EDIPO  DOPO  L’INVESTIGAZIONE

 

Peter T. Koper

 

Department of English Language and Literature

Central Michigan University

 

intervento al Colloquium on Violence and Religion (COV&R)
Saint Paul University, Ottawa, Canada
maggio 31 - Giugno 4, 2006

 

Nell’analisi di René Girard, il dramma attico si colloca all’interno della sequenza di grandi intuizioni il cui sviluppo, insieme con quello delle corrispondenti intuizioni dell’Antico Testamento, culmina nel Vangelo, e la cui reiterazione costituisce il nucleo della grande letteratura dell’Occidente. Girard pone al centro del suo ragionamento la storia di Edipo, in una lettura che rappresenta l’eroe dell’opera di Sofocle come un uomo accusato di un crimine che accetta la colpa imputatagli anche se la tragedia “non offre alcuna prova per la conclusione” (Griffith 95) che egli sia un parricida incestuoso. Secondo la lettura di Girard, Sofocle avrebbe anticipato i Vangeli nella rappresentazione piuttosto di un’atavica pratica di capro espiatorio che di una investigazione intellettualmente e moralmente eroica.

Sandor Goodhart sostiene che Sofocle non risolve la questione del numero di assassini implicati nell’attacco a Laio perché desidererebbe de-enfatizzare la descrizione del comportamento di Edipo nel mito tradizionale. Il tema della tragedia non è la colpa di Edipo ma la tendenza di un pubblico ad assecondarlo nel convincersi del delitto. Pensare che noi sappiamo ciò che Edipo effettivamente ha fatto o pensare che una tale conoscenza sia importante è cadere in una trappola sofoclea. L’ambiguità nel testo è un tentativo di spingerci ad abbandonare un simile “privilegiare del tutto la questione empirica, e vedere il lato empirico come meno importante della matrice universale della politica del capro espiatorio…” (36). La tragedia è un tentativo di insegnarci a non avere fretta di condannare Edipo in forza di un’accusa mitica pensando che una tale accusa abbia una validità empirica.

Vorrei privilegiare la questione empirica perché è su di questa che si impernia il tema della tragedia. Non sono persuaso che la lettura tradizionale dell’intenzione di Sofocle nell’opera sia errata. Una serie di elementi interni, quali l’uso del presagio e della convenzione letteraria associata alla profezia, convincono me, e molti di coloro che leggono il testo, che Sofocle presenti un eroe che, senza ambiguità, ha compiuto ciò che la storia tradizionale dice che abbia compiuto, e che l’Edipo re sia una tragedia intorno alla sua scoperta della sua storia. Questa lettura è compatibile con l’ottica di Girard in alcuni punti importanti. Nella città vi è un assassino (violenza). Edipo, posto di fronte ai danni causati dalla violenza, della quale la peste è la rappresentazione, cerca per prima cosa di uccidere l’uccisore (o gli uccisori). La principale intuizione di Girard è che questa risposta sia mimetica. Quando viene informato della sua colpa, Edipo riflette l’accusa su Tiresia e Creonte. Ma quando incontra l’evidenza del ruolo che egli stesso ha avuto, la sua investigazione sull’identità del reale assassino (o assassini) lo porta oltre il ruolo di accusatore. L’Edipo di Sofocle non uccide Creonte, una vittima innocente scelta arbitrariamente. Edipo vuole punire l’uomo realmente colpevole. Ciò che Edipo scopre è che ad essere colpevole non è l’uomo che lui ha accusato: è lui stesso, l’accusatore, colui che è colpevole. Questa è un’intuizione importantissima, compatibile con lo sviluppo delle idee di Girard.

Edipo a Colono da Girard riceve un interesse molto minore rispetto ad Edipo re. Con la cautela che si conviene, vorrei avanzare la tesi che le due tragedie siano strettamente connesse nel pensiero di Sofocle, che nell’Edipo a Colono vi sia tanta parte del mito di Edipo quanta ve n’è in Edipo re, e che i giudizi di Sofocle entro e circa la prima tragedia non possano essere compresi senza la seconda. I temi dell’Edipo a Colono dimostrano ulteriormente quanto vicino sia il pensiero di Sofocle a quello di Girard. Penso che nelle discussioni che si svolgono nella comunità girardiana l’Edipo a Colono debba svolgere un ruolo della stessa importanza di quello dell’Edipo re.

