EDIPO DOPO L’INVESTIGAZIONE
Peter T. Koper
Department of English Language and Literature
Central
Michigan University
intervento al Colloquium on Violence and Religion (COV&R)
Saint Paul University, Ottawa, Canada
maggio 31 - Giugno 4, 2006
Nell’analisi di René Girard, il dramma attico si colloca all’interno della sequenza di grandi intuizioni il cui sviluppo, insieme con quello delle corrispondenti intuizioni dell’Antico Testamento, culmina nel Vangelo, e la cui reiterazione costituisce il nucleo della grande letteratura dell’Occidente. Girard pone al centro del suo ragionamento la storia di Edipo, in una lettura che rappresenta l’eroe dell’opera di Sofocle come un uomo accusato di un crimine che accetta la colpa imputatagli anche se la tragedia “non offre alcuna prova per la conclusione” (Griffith 95) che egli sia un parricida incestuoso. Secondo la lettura di Girard, Sofocle avrebbe anticipato i Vangeli nella rappresentazione piuttosto di un’atavica pratica di capro espiatorio che di una investigazione intellettualmente e moralmente eroica.
Sandor Goodhart
sostiene che Sofocle non risolve la questione del numero di assassini
implicati nell’attacco a Laio perché desidererebbe de-enfatizzare
la descrizione del comportamento di Edipo nel mito tradizionale. Il tema della
tragedia non è la colpa di Edipo ma la tendenza di un
pubblico ad assecondarlo nel convincersi del delitto. Pensare che noi sappiamo
ciò che Edipo effettivamente ha fatto o pensare che una tale conoscenza sia
importante è cadere in una trappola sofoclea. L’ambiguità nel testo è un
tentativo di spingerci ad abbandonare un simile “privilegiare del tutto la questione empirica, e vedere il lato empirico
come meno importante della matrice universale della politica del capro
espiatorio…” (36). La tragedia è un tentativo di insegnarci a non avere fretta
di condannare Edipo in forza di un’accusa mitica pensando che una tale accusa
abbia una validità empirica.
Vorrei privilegiare la questione empirica perché è su di questa che si impernia il tema della tragedia. Non sono persuaso che la lettura tradizionale dell’intenzione di Sofocle nell’opera sia errata. Una serie di elementi interni, quali l’uso del presagio e della convenzione letteraria associata alla profezia, convincono me, e molti di coloro che leggono il testo, che Sofocle presenti un eroe che, senza ambiguità, ha compiuto ciò che la storia tradizionale dice che abbia compiuto, e che l’Edipo re sia una tragedia intorno alla sua scoperta della sua storia. Questa lettura è compatibile con l’ottica di Girard in alcuni punti importanti. Nella città vi è un assassino (violenza). Edipo, posto di fronte ai danni causati dalla violenza, della quale la peste è la rappresentazione, cerca per prima cosa di uccidere l’uccisore (o gli uccisori). La principale intuizione di Girard è che questa risposta sia mimetica. Quando viene informato della sua colpa, Edipo riflette l’accusa su Tiresia e Creonte. Ma quando incontra l’evidenza del ruolo che egli stesso ha avuto, la sua investigazione sull’identità del reale assassino (o assassini) lo porta oltre il ruolo di accusatore. L’Edipo di Sofocle non uccide Creonte, una vittima innocente scelta arbitrariamente. Edipo vuole punire l’uomo realmente colpevole. Ciò che Edipo scopre è che ad essere colpevole non è l’uomo che lui ha accusato: è lui stesso, l’accusatore, colui che è colpevole. Questa è un’intuizione importantissima, compatibile con lo sviluppo delle idee di Girard.
Edipo a Colono da Girard riceve un interesse molto minore rispetto ad Edipo re. Con la cautela che si conviene, vorrei avanzare la tesi che le due tragedie siano strettamente connesse nel pensiero di Sofocle, che nell’Edipo a Colono vi sia tanta parte del mito di Edipo quanta ve n’è in Edipo re, e che i giudizi di Sofocle entro e circa la prima tragedia non possano essere compresi senza la seconda. I temi dell’Edipo a Colono dimostrano ulteriormente quanto vicino sia il pensiero di Sofocle a quello di Girard. Penso che nelle discussioni che si svolgono nella comunità girardiana l’Edipo a Colono debba svolgere un ruolo della stessa importanza di quello dell’Edipo re.
