DUE LIBRI, UNA PAGINA (96)

Letture di Fabio Brotto

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“La mia vita è divisa in tre parti: ero disgraziato nella prima, a disagio nella seconda e a caccia nella terza. Comincia così, in questo modo folgorante, il libro di Roger Scruton Sulla caccia (On Hunting, 1998, trad. it. di D. S. Panconesi, Editoriale Olimpia 2007). Non è tuttavia un testo sulla caccia in generale, ma su quella, contestatissima e infine abolita recentemente, alla volpe. Una caccia a cavallo, con mute di cani, che costituiva un momento fondamentale, e in un certo senso fondante, della vita della campagna inglese.

Scruton da animale cittadino si converte alla vita di campagna e alla caccia a cavallo. Questa è in effetti una sorta di autobiografia, in cui sono presenti alcuni dei temi polemici principali di Scruton, ma anche pagine che potrebbero stare in un romanzo, tanto sono narrativamente persuasive. Fra tutte, le più belle sono quelle della conversione. Scruton ha iniziato a frequentare la campagna percorrendola in groppa ad un lento e goffo pony di nome Dumbo, quando all’improvviso viene a trovarsi nel bel mezzo di una turbinosa cacciata alla volpe. E Dumbo si trasforma, si lancia in mezzo alla torma di cavalli, cerca di raggiungerne la testa, si muta in un cavallo da caccia. La trasformazione si trasferisce a colui che lo cavalca, che diviene, di punto in bianco un uomo-cacciatore.

Si tratta però di una passione per la caccia mediata dall’equitazione e da un amore sconfinato per i cavalli. Un fatto sociale, che unisce uomini, cani e cavalli in una unione arcaica e indicibile con la terra vivente. Io, che sono un cacciatore solitario che ha un rapporto vitale anzitutto col singolo mio cane (e non con la muta-branco), seguo un altro sentiero, ma comprendo senza residui l’entusiasmo scrutoniano.

I pensatori astratti devono rinnovare la loro coscienza su ciò che è realmente reale. Dovrebbero essere affamati della vista e dell’odore e del tatto delle cose; niente meglio della caccia riesce a mettere bene a fuoco la realtà del piacere dei sensi. Questo «Essere» a cui Heidegger si riferisce, come se fosse una roba gommosa da cui spuntano le gemme del Dasein (io e te) come strani protozoi – ma che c’entra con l’elasticità della terra, con la melma della riva di un fiume e la ghiaia fangosa dove vengono piantati quegli zoccoli fiduciosi? La terra non è una cosa sola, ma tante: dura e morbida, resistente e molle, asciutta e umida, coperta dì erba o brulla sotto la stoppia dispersa della vegetazione dell’anno precedente. Zampe, zoccoli e piedi passano a turno attraverso questo terreno sfaccettato, acchiappandolo come un neonato acchiappa la madre, riconoscendo ogni sua parte dal sapore e dal tatto. Montati ìn alto su questi animali volanti rientriamo in quello stato al quale i nostri antenati hanno rinunciato per motivi di comfort, uno stato in cui la prossimità della morte impone l’umiltà. (p.76)

I cavalli sono creature abitudinarie e sono contenti di seguire una piacevole vita regolare. Però, questo non significa che la qualità della vita sia uguale per loro ovunque: al contrario. Un solo tipo di cavallo vive al massimo la vita da cavallo: il cavallo da caccia. Solo lui, fra gli animali addomesticati, può correre con il branco, in forma, ben nutrito e spensierato, attraverso la campagna ripulita dai suoi predatori naturali. Non c’è migliore gioia equina che correre, uno accanto all’altro, con altri cavalli, immersi nella marea della vita della propria specie, eccitati dal latrato dei cani – un suono che suscita una memoria collettiva di terrore primordiale, ma che ritorna da quelle profondità inconsce come un’eco di gioia invece che di terrore. Il cavallo è diventato la cosa meravigliosa che è fuggendo da quel suono, e trova il suo appagamento rincorrendolo. (pp. 71-72)

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Altre notti di Muhammad al-Busati (Layàl ukhra, 2000, trad. it. di P. Zanelli, Jouvence 2003) è un romanzo che all’inizio ti lascia perplesso per due fondamentali motivi: in primo luogo perché, ambientato al tempo di Anwar al-Sadàt, non sembra cogliere affatto il problema islamico che cova nelle viscere dell’Egitto; in secondo luogo, avendo come protagonista una giovane donna intellettuale, non ne mostra alcuna modificazione nel corso della storia, che la vede sempre uguale, nella sostanza e nella visione del mondo, dall’inizio alla fine.

Cominciamo da questo punto. Che i personaggi di romanzo debbano modificarsi, svilupparsi nel corso della storia narrata è una convenzione narrativa. Vi sono storie in cui i personaggi propriamente non si sviluppano se non alla superficie, o per nulla, per le più varie ragioni. E vi sono storie in cui i personaggi non mutano per scelta dell’autore. Del resto, questo di al-Busati è un romanzo solo in parte realistico: infatti tutte le persone con le quali Yasmìn va a letto nel giro di poche ore muoiono, come se sulla loro testa una potenza nascosta avesse decretato la pena di morte (di qui il richiamo alle Notti famose), e questo è un particolare narrativo che proietta la narrazione oltre la sfera del realismo tradizionale. Qui il non mutare, l’eterno ritorno a se stessa di Yasmìn, col gruppo di uomini che le ruotano intorno, dice la precarietà della condizione dell’intellettuale egiziano contemporaneo: da un lato il suo sradicamento dalla tradizione antica, la sua ansia di modernità (di cui la disponibilità sessuale di una donna giovane e autonoma è un’espressione immediata), dall’altra la sua impossibilità di vivere un rapporto col potere politico che sia analogo a quello che si vive in Occidente: ovvero la libertà di scrivere e pubblicare quello che si vuole senza finire in prigione o peggio. La prima perplessità è superata, l’immobilità del personaggio cardine è necessaria qui perché ruoti intorno ad esso il senso della storia.

La seconda perplessità non è invece superata, e per la verità si estende anche ad altri autori del mondo arabo, e musulmano in generale, e a quel senso della storia di cui dicevo. Infatti è evidente che nel mondo culturalmente islamico vi è oggi la questione religiosa islamica come questione di una gestione religiosa del potere. I grandi esperimenti laici sono, in quel mondo, oggi in arretramento o sulla difensiva. Chi si espande è l’Islam militante, come in Egitto i Fratelli Musulmani. E questo pesa appunto, in particolare nell’Egitto, che agli occhi degli islamisti si presenta come un Pese in cui la società è fortemente corrotta dal modello occidentale. Del modello occidentale fa parte quella libertà di espressione della cui negazione al-Busati accusa Sadàt. Il dialogo con la traduttrice del libro riportato alla fine è istruttivo. Vi si comprende come al-Busati abbia amato Nasser e il suo rapporto col popolo egiziano, e odiato Sadàt per gli accordi di pace con Israele (dai quali ha ottenuto la grande stima dell’Occidente, e la restituzione del Sinai). Quelli come al-Busati hanno sognato la Rivoluzione Socialista e ora si trovano coi Fratelli Musulmani alla soglia del potere. E molti di loro, tragicamente divisi in se stessi, preferiranno stare con loro che farsi “servi dell’America e di Israele”.

 

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