DUE LIBRI, UNA PAGINA (42)

Letture di Fabio Brotto

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Un’idea di Naipaul che vedo riemergere in molte delle sue opere è quella della natura livellatrice, annientatrice delle altre culture, che sarebbe propria dell’Islam. Nel suo libro Fedeli a oltranza (Beyond Belief, 1998, trad. it. Carucci, Stecconi, Vergiani, Adelphi, Milano 2001) l’autore incontra molte persone, uomini e donne,  in paesi islamici dall’Indonesia all’Iran, dalla Malaysia al Pakistan, e il quadro che ne esce è di desolazione spirituale e di fanatismo sempre più diffuso. Quello che riporto è un breve passo molto significativo. L’Islam, secondo Naipaul, taglia le radici. Mi viene in mente l’idea di Simone Weil, secondo la quale chi è sradicato sradica. E anche il suo concetto di un monoteismo deviato, che comporta non l’adorazione del Dio trascendente, ma della propria anima collettiva: il pericolo che corrono tutti i monoteismi “di popolo”.

L’annientamento delle antiche religioni religioni lega­te alla terra, agli animali e alle divinità di posti o tribù parti­colari operata dalle religioni rivelate è uno dei temi osses­sivi della storia. Anche quando i testi esistono, come per l’antichità romano-cristiana, è difficile individuare il mo­mento di passaggio. Ci sono solo indicazioni. È evidente che le religioni legate alla terra hanno dei limiti: offrono tutto agli dèi e molto poco agli uomini. Queste religioni ora ci attirano soprattutto per ragioni estetiche moderne; e an­che così, è impossibile immaginare una vita totalmente al loro interno. Le idee delle religioni rivelate il buddhismo (se si può considerare tale), il cristianesimo, l’Islam sono più ampie, più umane, in rapporto più stretto con ciò che gli uomini considerano il loro dolore, e in rapporto più stretto con una visione morale del mondo. Può anche darsi che le grandi conversioni, delle nazioni o delle culture, come quella dell’Indonesia, avvengano quando gli uomini non hanno più un’idea di sé, e non hanno i mezzi per capi­re e recuperare il passato.

La crudeltà del fondamentalismo islamico è che permette solo a un popolo — gli arabi, il popolo originario del Pro­feta — di avere un passato e luoghi sacri, pellegrinaggi e onoranze alla terra. Questi luoghi sacri arabi diventano i luoghi sacri di tutti i popoli convertiti. I convertiti devono sbarazzarsi del  proprio passato; a loro non si chiede altro che una fede purissima (se è mai possibile una cosa simile): Islam, sottomissione. La forma più intransigente di imperialismo. (p.92)

 

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Se un italiano non può, crocianamente, “non dirsi cristiano”, può un arabo, pur laico e liberale come Tahar Ben Jelloun, non dirsi musulmano? Tahar Ben Jelloun è un grande narratore, ma chiaramente non è un credente. La sua posizione emerge chiaramente nel libretto pubblicato da Bompiani, L’Islam spiegato ai nostri figli (trad. A.M. Lorusso, Milano 2001), in passi come il seguente (p. 42-43).

 

La fede religiosa è una credenza. Credere si­gnifica accettare, fare affidamento nella parola proposta e restarle fedele. Le religioni non tol­lerano né il dubbio né il riso. Ora, il dubbio na­sce dal non credere ciecamente, significa intro­durre la ragione nel dominio della credenza. Dubitare significa porsi delle domande e spe­rare di trovare risposte giuste. La logica e la fe­de non procedono sempre insieme.

 E tu, sei credente?

 Quando si è razionali, non è facile essere cre­denti, come possono immaginare le persone che hanno fede. Diciamo, per rispondere alla tua domanda, che io credo che esista una spiri­tualità, qualcosa di misterioso e di bello insie­me, che allo stesso tempo mi intimorisce mol­to. Lo si può chiamare Dio. Mi sento molto piccolo davanti all’immensità dell’universo e non sono capace di capire tutto. Come ha det­to un filosofo, “l’intelligenza è l’incomprensio­ne del mondo”.

  Non ho capito niente.

  Non bisogna fidarsi delle persone che pre­tendono di avere risposte a tutte le domande che l’uomo si pone. Sono i fanatici a dire che la religione risponde a tutti gli interrogativi sul mondo. È impossibile.

  E l’Islam?

Questa religione ha dato al mondo una bella civiltà, una civiltà molto importante. Prima che venisse offesa, come oggi succede, da gente im­pazzita o ignorante, la cultura Islamica è stata, per tre secoli, fra il IX e l’XI secolo, al livello più alto del progresso e della cultura mondiali .

 

Ben Jelloun è un arabo illuminista, che vede in tutte le religioni il pericolo del fanatismo (e il dominio sulla donna). Nello stesso tempo, cerca di convincere i lettori che esiste un Islam buono e tollerante, e che gli intolleranti non sono davvero islamici, ma pazzi furiosi. La sua è forse una nobile posizione, e certo è liberale e dialogante, ma la vedo debole in partenza. Come del Cristianesimo è meglio farsi parlare dai credenti, se si vuol capirne qualcosa, così sull’Islam è meglio parlare con i suoi credenti, se lo si vuol capire davvero.

 

5 marzo 2004

 

DUE LIBRI