Il mito di Edipo, nel senso del racconto tradizionale, appare per la prima volta in Omero ed Esiodo. Epicasta ha sposato suo figlio: gli dèi fanno conoscere il fatto; secondo il loro volere, Edipo trascorrerà la vita in Tebe, benché lei si sia impiccata, ed Edipo stesso sia tormentato dalle Erinni di sua madre in “un’agonia senza fine” (Odissea 11, 271-280).
Un guerriero greco, Mecisteo,
“un giorno era stato a Tebe, al funerale di Edipo
morto in battaglia: aveva allora sconfitto tutti i Cadmei”
(Iliade 23, 678-680). Jebb
e altri notano come qui sia chiaramente implicito che
Edipo non solo visse a Tebe, ma che morì in battaglia (Jebb
OT xii). Nel racconto
omerico non vi è alcuna menzione di accecamento o
esilio: il modo in cui il suo misfatto è venuto alla luce non viene specificato.
Omero cita l’attacco di Polinice a Tebe ( Iliade 4, 377-378).
Esiodo dice che Polinice ed Eteocle caddero combattendo per le greggi di Edipo (Le Opere e i
Giorni 162). Le prime menzioni dell’auto-accecamento di Edipo
e del suo avere avuto quattro figli da Giocasta
appaiono datare intorno al 450 (Jebb OT xv). Nel demo
di Colono sorgeva un santuario dedicato alle Erinni. Jebb
pensa che fosse più antico della storia di Edipo (OC xvii). Se colà fosse praticato un
arcaico culto di Edipo è altrettanto incerto, ma Kammerbeek
pensa improbabile che la collocazione sofoclea sia originale (2). Ciò che
rimane della storia tradizionale di Edipo non ha molto
in comune con le opere di Sofocle. Questo di per sé non è un problema, ma
significa che le interpretazioni delle opere sono discussioni di una “creazione
drammatica” di Sofocle. Certamente qualsiasi lettura
approfondita sia dell’Edipo re che
dell’Edipo a Colono non potrà
pretendere di essere una lettura della storia tradizionale. Goodhart su questo è molto preciso. Girard spiega la sua
pratica quando dice in uno dei suoi primi lavori che “il mito è l’occhiata su
una struttura legata alla genesi della verità” (“From the Novelistic Experience to the Oedipal Myth” in Anspach 12). Mi stanno bene le discussioni del mito di Edipo in Sofocle che riconoscono il suo uso speciale del
termine, ma non mi soddisfa molto l’affermazione di Anspach
che “potremmo pertanto concludere che sebbene il mito abbia arbitrariamente
accusato questo straniero zoppo di essere un provocatore di pestilenze, esso
non lo ha mai identificato in maniera credibile come l’uccisore del padre e
l’amante della madre” (xvii). Non abbiamo elementi
per ritenere che la storia tradizionale menzionasse
pestilenze. Marsh combina la storia tradizionale e la
trama di Sofocle. In queste tragedie vi è una verità fondazionale.
Utilizzerò il loro tema piuttosto che il mito per argomentare quella che penso
sia questa verità.