Il mito di Edipo, nel senso del racconto tradizionale, appare per la prima volta in Omero ed Esiodo. Epicasta ha sposato suo figlio: gli dèi fanno conoscere il fatto; secondo il loro volere, Edipo trascorrerà la vita in Tebe, benché lei si sia impiccata, ed Edipo stesso sia tormentato dalle Erinni di sua madre in “un’agonia senza fine” (Odissea 11, 271-280).

Un guerriero greco, Mecisteo, “un giorno era stato a Tebe, al funerale di Edipo morto in battaglia: aveva allora sconfitto tutti i Cadmei” (Iliade 23, 678-680). Jebb e altri notano come qui sia chiaramente implicito che Edipo non solo visse a Tebe, ma che morì in battaglia (Jebb OT xii). Nel racconto omerico non vi è alcuna menzione di accecamento o esilio: il modo in cui il suo misfatto è venuto alla luce non viene specificato. Omero cita l’attacco di Polinice a Tebe ( Iliade 4, 377-378). Esiodo dice che Polinice ed Eteocle caddero combattendo per le greggi di Edipo (Le Opere e i Giorni 162). Le prime menzioni dell’auto-accecamento di Edipo e del suo avere avuto quattro figli da Giocasta appaiono datare intorno al 450 (Jebb OT xv). Nel demo di Colono sorgeva un santuario dedicato alle Erinni. Jebb pensa che fosse più antico della storia di Edipo (OC xvii). Se colà fosse praticato un arcaico culto di Edipo è altrettanto incerto, ma Kammerbeek pensa improbabile che la collocazione sofoclea sia originale (2). Ciò che rimane della storia tradizionale di Edipo non ha molto in comune con le opere di Sofocle. Questo di per sé non è un problema, ma significa che le interpretazioni delle opere sono discussioni di una “creazione drammatica” di Sofocle. Certamente qualsiasi lettura approfondita sia dell’Edipo re che dell’Edipo a Colono non potrà pretendere di essere una lettura della storia tradizionale. Goodhart su questo è molto preciso. Girard spiega la sua pratica quando dice in uno dei suoi primi lavori che “il mito è l’occhiata su una struttura legata alla genesi della verità” (From the Novelistic Experience to the Oedipal Myth” in Anspach 12).  Mi stanno bene le discussioni del mito di Edipo in Sofocle che riconoscono il suo uso speciale del termine, ma non mi soddisfa molto l’affermazione di Anspach che “potremmo pertanto concludere che sebbene il mito abbia arbitrariamente accusato questo straniero zoppo di essere un provocatore di pestilenze, esso non lo ha mai identificato in maniera credibile come l’uccisore del padre e l’amante della madre” (xvii). Non abbiamo elementi per ritenere che la storia tradizionale menzionasse pestilenze. Marsh combina la storia tradizionale e la trama di Sofocle. In queste tragedie vi è una verità fondazionale. Utilizzerò il loro tema piuttosto che il mito per argomentare quella che penso sia questa verità.

 

