Anthropoetics II, no. 1 (giugno 1996)

Intervista con René Girard

Markus Müller

Department of French, UCLA
muller@humnet.ucla.edu

Traduzione dall'inglese di Fabio Brotto

brottof@libero.it

http://www.bibliosofia.net/ 

 

Müller: Professor Girard, il prossimo numero di Anthropoetics è dedicato alla sua opera, ed io vorrei cogliere l'occasione di questa intervista per stabilire un dialogo tra la sua opera e l'antropologia generativa. Mi consenta di iniziare con quella che potremmo chiamare una definizione di base dell'antropologia generativa: "il differimento della violenza mediante la rappresentazione". Questa definizione mette insieme in un modo peculiare elementi chiave del pensiero moderno: il concetto di violenza, che è centrale nella sua opera, e il differimento, un essenziale concetto derridiano. L'antropologia generativa, infine, si concentra sulla rappresentazione quale strumento paradossale che non solo definisce l'umano ma anche propone un mezzo per differire la violenza. Che giudizio dà di questo nuovo modo di pensare?

Girard: Un giudizio positivo. Penso che le differenze tra Eric e me siano assai meno importanti delle somiglianze. Nella antropologia generativa vi sono molte idee fondamentali: secondo me l'idea della scena originaria e del differimento della violenza sono concetti importanti. Tuttavia, la differenza principale è che, dalla mia prospettiva, nell'antropologia generativa come è concepita da Eric manca un anello. Lei deve sapere che io ho una grande ammirazione per le sue capacità intellettuali e per la sua abilità nel definire i problemi. Lui ha una mente filosofica di prim'ordine, che è certo non comune nei dipartimenti di francese, e altrettanto dicasi di quelli di filosofia. Ciò è davvero notevole perché, da quel che so, lui non ha studiato filosofia all'università. In ciò che dice ci sono una potenza ed un'autorità reali, così le critiche che gli muoverò saranno sempre subordinate all'ammirazione.

Allora, cosa intendo io per anello mancante? La rappresentazione è essenziale e io penso che Eric abbia ragione nel dire che non ho parlato abbastanza di questi problemi. Lei sa che tutta la mia idea di rappresentazione, che è già presente in Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo, è trattata in modo alquanto cursorio poiché a quel tempo giocava un ruolo secondario nel mio pensiero, e curiosamente è stato uno degli aspetti di quell'opera che ha suscitato il maggior interesse e il più gran numero di commenti. Così, riconosco di aver trascurato fino ad un certo punto il problema della rappresentazione. Ma per me il problema della rappresentazione viene dopo quello del sacro. Eric è un filosofo ed ama quello che lui chiama il pensiero minimale, che in realtà è la stessa cosa che gli scienziati chiamano eleganza della teoria genuina. Tutto questo mi piace, ma per i miei gusti nella sua versione dell'antropologia generativa lui non è abbastanza etnologo.

Mi pare che la sua versione assomigli troppo alle teorie del contratto sociale, poiché il differimento è una decisione libera presa da entrambi gli individui, è un accordo reciproco. Nella mia visione la crisi sacrificale è una progressiva intensificazione mimetica, ed è di tale natura che occorre uno shock tremendo, qualcosa di a sua volta tremendamente violento, per interrompere il meccanismo del capro espiatorio. E il meccanismo del capro espiatorio per essere effettivo deve essere une grande chose, in altre parole la gente deve realmente proiettare le proprie tensioni ed aggressioni contro la vittima.

Müller: Scusi se la interrompo qui. Lei intende dire che non ci si può servire effettivamente del capro espiatorio se si è consci che esso è tale?

Girard: Esattamente, non esiste qualcosa come un meccanismo di capro espiatorio cosciente. Il processo cosciente di formazione di capri espiatori è una parodia moderna simile alla propaganda, poiché implica una rappresentazione che lo precede. Ma secondo me la prima rappresentazione è in realtà il sacro, perché se il capro espiatorio funziona, ovvero se tu non sei conscio della proiezione contro la vittima e se la creazione del capro espiatorio è unanime, se l'impulso mimetico è abbastanza rigoroso da renderla unanime, il che può accadere soltanto dopo una grande quantità di violenza e dopo una fase di ciò che io potrei chiamare capri espiatori parziali… Penso che Shakespeare abbia qualcosa da dire su questo nel Giulio Cesare. Lei sa che vi è la fase della cospirazione contro Giulio Cesare e delle varie fazioni che si combattono che culmina nella guerra civile. E' solo alla fine che si ha un meccanismo di capro espiatorio completo e unanime. Per farla breve, secondo me le prime rappresentazioni sono state delle false rappresentazioni del processo del capro espiatorio, le quali sono il sacro. E capro espiatorio significa che si è davvero riconciliati. Si è riconciliati da che cosa o da chi? La sola risposta possibile, se intendiamo il capro espiatorio come un processo reale, è che noi dobbiamo essere riconciliati da quella stessa vittima che ci ha diviso. Pertanto questa vittima è insieme estremamente cattiva ed estremamente buona. Il sacro è proprio lì come una potente esperienza che precede la rappresentazione ma muove costantemente verso la rappresentazione. E ad un certo stadio, che naturalmente non può essere definito, esso deve diventare una sorta di rappresentazione.

Müller: Così lei non sarà d'accordo con l'ipotesi di una scena originaria da cui linguaggio e sacro emergono contemporaneamente.

Girard: Il movimento verso la rappresentazione deve essere stato un processo estremamente lento, e nessuno può dirne qualcosa in modo concretamente storico, questo è certo. Deve esserci stata una lunga serie di scene. Prima della rappresentazione, devono essere nati rituali e divieti. Che cosa sono i divieti e i rituali? Il divieto ci dice di non fare a nostra volta ciò che la vittima ha fatto per metterci nei guai: il che significa in realtà lo stesso che separarci l'uno dall'altro, far sì che gli umani che sono stati divisi si allontanino l'uno dall'altro in maniera che non ricomincino a combattersi. E nondimeno i guai incombono di nuovo. Se lo sconvolgimento mimetico ritorna, il nostro istinto ci dirà di fare nuovamente ciò che il sacro ha fatto per salvarci, cioè uccidere il capro espiatorio. Di qui la sostituzione, l'immolazione di un'altra vittima in luogo della prima. Ma la relazione di questo processo con la rappresentazione non è tale da poter essere definita nitidamente. Questo processo dovrebbe muovere verso la rappresentazione del sacro, verso la definizione del rito come rito e del divieto come divieto. Ma, vede, questo processo dovrebbe cominciare già prima della rappresentazione, poiché esso è direttamente prodotto dall'esperienza del capro espiatorio misconosciuto. Il capro espiatorio misconosciuto deve condurre alla separazione e allo stesso tempo alla ripetizione del meccanismo del capro espiatorio finalizzato all'evitare un'altra crisi.

