La Caduta della Creazione

Categoria teologica e problema biologico

Robert Hamerton-Kelly

Traduzione dall'inglese di Fabio Brotto

brottof@libero.it

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Il problema che intendo affrontare è posto dal fatto che mentre la categoria teologica della caduta della creazione implica una deformazione della natura rispetto ad uno stato iniziale ideale, sul piano biologico non esiste documentazione alcuna di un siffatto stato precedente, né di un simile cambiamento. Tutto ciò che possiamo vedere è la continua interazione di creazione e distruzione, vita e morte, per tutto l'inesorabile corso del processo filogenetico. Attualmente non v'è alcuna evidenza di uno stadio dell'evoluzione che sia stato senza competizione e crudeltà: nessuna Età dell'oro della natura. Né vi è traccia di un'improvvisa caduta nel dolore e nel relativo disordine. Il processo filogenetico appare esser stato sempre sgraziato e crudele. In che modo dobbiamo comprendere questo?

Vi sono tre opzioni ovvie: potremmo dire che il periodo di perfezione iniziale è stato così breve che allo stadio attuale delle nostre conoscenze le sue tracce non possono essere rilevate. Dal momento che la nostra conoscenza dell'universo è incompleta, potremmo assumere che i segni dello stato pre-caduta siano qui, ma che noi non siamo ancora in grado di vederli. In seconda istanza, potremmo confinare la categoria di caduta alla corruzione morale del genere umano e trattare l'idea del coinvolgimento del mondo naturale come un'estensione immaginosa e poetica di quello morale. Quest'opzione è molto attraente, dal momento che ora noi possiamo vedere l'effetto terrificante del pervertimento umano sul volto deformato dell'ecologia della natura. La cupidigia e la brama di potere degli umani che discendono dal peccato originale stanno infliggendo profonde ferite al mondo naturale. In terzo luogo, potremmo rigettare del tutto l'idea di una caduta e guardare alla creazione come semplicemente non completata, un processo in corso sulla via di una perfezione ancora non attinta. Allora l'azione umana potrebbe essere vista o come cooperante col processo creativo o come un suo ostacolo, e queste due possibilità potrebbero essere definite rispettivamente come virtù o vizio. In questo intervento io sostengo una quarta opzione che combina aspetti di tutte e tre e rende anche onore all'autorità biblica e dogmatica della Chiesa cristiana.

Quest'argomento si addice al nostro convegno, visto che cominciamo la nostra ricerca sulla possibilità di controllo e riduzione della violenza dai primati, gli animali che ci sono più vicini nel processo evolutivo, e se la teologia ha qualcosa da dire sul processo evolutivo ci potrebbe condurre ad un antidoto appropriato. Data la continuità tra il naturale e l'umano, se la violenza nella creazione è anche una teoria teologica allora avremmo una giustificazione per sostenere le prescrizioni teologiche dell'antidoto, vale a dire il pentimento e l'apertura al potere redentivo di Cristo e allo Spirito Santo. Se la violenza nella creazione non è affatto una categoria teologica, allora la tesi a favore di una soluzione teologica non è più essenziale ma meramente opzionale. Dal momento che, tuttavia, la Bibbia e l'alta tradizione della teologia insistono sulla mutua implicazione della negatività morale e di quella naturale, potremmo dare un'occhiata ai contorni della questione.

Esistono due resoconti biblici della caduta della creazione, uno che la connette col peccato di Adamo ed Eva e l'altro che la connette con la caduta degli angeli. Il resoconto adamitico si basa principalmente su tre passi salienti della Bibbia, uno dall'Antico Testamento e due dal Nuovo, concernenti il primo e l'ultimo Adamo. Nel resoconto del primo peccato umano nel Genesi, Dio maledice uno per uno il serpente, la donna e l'uomo: il serpente è "maledetto più di tutto il bestiame" (Gen.3, 14-15); la donna avrà molteplici dolori nel parto e sarà soggetta a suo marito (Gen.3, 16), e l'uomo dovrà lottare con un suolo riluttante per ottenere il pane quotidiano: "Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!" (Gen.3,17-19).