La storia tradizionale dice che Edipo è
un parricida incestuoso. Se anche l’Edipo
re lo
faccia è una questione centrale, non marginale, poiché da questo dipende se
Edipo sia un capro espiatorio oppure no. La prima
riflessione di Girard sulla tragedia enfatizza gli elementi mimetici del
conflitto di Edipo con Tiresia. Dopo la pubblicazione
delle tesi di Goodhart, si è rafforzato l’assunto che
Edipo sia un capro espiatorio, vittimizzato senza causa. Marsh
va molto più in là di Ahl e Goodhart, affermano senza esitazione: “Edipo è un capro
espiatorio ben riuscito perché si pensa a torto che egli abbia effettivamente
commesso i crimini di cui è accusato” (xxvii). Ne Il capro espiatorio,
Girard stesso osserva: “O Edipo è un capro espiatorio e non è colpevole di
parricidio e d’incesto, oppure è colpevole e non è, almeno per i Greci, il
capro espiatorio innocente che Jean-Pierre Vernant chiama pudicamente pharmakos”[Il capro espiatorio,
trad. it. di C. Leverd e F. Bovoli, Adelphi, Milano 1987,
p.196]. Di qui l’importanza della questione empirica,
la questione se Sofocle intendesse presentare un Edipo che ha compiuto i
misfatti attribuitigli dalla antica storia. L’evidenza più significativa
del fatto che Sofocle nell’Edipo re
ha seguito la storia tradizionale è nell’Edipo
a Colono. In questa tragedia per tre volte Edipo afferma di
essere innocente in termini morali. Queste affermazioni, che sono uno
dei centri tematici di quest’opera, non avrebbero
alcun senso se il tema reale della prima opera fosse una complessa ambiguità
circa la sua condotta. Che Sofocle abbia in mente la
prima opera è chiaro dal discorso di Ismene (361 sgg.), che è inserito per
conciliare le differenze nei dettagli degli intrecci delle due opere.
Un altro punto è lo status di Tiresia. L’analisi di Girard vede delle equivalenze nei due
caratteri. Secondo una sua antica impostazione “Creonte, il fratello nemico, e Tiresia, il profeta cieco, sono doppi di Edipo, egli stesso cieco e
profeta (Anspach 13). Questo non convince. Il testo
della tragedia presenta Edipo come un eroe dell’intelletto, ma non come un
profeta. Lo stesso Edipo accusa Creonte di cospirazione, facendone un capro
espiatorio, ma Creonte non è fratello di Edipo e non
lo accusa. Creonte è “come terzo” (581) rispetto ad Edipo e Giocasta
in un triumvirato consultivo. Qui vi è una dinamica
differente. Nei confronti di Tiresia è semplice e, in
termini letterari, assoluta. Nella convenzione antica, visibile già in Omero,
quello che il profeta dice è la verità. Sofocle usa questa convenzione per
sviluppare la struttura formale dell’opera. Gli spettatori si aspettano che
Edipo scopra quello che ha fatto. I pronunciamenti di Tiresia
sono il primo stadio del processo di rivelazione. Le letture tradizionali di Tiresia sono corrette. “In quanto
opposto ad Edipo, egli è la conoscenza divina di Apollo opposta all’ignoranza e
cecità degli umani” (Jebb
OT
xxix).
Mentre nella storia tradizionale Edipo è un doppio di Laio, entro il testo dell’opera non è un doppio di Tiresia.
Sto per offrire una serie di identificazioni con Edipo che alcune scuole di critica
non approverebbero. Ad un certo livello, la tragedia è un editoriale politico.
Databile qualche anno dopo il 429, il suo argomento primo è la peste che ha
colpito gli Ateniesi rinchiusi entro le mura della città durante la seconda
invasione dell’Attica da parte degli Spartani nel
corso della Guerra del Peloponneso (Knox 1956).
Pericle era il capo del partito della guerra, e l’opera
critica sia lui che la città in quanto pensano che il loro problema sia
Sparta, laddove il problema in realtà è rappresentato dalla loro stessa hybris imperialistica (Ehrenberg).
Io poi assumo che Sofocle sia Edipo, sebbene non disponiamo di alcuna informazione che
indichi come il tragediografo sia giunto ad una percezione di sé tale da
generare la storia di un grande uomo che ha compiuto qualcosa di terribile e
che finisce per scoprirlo. Il mio assunto è che i grandi poeti sono anche
persone, e che la loro poesia è sempre, in una qualche maniera, un riflesso
delle loro stesse vite. La forza del grande studio di Girard su Shakespeare
deriva dalla sua percezione dell’uomo che ha scritto quelle opere. Quello che
nella tragedia è il più importante modello di identificazione
la universalizza. Edipo è, fino ad un certo punto, un eroe aristotelico: un
uomo imperfetto che ha delle buone intenzioni, quindi uno con cui tutti noi,
fallibili ma ben intenzionati, possiamo identificarci.