La prova che il rito funziona così sta nel fatto che esso inizia con una finta crisi. In altre parole, esso tenta di attuare ancora una volta lo stesso processo, ma quel che più mi interessa in questa genesi del rituale e del divieto è che non si richiede una piena rappresentazione, proprio come il sacro non richiede una comprensione del meccanismo del capro espiatorio. In altre parole - e questo non è chiaramente definito in Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo - in qualche modo il processo del sacro e il processo che muove verso la rappresentazione potrebbero essere la stessa cosa, ma si deve aver avuto bisogno di innumerevoli ripetizioni di riti per produrre questo, e poi, naturalmente, la rappresentazione iniziale deve essere stata più o meno del tipo pensato da Eric. Il problema è il differimento della violenza, ma per me l'idea che la sola consapevolezza di un imminente conflitto possa essere sufficiente a causare il suo differimento non è persuasiva.

Müller: Lei si riferisce alla scena originaria in cui i partecipanti riconoscono il segno come gesto di appropriazione interrotto?

Girard: Per l'appunto. Secondo me ci deve essere stata più di una scena originaria. È il capro espiatorio originario che si prolunga in un processo che può essere infinitamente lungo nel suo muovere da, come dire, dalla ritualizzazione istintiva, dalla proibizione istintiva, dall'istintiva separazione dell'antagonista, che si può trovare entro certi limiti già negli animali, verso la rappresentazione. Come effettivamente si svolga questo processo di rappresentazione non lo so, non lo posso definire, ma penso che nell'analisi di Eric vi siano molte cose utili per avvicinarsi a questo obiettivo. Perché infine la gente diviene consapevole che rito e divieto differiscono la violenza. Per questo la tendenza a visualizzare e rappresentare cosa sta succedendo diventa sempre più forte. Ma quel che vorrei vedere è un motore della rappresentazione più genetico piuttosto che una scena che per me è troppo filosofica, troppo concettuale per cominciare. Quel che mi piace della genesi del capro espiatorio è precisamente il fatto che esso evita il dilemma filosofico di un passaggio improvviso dalla non-rappresentazione alla rappresentazione. Lei capisce, la cosa più importante qui è che rituale e proibizione nella loro forma più elementare precedono la rappresentazione. Lentamente essi diventano rappresentabili e infine vengono rappresentati. Ciò che trovo problematico in Eric è che lui non parla mai di materiale arcaico: di riti in particolare. Rito, mito e divieto sono interpretabili mediante la teoria del capro espiatorio, cosa che credo non sia mai accaduta prima. Così ogni cosa che Eric dice giustamente nella sua antropologia generativa dovrebbe essere detto, credo, nel contesto della religione arcaica.

Müller: Questo fatto che la sua opera si concentri su rito e mito e l'antropologia generativa sul moderno mi porta ad un'altra domanda, che riguarda la mediazione interna ed esterna. Potremmo dire che il rito e l'arcaico sono il luogo per eccellenza della mediazione esterna laddove il mondo moderno è il mondo della mediazione interna. Sembra che entrambe le forme di mediazione abbiano i loro vantaggi e svantaggi. Può sviluppare questo tema?

Girard: Il rito e l'arcaico sono il differimento della violenza; la religione è il principale differimento della violenza, ma i mezzi di questo differimento, il divieto e il rituale, non sono inesauribili: essi tendono a logorarsi, diventano inutili perché perdono il loro potere. Questa è, tra l'altro, la ragione per cui gli antropologi non scoprono quasi mai il potere del rituale: essi hanno per lo più osservato il rituale in situazioni in cui esso aveva perso il suo potere, anche solo per il fatto della loro presenza lì. Le poche eccezioni a questo saranno situazioni che non possiamo apprezzare molto bene, come le pochissime persone che furono nella posizione di poter osservare la cultura degli Aztechi, come lo spagnolo Bernardino de Sahagún, per esempio, che scrisse un completo resoconto dei loro riti. Ma mi consenta di ritornare alla questione iniziale della mediazione esterna. La mediazione esterna è una funzione della società in termini religiosi, una società in cui rituale e divieto differiscono ancora la violenza in modo effettivo. Successivamente la rivalità mimetica si diffonde sempre più, e la gente si sente sempre più disincantata rispetto alla propria religione e tende a regredire entro una crisi mimetica, in ciò che io chiamo una mediazione interna, i doppi e così via, ma qui vi è sempre un processo storico. Così, le religioni arcaiche hanno una tendenza a perdere il loro potere e poi a rinnovarsi in una nuova crisi e in un nuovo meccanismo del capro espiatorio. Nella storia moderna possiamo scorgere qualcosa di questo, ma molto poco, perché la storia moderna è influenzata da sistemi religiosi che muovono contro il meccanismo del capro espiatorio o lo disintegrano completamente. Secondo me, questi sistemi religiosi sono essenzialmente il Giudaismo e il Cristianesimo. Ma fino a un certo punto tutte le religioni vanno contro il sistema sacrificale, e lo si può vedere molto chiaramente in India nel grande periodo mistico, o nel Buddismo, ma penso che il processo sia sempre meno completo che nel Giudaismo o nel Cristianesimo.

Müller: Cosa si può dire circa l'efficienza della mediazione esterna ed interna per quel che riguarda il differimento della violenza? Nel rituale e nella mediazione esterna non vi è, considerando Dio come un mediatore esterno, l'illusione che col dedicarsi a riti la violenza possa essere differita definitivamente da una data società?