In 1 Corinzi 15, 42-49 l'Apostolo mostra che la sua teologia è costruita sul fondamento della contrapposizione storica e teologica di Adamo e Cristo, rispettivamente il primo e l'ultimo Adamo. In Romani 8, 18-25 egli colloca la maledizione del peccato entro il contesto della benedizione della fede, il primo Adamo nell'atmosfera dell'Ultimo. Cristo l'ultimo Adamo ha sanato la maledizione del primo Adamo e le sofferenze del tempo presente sono come le doglie di una nuova e benedetta creazione (cfr. 2 Corinzi 4,6; 5,17). Proprio come il primo Adamo è legato negativamente alla terra, "polvere a polvere, cenere a cenere" così l'ultimo Adamo è legato alla terra positivamente, e la creazione stessa attende "…di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8,21). La trasformazione dei figli di Dio sarà l'evento centrale della trasformazione della creazione intera. La creazione geme come se partorisse, e anche i credenti gemono, ma è il gemito di una nuova nascita, un lamento della speranza.

Che cos'è quello da cui la creazione, il cui punto più alto è il genere umano, deve essere salvata? Paolo lo chiama vanità [caducità, corruttibilità] (mataiotêti: cfr. 1Corinzi 15, 42b) e dice che Dio ha sottomesso la creazione a questa vanità a causa del peccato di Adamo (Rm 8, 20). La vanità e sinonimo di asservimento alla corruzione (douleia tes pthoras) ed è opposta alla "Libertà della gloria dei figli di Dio". Paolo, come tutto il Nuovo Testamento e i Padri, legge l'Antico Testamento attraverso la lente della morte e resurrezione di Cristo, così che la trasformazione del corpo di Cristo l'ultimo Adamo nella resurrezione verso la vita significa che vi è stata una trasformazione nel corpo del primo Adamo nel peccato verso la morte. La cosa rilevante è che entrambi i Testamenti connettono il corpo così strettamente alla creazione che ciò che coinvolge esso coinvolge tutto. Questo è il breve e, a dire il vero, inadeguato resoconto della prima categoria teologica della Caduta della Creazione.

Noi seguaci di Girard abbiamo spesso discusso la questione se la teoria mimetica dell'ominizzazione non uguagli la Creazione con la Caduta, nel senso che l'esplodere della violenza unanime contro la vittima surrogata, che crea il mondo culturale, in tanto in quanto "tutta la cultura discende dalla vittima", è spontaneo e non voluto, e pertanto determinato e non libero. Vi fu un momento in cui gli ominidi ebbero una possibilità di liberamente scegliere se interpretare la morte della vittima come assassinio o come sacrificio? Se vi fosse stata, il peccato di fratricidio potrebbe essere stato confessato, perdonato e cancellato, se non vi fosse stata, esso sarebbe stato istituzionalizzato come sacrificio di fondazione sotto la pietra angolare della civilizzazione, l'agnello sgozzato come fondazione del mondo. Noi sappiamo che la decisione è stata quest'ultima, ma non sappiamo se sia stata una decisione libera, e se non lo è stata non può essere reputata un peccato, e il sorgere delle differenziazioni basate sul sacrificio che rendono possibile la cultura sarebbe tanto automatico quanto l'iniziale apparire dello stesso meccanismo del capro espiatorio, una auto-correzione spontanea di un sistema sociale divenuto catastroficamente instabile. L'origine dell'umanità e della cultura umana com'essa è attualmente costituita sarebbe stata allora un processo naturale come il sorgere di stadi precedenti nel processo filogenetico: e la consapevolezza umana, sviluppatasi solo dopo l'interpretazione mitica del primo assassinio, avrebbe inevitabilmente la struttura profonda di una negazione di complicità in qualsiasi violenza. La cultura sarebbe stata perversa fin dalle sue origini, la creazione e la caduta del mondo umano sarebbero state sincrone e sinonime.

