunto! 

 

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