Girard: La mediazione esterna risolve il problema della violenza soltanto temporaneamente, e dal nostro punto di vista etico imperfettamente, perché lo risolve con le vittime, e anche con le vittime essa lo risolve in misura sempre minore. Così, se lei guarda all'inizio della Bibbia, trova la storia di Caino e Abele. L'assassinio di Abele è, in effetti, la prima azione di capro espiatorio. Se lei guarda attentamente, si tratta di una storia collettiva e non individuale. Caino dice: "Ora che ho ucciso mio fratello ognuno mi potrà uccidere". Questo "ognuno" ha davvero poco senso se si interpreta questa storia come una scena a due tra due fratelli. Ma poi si ha una legge contro l'omicidio che emerge direttamente da questo primo delitto: ogni volta che Caino sarà ucciso, l'uccisore sarà ucciso sette volte. In altre parole si ha qualcosa che regola la vendetta. Sette vittime non rappresentano una vendetta infinita, ma se si continua a leggere la storia si può vedere che i successori di Caino diventano sempre più violenti e richiedono vittime in numero crescente. Vi è il canto di Lamech che dice: Caino ha ucciso sette volte e io settanta volte sette, e infine tutto sfocia in un'altra crisi che è il diluvio.

All'inizio della Bibbia c'è la storia di Adamo ed Eva, che è una storia di desiderio mimetico perché il desiderio non viene mai dal soggetto ma sempre da qualcun altro. Il desiderio di Eva è ispirato dal serpente, il desiderio di Adamo è suggerito da Eva. La storia di Adamo ed Eva è ovviamente una storia mimetica. Quando Dio chiede loro che cosa sia accaduto, Adamo dice che è stata colpa di Eva ed Eva dice che la colpa è stata del serpente. Nessuno dei due ha del tutto torto, nel senso che entrambi hanno preso a prestito il proprio desiderio da qualcun altro. Ma poi ci sono Caino e Abele, le conseguenze reali del desiderio mimetico che sono il meccanismo del capro espiatorio e la fondazione della prima cultura. Quindi si ha questa prima cultura, che, cattiva com'è - sette uccisioni per una - diventa sempre peggiore, finché non collassa interamente nel grande diluvio.

Müller: Il suo commento sulla storia di Caino e Abele come la vera conseguenza della storia di Adamo ed Eva sottolinea questo problema della mediazione esterna e interna. L'aspetto affascinante della mediazione interna è precisamente il fatto che non vi è alcun mediatore esterno, il serpente, Satana, Dio, che possa essere accusato.

Girard: La mediazione esterna significa che vi è una trascendenza e che le regole della cultura sono rispettate.

Müller: Perché si verifica uno spostamento dalla mediazione esterna a quella interna e come avviene questo spostamento?

Girard: Nella mediazione esterna, si va verso una violenza sempre crescente e poi alla fine, nelle società arcaiche, si ha un'ulteriore azione di capro espiatorio e il nuovo inizio della cultura. Secondo me, quello che antiche culture come gli Indù e i Presocratici chiamano l'eterno ritorno, è una serie di cicli del meccanismo del capro espiatorio.

Müller: Possiamo parlare della società moderna, dove rituali simili non li abbiamo o cerchiamo di allontanarcene, tendendo piuttosto alla mediazione interna?

Girard: Poiché noi non possediamo un modo assoluto per liberarci dalla mediazione interna o rivalità mimetica, abbiamo rivalità mimetica in misura crescente ma, allo stesso tempo, abbiamo astensione dalla rivalità mimetica poiché l'influenza biblica è ancora più positiva che negativa. Viviamo in un mondo in cui le crisi mimetiche sono sempre minacciose, ma esse non si svolgono come nelle società arcaiche. Abbiamo guerre e ogni sorta di conflitti che dovrebbero essere studiati mimeticamente, e stiamo cercando di prevenirli senza ricorrere a troppa vittimizzazione, ma questo rifiuto naturalmente non è senza problemi, e implica una quantità di violenza che si esprime nelle vicissitudini della storia, che Eric vede chiaramente così come chiunque.

Müller: Mi consenta di parlare un po' del suo libro Menzogna romantica, verità romanzesca. Alla fine di questo libro, lei parla dell'uomo del sottosuolo di Dostoevskij, che è ritratto come il moderno uomo del risentimento. Dalla mia lettura di questi passi del suo libro, ho ricavato l'impressione che lei abbia un'idea piuttosto apocalittica della modernità, del mondo della mediazione interna.

Girard: Be', quell'idea è sempre presente, ma in Menzogna romantica, verità romanzesca è ovviamente molto differente che nei libri successivi poiché questo è un libro che precede la scoperta del meccanismo del capro espiatorio e della genesi della religione, che è assolutamente fondamentale per il mio sistema. Questo libro è incompleto, dal momento che esso tratta solo del periodo moderno; pertanto quello che si ha là è una dérive, una specie di scivolamento sempre più profondo nella crisi, mai completo però, mai nel senso del meccanismo del capro espiatorio, che sarebbe in ogni caso impossibile poiché per definizione il meccanismo del capro espiatorio non può essere percepito, nel senso che se si è in grado di percepirlo si soccombe ad esso e si diventa credenti nella colpa della vittima. Perciò il meccanismo del capro espiatorio non deve mai essere rivelato, perché o la gente resiste ad esso, e allora non vi è più il meccanismo del capro espiatorio, o soccombe ad esso, e allora diventa un fatto unanime.

Questa è la ragione dell'eccezionalità dei testi biblici. In essi si ha una piccola minoranza, un resto, che resiste vittoriosamente al meccanismo del capro espiatorio. Allo stesso tempo, i Vangeli mostrano che i discepoli di Gesù sono quasi risucchiati entro il meccanismo del capro espiatorio. Questa è la ragione per cui il rinnegamento di Gesù da parte di Pietro è uno dei testi più importanti dal punto di vista teoretico, poiché lo stesso Pietro è catturato nel meccanismo del capro espiatorio. Il rinnegamento di Pietro non deve essere letto come una riflessione sulla psicologia di Pietro, sulla debolezza personale di Pietro: deve essere letto come la rivelazione del meccanismo del capro espiatorio. Non ne dovremmo avere rivelazione alcuna dal momento che perfino Pietro, il migliore dei discepoli, si unisce alla folla. E questo è molto diverso dalla morte di Socrate. Poiché se si guarda alla morte di Socrate, si vede che il filosofo non soccombe mai al meccanismo del capro espiatorio. Sempre i filosofi vedono che Socrate è innocente e sempre lo difendono contro la città. Per me questa è la principale differenza tra Platone, che nondimeno è un grande pensatore religioso, e i Vangeli. Il paradosso supremo dei Vangeli è che la rivelazione non dovrebbe mai accadere. E perciò l'opera di Platone non è una rivelazione del meccanismo del capro espiatorio dal momento che la filosofia ne è immune.

