DUE LIBRI, UNA PAGINA (38)

Letture di Fabio Brotto

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"Quanto a ciò che è in più di questo, figlio mio, bada bene: i libri si moltiplicano senza fine ma il molto studio affatica il corpo". Sta scritto alla fine del libro dell'Ecclesiaste (12, 14). I libri si moltiplicano senza fine: la Biblioteca di Babele è già lì, più di duemila anni fa. A me pare giusto che un uomo dei libri come George Steiner sia ossessionato dalla babelicità della produzione libraria. Essa significa numero sterminato, impossibilità di governo da parte di una mente umana (o anche di molte), caos, fragilità, e in ultima analisi inclinazione alla perdita per sempre, all'annichilimento definitivo. Spesso George Steiner è affascinato dalla voragine incolmabile dei libri non letti. Anche nelle Grammatiche della creazione (Grammars of Creation, 2001, trad. italiana di F.Restine, Garzanti, Milano 2003). Leggiamo a pagina 265:

In accordo con Hegel, la nottola di Minerva si leva veramente sul far del tramonto.

Durante l'ultimo decennio sono state costruite e inaugurate più biblioteche pubbliche e nazionali che in qualsiasi periodo precedente. La nuova British Library conterrà circa diciassette milioni di libri, riceverà circa quattrocentomila lettori ogni anno e acquisterà più di centomila nuovi titoli ogni dodici mesi. La nuova Biblioteca Nazionale tedesca è in costruzione a Francoforte. A Parigi, la Bibliothèque Mitterrand contiene più di dodici milioni di volumi sistemati lungo quattrocentoventi chilometri di scaffali, che circolano, quando vengono richiesti, su otto chilometri di nastri trasportatori. La biblioteca Mitterrand è pronta a servire due milioni e mezzo di lettori e a catalogare circa duecentomila nuove acquisizioni all'anno. Le sue quattro torri nascono quasi direttamente da quella del Louvre dove Carlo v fece depositare mille manoscritti nel 1368.

La Library of Congress di Washington rende insignificanti persino queste statistiche. Possiede più di trenta milioni di libri e circa ottanta milioni di articoli, estratti e fascicoli su ottocentocinquanta chilometri di scaffali. La biblioteca impiega quattromilacinquecento uomini e donne che cercano di classificare, tramite centri di smistamento intermediari, i circa settemila nuovi testi che arrivano ogni giorno. Il suo budget annuo è di oltre quattrocento milioni di dollari.

Le motivazioni sociali e intellettuali che giustificano questi edifici e investimenti colossali sono multipli e contraddittori. Anche stampata, la parola scritta si è rivelata vulnerabile. La stragrande maggioranza dei testi prodotti nel mondo antico sono scomparsi. Un naufragio, praticamente in vista di Venezia, ha cancellato per sempre classici della letteratura e della filosofia che venivano portati in salvo dal sacco di Costantinopoli. Delle biblioteche sono state incendiate, ad Alessandria nel 642 d.C., a Sarajevo nel 1992 (un atto barbarico che distrusse manoscritti medievali non ancora pubblicati o riprodotti, e incunaboli non ancora ristampati).

 Per me è sorprendente come in tutti i suoi libri George Steiner non si impegni mai in una discussione della teoria di René Girard. Penso che la sottovaluti, o che addirittura essa gli ripugni. In effetti, Girard è un riccio, e Steiner una volpe. In ogni caso, tutte le volte che Steiner si avvicina alla mimesi, manca di coglierne l'aspetto negativo, satanico, dionisiaco. Come si vede in Grammatiche della Creazione alle pagine 154-155.  

Alcuni processi incominciano a delinearsi. Come decretò Aristotele, il bisogno di mimare, il piacere della mimesi e dell'imitatio, è universale negli uomini e nei primati. Lo specchio è una finestra infinitamente affascinante, persino quando deride. L'imitazione potrebbe essere la fonte delle arti rappresentative, della letteratura e, in modo ancora più evidente, dei generi teatrali arcaici. Esiste un impulso elementare a tracciare disegni sulle pareti delle caverne, a raccontare e a rappresentare storie e situazioni, a riprodurre paesaggi con la loro fauna umana e animale o, in breve, a ri-creare la vita nella forma riconoscibile a ciò che è simile a essa. Così il realismo rimane un nodo centrale e insolubile, il retaggio di un bisogno istintivo di riproduzione, persino nelle espressioni più fantastiche e meno oggettive (il centauro rimane sempre mezzo-uomo e mezzo-cavallo). In particolare, l'osservazione mimetica genera personaggi. La finzione imita la realtà notata, registrata, esplorata. Ogni arte è, a un certo livello, à clé. Rivela in modo più o meno trasparente la sua fonte materiale, la variegata materia grezza del mondo esistente. Le personae sono di solito composte da diversi pezzi, come in un mosaico. Salvo nella caricatura o nella satira ad hominem, non sono però copie puntuali. Il collage e il montaggio sono modi per costruire i personaggi più antichi di Omero. Di nuovo, il processo è combinatorio. Nessuno, nemmeno l'autore, può dire quanti frammenti presi dalla vita, interiore ed esteriore, quante risorse naturali, entrano nella costruzione di un Achille o nella distillazione di un Malvolio.