Questa creazione di vittime surrogate e la sua negazione profondamente radicata nei miti, rituali e proibizioni della cultura è il peccato originale secondo una delle possibili letture girardiane. La rivelazione divina nel corso della storia di Israele, culminante nella crocifissione di Gesù, è un graduale ritrarsi del velo della negazione fino allo svelamento del sacrificio fondatore della cultura. La Croce svela l'agnello sgozzato sin dalla fondazione del mondo e la violenza umana che scaturisce dalla rivalità mimetica e dalle pratiche di capro espiatorio, e nella luce di questa rivelazione offre pentimento e perdono. Il peccato originale è la rivalità mimetica istituzionalizzata nelle differenziazioni culturali e sociali. In questo senso, il peccato è una categoria più fondamentale delle categorie cristiane tradizionali di superbia (libido dominandi), lussuria (libido concupiscendi) e avarizia (libido possidendi), è la libido comune a tutte e tre, il desiderio distorto dalla mimesi verso la violenza.

Questo è un resoconto convincente di ciò che la teologia cristiana intende con peccato originale, ma soffre di una debolezza potenzialmente fatale, ossia del fatto che esso esclude l'elemento della scelta libera, e così appare essere un fenomeno naturale. Un'impostazione evoluzionistica potrebbe trovarlo sostanzialmente accettabile: la competizione tra i geni per replicare se stessi sotto condizioni ottimali implica l'espulsione dei perdenti, e questo può darsi automaticamente nei momenti in cui il sistema rischia di funzionare male a causa di un livello critico di competizione. La libido mimetica è facilmente identificabile come l'energia che guida l'urgente necessità di riprodursi del gene, è l'energia della spiegazione delle cose offerta dalla psicologia evoluzionaria. L'umanità è lo strumento sostanzialmente passivo dell'impulso del gene a riprodursi, l'artefice dell'impulso umano a dominare, procreare e impossessarsi, e dal momento che quell'artefice è egoistico, come ci dice Richard Dawkins, la coscienza umana dovrebbe semplicemente riconoscere il fatto ed agire di conseguenza. Come quegli ominidi originari, noi chiamiamo sacrificio un assassinio ma ora sappiamo il perché, perché noi siamo organismi costituzionalmente egoistici spinti a riprodursi da forze cieche del desiderio che sono in realtà naturali come il vento e la pioggia. L'insistenza di Girard sulla natura automatica del processo fondativo, tanto apprezzata da Jean-Pierre Dupuy, stimola un'interpretazione deterministica.

Schwager riprende la discussione a questo punto e critica il suo collega gesuita, lo scomparso, grande Teilhard de Chardin, per la sua interpretazione naturalistica del peccato originale. Fin da quando ho letto per la prima volta da giovane Theilhard, sono stato catturato dall'eleganza lirica della sua visione della creazione, e devo a lui la mia intuizione più confortante in questo campo, che introdurrò a tempo debito. Secondo Teilhard, il peccato originale è l'elemento della violenza e della distruzione nel processo evolutivo, ma è necessario, e pertanto deve essere visto positivamente. Holmes Ralston, in un recente denso saggio basato sulla domanda se la natura debba essere redenta, sostanzialmente non fa altro che riaffermare l'argomentazione di Teilhard dicendo che ogni progresso significativo nel processo sembra implicare un "farsi strada a fatica verso qualcosa di nuovo". Lo sviluppo implica una sofferenza ineluttabile; la sofferenza è assolutamente parte integrante della creazione.

La visione positiva della sofferenza è profondamente radicata nella spiritualità cristiana. L'egualmente famoso Ronald Knox si avvicina a Teilhard quando scrive: "Perché Gesù non si tiene per sé le sue sofferenze? … perché ciò sarebbe avarizia in uno che era così prodigo di dolore. Come egli agogna per sé il soffrire, così consentirà ai suoi amici di condividerlo: la loro vigilanza, i loro singhiozzi, le loro lacrime saranno privilegiate per cooperare con lui nell'opera della redenzione del mondo". Una visione del genere in ultima analisi non è dalla parte di Teilhard, poiché essa appartiene alla categoria della redenzione, non della creazione: essa guarda in avanti all'eliminazione della sofferenza come risultato delle sofferenze di Cristo piuttosto che come un processo in corso di creazione mediante la sofferenza. Cristo prende su di sé il peccato del mondo al fine di eliminarlo.

