DUE LIBRI, UNA PAGINA (51)

Letture di Fabio Brotto

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Ha avuto molto successo il personaggio dell’avvocato Guido Guerrieri, creato da Gianrico Carofiglio, che ne ha fatto il protagonista di due romanzi (finora), di cui Testimone inconsapevole (Sellerio, Palermo 2002) è il primo. Il personaggio è piaciuto, i due libri sono stati molto letti. Ma quali sono le caratteristiche fondamentali di Guerrieri? Sono caratteristiche comuni a molti protagonisti di romanzi e storie legali e poliziesche di oggi, a cominciare dalle quasi universali difficoltà nel campo dell’eros. Divenuto avvocato senza averne la vocazione (una condizione in cui si possono rispecchiare molti lettori rispetto al proprio lavoro), sposa una ragazza di cui è innamorato ma non riesce a vivere bene il matrimonio (non si capisce bene perché, i motivi addotti sono poco convincenti) e si ritrova solo e abbandonato, e tanto in crisi da finire nelle mani di uno psichiatra, guarisce lentamente dal suo male esistenziale, è affetto da un tabagismo tale che dà fastidio perfino al lettore (fuma tante sigarette che il fumo ne esce dalle pagine), ha una storia non troppo concludente con una ragazza che a sua volta lotta con la tendenza all’alcool, dimostra infine di valere molto come legale che sa muoversi con acume e sicurezza nella palude della giustizia italiana. Ed è in fondo questo il motivo più interessante del libro: Carofiglio, che è un magistrato, conosce benissimo i meccanismi del processo italiano, che sono un orrore. Di questo orrore il massimo esempio è il cosiddetto rito abbreviato, che in poche righe Carofiglio delinea benissimo.

 

Il giudizio abbreviato è uno di quelli che nel gergo degli addetti ai lavori si chiamano riti speciali. Di regola, quando il pubblico ministero finisce le indagini, in un procedimento per omicidio, chiede al giudice per l’udienza preliminare il rinvio a giudizio.

L’udienza preliminare serve a verificare se ci sono le condizioni per fare un processo che, per il caso dell’o­micidio, è competenza della corte di assise, composta di giudici professionisti e di giurati popolari. Se il giu­dice per l’udienza preliminare ritiene che queste con­dizioni esistano, ordina il rinvio a giudizio.

L’imputato però ha la possibilità di evitare il rinvio a giudizio dinanzi alla corte di assise e ottenere un processo semplificato, il rito abbreviato, appunto.


All’udienza preliminare può chiedere, direttamente o attraverso il suo difensore, che il processo sia defi­nito si dice allo stato degli atti. Questo significa che il giudice dell’udienza preliminare, basandosi su­gli atti di indagine del pubblico ministero, decide se ci sono prove sufficienti per condannare l’imputato. Se queste prove ci sono, appunto, lo condanna.

È un processo molto più veloce di quello ordinario. Non si interrogano i testi e, salvi casi eccezionali, non si acquisiscono nuove prove. Non c’è pubblico ed è un giudice da solo a decidere. Insomma è un giudizio abbreviato in cui lo stato risparmia un sacco di tempo e denaro.

Ovviamente anche l’imputato ha il suo interesse a sce­gliere questo tipo di processo. Se viene condannato ha diritto ad un grosso sconto di pena. In breve: lo stato risparmia tempo e denaro, l’imputato risparmia anni di galera.

Il giudizio abbreviato ha un altro pregio. E l’ideale quando un imputato ha pochi soldi e non può permet­tersi di pagare un lungo dibattimento, con interroga­tori, controinterrogatori, testimoni, periti, requisitorie, lunghe arringhe eccetera, eccetera, eccetera.

È chiaro che scegliendo il giudizio abbreviato l’im­putato perde molte possibilità di essere assolto, perché tutto si basa sugli atti di indagine del pubblico mini­stero e della polizia che, di regola, lavorano per inca­strare l’indagato e non per scagionarlo.

Quando però le possibilità di essere assolto, per l’im­putato, sarebbero pochissime o nulle anche scegliendo il normale dibattimento, allora lo sconto di pena è una prospettiva davvero appetibile. ( pp. 63-64)

 

Forse è giustizia questa, forse no.

