DUE LIBRI, UNA PAGINA (9)

Letture di Fabio Brotto

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Leggo in Revelation, the Religions, and Violence di Leo D. Lefebure (Orbis Books, New York, 2000): L'ironia può essere il primo volto della rivelazione e della grazia. L'ironia mina la nostra certezza, ci aiuta a vedere quanto noi stessi possiamo essere oggetto di riso. L'ironia ci rammenta la relatività di tutte le nostre affermazioni, di tutte le nostre pretese, di tutti i nostri conseguimenti. L'ironia ci ricorda la menzogna presente in ogni verità. L'ironia mina la determinazione del nostro fanatismo e ci permette di ridere di noi stessi. L'ironia ci libera dal nostro grandioso ruolo di dèi e ci consente di essere invece delle semplici creature.

Ma l'ironia da sola non ci può salvare, perché porta con sé i suoi rischi. L'ironia può esprimere una conversione falsa: dal fanatismo al cinismo. In un altro senso ironia è dire una cosa e intenderne un'altra. Quest'ironia è un modo di tenersi al sicuro, tenendo a distanza le pretese degli altri. Uno stato d'animo ironico ci porta a farci beffe di ogni certezza e a fuggire nell'irresponsabilità. Possiamo erodere le prospettive degli altri e congratularci con noi stessi per la nostra sottigliezza. Possiamo iniziare un interminabile gioco a nascondino, non dicendo quello che intendiamo e non intendendo quello che diciamo. Secondo ironia, svolgiamo ruoli in cui non crediamo, che non abbracciamo fino in fondo. La cultura occidentale post-moderna è dominata dall'ironia, ed è una cultura scettica nei confronti di qualsiasi ideale, circospetta davanti a qualsiasi pretesa religiosa suprema, insicura del proprio stesso fondamento. Esiste una via al di là del fanatismo e dell'ironia, una via che superi il ciclo incessante dell'intolleranza e del cinismo, oltre la tragedia della storia? Il racconto della rivelazione avuta da Paolo suggerisce che la via è quell'amore che sceglie di essere presente anche a costo della sofferenza, un amore che non si fa deviare dalle minacce, un amore che nulla al mondo può dissuadere, che nessuna minaccia assassina può dissuadere. Gesù, risorto e asceso, sceglie di soffrire nelle vite dei suoi seguaci. Il potere più grande del fanatismo e del cinismo è quello dell'amore redentivo e sofferente di Dio. La rivelazione di Gesù Cristo a Saul è l'iniziazione di Saul a questo mistero. [pag. 78, trad. F.B.]

 

 

In Science and Faith di Eric Gans (Rowman & Littlefield, Bollman Place, Savage, Maryland 1990) leggo:

Una teologia include un'etica, ma non è solo un pretesto per essa. L'elezione di Israele da parte di Dio può essere preziosa per Israele solo a patto che Dio sia concepito come preesistente ontologicamente. Chiaramente sarebbe inconcepibile all'interno della comunità l'affermare al modo di Durkheim che il Dio di Israele è una mera emanazione della sua solidarietà collettiva. L'interpretazione di Durkheim presenta l'indubbio vantaggio di evitare il soprannaturale; ma a dispetto della sua apparente obiettività, con l'ipostatizzare la comunità dei credenti in un'unità monadica, essa preclude la questione centrale del che cosa abbia costituito la comunità in origine. La teologia può essere integralmente soppiantata dal discorso scientifico solo se la totalità del suo discorso antropologico può essere assorbita da esso. La posizione teistica, cui l'antropologia positiva non ha tentato mai di rispondere, afferma l'impossibilità di un tale assorbimento, sia nella teoria che nella pratica. Il fatto che la fonte della rivelazione teologica trascenda ogni reale o perfino concepibile comunità umana le garantisce un'apertura intuitiva del centro che perfino l'antropologia più radicale e risoluta non può essere sicura di poter mai uguagliare. [pag. 80, trad. F.B.]