L'idea di Teilhard è che la sofferenza e la violenza siano parte integrante del grande quadro, e debbano essere accettate come l'oscurità che fa risaltare la luce, l'ombra gettata dal sole del progresso. A questo Schwager correttamente obietta che questo processo non può essere visto come peccaminoso perché in esso non vi è libertà. Teilhard sfuma la sua posizione col dire che la negatività della creazione non è peccato come tale ma anticipazione e possibilità di peccato, come la fomes peccati della teologia tridentina, l'esca del peccato che prende fuoco quando la scintilla di una libera volontà la sceglie. Schwager argomenta che mentre questa è una descrizione accurata dell'interfaccia tra la coscienza umana e la negatività naturale, la natura non è meramente deterministica: vi è libertà nella natura stessa, come ci dicono le teorie dei quanti e del caos. Se nella natura vi è libertà, allora in linea di principio vi può essere anche peccato, e si può immaginare una continuità tra la libertà umana e la libertà naturale, tra peccato umano e peccato naturale. Come immagineremo in una tale visione la forza propulsiva dell'evoluzione? Si tratta di un processo necessario che si dispiega secondo strette leggi razionali? E' un processo casuale che avanza a tentoni e compendiabile solo in retrospettiva e in termini blandamente statistici? O si tratta di una combinazione di ordine e casualità, determinismo e libertà, un intreccio di stasi e fluidità? Accettando la terza posizione, ci dice Schwager, possiamo comprendere come gli umani siano innocentemente radicati nel loro contesto animale (determinismo) e nondimeno colpevoli se non si sollevano al di sopra di quel contesto, moralmente e spiritualmente (libertà). Tuttavia, questa conclusione è troppo timida. Dal momento che nel processo naturale vi è libertà, può anche esservi peccato, e in tal modo la scelta umana di fraintendere l'assassinio fondatore e nascondere la sua violenza è un'espressione delle dinamiche proprie del sistema e ha luogo in modo apparentemente ma non realmente spontaneo nel momento del manifestarsi della coscienza in cultura. La scelta sbagliata al momento dell'ominizzazione era stata preparata dal peccato già nel sistema; gli umani si sono limitati ad essere acquiescenti nei suoi confronti, collocandosi sulla linea di minor resistenza. Il peccato nella natura non è meramente fomes peccati accanto al peccato in quanto tale. Dobbiamo ancora scoprire da dove abbia origine, ma era nella creazione prima del peccato di Adamo.

Voglio ora introdurre la prima intuizione che ho colto da Teilhard: quella secondo la quale la coscienza umana, con la sua libertà e i suoi limiti, è un dato emergente dal processo evolutivo stesso e pertanto il processo deve aver sempre avuto al suo interno i semi di tale coscienza. Questa è una posizione al di là sia del materialismo che dell'idealismo, è un panpsichismo di cui Teilhard parla nei termini del "sottofondo spirituale della materia" e dell'emergere di questo sottofondo pari passu con la crescita in complessità sia della materia inorganica che di quella organica, fino al punto in cui si raggiunge il limite presente della complessità materiale, e cioè il cervello umano. L'interfaccia cervello-mente è il luogo della comparsa di un novum radicale entro il sistema, paragonabile al sorgere dell'organico dall'inorganico, il punto in cui per la prima volta il sistema trascende se stesso, ed è in grado di riflettere su di sé e di intervenire intenzionalmente su di sé. L'interfaccia cervello-mente è il luogo dove la libertà che è sempre stata parte del sistema mostra quanto vale, si libera, per così dire, consapevolmente per schierarsi nello scontro tra vita e morte che costituisce l'intero sistema.