Sebbene nella sua storia vi sia scandalo, come Knox (1964), Dodds (1966) ed altri ci hanno mostrato, la sua
investigazione in questa tragedia può difficilmente essere descritta come il
risultato di un fallo e non conduce ad uno scandalo. Piuttosto, essa conduce al
riconoscimento da parte dell’eroe di essere stato partecipe di
un disastro. A noi viene chiesto di identificarci
con lui, ma si tratta di un’empatia totalmente diversa da quella che Girard
invoca nelle sue descrizioni dello svelamento del meccanismo del capro
espiatorio. Girard dice che la tragedia è “una ricomposizione del mito nella
luce di un’esperienza analoga a quella di Edipo,
ovvero l’identificazione con un Altro reietto, in questo caso ovviamente l’Altro
essendo Edipo stesso, l’eroe tragico”. Rispetto alla nostra umanità, la
totalità esiste solo nell’identificazione
col capro espiatorio” (Marsh 55, [corsivo suo]).
Girard ci propone la cosa in un modo
che un pubblico moderno solidale può trovare familiare e perfino comodo, ma che
non è il tema di Sofocle. Edipo è un uomo che inizia facendo di
altre persone dei capri espiatori, e che l’evidenza spinge
all’illuminazione. Sofocle ci chiede di identificarci non con un capro
espiatorio ma con un uomo che ha peccato. Questa identificazione implica che
noi siamo tutti colpevoli in modi terribili, modi che derivano da fatti
determinati prima della nostra nascita, e che il nostro compito non è incolpare
gli altri del nostro male, ma trovare in che cosa esso consista. Alla fine
dell’Edipo re non vi è alcuna espulsione di un pharmakos. Vi è solo
l’affermazione che noi siamo ciechi se non sappiamo di avere commesso hybris.
L’Edipo
a Colono offre un insieme di identificazioni
connesse a quelle dell’Edipo re. La
tragedia fu scritta intorno al 405, a circa un anno dalla morte di Sofocle e
dall’occupazione spartana di Atene che pose fine
all’Età d’Oro. Colono era il luogo di nascita di Sofocle. Portando Edipo a
Colono, Sofocle allude alla sua stessa vita. Edipo è anche Atene e anche
Sofocle. Egli è anche noi, ed ogni città. La tragedia è aderente alla storia
tradizionale quando introduce il conflitto tra Polinice ed Eteocle e quando fa
uso del Boschetto delle Erinni a Colono, ma la maggior parte dell’opera è
finzione drammaturgica. La tragedia presenta due temi collegati. Uno è
strettamente connesso all’attenzione che Girard rivolge all’Altro e
all’identificazione con esso o alla sua esclusione da
parte di individui e comunità. In questa tragedia Edipo, un esule, quando arriva
ad Atene è realmente un Altro. È stato cacciato da Tebe e ha vagato,
condotto da Antigone, per un lungo periodo di tempo. Egli è stato esiliato non
da Creonte ma da Polinice. Di qui la maledizione del figlio,
che così inesorabile compare alla fine della tragedia. La maledizione è
la risposta di Edipo al suo rigetto: lo hanno trattato
come Altro, reso alieno a loro e alla città dalla sua colpa, mentre in realtà
egli è il padre: in termini girardiani il loro doppio. Quando
Edipo arriva a Colono, il Coro è stupefatto di trovarlo a riposare nel
Boschetto delle Furie. Quando si rende conto di dove
si trova, Edipo ricorda un dettaglio addizionale della profezia originaria.
