Ingannevoli passioni
L’ultimo romanzo di Lidia Ravera
“ Le seduzioni dell’inverno” Nottetempo 2008
Elisabetta Liguori
elisabetta.liguori-lisi@poste.it
Questa
volta non vorrei raccontare una trama.
Davanti
ad un romanzo come questo, vorrei poter parlare di passione. Di quella di ieri,
di quella di oggi. Di passione e di equivoci.
Parlare cioè di quello che di mio o di altri, forse di
universale, mi è parso di riconoscere dentro il nuovo romanzo di Lidia Ravera, “Le seduzioni dell’inverno” edito da Nottetempo:
una storia che racconta abilmente le attuali conseguenze dei fraintendimenti
amorosi.
Un
buon romanzo, a mio avviso, nasce sempre da un’idea forte, una specie di intuizione quasi fastidiosa. Tale idea si nutre
dell’osservazione e attraverso quella, nel bene e nel male, genera atmosfere,
personaggi, eventi. A volte anche in maniera casuale. Se
l’idea iniziale è davvero forte, il romanzo che ne deriva andrà lontano e sarà
sempre possibile, per ciascun lettore e in ogni tempo, riconoscere, tra le
altre da quella germinate, l’idea principale. In questo romanzo si conciona di umane corrispondenze, intese come frutti diversi di un
diverso fraintendimento. Un po’ tutte le relazioni umane, infatti, si fondano
su un malinteso, sull’efficace elaborazione di un’immagine che risente della
soggettività di entrambe le parti coinvolte, e che per
questo produce cambiamenti continui e variabili. Ecco in
sintesi l’idea prodromica alla storia messa in scena
da Lidia Ravera, il suo romanzo incubato.
Tutto
comincia in una casa: stanze caotiche che sembrano fuggire dagli oggetti o
dalle quali gli oggetti stessi sembrano voler fuggire. La casa di un uomo solo, descritta esattamente come le
donne sono solite immaginarla. Sudiciume e stratificarsi di
detriti su detriti, tra i quali nulla lascia intuire un cambiamento imminente.
A questa casa viene fatto il dono di una donna. Non
dirò qui come, perché il come
riguarda la trama ed è terreno impervio adatto solo al
lettore. Non voglio entrarci. Dirò invece di questa donna, perché lei è l’idea prodromica. Una cameriera: tale la donna si dichiara, come
tale si veste, come tale agisce, pur restando fuori da
ogni schema noto sin dalla sua prima apparizione. Già la sua presenza, prima
ancora della sua vista, impone ai luoghi un prurito nuovo e diverso. La tavola
imbandita, un pentola che brontola sul fuoco, profumi
indefiniti che evocano l’infanzia, musica impegnativa, stanze ritornate alla
luce. Tutto questo, un mattino qualunque, precipita il padrone di casa in
un’ansia imprevista, lasciando presagire una presenza aliena e un’armonia nuova
da metabolizzare. Lui è un editor ultraquarantenne, algido, capelli sale e
pepe, grande cultura, ma sguardo incupito, disilluso,
avvezzo alla solitudine. Un matrimonio sbagliato alle spalle, nessun figlio,
solo alcune esperienze recenti con quelle che lui chiama “Opere Prime”, cioè giovani scrittrici debuttanti, acerbe, vogliose di
successo e credito. Il rigore chirurgico con il quale la Ravera
descrive i suoi personaggi è strumentale al corretto svilupparsi dell’idea di
partenza. Il profilo del protagonista maschile è, infatti,
netto, la sua immagine riflessa nello specchio ha contorni compiuti,
costituiti da mille dettagli che raccontano sapientemente un’intera
generazione. Quella generazione così ben cantata dalla Ravera anche in altri suoi romanzi, quella delle scoperte e
delle rivolte, quella dell’intelletto appassionato, quella che aveva mandato Flaubert a memoria. Quello descritto non è più lo
stesso uomo, ormai, ma un freezer, da
tempo relegato all’inverno emotivo più rigido, sia nella cura di sé, che in
quella delle relazioni con gli altri. Cosa potrà mai
far cambiare idea ad un uomo così? Da cosa o da chi potrà mai essere veramente
sorpreso e animato un uomo deluso, ormai stabilmente planato nel suo inverno
sentimentale? Sarebbe scontato chiedere ausilio all’amore, immaginare una
passione autentica, se pur letteraria, capace di rimettere in movimento la
partita e cancellare gli effetti di una sorta di “collettiva epocale
anestesia”, come la stessa Ravera definisce la cifra
stilistica degli anni che viviamo. Ma l’autrice non si
accontenta dell’amore. Il romanzo trabocca di accorate
definizioni del cuore e le sue maniere, ma il tema fondante l’intero plot
narrativo non è semplicemente l’amore,
quanto i suoi necessari molteplici artifici.
