DUE LIBRI, UNA PAGINA (36)

Letture di Fabio Brotto

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Pare che ultimamente tra i cattolici italiani solo persone anziane siano capaci di parlare liberamente, dicendo cose che tutti, o quasi, sanno ma - ipocritamente - preferiscono non dichiarare apertamente. Lo aveva fatto qualche anno fa P. Prini ne Lo scisma sommerso, in cui mostrava come il laicato cattolico praticante fosse ormai del tutto disobbediente - soprattutto in materia di etica sessuale - ai precetti del clero. Lo fa Michele Ranchetti nel suo Non c'è più religione (Garzanti, 2003), un libro molto amaro. Ne riporto un passo che mi sembra contenere un nucleo concettuale importante. Anche perché il presente pontificato colpisce credenti e non credenti per la sua abnorme, vorrei dire mostruosa, tendenza a proclamare santi a migliaia, con una spinta quantitativa impressionante. Ricorda qualcuno i tempi del dissenso cattolico? Io fui un cattolico dissenziente - non so se sono ancora cattolico, dissenziente senz'altro. Ricordo un penoso incontro con Albino Luciani, il patriarca di Venezia, futuro papa e, pare, futuro santo: eravamo andati da lui in due, studenti universitari entrambi, per persuaderlo ad un proclama sulla non violenza, un pronunciamento pubblico di condanna della guerra in occasione del 4 novembre. Avrebbe dovuto dire che la prima guerra mondiale era stata un'inutile strage. Gli chiedevamo un gesto profetico contro la guerra. Con noi fu freddo, duro ed evasivo. Non ne volle sapere, e la sua incapacità di dialogo ci sconcertò. Adesso lo vogliono fare santo, perché pare che ultimamente tutti i papi debbano risultare santi…

… le proclamazioni indiscriminate di santi: dalla contemporanea proclamazione di santi tra di loro incompatibili, ascritta alle innumerevoli possibili forme di esercizio della santità, alle più recenti proclamazioni di santi che probabilmente non hanno mai messo piede su questa valle di lacrime, e sono passati direttamente da cielo a cielo. È una strategia che ricorda da vicino quella del supermercato che deve provvedere a tutti i bisogni del cliente offrendo il maggior numero di merci sacre. E testimonierebbe di un mutamento radicale di prospettiva rispetto alla tradizione della confessione di fede cristiana, di cui non si avverte la motivazione religiosa che pur dovrebbe reggerla. Allo stesso modo è difficile interpretare il senso dei viaggi del pontefice, che all'apparenza somigliano sempre di più a una esibizione, pura e semplice, di un capo carismatico non certo giustificata dalle sue parole di una disarmante banalità, e richiamano il peccato di idolatria.

Ma il fatto è che tutto questo avviene nel silenzio, come se fosse una calamità d'ordine naturale, cui è insensato opporsi. Il silenzio della "cultura" che non fa sentire nessuna voce di dissenso o almeno di prudente preoccupazione. Silenzio dei vertici del magistero, allineati nell'ossequio, o subito tacitati. Silenzio di storici, di filosofi, di teologi, di intellettuali, di letterati, di poeti. Silenzio anche di anticlericali, la cui tradizione, già presente in Italia, sembra dispersa. Tutti zitti e buoni, tranne qualche predicatore isolato, qualche monaco. E questo silenzio è il risultato di una distruzione non sistematica ma puntigliosa di ogni forma di cultura religiosa. Nei ginnasi e nei licei non è impartita alcuna istruzione religiosa, nelle università chi si occupa di queste materie è visto come un nostalgico del medioevo e del suo oscurantismo, ed è subito ritenuto uno spretato. I filosofi spiegano Hegel senza avere alcuna nozione di teologia, come se il suo pensiero sorgesse dalla sua testa, e se si nutrono di Heidegger ignorano la sua formazione teologica. Se mai qualche interesse rivestono gli insegnamenti di storia delle religioni, le cui aule sono ben più frequentate da giovani che sperano di trovare alimento in discipline ritenute esoteriche e forse solo per questo più prossime ai loro bisogni di una vaga spiritualità. Ma tutto questo non avviene a caso: è il frutto di una volontà precisa da parte delle gerarchie cattoliche che sono riuscite nella grande impresa di ridurre la "religione" all'appartenenza alla chiesa cattolica apostolica romana.

Condivido ogni parola.

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Aprile spezzato di Ismail Kadaré (trad. italiana di F. Celotto, Guanda, Parma 1993) è un romanzo molto interessante dal punto di vista antropologico. Come romanzo in sé lo trovo solo parzialmente riuscito: bello nella parte strettamente "albanese", con la natura selvaggia e soprattutto con le istituzioni che regolano la vita sull'altopiano facendone un unicum umano; abbastanza scontato e debole nella parte "sentimentale" con la coppia intellettuale raffinato - moglie bellissima in viaggio tra i "selvaggi", tra curiosità intellettuale e snobismo, fino al naufragio di un amore evidentemente fragile. La descrizione di un popolo che vive sotto la strettissima legge del Kanun (il canone, l'insieme delle norme consuetudinarie ferree nel controllo della violenza mediante la regolazione delle faide) è mirabile. Il paesaggio stesso, segnato dalle kulla, le case-torri in cui le famiglie chiudono i loro membri che hanno commesso l'omicidio cui erano assolutamente obbligati dalla bessa (o besa), ovvero la parola d'onore che è imperativo morale, un paesaggio ferrigno e minaccioso, rende bene il senso di una società che contiene in sé una carica di violenza straordinariamente intensa, che deve in qualche modo essere scaricata per evitare un'esplosione generale. Il modo in cui questo si realizza è la catena delle vendette sapientemente regolata, in cui l'uccisore è a sua volta ucciso, ma secondo un rituale minuziosissimo che impedisce il contagio mimetico generalizzato. Ennesima variante sul tema antropologico universale del capro espiatorio, questo romanzo è un mezzo capolavoro. L'amputazione della parte sentimentale ne avrebbe fatto un capolavoro assoluto.

Sulla nascita della bessa come fondamento della società albanese Kadaré ha scritto un romanzo-mito: Chi ha riportato Doruntina (1979).

 

17 luglio 2003

 

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