Apollo gli aveva rivelato anche, egli dice, che “dalle dee Venerande avrei
ottenuto asilo e ospitalità. Qui avrei terminato questa misera vita, con
vantaggio di chi mi avrebbe accolto, ma a rovina di chi mi scacciò esiliandomi”
(90-93). Nella creazione di Sofocle, se non nella
storia tradizionale, Edipo ha assunto precisamente quel potere magico di donare
benedizione che Girard nota nello statuto del capro espiatorio, una volta che
la sua espulsione/uccisione ha pacificato la città. Rispetto a questo tema, la
questione sta nella richiesta di Edipo che Teseo gli
consenta di essere sepolto in Colono. Tebe non identifica Edipo e quel che
rappresenta come un membro della polis.
Lo farà Atene? Se la città lo includerà, egli riverserà benedizione su di essa. Il fatto che Teseo accolga la sua richiesta e faccia
di lui un cittadino (637) è emblema della saggezza di Atene.
Sebbene egli non sia un capro espiatorio nel senso di
una vittima innocente scelta arbitrariamente, quel che Edipo rappresenta è
importante. Riconoscere questo e includere la sua Alterità è saggezza. Teseo
comprende che la sua Alterità non è realmente Alterità ma quella parte del sé e
della polis che nella prima tragedia era rimasta velata. Non aver riconosciuto
questo riversa maledizione su Tebe.
Un secondo tema nell’Edipo a Colono riguarda il significato
morale delle azioni di Edipo. Quando il Coro si chiede
come gli dèi lo puniranno, egli si difende: “E pure,
come sarei di mia natura uno scellerato, io che ricambiai il male sofferto;
tanto che, se pure avessi agito consapevolmente, nemmeno così sarei uno
scellerato?” (270-272). In termini legali, il suo
omicidio è stato legittima difesa. Come poteva essere colpevole di sua natura?
In seguito egli ripete la sua difesa: “ Uccisi. Ma la
cosa ha per me qualche giustificazione. Anche altri
uccisi e spensi; sono puro di fronte alla legge: ignaro giunsi a tanto” (546-548). La sua terza difesa è davanti a Creonte. Il suo
parricidio e l’incesto avvennero perché “così piacque agli
dèi” (964). “Quanto a me, non potresti
trovare nessuna macchia di colpa, che io abbia dovuto scontare compiendo questi
delitti contro me stesso e contro i miei. Spiegami
dunque: se dagli oracoli venne vaticinio a mio padre che sarebbe morto per mano
dei figli, come potresti giustamente accusare me, che ancora non ero seminato dal padre, né concepito dalla madre, ma non ero
neppure generato?” (966-972).
L’analisi del mito tradizionale di Edipo che Girard svolge, e la sua conseguente assunzione
della prospettiva freudiana entro la sua più ampia discussione della famiglia
come prima e fondamentale fonte del modello e del rivale, sono profonde. Ma l’argomento delle tragedie di Sofocle non è questo. Io
catalogo la scelta che Sofocle fa della storia di Edipo
per lo sfondo di queste tragedie come scelta di una storia sulla cosa peggiore
che un uomo possa fare. Edipo compie qualcosa di terribile. Egli lo fa senza
intenzione. Nella prima tragedia, non sa quello che ha fatto e, rispondendo
secondo uno schema atavico perfettamente in sintonia con l’illustrazione
girardiana delle risposte primitive al contagio, ricerca la fonte del male
nell’Altro, in una congiura. Tiresia è la voce del
dio. Gli spettatori lo sanno, ma Edipo, inizialmente, pensa che Tiresia sia un impostore che copre una congiura. Edipo
apprende che Tiresia ha ragione, anche se per un po’
spera che cose come l’aritmetica, la confusione sul numero dei ladroni, lo
salveranno. Nulla lo salva. Come egli scopre, è
intrappolato dalla physis.
