DUE LIBRI, UNA PAGINA (4)

Letture di Fabio Brotto

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In Trame, di Peter Brooks (1984), edito in Italia da Einaudi nel 1995:

Il paradigma che ho in mente è chiaramente quello delle Mille e una notte, che ispirò Balzac quando questi cercava di riprodurre la magia di una "leggenda orientale" nella cornice della Parigi contemporanea. Nelle Mille e una notte, le storie raccontate da Shahrazad affrontano un desiderio uscito dai binari normali - quello del Sultano, divenuto sadico e vendicativo dopo l'infedeltà della moglie, tanto che ognuna delle sue amanti viene condannata al taglio della testa la mattina dopo - e lo cura prolungandolo, più precisamente narrativizzandolo. Nuovamente investito in una serie di narrazioni e di ascolti, il desiderio viene così ricostituito per virtù metonimiche - dopo mille e una notte - finché il Sultano può riprendere una vita erotica normale, sposando una Shahrazad veramente degna del suo nome ("salvezza della città"). Così, in questa versione allegorica, il racconto risulta salvifico in quanto crea e mantiene acceso il desiderio, garantendo che il punto terminale, da un lato differito dall'altro espressamente indicato e promesso, potrà offrire quel che potremmo chiamare un luminoso ed equilibrato riposo, a un tempo appagamento e prospettiva corretta.

Le narrazioni rappresentano dunque i motori del desiderio che animano e consumano le loro trame, e al tempo stesso mettono a nudo la natura della narrativa come forma di desiderio: il bisogno di raccontare come impulso primario che cerca di sedurre e di soggiogare l'ascoltatore, di coinvolgerlo nel percorso di un desiderio che è incapace di pronunciare il suo nome, di arrivare per così dire al punto, e insiste invece a parlare e a riparlare il suo stesso movimento verso quel nome. A chi analizza i meccanismi narrativi, questi diversi e pur convergenti vettori suggeriscono la necessità di esplorare con maggiore attenzione le funzioni del desiderio, i modelli dell'intreccio, le dinamiche dello scambio e della trasmissione, i ruoli di chi parla e di chi ascolta. (p.66)

 

In Filosofia e poesia (1939), edito in Italia da Pendragon nel 1998:

L'assenza nell'amore è un motivo chiaramente platonico il cui studio compete agli storici della letteratura. "Assenza" nell'amore, dal momento che la presenza non è mai possibile e qualora si desse non la si canterebbe.

Così, il Cantico spirituale del mistico Juan de la Cruz è un canto all'assenza dell'amato. In questo caso è facile spiegarselo, giacché il suo amato non è in effetti visibile. Ma anche nella poesia profana del tempo, nonché di tempi precedenti, troviamo ugualmente il motivo dell'assenza e la ricerca spasmodica delle tracce dell'amato, per cui l'intera natura si trasforma: ruscelli, alberi, prati, la luce stessa conservano il segno della presenza amata, perennemente schiva e irraggiungibile.

L'amore porta con sé, costitutivamente, una distanza. Amore senza distanza non sarebbe amore, perché non avrebbe unità, vale a dire oggetto. In questo consiste la sua differenza fondamentale dal desiderio: nel desiderio non vi è un vero e proprio oggetto, perché ciò che viene desiderato non risiede in se stesso, non viene tollerato quel suo racchiudersi in sé che già la poesia aveva realizzato per proprio conto, prima di Platone e anche dopo di lui, nei casi in cui è rimasta estranea al suo influsso. Il desiderio consuma ciò che tocca; nel possesso l'oggetto del desiderio viene annientato, dal momento che non ha alcuna indipendenza e non ha esistenza all'infuori del desiderio stesso. L'irraggiungibilità dell'oggetto d'amore lo rende incessantemente presente. Il possesso amoroso è un problema metafisico e come tale non ha soluzione. Ha bisogno di transitare nella morte per compiersi, deve attraversare la vita, la molteplicità del tempo. (p.78)

12 settembre 2001