Quella
che l’autrice mette in scena, dunque, è proprio quella chiamata ancora oggi The
comedy of errors, ma lo fa con i toni della truffa e
della disperazione. Per mettere in atto una vera rivoluzione sentimentale,
infatti, ci vuole una sorta di sorprendente e articolata epifania. Una donna epifanica, appunto. La donna immaginata dall’autrice è
dunque molte cose insieme. Serva, femmina, donna, mentore, complice silenzioso.
Una rappresentazione strutturata per piani e punti di vista. Non è mai chiaro infatti se questa donna menta o dica il vero; cosa riveli e
cosa taccia; fino a che punto finga e perché, quanto sia reale la luce che
sembra le si accenda negli occhi. Dinanzi ad una donna come questa, che sa di
casa, di desco, di odorose mura domestiche, che edifica
familiarità laddove prima era il deserto e che lascia intravedere altri mondi
senza svelarli del tutto, senza imporli, ci si aspetterebbe la stesura
immediata di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Invece
tutto evolve verso la passione e il contrasto. Lei cucina
splendidamente, legge Perec, parla francese,
ascolta musica classica, veste notturni abiti da sera. Ha un’età indefinibile,
modi riservati e biondi, eloquio raffinato e schivo.
Rivela profili quasi inconciliabili con quelli propri di una colf, ma che
illuminando la casa finiscono per illuminare anche chi la abita, inducendo
stati di grazia e benessere. Un personaggio così si presta splendidamente al
tormento amoroso, ma anche all’equivoco, all’infingimento,
all’autosuggestione, che è elemento imprescindibile della passione stessa. La
creazione di un personaggio come questo consente all’autrice di giocare a
piacimento con le categorie tradizionali, coi ruoli
maschili e femminili, con gli schemi ai quali ogni giorno nonostante tutto,
siamo ancora costretti, ribaltandoli, finalmente contaminandoli.
Il
romanzo racconta, in un crescendo altamente sensuale,
questo evolvere della mente, del cuore e del corpo, con cadenze che a volte si
tingono di giallo, in altri di erotico cinismo.
“La gabbia si apre e l’ego prende aria.”
È
così che solitamente prende forma la passione: partendo principalmente da sé.
Rompendo gli argini e rovesciandosi sul mondo. Quell’editor glaciale vede in
questa donna, spuntata fuori dal nulla col suo bravo grembiulino e la crestina
inamidata, tutto quello di cui lui ha bisogno. Vede un nuovo se stesso.
Lei
di contro recita accortamente la sua parte, rivestendo posizioni femminili e
maschili nello stesso tempo. In parte soddisfa le aspettative,
in parte sfugge. Tutto s’incastra perfettamente: sogni, desideri, immagini,
bisogni. La Ravera, infatti, è splendida nella
descrizione di questa donna/uomo, che ha della donna il potere del corpo e la conoscenza, mentre dell’uomo le regole psichiche, i codici primitivi, gli impulsi. Pennella
così i tratti di una giocatrice matura, di una regista esperta e di un’attrice
navigata, che sa come farsi contenitore accogliente dell’altrui
proiezioni, che sa di quale materia sono fatte le emozioni e sa come
usarle. Regina della casa e del letto, fatta di vetro trasparente, è in grado di raccoglie tutta la luce all’esterno, brillando
di tutto e del contrario di tutto.
Con
una regina così è inevitabile lo scacco al re, come si evince dalla copertina
del libro. Nel momento dell’innamoramento la narrazione sale di tono, diventa
trionfale, una sorta di inno alla gioia. Il giudizio
morale è sospeso e il rischio si eleva insieme alla posta in gioco. Finalmente
il Sentire! I personaggi, l’editor, la sua giovane amante, la sua ex moglie,
gli amici, la misteriosa cameriera, che fino ad allora
erano stati elementi di un insieme omogeneo, membri diversi di uno stesso
gruppo, diventano unici, ciascuno a suo modo. Perché è vero:
l’amore ti estrae dal mucchio. Ti fa sentire unico e irripetibile.
Ti trasforma in un eroe solitario ed illogico. Offre alle strade che percorri abitualmente un’enfasi epica, emozionale,
altissima, prima sconosciuta. Ti sveglia in un letto nuovo e importante. Forse
è un inganno, un gioco d’azzardo, ma accade.
E ne abbiamo bisogno. Così come una donna di
servizio che, per le ragioni le più varie, voglia essere amata, sarà in grado di altissime prestazioni, questa illusione è l’unica ragione
per cui chi ama o crede di amare diventa capace di grandi cose. Chiedersi se
stia amando davvero e perché, di chi sia la colpa o il merito, a volte può
essere fuorviante.