DUE LIBRI, UNA PAGINA (8)

Letture di Fabio Brotto

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Leggo in Cross Purposes di Anthony W. Bartlett, edito da Trinity Press, Harrisburg 2001:

Se l'ipotesi di Girard spiega fedelmente una verità biblica - cioè che la cultura umana è generata da una violenza originaria, che l'umanità ha una genetica culturale nella e attraverso la violenza - allora il mondo oggi si trova sul ciglio di una crisi incondizionata. Tutti i meccanismi di contenimento stanno allentando la loro presa; le forze di controllo della religione tradizionale ed il sacro sono progressivamente aboliti. Non vi sono più limiti né confini. Questo è vero nei termini dell'ideologia della democrazia liberale, nei confronti delle identità e dei comportamenti sessuali, familiari e sociali. Ma in realtà è più profondamente e sistematicamente vero nell'inarrestabile flusso globale di oggetti di desiderio; nei media, nella tecnologia dell'informazione, nei grandi supermercati dei ricchi. Questo è il luogo in cui la crisi più pienamente si manifesta. L'abissale distanza tra i ricchi e i poveri, sia entro che tra le nazioni, per un verso smentisce la vantata assenza di confini, e lo fa nel modo più brutale. E tuttavia nello stesso tempo l'onnipresenza della telecomunicazione ogni giorno deride i membri della specie umana con una sensazione immediata di cose che devono essere desiderate, cose che in realtà sono accessibili solo ai pochi privilegiati. Il mondo comincia a ruotare incontrollabilmente in una giostra di desiderio. E la sua rotazione sempre più veloce diviene un vortice entro il quale coloro che sono scagliati al fondo per qualsiasi motivo devono inevitabilmente replicare mediante la violenza, tentando di rovesciare il loro destino. Si possono immaginare degli scenari in cui tale violenza sia imbrigliata da movimenti reazionari che tentino di controllare il vortice, di rallentarlo, conferendogli un senso superficiale di ritmo, ordine e diritto. E' una soluzione che può sorgere dal disastro (economico, ecologico, frustrazione cumulativa della destra politica), e a sua volta produrre una catastrofe su di una scala tale da eclissare tutte le precedenti esperienze di creazione di capri espiatori e di vittime. Ma una risposta del genere non sarebbe a sua volta mai in grado di fare a meno di un'organizzazione di iper-mercato, ovvero di un'economia globale basata su uno scambio intensificato di beni. Una volta che la storia umana abbia prodotto la casa planetaria come un supermercato del desiderio, e il supermercato come casa planetaria per miliardi di umani, è molto difficile vedere questa stessa storia rinunciarvi mediante un programma politico disciplinare scelto razionalmente.

(p. 222)

Un tremendo assedio della fortezza albanese di Kruja nel XV secolo è narrato nel romanzo di Ismail Kadaré I tamburi della pioggia (1972, edito da Corbaccio nel 1997). I Turchi sono i nemici, ma la vicenda è vista dalla loro parte, tranne in alcune pagine in cui l'ottica è quella degli Albanesi assediati. E' un massacro terribile quello che viene descritto. La campagna di conquista dell'Albania da parte degli Ottomani è una pagina davvero balcanica. Eppure tutti sono umani, nel libro, molto umani pur nella loro violenza. E ciò che è avvenuto in quegli anni spiega, secondo Kadaré, il destino dell'Albania fino ai nostri giorni. Riporto pag. 229.

Cominciò a piovere il 13 settembre, all'alba. Mi accingevo a ordinare il cambio delle sentinelle quando le prime gocce punteggiarono il suolo.

Spuntava il giorno. Avrei voluto far suonare la diana, ma ci rinunciai, pensando che gli uomini erano spossati dagli sforzi del giorno prima. Mi appoggiai a una grossa pietra del parapetto e rimasi così, immobile, per un po'. Sotto l'azione dell'acqua le pietre insanguinate (non avevamo acqua per lavarne il sangue) esalavano in vapore il caldo accumulato durante la giornata. Sembravano vive e avevo l'impressione che stessero per muoversi e respirare.

In una qualche parte del cuore dell'accampamento rullavano i tamburi della pioggia. I soldati ricoprivano gli equipaggiamenti. Il loro campo, con le mille e mille macchie che vi formano le tende, coi suoi stendardi, con le sue insegne e i suoi emblemi di metallo, appariva stranamente lugubre in quel mattino d'autunno. Eccolo, dunque, il più grande esercito del nostro tempo. E' ai nostri piedi, a inzupparsi di pioggia. Quelli che vivranno più tardi su questo suolo capiranno che non ci è stato facile ergerci, per questa lotta gigantesca, contro il più temibile mostro della nostra epoca. A essi non lasceremo in eredità né statue né colonne imponenti. Non abbiamo avuto il tempo di costruirne e, con molta probabilità, non avremo il tempo di farlo neppure nei momenti di requie fra l'una e l'altra delle bufere che ancora ci aspettano. In loro luogo, lasciamo queste pesanti pietre delle nostre mura, che la pioggia delle battaglie va bagnando in questo grigio mattino.

Sembra che la prima stagione di guerra volga al termine. Altre ci attendono. Le nuvole si accalcano nel nostro cielo, nel nostro grande cielo.

15 novembre 2001