L'idea di grazia nel Cristianesimo e nel Giudaismo è precisamente quella per cui la verità non può essere conosciuta con mezzi umani perché essa è sempre sepolta dal meccanismo di Satana. Qual è l'idea di Satana? Come può Satana espellere Satana? Satana espelle Satana mediante l'unanimità dell'azione sul capro espiatorio, che obbliga assolutamente tutti a non vedere più la vittima come capro espiatorio ma come quella soprannaturale combinazione di colpa e salvezza che è un dio primitivo. Laddove nel Giudaismo e nel Cristianesimo si ha un tipo di Dio completamente differente, che non dipende dal meccanismo vittimario.

Müller: Qui la posizione del vittimizzatore e quella dell'oggetto di desiderio e di rifiuto, la vittima, sono definite piuttosto chiaramente, e stabili. Questo non sembra essere il caso nella mediazione interna, dove non siamo più in grado di distinguere tra vittima e persecutore.

Girard: Certo, è un circolo. La mediazione interna implica ciò che io chiamo doppia mediazione. In altre parole, il modello diventa l'imitatore del suo imitatore, e l'imitatore diventa il suo modello del modello: questa è l'escalation mimetica. È un accumulo di energia violenta che tende all'esplosione, e naturalmente quest'esplosione avviene continuamente. Perché questa violenza sia differita, ci deve essere un transfert collettivo contro una vittima collettiva, che può essere completamente arbitraria e contro la quale vengono proiettate tutte le tensioni, il capro espiatorio. Se tutti credono nella sua colpa, la distruzione di quella vittima lascerà la comunità senza un nemico. È questa condizione di essere senza un nemico, attribuita alla vittima, che produce il mistero del sacro. Poiché il capro espiatorio incarna tutto il male e dopo un secondo incarna tutto il bene, allora il sacro deve essere stato lì, e deve essere stato la prima cosa ad essere rappresentata, dopo un lungo apprendistato con proibizioni e rituali.

Müller: Prima lei ha menzionato la religione come il mezzo più importante per il differimento della violenza. Si potrebbe dire che il sistema del mercato, come è definito nell'antropologia generativa, assuma molte delle funzioni della religione riguardo al differimento della violenza. Qual è la sua opinione circa la capacità del mercato di rimpiazzare la religione?

Girard: Il mercato e la moltiplicazione dei beni dovrebbero essere visti come parte del meccanismo sacrificale. In altre parole, il messaggio della rivalità mimetica è che tutti noi vogliamo le stesse cose, e il mercato ci consente di avere le stesse cose. Così, il mercato può essere considerato una religione, direi una religione sostitutiva, ma non si dovrebbe esagerarne il valore per i suoi aspetti migliori, il mercato non è razionalmente intelligibile. Ma lei mi potrebbe dire che nel mercato non esistono vittime, esistono solo beneficiari : la gente fa soldi, la gente consuma e scambia e così via ma questo non è necessariamente sacrificale. Per prima cosa, questo è discutibile: vi sono molti perdenti, molte vittime. Inoltre, il mercato fino ad un certo punto è come tutti i mezzi sacrificali e la prova è che esso ha un ciclo di vita limitato.

Consideri per esempio la gente che alla fine della guerra ha dedicato tutta la sua attività, le sue energie al possesso di lavatrici, lavapiatti, o automobili - ora il possesso di questi oggetti non basta a soddisfarla, lo considerano scontato. Il mercato non sa che cosa noi realmente vogliamo, di che cosa realmente abbiamo bisogno. Oggi lei sente per esempio che noi abbiamo bisogno di computer: noi non siamo nemmeno sicuri che i computer possano soddisfare il nostro desiderio come fanno altre cose, ma i computer fanno andare l'economia, almeno per un po'. Pertanto il mercato forse ha maggiori capacità di autosostenersi rispetto a molti altri sistemi, ma non è una capacità assoluta: la sua efficienza partecipa della storicità. E vi è anche un'escalation mimetica che ha effetti controproducenti per l'ecologia e ogni sorta di cose. Così, sarei fino ad un certo punto d'accordo su una visione positiva del mercato, ma vorrei dire che per molti aspetti è sempre la stessa vecchia faccenda, e che non vi è una soluzione definitiva al problema dell'uomo che, per quanto fuori moda possa essere il dirlo in quest'epoca, anela all'assoluto.

Müller: Almeno in linea di principio, il sistema del mercato ha implicitamente fede nella sua infinita capacità di differimento…

Girard: …di rinnovamento

Müller: … di rinnovarsi e differire la violenza potenziale insita nel desiderio mimetico.

Girard: Sì, allo stesso tempo, non voglio essere troppo pessimista, ma proprio in questo momento vi sono alcuni aspetti inquietanti nella mania di miniaturizzazione, per esempio, che mettono in evidenza gli aspetti negativi della rivalità mimetica. A me sembra che il mercato, fondamentalmente, come tutte le istituzioni moderne, sia una complessa combinazione di una base sacrificale arcaica con aspetti della rivelazione giudaico-cristiana, e come lei ha detto è migliore di tutto ciò che abbiamo avuto prima, e non voglio svalutarlo. Ma allo stesso tempo esso dà continuamente segni di crisi. Fino ad ora esso ha avuto la capacità di rinnovarsi, ma ha avuto momenti di grande crisi che hanno condotto ad eventi mostruosi. Si può vedere che le crisi totalitarie degli anni Trenta e Quaranta, e l'intero sistema comunista, furono in un certo senso problemi causati da un collasso del mercato, e questi problemi sono ancora con noi. Perciò, senza negare la teorica capacità del mercato di rinnovare se stesso, possiamo avere seri dubbi circa la facilità con cui potrà farlo in futuro.