Robert Wright, un portavoce giornalistico della psicologia evoluzionaria, esprime bene la cosa in un epigramma pungente: "Il primo uomo che conobbe il suo creatore lo odiò". Darwin odiò la crudeltà del creatore che egli aveva scoperto, odiò la sua goffa, sprecona prodigalità nei confronti della vita e del dolore. Si ritirò infine dalle sue ricerche e spese gli ultimi decenni della sua vita nell'attività finanziaria, in cui ancora diede prova del suo genio, e morì immensamente ricco. Naturalmente, Darwin stesso era un prodotto del sistema filogenetico, e così in lui e negli altri che ci hanno dischiuso il processo della nostra creazione questo processo perviene all'autocoscienza e all'autoespressione. Qui la cosa più notevole è la determinazione con cui il sistema critica se stesso, interviene su di sé, e tenta di cambiarsi. L'intera scienza medica potrebbe essere interpretata come un intervento operato dal sistema su se stesso al fine di eliminare per quanto possibile dolore, morte e spreco. Se si trattasse di un sistema puramente naturalistico ci si potrebbe aspettare che fosse acquiescente nei confronti di se stesso anche allo stadio di autocoscienza, e producesse soltanto degli psicopatici senza problemi tendenti solo ad espandere il proprio potere a spese degli altri, ma invece esso produce una coscienza capace di riflettere criticamente su di sé e quindi fermamente disposta a cambiare il processo che l'ha prodotta.

Da un punto di vista teologico, uno dei casi recenti più significativi di questo intervento riflessivo è costituito dalla ricerca biotecnologica sui processi di invecchiamento negli umani. Io lo leggo come il processo evolutivo che sfida la sua stessa incapacità di funzionare senza l'elemento della morte, un ripudio della morte da parte del sistema della morte.

Questa ricerca si sta sviluppando su due linee fondamentali. La prima è quella della ricerca sui cromosomi e sul ruolo dei telomeri. I telomeri proteggono dai danni le parti terminali dei quarantasei cromosomi nella normale cellula umana, come i rivestimenti duri alla fine dei lacci da scarpe che li proteggono dallo sfilacciamento. In vivo i telomeri diventano più piccoli ad ogni divisione della cellula, e quando raggiungono una dimensione critica la cellula causa la sua propria morte piuttosto che rischiare l'instabilità genetica che potrebbe risultare da una terminazione cromosomica nuda. In vitro, tuttavia, si è osservato che le cellule possono continuare a dividersi senza limite fin tanto che i telomeri vengono rinnovati, e questo rinnovamento artificiale ora è possibile. Il passo da in vitro ad in vivo deve ancora essere fatto, ma c'è proprio la possibilità di prevenire l'invecchiamento delle cellule. Una scoperta recente, annunciata il 14.5.1999, rivela che i telomeri hanno la funzione di far girare in circolo le terminazioni dei cromosomi, e la relazione scientifica ne parla come del "perfetto continuum topologico di un cerchio". Il pericolo potenziale di un simile rinnovamento artificiale dei telomeri è quello che le cellule diventino cancerose, dal momento che il comportamento autodistruttivo delle cellule generalmente avviene per prevenire l'instabilità genetica che porta al cancro, ma ora vi sono buone ragioni per non dare per scontata questa possibilità. La seconda linea di ricerca in questo attacco riflessivo alla morte da parte del sistema della morte mira ad usare cellule staminali umane per far crescere nuovi organi atti a rimpiazzare quelli difettosi, o più semplicemente a produrre cellule che possano essere iniettate in organi malati e ringiovanirli sviluppando nuovi tessuti dall'interno. Questo apre per noi un possibile futuro di immortalità modulare. Dal momento che queste cellule provengono inizialmente da blastociti, deve essere fronteggiata la questione etica posta da una ricerca che usa materiale fetale umano.