La storia tradizionale dice che Edipo è un parricida incestuoso. Se anche l’Edipo re lo faccia è una questione centrale, non marginale, poiché da questo dipende se Edipo sia un capro espiatorio oppure no. La prima riflessione di Girard sulla tragedia enfatizza gli elementi mimetici del conflitto di Edipo con Tiresia. Dopo la pubblicazione delle tesi di Goodhart, si è rafforzato l’assunto che Edipo sia un capro espiatorio, vittimizzato senza causa. Marsh va molto più in là di Ahl e Goodhart, affermano senza esitazione: “Edipo è un capro espiatorio ben riuscito perché si pensa a torto che egli abbia effettivamente commesso i crimini di cui è accusato” (xxvii). Ne Il capro espiatorio, Girard stesso osserva: “O Edipo è un capro espiatorio e non è colpevole di parricidio e d’incesto, oppure è colpevole e non è, almeno per i Greci, il capro espiatorio innocente che Jean-Pierre Vernant chiama pudicamente pharmakos”[Il capro espiatorio, trad. it. di C. Leverd e F. Bovoli, Adelphi, Milano 1987, p.196]. Di qui l’importanza della questione empirica, la questione se Sofocle intendesse presentare un Edipo che ha compiuto i misfatti attribuitigli dalla antica storia. L’evidenza più significativa del fatto che Sofocle nell’Edipo re ha seguito la storia tradizionale è nell’Edipo a Colono. In questa tragedia per tre volte Edipo afferma di essere innocente in termini morali. Queste affermazioni, che sono uno dei centri tematici di quest’opera, non avrebbero alcun senso se il tema reale della prima opera fosse una complessa ambiguità circa la sua condotta. Che Sofocle abbia in mente la prima opera è chiaro dal discorso di Ismene (361 sgg.), che è inserito per conciliare le differenze nei dettagli degli intrecci delle due opere.

Un altro punto è lo status di Tiresia. L’analisi di Girard vede delle equivalenze nei due caratteri. Secondo una sua antica impostazione “Creonte, il fratello nemico, e Tiresia, il profeta cieco, sono doppi di Edipo, egli stesso cieco e profeta (Anspach 13). Questo non convince. Il testo della tragedia presenta Edipo come un eroe dell’intelletto, ma non come un profeta. Lo stesso Edipo accusa Creonte di cospirazione, facendone un capro espiatorio, ma Creonte non è fratello di Edipo e non lo accusa. Creonte è “come terzo” (581) rispetto ad Edipo e Giocasta in un triumvirato consultivo. Qui vi è una dinamica differente. Nei confronti di Tiresia è semplice e, in termini letterari, assoluta. Nella convenzione antica, visibile già in Omero, quello che il profeta dice è la verità. Sofocle usa questa convenzione per sviluppare la struttura formale dell’opera. Gli spettatori si aspettano che Edipo scopra quello che ha fatto. I pronunciamenti di Tiresia sono il primo stadio del processo di rivelazione. Le letture tradizionali di Tiresia sono corrette. “In quanto opposto ad Edipo, egli è la conoscenza divina di Apollo opposta all’ignoranza e cecità degli umani”  (Jebb OT xxix). Mentre nella storia tradizionale Edipo è un doppio di Laio, entro il testo dell’opera non è un doppio di Tiresia.

 

Sto per offrire una serie di identificazioni con Edipo che alcune scuole di critica non approverebbero. Ad un certo livello, la tragedia è un editoriale politico. Databile qualche anno dopo il 429, il suo argomento primo è la peste che ha colpito gli Ateniesi rinchiusi entro le mura della città durante la seconda invasione dell’Attica da parte degli Spartani nel corso della Guerra del Peloponneso (Knox 1956). Pericle era il capo del partito della guerra, e l’opera critica sia lui che la città in quanto pensano che il loro problema sia Sparta, laddove il problema in realtà è rappresentato dalla loro stessa hybris imperialistica (Ehrenberg).

Io poi assumo che Sofocle sia Edipo, sebbene non disponiamo di alcuna informazione che indichi come il tragediografo sia giunto ad una percezione di sé tale da generare la storia di un grande uomo che ha compiuto qualcosa di terribile e che finisce per scoprirlo. Il mio assunto è che i grandi poeti sono anche persone, e che la loro poesia è sempre, in una qualche maniera, un riflesso delle loro stesse vite. La forza del grande studio di Girard su Shakespeare deriva dalla sua percezione dell’uomo che ha scritto quelle opere. Quello che nella tragedia è il più importante modello di identificazione la universalizza. Edipo è, fino ad un certo punto, un eroe aristotelico: un uomo imperfetto che ha delle buone intenzioni, quindi uno con cui tutti noi, fallibili ma ben intenzionati, possiamo identificarci. Sebbene nella sua storia vi sia scandalo, come Knox (1964), Dodds (1966) ed altri ci hanno mostrato, la sua investigazione in questa tragedia può difficilmente essere descritta come il risultato di un fallo e non conduce ad uno scandalo. Piuttosto, essa conduce al riconoscimento da parte dell’eroe di essere stato partecipe di un disastro. A noi viene chiesto di identificarci con lui, ma si tratta di un’empatia totalmente diversa da quella che Girard invoca nelle sue descrizioni dello svelamento del meccanismo del capro espiatorio. Girard dice che la tragedia è “una ricomposizione del mito nella luce di un’esperienza analoga a quella di Edipo, ovvero l’identificazione con un Altro reietto, in questo caso ovviamente l’Altro essendo Edipo stesso, l’eroe tragico”. Rispetto alla nostra umanità, la totalità esiste solo nell’identificazione col capro espiatorio” (Marsh 55, [corsivo suo]).