Müller: Un aspetto del mercato che considero molto interessante è il fatto che esso consente alla vittima di volgere in valore la propria posizione vittimaria. Un esempio potrebbe essere l'Affirmative Action.

Girard: L'Affirmative Action mi sembra un altro segno del fatto che perfino la mistica dell'anti-capro espiatorio può trasformarsi in altre forme di pratica del capro espiatorio. Lo scopo principale del pensiero politicamente corretto, che è una perversione dell'Affirmative Action, non è quello di difendere le vittime ma di creare ancora una volta delle vittime accusando certuni di essere vittimizzatori. Pertanto, ancora una volta, siamo sempre sulla lama del rasoio, ma l'importanza e la rilevanza dell'antropologia generativa per questi problemi stanno nel fatto che noi ne possiamo parlare in un modo più efficiente di qualsiasi altro, ed in un modo che è economico e minimale nella scena disegnata da Eric. Essa ci consente una costante rielaborazione dei primi principi che in precedenza non è mai stata possibile. Così io concordo con Eric nel ritenere che prima o poi queste idee saranno scoperte ed usate ampiamente.

Müller: Penso che abbiamo da dire ancora qualcosa sulla questione del capro espiatorio e della fine della storia.

Girard: Sì, ho letto i commenti di Eric su Fukuyama e la fine della storia. Ed egli dice a buon diritto che essa ha molto poco a che fare con la fine della storia come è concepita da Hegel, poiché oggi la fine della storia sarebbe il risultato della violenta minaccia che incombe sull'umanità. Ma, vede, qui possiamo vedere che è importante parlare della religione, integrando nella nostra riflessione da un lato testi arcaici, dall'altro testi giudaici e cristiani. Tutti questi testi includono, come lei ha detto, una dimensione apocalittica. C'è l'apocalisse nel nostro futuro. E che cosa significa l'apocalisse? Significa rivelazione: apocalypto significa portare alla luce e mostrare la verità. Ma essa significa anche violenza assoluta, così l'apocalisse è rivelazione violenta e rivelazione della violenza, e la rilevanza di questo la si coglie immediatamente.

La dimensione religiosa spinge tutti i paradossi mimetici ai loro logici estremi. Moltissimi credono che la dimensione apocalittica del cristianesimo sia stata soltanto una sorta di frenesia collettiva. Ma oggi si può vedere che non è vero. In società in cui le protezioni sacrificali sono svanite, diventano possibili certe forme di conoscenza, la conoscenza tecnica, il mondo è svuotato dei poteri magici e può essere manomesso in modi che non erano possibili in precedenza. Perciò il mondo sta sotto una minaccia che proviene dall'uomo, che è una minaccia totale, e l'umanesimo non è all'altezza di questa minaccia, non ha nulla da dire su di essa, è costretto ad affrontarla con l'uso di concetti che provengono da un razionalismo per il quale ciò di cui stiamo parlando è impensabile. Ed ecco che questi concetti che appaiono pazzeschi, come ad esempio quello di apocalisse, in questo contesto rivelano di essere del tutto sensati. In un certo modo sono i concetti più economici, perché mostrano che la rivelazione della violenza e la minaccia nucleare sono un'unica realtà. Pertanto fanno parte di quel pensiero - basato sul principio di economia ed efficienza piuttosto che su quello di falsificazione di Popper - che, secondo me, Eric vede bene come il fine reale della scienza sociale. Quando nel gioco si include la religione, lungi dal perdere coerenza interna, se ne guadagna, perché si dispone di concetti, come quello apocalittico, che di colpo dimostrano la loro razionalità. Possiamo anche mostrare che, lungi dall'essere una fantasia folle, Satana acquista senso se lo si vede come il paradosso mimetico che da un lato è disordine e violenza, e dall'altro il meccanismo del capro espiatorio e così il ritorno all'ordine. Il Satana dell'ordine suole espellere il Satana del disordine ma non può fare altro. Egli è scatenato. Qui, di nuovo, lungi dall'evidenziare follia, si ha una presa sulla realtà che non abbiamo mai avuto prima.

Müller: Vorrei tornare per un momento alla questione della violenza fuori controllo. Da quello che lei ha detto è ovvio che, se vogliamo evitare una guerra totale, noi non possiamo evitare una certa dose di violenza legata al capro espiatorio. Date le possibilità tecnologiche e il fatto che il mondo sta diventando sempre più piccolo, la minaccia di una crescente violenza mimetica sembra diventare realtà. Lei vede qualche modo per fronteggiare questo fenomeno?

Girard: Rispondere alla sua domanda è difficile. Vi sono due tipi principali di violenza incontrollata: quella a livello individuale e quella a livello collettivo. Il secondo genere produce fenomeni quali il Libano o la Bosnia. Gli studiosi della politica hanno tentato di spiegare perché accadano queste cose, ma non hanno i concetti appropriati. Una volta iniziata l'escalation, nulla può porvi fine: questo si è potuto verificare in particolare nel Libano. Tuttavia, la cosa interessante per quanto concerne la Bosnia è il fatto che l'intervento straniero abbia posto fine alla violenza e che oggi l'intervento straniero venga accettato dalla comunità internazionale. Si tratta di un fenomeno assolutamente nuovo. Non ci rendiamo ancora conto di quanto nuova sia l'idea che vi possa essere un intervento militare non motivato dall'imperialismo. Per me, questo è uno dei motivi di speranza negli sviluppi del nostro tempo, e ovviamente la fine della guerra fredda ha qualcosa a che fare con esso. Io penso che la fine della guerra fredda sia molto interessante dal punto di vista della violenza mimetica, perché in realtà essa è stata la comprensione da parte di uno o più, probabilmente da parte di un gruppo di persone abbastanza ampio, e anzitutto da parte dello stesso Gorbaciov, del fatto che un certo tipo di imperialismo era sorpassato: la competizione per il territorio, lo sforzo di ammassare il maggior numero possibile di stati satellite in Africa, non comportava per l'Unione Sovietica alcun accrescimento di potenza. Penso che la fine della guerra fredda sia stata la comprensione di questo, una cosa che nella storia non era mai accaduta prima.