 

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Non è quello che Harold Bloom chiamerebbe un romanzo robusto, questo di Paola Mastrocola Una barca nel bosco (Guanda, Parma 2004). È un romanzo di formazione narrativamente piuttosto esile, invece, e con un personaggio principale, l’isolano Gaspare, che ha forse una matrice morantiana ma non è risolto, pencolando tra il realismo satirico e il fantastico elegiaco. Nondimeno, ha vinto il premio Campiello. Penso che il successo del libro sia in buona parte legato alla visione desolata della scuola e dell’università italiane che vi è presente, e che qualsiasi persona intelligente non può non condividere. Un sistema educativo che ha dimenticato il senso dello studio e della valorizzazione del sapere, perdendo ogni significato in un mare di banalità in cui tutto ciò che si innalza viene livellato. Le pagine più divertenti del libro sono quelle in cui Gaspare, eccellente latinista, cerca di abbassare il proprio rendimento nelle prove per essere come gli altri, e di assimilare codici e segni di gruppo per farsi omogeneo alla massa, in una sorta di iniziazione rovesciata, in cui l’alto deve farsi basso per non essere espulso. La complicità degli insegnanti, che sguazzano in una macchina di omologazione il cui esempio più ripugnante sono le settimane di accoglienza che si celebrano in tutti gli istituti della Repubblica, è forse la cosa più deprimente e insieme più significativa del romanzo della Mastrocola.

 

Mia madre mi chiede a cosa mi servono le zollette di zucche­ro per fare italiano e, siccome sto zitto, si rivolge a sua sorella e le dice:

« Elsa, tu lo capisci o no cosa succede qui? »

Zia Elsa alza le spalle e mi guarda, in pena. Allora spiego che domani ci sarà una festa.

« Quale festa? »

Non ne ho nessuna voglia, ma racconto cosa è successo oggi a scuola, e cioè che era il primo giorno dopo la « settimana di accoglienza » e gli insegnanti avrebbero dovuto cominciare con le lezioni vere; invece ci hanno detto che non volevano trauma­tizzarci con un inizio strong, e che quindi ci facevano un’ora di CIM.

Madre e zia mi guardano come se avessi appena detto chissà cosa. Spiego che vuoi dire Compresenza Interdisciplinare Mul­tipla. Cioè veramente avevamo un’ora di italiano e invece sono venuti in classe anche quello di ginnastica e quella di mate, e questo vuoi dire compresenza. Io ero molto curioso di vedere che razza di lezione ne sarebbe uscita perché non riuscivo a im­maginarmela. Infatti non è venuta fuori nessuna lezione. Se ne stavano tutti e tre in piedi davanti alla cattedra con l’aria molto sorridente e facevano un sacco di battute, ad esempio sul colo­re dei banchi, su chi era lì da più anni e quindi era il più vecchio di loro, cose così.

Poi ci hanno fatto brainstorming. Io non sapevo cos’era, ma per fortuna ce l’hanno spiegato: si lancia un tema e tutti dicono quel che vogliono, perché brain vuoi dire cervello e storming tempesta, quindi significa che si scatena una gran tempesta di idee, o qualcosa del genere. Il tema era: cosa vi aspettate da questo primo anno di liceo. E tutti hanno detto quel che gli passava per il cervello. È stata una gran tempesta. Quella di ita­liano scriveva alla lavagna tutto quello che veniva fuori e alla fi­ne è risultato che la cosa che volevamo di più era « diventare amici».

Gli insegnanti sono stati molto contenti ed è lì che è venuta l’idea per domani di fare una gran festa in classe. Abbiamo fat­to un sorteggio per chi doveva portare la Coca, chi le patatine, chi i tovaglioli di carta, eccetera. Io, è venuto fuori che dovevo portare le zollette di zucchero, non ho capito perché, ma non l’ho chiesto perché nessuno chiedeva niente. (pp. 22-23)

 

4 gennaio 2004

 

DUE LIBRI, UNA PAGINA

 

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