Che egli compia una cosa terribile è nella natura
della situazione umana. Non può evitarlo, per quanto abbia
tentato. Nel quadro di identificazioni che io
propongo per la tragedia, lo stesso dilemma si offre ad Atene e a tutte le
altre città e persone. L’Edipo re non
ci chiede di identificarci con un capro espiatorio, ma ci chiede invece di
identificare la nostra stessa violenza. Ci dice anche che siamo ciechi se
pensiamo di non essere violenti. Come
viviamo se noi siamo Edipo? Risponde Bernard
Williams: “L’insieme dell’Edipo re,
questa macchina terribile, muove alla scoperta di quell’unica cosa, che egli lo ha fatto” (69). Dopo questo, dobbiamo affrontare un tema che Williams delinea
precisamente: “Ma se si può porre una domanda molto ingenua, che cosa si pensa
che debba fare uno che scopre che, non solo nella fantasia ma nella vita, ha
ucciso suo padre e sposato sua madre?” (69). L’Edipo a Colono segue il fatto della colpa con un’analisi della
situazione di Edipo. Vi è una differenza tra la
depravazione criminale e la trappola ontologica che sta
dietro le tragedie di Sofocle. Non è giusto considerare colpevole un
uomo le cui azioni sono determinate prima della sua
nascita. Sofocle sostiene che l’intenzione morale attenua la significanza
perfino di un’hybris terribile,
sebbene sostenga anche implacabilmente nell’Edipo
re che noi non possiamo evitare l’hybris.
L’eroismo etico ed intellettuale consiste
nell’identificare e riconoscere la nostra violenza, per quanto velata e non
intenzionale essa possa essere.
Nell’Edipo re Sofocle è terrificante. L’Edipo a Colono scaturisce da un
uomo e da una città che si trovano sull’orlo di un
abisso, e lo contemplano. Sofocle è prossimo alla morte e sa di esserlo. Atene
aveva iniziato a civilizzare il mondo, ma aveva anche scatenato una guerra che
aveva portato per 27 anni morte alla Grecia, e stava per portare la sconfitta
ad Atene. Atene era la migliore delle città, ma aveva generato un grande male. L’eroe legato a Colono ci chiede di
interrogarci su che cosa Sofocle conosca di sé che gli
consente di immaginarsi come un paria cieco e colpevole condotto da una figlia
fedele alle dee della vendetta.
A Colono Edipo non ha alcuna anagnoresis. E nemmeno Teseo, per
il quale, immediatamente, Edipo non è l’Altro: “So bene che sono un uomo, e che
il domani non appartiene a me più che a te” (567 – 569). In questa tragedia ad
imparare è il Coro. Dapprima, quando si rende conto di chi sia Edipo,
inorridisce. Con l’avanzare dell’azione scenica e con l’ascolto delle sue
argomentazioni, si persuade che in realtà egli è innocente. Mentre Edipo,
ancora cieco ma guidato misticamente, conduce Teseo nel Boschetto, prega : “Dalle molte e immeritate sventure che lo colsero
finalmente un dio giusto lo risollevi!” (1565-1566).
Secondo un’altra convenzione drammatica, quel che avviene dopo una preghiera è
una risposta alla preghiera. Il nunzio entra in scena per riferire che gli dèi hanno riportato Edipo a casa: la sua tomba sarà per
la città una benedizione. La morte del capro espiatorio benedice la città
scaricando la sua violenza, allentando temporaneamente la tensione che si è
accumulata nella polis come
elettricità in un accumulatore. La morte di Edipo
benedice la città, ma con un meccanismo molto differente. Le città e le persone
che non includono nella loro percezione di sé quello che Edipo rappresenta sono
maledette, minate moralmente dalla differenza tra capacità di violenza assunte
alla coscienza o ignorate. Esse sono vulnerabili al contagio, portate ad
accusare gli innocenti. Quando una comunità è consapevole della sua stessa
capacità di male, la identifica, e agisce sulla base di
questa sua consapevolezza, c’è qualcosa di differente. Essa potrà agire ancora
iniquamente, ma questa iniquità non sarà semplice
criminalità o violenza sacrificale atavica.