Müller: Si potrebbe concludere che la fine della guerra fredda sia la comprensione del processo mimetico, in quanto queste persone sembrano essersi rese conto del fatto che una continuazione del loro comportamento mimetico avrebbe condotto ad una catastrofe globale. In quest'ottica, la pura minaccia di violenza sarebbe stata sufficiente a far terminare almeno questa crisi particolare. Mi pare che la sua conferenza alla UCLA sulla religione e il villaggio globale andasse in questa direzione.

Girard: Oggi noi abbiamo sempre di più quel tipo di differimento della violenza di cui parla Eric. La religione arcaica sta diventando qualcosa di superato. Vi sono dei suoi residui, vi sono aspetti di idolatria collettiva, ma essi tendono a causare violenza. Ma questo sta diventando un fenomeno arcaico nel nostro mondo, e si può sperare che Libano e Yugoslavia siano fenomeni che non si possono ripetere nell'Europa Occidentale o in questo paese, ma non ne sono sicuro.

Müller: Abbiamo parlato di mediazione interna ed esterna, del meccanismo del capro espiatorio e del differimento della violenza. A questo punto, vorrei spostare il centro della nostra discussione verso la questione della rappresentazione in genere e del linguaggio in particolare. L'antropologia generativa sostiene che il segno, e di conseguenza il linguaggio, è nato nella scena originaria sotto la minaccia della violenza, e io penso che Nietzsche abbia qualcosa di interessante da dire al riguardo. In un saggio dal titolo Sulla verità e la falsità nel loro senso ultramorale (1873), Nietzsche dice che poiché gli uomini vogliono vivere insieme socialmente e gregariamente, poiché vogliono evitare il bellum omnium contra omnes, essi inventano un arbitrario e tuttavia vincolante sistema di linguaggio, e conseguentemente anche di leggi, per fissare la "verità".

Girard: Questa è una citazione affascinante. Quel che mi disturba qui è quel che mi disturba un po' nell'antropologia generativa, il fatto che questo processo implica preveggenza. Implica il pensare, mentre uno dei propositi della concezione del capro espiatorio è quello di articolare una genesi della cultura che lo renda completamente non necessario. Si tratta proprio di un meccanismo, capisce, che rappresenta una transizione tra un meccanismo biologico e la cultura. La mia opinione è che tutti i contratti sociali non siano credibili. Ma Nietzsche è un caso interessante per quel che concerne capro espiatorio e vittimizzazione. Noi viviamo in un mondo in cui non possiamo accusare la gente direttamente, ma dobbiamo accusare gli accusatori, perseguitare i persecutori. Così, direi che dentro i nostri conflitti vi è sempre una problematica cristiana pervertita. E io penso che se Nietzsche ha avuto le idee che ha avuto, quella combinazione di visione estremamente profonda e di completa follia, è stato perché egli fu il primo a reagire al politicamente corretto. Il politicamente corretto era allora ai suoi inizi, non era nulla in confronto a quello che è oggi.

Nondimeno, se si legge attentamente Nietzsche, si può vedere che, dal mio punto di vista, egli confonde il Cristianesimo reale con la sua caricatura. Egli vede le origini del Cristianesimo, l'idea di tutti i deboli che si coalizzano contro i forti, come una sorta di super politicamente corretto. Questo ai miei occhi non ha alcun senso, perché Nietzsche è cieco davanti al principio della folla, laddove i primi cristiani ovviamente erano una piccola minoranza che combatteva la folla. E Nietzsche vede Dioniso come l'opposto della folla, l'individuo, laddove è ovvio da Euripide e da tutto ciò che conosciamo, che Dioniso è la folla, è quella mania, quella furia omicida della folla di linciatori che la tragedia descrive. Così egli è sia il più lucido che il più cieco davanti al politicamente corretto. Egli è un mistero culturale totale: è essenziale perché ha scoperto, io penso, la differenza tra l'arcaico e il cristiano quando ha affermato che quest'ultimo è per le vittime, ma invece di trovare ciò buono per principio, afferma che è cattivo.

Müller: Vuol forse dire che lei ha posto Nietzsche sui suoi piedi?

Girard: In un certo senso io faccio questo, il rovesciamento di Nietzsche. In Nietzsche vi sono dei passi non pubblicati che dicono apertamente che abbiamo bisogno del sacrificio umano. Egli accusa il Cristianesimo di rendere impossibile il sacrificio umano difendendo la vittima. Questo è portato alla luce in Nietzsche. Ed è estremamente profondo: non c'è nulla di più grande in alcun teologo dell'Ottocento e del Novecento, ma è anche la concezione più perversa, perché essere contro il politicamente corretto ed essere per la vittimizzazione sono due cose del tutto differenti. Noi siamo contro il politicamente corretto perché siamo contro la vittimizzazione, e perché esso è la forma di vittimizzazione più insidiosa ed ipocrita. E invero questo è il modo in cui Nietzsche ha interpretato il Cristianesimo: come politicamente corretto.

Müller: Può aggiungere qualcosa sulla relazione tra il linguaggio e il sacro?

Girard: Quello che Eric sostiene a proposito mi va benissimo, a patto che sia preceduto da una lunga esperienza del sacro che sia intesa come pre-rappresentativa. Non vedo cosa si possa perdere nel passaggio attraverso il sacro, e i guadagni testuali sono enormi, a meno che, naturalmente, non si rifiuti la preminenza della religione per ragioni ideologiche. Secondo me, la nostra enciclopedia dei culti arcaici risponde alla genesi della religione mediata dal capro espiatorio in modo così convincente che questa possibilità non può essere disdegnata. Funziona così bene e i risultati presentano tutte le caratteristiche che Eric cita come necessarie per una buona teoria. In aggiunta, questa soluzione fornisce la drammaticità, o l'urgenza, che è necessaria al fine di evitare la non credibilità dei contratti sociali in ogni loro forma. Ancora una volta, io credo che lo schema di Eric sia troppo vicino ad un contratto sociale, perché la violenza è differita dall'inizio. Ed io penso che tutti i testi religiosi militino contro quest'idea. Lei mi potrebbe obiettare che i testi religiosi sono testi recenti, perfino i più antichi che abbiamo, ma, allo stesso tempo, essi più di qualsiasi testo della cultura contemporanea, sono in grado di suggerire lo schema della generazione del sacro. Vede, il sacro nella società arcaica è qualcosa di realmente terribile e distruttivo e pericoloso come la potenza atomica scatenata, e perché sia così si deve verificare una crisi totale. Molti antropologi contemporanei non sono d'accordo, ovviamente, ma essi si sono arresi al nichilismo e, prima o poi, i giovani si renderanno conto di quanto sterile e noiosa sia l'attuale stagnazione culturale.