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 V.S. Naipaul pubblicò Un'area di tenebra (An Area of Darkness) nel 1964. La prima edizione Adelphi, con la traduzione di F.Salvatorelli, è del 1999. Lo spazio di tempo è notevole, ma si può capire. Il centro concettuale del libro è rappresentato dal defecare umano, che in India avviene tradizionalmente all'aperto, in ogni dove. Questa defecazione senza legge e misura, ma nello stesso tempo invisibile, su cui Naipaul insiste a più riprese, è indice di un ritardo culturale forse incolmabile del Paese dell'Anima, dove molti occidentali vanno a cercare il senso della propria vita, trovandolo in una tradizione immobile e immobilizzante.  

Un concetto orientale della dignità e della funzione, fondato sull'agire simbolico: questo il pragmatismo corrotto e pericoloso della casta. Abito simbolico, cibo simbolico, culto simbolico: l'India è esperta di simboli e di inazione. L'inazione nasce dalla funzione proclamata, la funzione dalla casta. L'intoccabilità non è l'effetto più importante del sistema: solo un concetto occidentale della dignità l'ha resa tale. Ma al cuore del sistema c'è la degradazione del pulitore di latrine, e quel noncurante defecare su una veranda osservato da Gandhi nel 1901.

"Non appena caduta l'intoccabilità, il sistema castale sarà purficato". Sembra un esempio di ambivalenza gandhiana e indiana. Si potrebbe anche interpretare la frase come un riconoscimento dell'inevitabilità della casta. Ma è un giudizio rivoluzionario. La riforma agraria non convince il bramino di poter mettere mano all'aratro senza disonorarsi. Assegnare premi ai bambini per atti di coraggio non elimina l'idea che è imperdonabile rischiare la propria vita per salvarne un'altra. Riservare impieghi pubblici agli intoccabili non aiuta nessuno. È un attribuire responsabilità a persone non qualificate; e la situazione dei funzionari intoccabili, sempre preceduti da questa nomea, è intollerabile. È il sistema che va rigenerato, la mentalità di casta che va distrutta. Così Gandhi batte e ribatte sugli stessi punti, la sporcizia e gli escrementi dell'India, la dignità del pulire latrine, lo spirito di servizio, il lavoro fisico. Visto dall'Occidente il suo messaggio appare limitato e bizzarro; ma è solo che a una partecipe visione coloniale dell'India egli applica elementari criteri occidentali.

Dall'India Gandhi fu distrutto. Diventò un "mahatma". Andava venerato per ciò che egli era; il suo messaggio era irrilevante. Gandhi eccitò l'"informe spiritualità" dell'India; risvegliò tutta la passione indiana per l'autoumiliazione al cospetto del virtuoso, autoumiliazione che il Kāmasūtra avrebbe approvato, in quanto favorisce le sorti oltremondane di un uomo, non lo induce a lunghe e difficili fatiche, ed è nel contempo gradevole. L'azione simbolica era la maledizione dell'India. Pure, Gandhi era abbastanza indiano per aver commercio con i simboli. Così, la pulitura delle latrine diventò un rito occasionale, virtuoso perché sancito dalla grande anima; la degradazione del pulitore di latrine continuò. L'arcolaio, il filatoio a mano, non conferì dignità al lavoro manuale; fu soltanto assorbito nel grande simbolismo indiano, e il suo significato rapidamente svanì. Gandhi rimane un tragico paradosso. Il nazionalismo indiano si sviluppò dal revivalismo indù; questo revivalismo, da lui ampiamente promosso, rese certo il suo definitivo fallimento. Gandhi fu politicamente vittorioso perché era venerato; fallì perché era venerato. Il suo fallimento è lì, nei suoi scritti: egli è ancora la guida migliore all'India. È come se in Inghilterra Florence Nightingale fosse diventata una santa, con dappertutto statue in suo onore, il suo nome su tutte le labbra; e gli ospedali fossero rimasti come lei li aveva descritti.

Il fallimento di Gandhi è più profondo. Perché nulla scuote tanto l'indiano in modo da renderlo più saldamente statico, nulla lo istupidisce e lo spoglia della sua grazia abituale, quanto il possesso di un sant'uomo. (p. 96-97).

14 ottobre 2003

DUE LIBRI