Nell’Edipo a Colono il discorso finale di Edipo
è rivolto ad Antigone e Ismene. La sua vita ha avuto un senso, a dispetto della
sua storia orribile, a causa del loro amore che lo ha sostenuto durante
l’esilio. La presentazione profondamente toccante che Girard fa dell’amore
salvifico come necessaria conseguenza della rivelazione evangelica va al di là del commiato di Sofocle in un modo fondamentale.
Edipo maledice i suoi figli e Tebe: è un greco che colpisce i suoi nemici. Egli
non offre non-violenza. Ma non lo fa nemmeno Girard.
L’identificarci col capro espiatorio non ci libera dalla nostra propensione geneticamente
codificata alla mimesi e alla violenza che ne consegue. Come in una delle sue
recenti Chronicles
indica Eric Gans, la “priorità” è sempre in gioco.
Edipo e Laio non si scontrano per qualche oggetto. Si
scontrano su chi dei due debba avere la precedenza. Dal punto di vista
antropologico questo non è senza significato, che la priorità sia costituita
dalla precedenza nell’etica eroica, nel monoteismo, nello sviluppo di un
mercato, o nel possesso delle armi nucleari.
A che cosa serve dunque sapere ciò che sta
accadendo? Queste tragedie ci portano direttamente ad una serie di temi
sociali, che vanno dallo status dell’omicidio
giudiziario alle imprese degli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan, che penso
abbiano dietro di sé certamente anche dei motivi altruistici, ma che riflettono violenza su violenza. Anche dando per certa la buona volontà di persone
intenzionate come Edipo ad agire bene, cosa rimane della virtù nel fatto che,
perfino nel tentare di sfuggire alla nostra capacità di violenza, noi la
esercitiamo? Il tema di Sofocle nell’Edipo
a Colono riguarda queste questioni, e la sua tragedia deve influenzare la
comprensione che la comunità girardiana ha di Sofocle in
relazione al Vangelo. La città non
punisce Edipo. Nell’Edipo a Colono,
egli, se non perdonato, è almeno riconciliato con sé stesso, con la polis e con gli
dèi. La sua maledizione di Polinice guarda indietro verso il vecchio mondo
magico del mito tradizionale. La pietà verso il vecchio peccatore, che è
l’ultima risposta che il Coro gli dà, guarda verso il Vangelo e verso un mondo
dove posso accettare di vivere.
OPERE CITATE
Ahl, Frederick. Sophocles’ Oedipus: Evidence and Self-Conviction.
Dodds, E. R. ”On Misunderstanding
the Oedipus
Rex.” Modern Critical Interpretations:
Oedipus Rex. Ed. Harold Bloom.
Ehrenberg, Victor. Sophocles and Pericles.
Girard, René. “From the Novelistic
Experience to the Oedipal Myth.” Anspach 1-27.
- - -. A Theatre of Envy: William
Shakespeare. Gracewing:
- - -.”Oedipus Analyzed.”Anspach 28-58.
- - -. Oedipus Unbound:
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Stanford: Stanford UP, 2004.
- - -. The Scapegoat. Trans. Yvonne Freccero.
Goodhart, Sandor. “Lestas Ephaske: Oedipus and Laius’ Many
Murderers.” Sacrificing
Commentary: Reading the End
of Literature.
Griffith, R. D. “Oedipus Pharmakos?
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the King.”
Jebb, Richard C. Sophocles: The Plays and Fragments.
Jebb. Part I. The Oedipus Tyrannus.
Jebb. Part II. The Oedipus Coloneus.
Kammerbeek, J. C. The Plays of Sophocles: Commentaries. Part VII. The Oedipus Coloneus.
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Knox, Bernard M. W. Oedipus at
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- - -. “The Date of Oedipus
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- - -. The Heroic Temper: Studies in Sophoclean
Tragedy.
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- - -. Oedipus the King. Trans. David Grene. Grene and Lattimore 1. 11-76.
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Williams,
Bernard.. Shame and Necessity. Berkeley:
U Cal P, 1993
La traduzione italiana dei passi di
Sofocle citati è quella di R. Cantarella, da Sofocle. Edipo re, Edipo a Colono, Antigone, Mondadori, Milano 1982.