Müller: La violenza, non la sua prospettiva solamente…

Girard: Giusto. Perché come potrebbe questa prospettiva di una violenza imminente differire la crisi? I suoi effetti sono davvero troppo grandi per la mancanza di drammaticità che si ha qui. Qui è molto importante l'idea di tragedia. Vede, la situazione non è abbastanza tragica da forzare la gente a costituire un'unità.

Müller: Nella scena originaria, la designazione dell'oggetto è anche il sorgere del sacro…

Girard: E quest'oggetto, poiché è sacro, è anche tabù. Questo tabù, tuttavia, è costantemente trasgredito nel rituale. Così, la domanda è: come si possono riconciliare i due? Con il capro espiatorio si può, perché col capro espiatorio si profila un doppio imperativo: non fare quello che io ho fatto per mettere la cultura in difficoltà, ma se e quando la cultura è in difficoltà, fa di nuovo quello che ho fatto io per togliere la cultura dai suoi guai. Segui l'esempio della mia morte redentrice e uccidimi di nuovo al fine di far tornare la pace. Non vedo la possibilità di liberarsi da questo. Il mio schema è anzitutto un'interpretazione della religione arcaica. La nascita del linguaggio, o la stessa idea di sostituzione, non può avvenire senza una spinta. La vittima è prima di tutto un segno quando si dà la ripetizione. Così, la vittima è un segno dell'evento originario che è di per sé la violenza stessa: è questo il motivo per cui la vittima è sacra. E questa vittima, se si osserva il rito, prima che avvenga l'immolazione è molto impura e rende impuri. L'immolazione trasforma istantaneamente la sua condizione, essa diventa santa. L'unico tipo di rituale in cui questo non è vero è probabilmente uno dei rituali più arcaici, dei rituali di capro espiatorio per dirlo correttamente, ove letteralmente si carica la sozzura sulla vittima e poi la si espelle. Ma nel sacrificio classico si può tenere la vittima, poiché la vittima diventa sempre peggiore quanto più ci si avvicina all'uccisione, e l'uccisione la rende commestibile e la trasforma in cosa buona. Questo, naturalmente, è molto importante per la mia lettura del sacro, poiché non può essere una pura finzione, una mistificazione. La sua universalità e la sua combinazione di unità e diversità testimoniano di una realtà che non è mai interpretata esattamente allo stesso modo, ma che nelle linee generali è sempre la stessa.

Müller: Stiamo parlando del concetto di sparagmos, il consumo in comune dell'animale sacrificale che ad un certo punto sostituì la vittima umana?

Girard: Sì, e così anche di molti esempi simili. Il fenomeno dello sparagmos è estremamente importante in quanto è legato alla rappresentazione. In molte società (Grecia, Australia) la denominazione di entità geografiche, entro la comunità, è legata a pezzi della vittima. Lo si può vedere perfino nella Fedra. Quando Ippolito viene ucciso, pezzi del suo corpo sono sparsi qua e là, e forniscono un'identità ai luoghi in cui cadono. È davvero sorprendente trovare qualcosa di simile anche in Australia, dove pezzi del corpo di animali sacri o di esseri umani sono usati per denominare luoghi e altre cose.

E ovviamente questo è presente anche in India, al livello più arcaico. Lei sa che in India le sacre scritture dell'Induismo sono molto complesse. Ma esse cominciano col Rg-Veda, e il Rg-Veda sezione 10#90, il mito più famoso di tutta la letteratura indiana, è il mito di Purusha, l'uomo primordiale, che fu ucciso da una moltitudine di sacrificatori, uomini santi ecc., e dal suo corpo nacquero le tre caste principali. Dalla sua testa i sacerdoti, dal suo petto i guerrieri e dalle sue gambe gli artigiani. Qui ancora si ha la denominazione non solo di entità locali, ma anche di unità sociali, e si potrà vedere questa relazione tra pezzi della vittima e linguaggio in tutte le parti del mondo. Penso che essenzialmente l'origine del linguaggio debba essere trovata qui. Ma deve essere preceduta da stadi pre-umani nei quali il sacrificio è praticato e i divieti osservati prima della nascita del linguaggio.

E questo si accorda perfettamente con la moderna teoria dell'evoluzione, perché una cosa che conosciamo bene è una grande caratteristica dell'uomo che si chiama neotenia , il fatto che l'infante umano è partorito prematuro, con un cranio aperto, senza pelo e senza alcuna capacità di provvedere a se stesso. Per farlo sopravvivere, perciò, vi deve essere una qualche forma di protezione culturale, perché nel mondo dei mammiferi infanti simili non sopravviverebbero, sarebbero eliminati. Perciò v'è ragione di credere che negli stadi più tardi dell'evoluzione umana, cultura e natura siano in una interazione costante. I primi stadi di questa interazione debbono essersi verificati prima del linguaggio, ma devono includere forme di sacrificio e divieto che creano uno spazio di non-violenza intorno alla madre e ai piccoli che rendono possibile il raggiungimento di stadi di sviluppo umano sempre più alti. Si possono postulare tutti gli stadi che si ritengono necessari. In questo modo, si può avere una transizione tra etologia e antropologia che rimuove, penso, tutti i postulati filosofici. Le discontinuità non saranno mai di una natura tale da richiedere un qualche genere di illuminazione intellettuale improvvisa.

Müller: Un tipo di critica che è stato mosso contro la sua opera e contro l'antropologia generativa di Eric Gans è che entrambi siete troppo "pratici" nel modo in cui utilizzate la letteratura, che l'utilizzate per un vostro fine predeterminato. Come reagisce lei a questa critica?