Entrambe le linee di ricerca promettono una vittoria sulla morte, o almeno la prospettiva di rivaleggiare con Matusalemme. Forse la fonte sacerdotale del Pentateuco non fantasticava soltanto, quando rappresentò l'effetto del peccato mediante la graduale riduzione della durata della vita umana, com'è attestata dalle genealogie dei primi capitoli del Genesi. Io leggo lo sviluppo di questa tecnologia come un tentativo di porre rimedio alla pietosa brevità della vita umana, che non è naturale ma è il risultato di una catastrofe entro il sistema evolutivo che ora sta cominciando a ripararsi usando a tal fine se stesso, nella forma di ricercatori e biotecnologie. La morte nel sistema della vita è innaturale.

Così io esorto ad accettare come un fatto la presenza di un'energia personale/spirituale nel processo creativo dell'evoluzione, che soffre nel dolore e nello spreco di tutto questo ma infine mostra il proprio reale valore ed è in grado riflessivamente di iniziare a fare qualcosa per mitigare e infine sradicare questo elemento di male. Questo potere personale/spirituale è, in forza dell'unione ipostatica, lo stesso che pervenne ad espressione unica come Gesù Cristo. Egli è la più pura realizzazione della potenza buona della creazione, e la sua morte e resurrezione sono gli eventi determinanti nella storia della creazione, poiché in essi la potenza creatrice fronteggia il dolore della totalità e in modo decisivo ridirige il sistema dalla morte alla vita.

Così quando affrontiamo la questione se nella storia dell'evoluzione vi sia una qualche evidenza della Caduta, una qualche indicazione di un'epoca senza dolore e morte, non dobbiamo guardare ai reperti fossili, o alle congetture sul Big Bang: l'evidenza reale di un tempo senza dolore e morte sta nella memoria del processo che emerge nella nostra autocoscienza umana, nella decisa ostilità che noi mostriamo verso ciò che Wright chiama il nostro creatore, nella nostra resistenza istintiva alla morte. Questa resistenza ostile alla morte è anche una speranza per la vita che è una memoria recuperata, non tanto degli individui quanto del sistema filogenetico stesso, registrata infine nell'autocoscienza degli esseri umani, che è lo stadio finora più avanzato del sistema. Donde infatti potrebbe venire il senso di indignazione morale davanti allo spreco e alla crudeltà dell'evoluzione, se non da una memoria sistemica di un altro stato della realtà? La caduta della creazione è registrata nel cuore umano, che a sua volta è soltanto uno stadio dell'evoluzione, un momento in cui infine essa può ricordare che è stata maltrattata come un bambino. Sì, questo modello ha molto in comune con quel contagio delle "memorie represse" di cui recentemente si è tanto parlato, con L'Abuso Rituale Satanico (SRA), che tanto scompiglio ha portato nelle scuole materne negli anni ottanta e nei primi anni novanta, provocando delle cacce alle streghe dalla natura classicamente girardiana. La visione di una perfezione esente da morte che guida il nostro intervento nella nostra stessa creazione è una memoria recuperata del sistema filogenetico ed è evidenza della caduta della creazione.