Girard ci propone la cosa in un modo che un pubblico moderno solidale può trovare familiare e perfino comodo, ma che non è il tema di Sofocle. Edipo è un uomo che inizia facendo di altre persone dei capri espiatori, e che l’evidenza spinge all’illuminazione. Sofocle ci chiede di identificarci non con un capro espiatorio ma con un uomo che ha peccato. Questa identificazione implica che noi siamo tutti colpevoli in modi terribili, modi che derivano da fatti determinati prima della nostra nascita, e che il nostro compito non è incolpare gli altri del nostro male, ma trovare in che cosa esso consista. Alla fine dell’Edipo re non vi è alcuna espulsione di un pharmakos. Vi è solo l’affermazione che noi siamo ciechi se non sappiamo di avere commesso hybris.

L’Edipo a Colono offre un insieme di identificazioni connesse a quelle dell’Edipo re. La tragedia fu scritta intorno al 405, a circa un anno dalla morte di Sofocle e dall’occupazione spartana di Atene che pose fine all’Età d’Oro. Colono era il luogo di nascita di Sofocle. Portando Edipo a Colono, Sofocle allude alla sua stessa vita. Edipo è anche Atene e anche Sofocle. Egli è anche noi, ed ogni città. La tragedia è aderente alla storia tradizionale quando introduce il conflitto tra Polinice ed Eteocle e quando fa uso del Boschetto delle Erinni a Colono, ma la maggior parte dell’opera è finzione drammaturgica. La tragedia presenta due temi collegati. Uno è strettamente connesso all’attenzione che Girard rivolge all’Altro e all’identificazione con esso o alla sua esclusione da parte di individui e comunità. In questa tragedia Edipo, un esule, quando arriva ad Atene è realmente un Altro. È stato cacciato da Tebe e ha vagato, condotto da Antigone, per un lungo periodo di tempo. Egli è stato esiliato non da Creonte ma da Polinice. Di qui la maledizione del figlio, che così inesorabile compare alla fine della tragedia. La maledizione è la risposta di Edipo al suo rigetto: lo hanno trattato come Altro, reso alieno a loro e alla città dalla sua colpa, mentre in realtà egli è il padre: in termini girardiani il loro doppio. Quando Edipo arriva a Colono, il Coro è stupefatto di trovarlo a riposare nel Boschetto delle Furie. Quando si rende conto di dove si trova, Edipo ricorda un dettaglio addizionale della profezia originaria. Apollo gli aveva rivelato anche, egli dice, che “dalle dee Venerande avrei ottenuto asilo e ospitalità. Qui avrei terminato questa misera vita, con vantaggio di chi mi avrebbe accolto, ma a rovina di chi mi scacciò esiliandomi” (90-93). Nella creazione di Sofocle, se non nella storia tradizionale, Edipo ha assunto precisamente quel potere magico di donare benedizione che Girard nota nello statuto del capro espiatorio, una volta che la sua espulsione/uccisione ha pacificato la città. Rispetto a questo tema, la questione sta nella richiesta di Edipo che Teseo gli consenta di essere sepolto in Colono. Tebe non identifica Edipo e quel che rappresenta come un membro della polis. Lo farà Atene? Se la città lo includerà, egli riverserà benedizione su di essa. Il fatto che Teseo accolga la sua richiesta e faccia di lui un cittadino (637) è emblema della saggezza di Atene. Sebbene egli non sia un capro espiatorio nel senso di una vittima innocente scelta arbitrariamente, quel che Edipo rappresenta è importante. Riconoscere questo e includere la sua Alterità è saggezza. Teseo comprende che la sua Alterità non è realmente Alterità ma quella parte del sé e della polis che nella prima tragedia era rimasta velata. Non aver riconosciuto questo riversa maledizione su Tebe.