Girard: Non mi considero un critico letterario. Pertanto io non sostengo che il problema mimetico esaurisca la letteratura. Direi che ci sono molti tipi di letteratura che sono o troppo ignoranti in materia di mimesi o a troppo ingannati da essa per poter essere in qualche modo rivelatori. E vi sono altre forme che, fino ad un certo punto, ne sono aliene, come certe forme di poesia. Le obiezioni dei critici letterari che dicono lei non dà un resoconto completo delle opere letterarie pare irrilevante. Perché tutti noi dovremmo fornire un resoconto completo delle opere letterarie di cui stiamo parlando? Se uno fa della teoria culturale, è autorizzato a discutere solo i problemi che lo interessano. Non attribuisco molta importanza a questa sorta di obiezione letteraria perché vi è qualcosa di completamente artificiale, e ritualistico nel senso deteriore, nell'idea del critico letterario totale che dà un pieno resoconto dell'opera d'arte. Questo è particolarmente artificiale nel nostro mondo accademico odierno. Ammettiamo questo fatto: ci sono molti critici letterari colà, e pochi lettori. Così, noi siamo assolutamente liberi di fare quello che vogliamo perché non abbiamo responsabilità verso il lettore medio che non esiste. Nel mondo accademico noi dialoghiamo tra di noi. Per me, il testo letterario più importante è la tragedia, ovvero la tragedia greca. Il testo culturale più importante è l'insieme formato da uomo, rituale e proibizione, che non può essere visto come letterario nel senso comune della parola.

Müller: Questo problema della letteratura mi porta ad un'altra domanda. Lei ha cominciato con Menzogna romantica, verità romanzesca e poi si è volto all'antropologia con La violenza e il sacro e Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo. Che cosa ha fatto sì che lei tornasse ad uno studio orientato in modo più tradizionale e letterario nel suo libro su Shakespeare?

Girard: Quando scrissi Menzogna romantica, verità romanzesca, invece di seguire la moda formalistica e soggettivistica del tempo, che è ancora la moda del nostro tempo, il mio istinto era più scientifico: cercavo somiglianze tra quei libri, e la somiglianza principale che trovai era quella del desiderio mimetico, della rivalità mimetica. Fui molto impressionato dal fatto che erano le grandi opere letterarie a rivelare la problematica mimetica in un modo che le scienze sociali non hanno mai scoperto. Anche la filosofia non può farlo, e penso che su questo sia d'accordo anche Eric. Poi cominciai a leggere antropologia, perché speravo di trovare in essa qualcosa circa il desiderio mimetico. Così l'ho letta avidamente, e in questo senso nella mia ricerca vi era un fine. In effetti, la mia opera si divide in tre fasi: la fase del desiderio mimetico, che è puramente letteraria, quindi la fase della religione arcaica, che è quella de La violenza e il sacro. Infine vi è la fase giudeo-cristiana, rappresentata da Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo. La ragione per cui in seguito mi sono accostato a Shakespeare è che in lui, a differenza di quanto accade nei grandi romanzi, ho trovato tutte queste fasi insieme. Naturalmente, i critici mi accusano di dire sempre le stesse cose, ma Shakespeare le ha tutte quante. Egli va oltre i Greci nella rivelazione del meccanismo del capro espiatorio.

Le darò un esempio. Nella tragedia greca il meccanismo del capro espiatorio scatta sempre alla fine della recita, e non viene mai rappresentato sulla scena, e questo è parte della differenza tra tragedia e sacrificio. Nel Giulio Cesare l'assassinio collettivo di Cesare è trattato come l'evento fondativo dell'impero romano, ed avviene in scena, al centro dell'azione teatrale. Il riflettore è puntato sull'assassinio. E poi vi sono delle frasi che sono realmente una definizione dell'assassinio fondatore. Il mattino dell'assassinio, quando uno dei cospiratori viene a prendere Cesare per portarlo al senato, Cesare non vuole andare perché sua moglie, che ha sognato la sua uccisione, lo ha impressionato inducendolo a rimanere a casa. Ma Shakespeare ha aggiunto una risposta agli argomenti addotti dalla moglie di Cesare contro la sua partenza, ed è molto strana proprio perché non dice che egli non dovrebbe andare; dice invece: "da te la grande Roma succhierà sangue rigeneratore". Perciò Shakespeare rivela l'orgoglio e la vanità di Cesare. Il cospiratore non rassicura Cesare. Egli non dice: "non sarai ucciso". Invece egli dice: "il tuo assassinio sarà la cosa più grande mai accaduta a Roma". In Shakespeare si trovano queste stupefacenti visioni di antropologia generativa che mi hanno spinto verso di lui. Si trovano anche definizioni del desiderio mimetico più esplicite che in qualsiasi altro luogo, quali "scegliere l'amore con gli occhi di un altro", o "amare per sentito dire". Shakespeare tra tutti gli scrittori che conosco è il più formidabile rivelatore dell'intero ciclo mimetico.

Müller: L'eterno marito di Dostoevskij non rivela lo stesso desiderio mimetico?

Girard: Senza dubbio, ma là non si trova il meccanismo del capro espiatorio come evento fondativo. Se si legge Plutarco si trova che è molto profondo, ma Shakespeare completa Plutarco nella direzione dell'assassinio fondatore. Egli anche connette l'assassinio fondatore di Cesare ad un evento più antico, l'espulsione dell'ultimo re di Roma, che fu la violenza fondatrice della repubblica. Bruto è il discendente di uno di quei cospiratori. Quest'idea rivela la consapevolezza da parte di Shakespeare che tutte le grandi forme storiche sono radicate in una violenza fondatrice.

Müller: Professor Girard, molte grazie per aver condiviso con noi il suo pensiero sull'antropologia generativa e altri argomenti collegati. Le sue osservazioni hanno messo in rilievo le somiglianze essenziali e le differenze nello sviluppo tra la sua opera e l'antropologia generativa di Eric Gans.

Anthropoetics - The Electronic Journal of Generative Anthropology
Volume II, number 1 (June 1996)
ISSN 1083-7264
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