DUE LIBRI, UNA PAGINA (46)

Letture di Fabio Brotto

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Una delle tante variazioni sul tema Amore contro Onore di tassiana memoria, l’incantevole racconto di Adalbert Stifter L’antico sigillo (Das alte Siegel, 1847, trad. it. di  E. Fiandra, con testo a fronte, Marsilio, Venezia 2000), contiene pagine davvero stifteriane, di perfezione adamantina. Il racconto è denso di spessore simbolico, che il testo a fronte consente di cogliere nell’originale tedesco, in cui la perfezione della nitida prosa di Stifter mi sembra sempre impregnata della memoria dell’universale trascorrere di tutte le cose. … “Wie viele werden noch nach uns kommen, denen sie Freude und sanfte Trauer in das betrachtende Herz senken, bis auch sie dahin sind, und vielleicht auch die schöne freundliche Erde, die uns doch jetzt so fest gegründet, und für Ewigkeiten gebaut scheint” (180-182). Il nostro destino, ci dice Stifter, è segnato da eventi che nel loro principio (come è anche secondo Guicciardini) sono spesso minimi, tanto che è impossibile coglierli. E noi ci troviamo infine incatenati, anche quando, come avviene in questo racconto, le catene sono il frutto di una nostra (non) scelta, e tutto sarebbe potuto andare diversamente.

 

Narra una leggenda che quando in Svizzera la “rugiada” di una giornata d’inverno, serena e tiepida, si leva in monta­gna sul morbido e denso manto innevato, e allora in cima una campanella risuona, un mulo sbuffa o un granello cade, dal manto di neve si scioglie un soffice fiocco e scor­re lieve qualche centimetro più in basso. La lanugine, morbida e umida, che il fiocco bacia nel suo corso, va ad arricchirlo, forma un piccolo grumo di neve e poi cade molto più che qualche centimetro più in basso. Il grumo continua a rotolare in leggeri saltelli per qualche palmo lungo il pendio roccioso. Prima che ci sia il tempo di batter ciglio tre volte, già una massa gigantesca sobbalza sui gra­dini del rilievo, accompagnata da innumerevoli grumi più piccoli, che essa travolge provocando lo slittamento di nuove masse. Quindi scivola tracciando ampie curve. L’in­tera parete si riempie di vita e di cupi boati. Lo schianto che si avverte subito dopo, simile all’infrangersi di migliaia di schegge, è il bosco devastato, il fievole scricchiolio è il movimento delle rocce poi si ode il sibilo di un soffio, poi un tonfo e un rumore sordo — — poi un silenzio mortale solo un fine pulviscolo bianco si solleva in lontananza verso l’azzurro terso del cielo, dalla valle spira una fresca brezza sulle guance del viandante che s’inoltra sul sentiero elevato, e tra le montagne lontane rimbomba l’eco di un tuono profondo. Poi tutto svanisce, il sole risplende, il cie­lo azzurro sorride amichevole, ma il viandante si fa il segno della croce e ripensa con un brivido al segreto che ora giace sepolto in fondo alla valle.

Così come la leggenda racconta l’inizio della valanga comincia spesso anche un intero destino umano. (pp. 109-111)

 

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L’oscura attrazione che antichi riti sacrificali pagani possono esercitare ancora su uomini della nostra epoca, e addirittura su pastori protestanti nordici già missionari in Africa, è un tema piuttosto interessante. Ne potrebbe uscire anche un grande romanzo, soprattutto se questo tema fosse sapientemente intrecciato con il clima postbellico di una Finlandia che ha vissuto l’alleanza con Hitler ed una serie di eventi feroci e di pulizie etniche spietate. Il romanzo di Leena Lander La casa del felice ritorno (Iloisen kotiinpaluun asuinsijat, 2000, trad. it. di D. Sessa, Iperborea, Milano 2002) non è un grande romanzo per due motivi principali: manca nella strutturazione generale, troppo cinematografica e in fondo poco originale, con quell’imperversare dei flash-back che da decenni è quasi di rigore in buona parte della narrativa europea corrente; e manca nell’approfondimento dei caratteri dei personaggi, i cui moventi appaiono abbastanza gratuiti (anche questo è un elemento generico del romanzo postmoderno, tuttavia). Il personaggio più importante in una narrazione che si pone il tremendo tema dello scontro tra paganesimo e umanesimo cristiano-occidentale, il pastore protestante che durante la missione in Africa ha sentito il richiamo del cuore di tenebra, avrebbe richiesto una mano più potente di quella della Lander, brava scrittrice ma non adatta all’alto volo.

Tuttavia, questo è un romanzo che merita di essere letto. La storia è avvincente: la misteriosa trovatella Hanna che divenuta adolescente scompare, e che per la sua migliore amica si è tramutata in cigno (o che lo era), è una presenza inquietante; lo sfondo storico presenta molti elementi significativi, e fa pensare ancora una volta a come sia difficile l’Europa. L’antropologo si sente stimolato e poi non pienamente soddisfatto, ma deve ammettere che alcune pagine rapiscono.

C’è un’epigrafe , a pag. 9, che riporto.

 

“Di tali spiriti, ove benevoli, ove malvagi, la credenza voleva  pullulasse l’intero mondo della natura, l’aria, la terra e perfino i recessi sotterranei. Non v’era lago, isola, penisola o baia; né bosco, remota palude, landa, radura o valle; né colle, vetta o altura; né sorgente, rapida, fiume o ruscello; né arbusto, prato o fiore; né uomo o altra creatura vivente, che non avesse un proprio spirito. All’acqua e al ferro, al fuoco, al vento e al gelo, finanche a entità quali il sonno e la morte, era legato un demone peculiare a ciascuno.”

 

Elias Lönnrot, Antichi poemi magici del popolo finnico, 1880

 

21 luglio 2004

 

DUE LIBRI UNA PAGINA