 

Un secondo tema nell’Edipo a Colono riguarda il significato morale delle azioni di Edipo. Quando il Coro si chiede come gli dèi lo puniranno, egli si difende: “E pure, come sarei di mia natura uno scellerato, io che ricambiai il male sofferto; tanto che, se pure avessi agito consapevolmente, nemmeno così sarei uno scellerato?” (270-272). In termini legali, il suo omicidio è stato legittima difesa. Come poteva essere colpevole di sua natura? In seguito egli ripete la sua difesa: “ Uccisi. Ma la cosa ha per me qualche giustificazione. Anche altri uccisi e spensi; sono puro di fronte alla legge: ignaro giunsi a tanto” (546-548). La sua terza difesa è davanti a Creonte. Il suo parricidio e l’incesto avvennero perché “così piacque agli dèi” (964).  “Quanto a me, non potresti trovare nessuna macchia di colpa, che io abbia dovuto scontare compiendo questi delitti contro me stesso e contro i miei. Spiegami dunque: se dagli oracoli venne vaticinio a mio padre che sarebbe morto per mano dei figli, come potresti giustamente accusare me, che ancora non ero seminato dal padre, né concepito dalla madre, ma non ero neppure generato?” (966-972).

L’analisi del mito tradizionale di Edipo che Girard svolge, e la sua conseguente assunzione della prospettiva freudiana entro la sua più ampia discussione della famiglia come prima e fondamentale fonte del modello e del rivale, sono profonde. Ma l’argomento delle tragedie di Sofocle non è questo. Io catalogo la scelta che Sofocle fa della storia di Edipo per lo sfondo di queste tragedie come scelta di una storia sulla cosa peggiore che un uomo possa fare. Edipo compie qualcosa di terribile. Egli lo fa senza intenzione. Nella prima tragedia, non sa quello che ha fatto e, rispondendo secondo uno schema atavico perfettamente in sintonia con l’illustrazione girardiana delle risposte primitive al contagio, ricerca la fonte del male nell’Altro, in una congiura. Tiresia è la voce del dio. Gli spettatori lo sanno, ma Edipo, inizialmente, pensa che Tiresia sia un impostore che copre una congiura. Edipo apprende che Tiresia ha ragione, anche se per un po’ spera che cose come l’aritmetica, la confusione sul numero dei ladroni, lo salveranno. Nulla lo salva. Come egli scopre, è intrappolato dalla physis. Che egli compia una cosa terribile è nella natura della situazione umana. Non può evitarlo, per quanto abbia tentato. Nel quadro di identificazioni che io propongo per la tragedia, lo stesso dilemma si offre ad Atene e a tutte le altre città e persone. L’Edipo re non ci chiede di identificarci con un capro espiatorio, ma ci chiede invece di identificare la nostra stessa violenza. Ci dice anche che siamo ciechi se pensiamo di non essere violenti.  Come viviamo se noi siamo Edipo? Risponde Bernard Williams: “L’insieme dell’Edipo re, questa macchina terribile, muove alla scoperta di quell’unica cosa, che egli lo ha fatto” (69). Dopo questo, dobbiamo affrontare un tema che Williams delinea precisamente: “Ma se si può porre una domanda molto ingenua, che cosa si pensa che debba fare uno che scopre che, non solo nella fantasia ma nella vita, ha ucciso suo padre e sposato sua madre?” (69). L’Edipo a Colono segue il fatto della colpa con un’analisi della situazione di Edipo. Vi è una differenza tra la depravazione criminale e la trappola ontologica che sta dietro le tragedie di Sofocle. Non è giusto considerare colpevole un uomo le cui azioni sono determinate prima della sua nascita. Sofocle sostiene che l’intenzione morale attenua la significanza perfino di un’hybris terribile, sebbene sostenga anche implacabilmente nell’Edipo re che noi non possiamo evitare l’hybris. L’eroismo etico ed intellettuale consiste nell’identificare e riconoscere la nostra violenza, per quanto velata e non intenzionale essa possa essere.