La menzione dell'abuso satanico ci porta alla seconda categoria della Caduta, ovvero alla caduta degli angeli. Al fine di conferire rigore logico a questa spiegazione, dobbiamo accettare l'insegnamento scritturistico che l'Abuso Rituale Satanico della creazione quando essa era bambina ebbe luogo non nel Giardino dell'Eden ma prima di quello, nel regno degli angeli, quando, per la sua rivalità mimetica con Dio, Lucifero l'angelo del mattino portatore di luce divenne Satana il rivale di Dio. Questo spostamento è analogo ad uno spostamento dalla biologia alla fisica, dalla saga della vita sulla terra al dramma di conflagrazioni galattiche, big bang, universi multipli e teoria dell'inflazione. Il raggio degli effetti della caduta non si limita alla terra ma abbraccia l'intera creazione, di cui la terra è soltanto una particola. Colui che preferì "piuttosto dominare in Inferno che servire in cielo" (Milton), ha ferito questa parte terrestre della creazione insieme con l'intero universo con la sua ribellione iniziale, e poi ha impedito il suo risanamento arruolando il volere umano nella sua ribelle rivalità mimetica con Dio. Egli fu creato signore di questo mondo. In qualità di archon tou kosmou toutou (Giovanni 12,31; 14,30; 16,11) avrebbe dovuto prendersene cura, ma la sua rivalità mimetica col creatore lo sprofondò nell'invidia, e quando egli precipitò sulla terra trascinò tutto il suo feudo con sé nella corruzione. La maledizione su di Eva, "Moltiplicherò le tue sofferenze nel parto, darai alla luce i tuoi figli nel dolore" (Genesi 3, 16), è la forma che la maledizione generale sulla creazione assume sulla terra. La creazione terrena diviene un processo lungo e impacciato che fa nascere i suoi figli nel dolore. Per questa ragione non vi è traccia fisica alcuna sulla terra di una età dell'oro della natura e di una Caduta in un relativo disordine e nella morte, perché la Caduta ebbe luogo altrove e colpì la terra ab initio. Sicché da un punto di vista terreno la creazione e la caduta sembrano aver avuto luogo allo stesso tempo, ma ciò è vero solo in apparenza, perché nel vero momento dell'inizio tutto ciò che Dio aveva creato era puramente buono.

La caduta degli angeli è logicamente necessaria per la tesi che vi sia stata una caduta della creazione in generale e della terra in particolare, e concorda anche con la testimonianza biblica. La questione prima nell'Eden è: da dove viene il serpente? - una chiara indicazione che al momento in cui gli umani compaiono in scena vi è già una personalità ostile a Dio e all'umanità. L'Eden era già corrotto quando vi giunsero gli umani: esteriormente benigno, esso però celava al suo interno il serpente del desiderio mimetico. Inoltre, in Genesi 6, 2-3 leggiamo che vi fu una caduta dei figli di Dio. "…i figli di Dio, guardando alle figlie degli uomini, videro che erano belle, così sposarono tutte quelle che si scelsero. Allora il Signore disse: 'Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni'". Qui vi è un'indicazione che lo spazio della vita umana si restringe a causa del peccato; e la prole di queste unioni è identificata con gli antichi semidei, una categoria del tutto inaccettabile per il monoteismo ebraico. In tutti i racconti della caduta la colpa essenziale è quella di lése-majeste, in questo caso il sorgere di una razza di mostri semi-divini che compromettono la divinità unica di Yahweh. È anche un esempio di crisi mimetica dalla cui confusione emergono mostri, né umani né divini, un ibrido blasfemo. Questi angeli dissoluti sono caduti prima della loro fornicazione con le figlie degli uomini, prima di questa intromissione nella sessualità umana. Prima che essi bramassero le donne umane essi erano già, come il loro capo, il Serpente-Satana, intenti a distruggere la creazione umana, mediante la fornicazione e la mostruosità, entrambe le quali sono ancora dolorosamente con noi.

Sto seguendo più o meno da vicino, in questa meditazione sugli angeli, il teologo francese di una generazione precedente Louis Bouyer. Egli suggerisce che, dal momento che la creazione era già corrotta e soggetta alla negatività prima dell'avvento dell'umanità, la nascita del genere umano fu un'iniziativa divina per il risanamento della creazione, una testa di ponte nel cosmo caduto. Da principio Dio intese disfare l'opera di Satana mediante l'emergente coscienza umana, che sarebbe stata la fonte della vita e dell'immortalità se fosse rimasta nella sua inizialmente perfetta connessione con la potenza creatrice divina da cui essa era derivata. Tuttavia, Satana sedusse il primo uomo e la prima donna e guastò quest'iniziativa. Pertanto il primo Adamo risultò essere solo un'anima vivente che partecipò alla corruzione satanica della terra e di tutto il mondo umano. L'ultimo Adamo invece è lo spirito che dà vita (1 Corinzi 15, 45), e che compì l'opera che il primo aveva mancato di compiere.