Nell’Edipo re Sofocle è terrificante. L’Edipo a Colono scaturisce da un uomo e da una città che si trovano sull’orlo di un abisso, e lo contemplano. Sofocle è prossimo alla morte e sa di esserlo. Atene aveva iniziato a civilizzare il mondo, ma aveva anche scatenato una guerra che aveva portato per 27 anni morte alla Grecia, e stava per portare la sconfitta ad Atene. Atene era la migliore delle città, ma aveva generato un grande male. L’eroe legato a Colono ci chiede di interrogarci su che cosa Sofocle conosca di sé che gli consente di immaginarsi come un paria cieco e colpevole condotto da una figlia fedele alle dee della vendetta.

A Colono Edipo non ha alcuna anagnoresis. E nemmeno Teseo, per il quale, immediatamente, Edipo non è l’Altro: “So bene che sono un uomo, e che il domani non appartiene a me più che a te” (567 – 569). In questa tragedia ad imparare è il Coro. Dapprima, quando si rende conto di chi sia Edipo, inorridisce. Con l’avanzare dell’azione scenica e con l’ascolto delle sue argomentazioni, si persuade che in realtà egli è innocente. Mentre Edipo, ancora cieco ma guidato misticamente, conduce Teseo nel Boschetto, prega : “Dalle molte e immeritate sventure che lo colsero finalmente un dio giusto lo risollevi!” (1565-1566). Secondo un’altra convenzione drammatica, quel che avviene dopo una preghiera è una risposta alla preghiera. Il nunzio entra in scena per riferire che gli dèi hanno riportato Edipo a casa: la sua tomba sarà per la città una benedizione. La morte del capro espiatorio benedice la città scaricando la sua violenza, allentando temporaneamente la tensione che si è accumulata nella polis come elettricità in un accumulatore. La morte di Edipo benedice la città, ma con un meccanismo molto differente. Le città e le persone che non includono nella loro percezione di sé quello che Edipo rappresenta sono maledette, minate moralmente dalla differenza tra capacità di violenza assunte alla coscienza o ignorate. Esse sono vulnerabili al contagio, portate ad accusare gli innocenti. Quando una comunità è consapevole della sua stessa capacità di male, la identifica, e agisce sulla base di questa sua consapevolezza, c’è qualcosa di differente. Essa potrà agire ancora iniquamente, ma questa iniquità non sarà semplice criminalità o violenza sacrificale atavica.

 

Nell’Edipo a Colono il discorso finale di Edipo è rivolto ad Antigone e Ismene. La sua vita ha avuto un senso, a dispetto della sua storia orribile, a causa del loro amore che lo ha sostenuto durante l’esilio. La presentazione profondamente toccante che Girard fa dell’amore salvifico come necessaria conseguenza della rivelazione evangelica va al di là del commiato di Sofocle in un modo fondamentale. Edipo maledice i suoi figli e Tebe: è un greco che colpisce i suoi nemici. Egli non offre non-violenza. Ma non lo fa nemmeno Girard. L’identificarci col capro espiatorio non ci libera dalla nostra propensione geneticamente codificata alla mimesi e alla violenza che ne consegue. Come in una delle sue recenti Chronicles indica Eric Gans, la “priorità” è sempre in gioco. Edipo e Laio non si scontrano per qualche oggetto. Si scontrano su chi dei due debba avere la precedenza. Dal punto di vista antropologico questo non è senza significato, che la priorità sia costituita dalla precedenza nell’etica eroica, nel monoteismo, nello sviluppo di un mercato, o nel possesso delle armi nucleari.