Bouyer parla delle tre kenoseis del divino, la prima nella creazione quando Dio all'inizio consente la libertà degli esseri creati, gli angeli, come una resistenza potenziale al suo volere, una libertà che fu esercitata dagli angeli cattivi per danneggiare il progetto divino. Tuttavia legioni di angeli rimasero fedeli, e sotto la guida di Michele - il cui nome propriamente significa "Chi è come Dio?" - abbatterono colui che pretese di essere come Dio. Da quel momento la creazione fu un campo di battaglia tra angeli buoni e angeli cattivi, tra le forze della vita e quelle della morte, una battaglia endemica al processo creativo. La seconda kenosis è la creazione dell'umanità, il sorgere dell'autocoscienza umana dal processo terrestre della creazione. Questa costituisce una nuova iniziativa creatrice, un trionfo della vita sulla morte, un'opportunità per cambiare il processo da campo di battaglia ad Eden di pace. Mediante Adamo, fatto ad immagine divina, Dio sperava di sanare il danno fatto da Satana e di restaurare la perfezione iniziale della creazione. Satana, tuttavia, riuscì a sfruttare la libertà umana per vanificare il piano divino. La terza kenosis è l'incarnazione di Dio stesso, in cui la libertà divina frustra il potere del tentatore e inizia la restaurazione di tutte le cose.

Che io abbia forse complicato il problema con il tentativo di spiegare una categoria oscura, la caduta della creazione, con un'altra ancora più oscura, la caduta degli angeli? Può essere, ma vi sono tante cose che pensavamo di conoscere scientificamente che quasi ogni giorno risultano essere vere soltanto a metà e anche meno, e vi è ancora tanto da scoprire sulla natura, che io sono diventato rispettoso perfino della dottrina degli angeli, che per gran parte della mia vita ho semplicemente ignorato come irrilevante. La dottrina degli angeli tradizionale li vede in analogia con i logoi spermatikoi della dottrina stoica del Logos e della sua ramificazione in tutta la realtà che porta ordine al cosmo. Vi sono gli angeli del vento e della pioggia e del sole e della luna e delle nazioni e di ciascun individuo. Ciò che caratterizza gli angeli nel paragone con i logoi è il loro essere personali: essi sono i pensieri di Dio in forma di persone libere. In questo modo mediante la dottrina degli angeli noi esprimiamo la duplice convinzione che perfino l'aspetto materiale del processo creativo includa un elemento di libertà e che questa libertà sia suscettibile di deformazione e di restaurazione. La restaurazione ha avuto inizio nell'Ultimo Adamo, l'unione ipostatica comincia il processo del ritorno di tutte le cose, guidato dall'umanità, alla vita di perfezione posseduta prima della Caduta degli angeli.

Credo che la teologia debba confrontarsi col mondo esterno in quanto esso si sviluppa per noi mediante la migliore scienza e tecnologia. Il tempo del soggettivismo esistenzialista in teologia è passato. Per poter parlare del mondo fisico noi ci dobbiamo di nuovo servire di categorie come quella degli angeli. Esse sono il modo tradizionale con cui abbiamo parlato del riflesso divino sul mondo fisico. Un volta che abbiamo deciso che vi è un sottofondo spirituale della materia, che l'autocoscienza umana emerge dal sistema filogenetico e che ciò implica una presenza spirituale in tutte le componenti del sistema, allora parlare di angeli ha senso. Esiste una via tra il materialismo da un lato e l'idealismo dall'altro, ed è la dottrina cristiana della creazione e della redenzione, il mistero dell'incarnazione del divino nella sua stessa creazione, le tre kenoseis, l'unione ipostatica, e la pericoresi per cui il materiale è sollevato allo spirituale e l'umano è fatto divino.

Intervento al Meeting annuale del Colloquium on Violence and Religion, Violence Reduction in Theory and Practice: From Primates to Nations, Emory University, Atlanta Georgia, 3-5 giugno, 1999.

 

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