 

A che cosa serve dunque sapere ciò che sta accadendo? Queste tragedie ci portano direttamente ad una serie di temi sociali, che vanno dallo status dell’omicidio giudiziario alle imprese degli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan, che penso abbiano dietro di sé certamente anche dei motivi altruistici,  ma che riflettono violenza su violenza. Anche dando per certa la buona volontà di persone intenzionate come Edipo ad agire bene, cosa rimane della virtù nel fatto che, perfino nel tentare di sfuggire alla nostra capacità di violenza, noi la esercitiamo? Il tema di Sofocle nell’Edipo a Colono riguarda queste questioni, e la sua tragedia deve influenzare la comprensione che la comunità girardiana ha di Sofocle in relazione al Vangelo. La città non punisce Edipo. Nell’Edipo a Colono, egli, se non perdonato, è almeno riconciliato con sé stesso, con la polis e con gli dèi. La sua maledizione di Polinice guarda indietro verso il vecchio mondo magico del mito tradizionale. La pietà verso il vecchio peccatore, che è l’ultima risposta che il Coro gli dà, guarda verso il Vangelo e verso un mondo dove posso accettare di vivere.

 

OPERE CITATE

 

Ahl, Frederick. Sophocles’ Oedipus: Evidence and Self-Conviction. Ithaca: Cornell UP, 1991.

Dodds, E. R. ”On Misunderstanding the Oedipus Rex.” Modern Critical Interpretations:

Oedipus Rex. Ed. Harold Bloom. New York: Chelsea House, 1988.

Ehrenberg, Victor. Sophocles and Pericles. Oxford: Blackwell, 1954.

Girard, René. “From the Novelistic Experience to the Oedipal Myth. Anspach 1-27.

- - -. A Theatre of Envy: William Shakespeare. Gracewing: Leominster, Herefordshire, 2000.

- - -.Oedipus Analyzed.”Anspach 28-58.

- - -. Oedipus Unbound: Selected Writings on Rivalry and Desire. Ed. Mark R. Anspach.

Stanford: Stanford UP, 2004.

- - -. The Scapegoat. Trans. Yvonne Freccero. Baltimore: Johns Hopkins UP, 1986.

Goodhart, Sandor. “Lestas Ephaske: Oedipus and Laius’ Many Murderers.” Sacrificing

Commentary: Reading the End of Literature. Baltimore: Johns Hopkins UP, 1996

Griffith, R. D. “Oedipus Pharmakos? Alleged Scapegoating in Sophocles’ Oedipus the King.”

Phoenix 47 (1993), 95-114.

Jebb, Richard C. Sophocles: The Plays and Fragments. Cambridge: Cambridge UP, 1972.

Jebb. Part I. The Oedipus Tyrannus.

Jebb. Part II. The Oedipus Coloneus.

Kammerbeek, J. C. The Plays of Sophocles: Commentaries. Part VII. The Oedipus Coloneus.

Leiden: Brill, 1984.

Koper 13

Knox, Bernard M. W. Oedipus at Thebes. New York: Norton, 1991.

- - -. The Heroic Temper: Studies in Sophoclean Tragedy. Berkeley: U Cal P, 1964.

- - -. “The Date of Oedipus Tyrannus of Sophocles.” American Journal of Philology 77 (1956):

133-147.

- - -. The Heroic Temper: Studies in Sophoclean Tragedy. Berkeley: U Cal P, 1964.

Sophocles. The Complete Greek Tragedies. 4 vols. Ed. David Grene and Richmond Lattimore.

Chicago: Chicago UP, 1960

- - -. Oedipus the King. Trans. David Grene. Grene and Lattimore 1. 11-76.

- - -. Oedipus at Colonus. Trans. David Grene. Grene and Lattimore 1. 79-155.

Williams, Bernard.. Shame and Necessity. Berkeley: U Cal P, 1993

 

 

La traduzione italiana dei passi di Sofocle citati è quella di R. Cantarella, da Sofocle. Edipo re, Edipo a Colono, Antigone, Mondadori, Milano 1982.

 

GENERATIVA

 

BIBLIOSOFIA