DUE LIBRI, UNA PAGINA (102)

Letture di Fabio Brotto

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Una storia vera dei nostri giorni è il sottotitolo del libro di Mauro Paissan Il mondo di Sergio (Fazi Editore 2008). Un libro che non è un romanzo, ma appunto una storia vera, terribile e angosciante, che ha come protagonisti Sergio Piscitello e la sua famiglia. Sergio è autistico, e per di più sordo, e suo padre e sua madre (Salvatore dentista, Elvira insegnante) combattono per 39 anni una battaglia disperata tra l’incomprensione delle istituzioni e le pastoie della burocrazia, e l’incompetenza e la disonestà di psicologi e psichiatri. Fino al tragico esito finale: un padre settantacinquenne che uccide con due colpi di pistola il figlio trentanovenne dopo l’ennesimo episodio di violenza estrema di Sergio contro i genitori.

La lettura di questo libro è un pugno nello stomaco ed un oggettivo atto d’accusa. Mauro Paissan tesse il racconto delle tappe di questa vicenda amarissima con una forte partecipazione umana, e con grande capacità di fornire, raccontando, informazioni sull’autismo e le condizioni degli autistici in Italia. Paissan dà spesso la parola al padre e alla madre (utilizzando anche il diario di Salvatore), e questo accresce l’impatto del libro, che comunica desolazione, impotenza, solitudine e insieme la determinazione di lottare fino all’estremo delle forze. Purtroppo infine l’estremo delle forze è raggiunto, e la famiglia intera precipita nell’abisso.

Sanità, scuola, regioni ed enti locali, associazionismo: anche nelle situazioni più favorevoli, più positive, è difficile che si realizzi collegamento, rete, sinergia, integrazione a favore della persona in gravi difficoltà. Gli interventi rischiano di annullarsi a vicenda nella concretezza delle situazioni personali. Tutto ciò è evidentissimo nella contraddittoria esperienza della famiglia Piscitello.

Le famiglie delle persone autistiche si trovano a convivere con la lacerante consapevolezza di essere soli nei momenti in cui occorre affrontare le peggiori crisi dei propri figli.

Soli, inoltre, a decidere in merito alla validità di trattamenti riabilitativi, molto spesso a pagamento, che si rivelano non di rado inefficaci; soli a far fronte alle problematiche che emergono in ambito scolastico; soli a constatare che l’approccio medico/farmacologico per problemi normali nei bambini trova talvolta una risposta di effetto paradosso nei soggetti colpiti da autismo; soli a prendere atto della disinformazione o assenza di consapevolezza che esiste nella pubblica opinione nei riguardi dell’autismo, in parte motivata dalla scarsa visibilità esteriore della disabilità stessa; soli a constatare l’assenza di un legame che consenta interventi coordinati tra i mondi: accademico, medico, riabilitativo, scolastico, istituzionale, dei mass media e sociale; soli ad accettare che un trattamento odontoiatrico comporta per il proprio figlio/a l’anestesia generale; soli a combattere, spesso invano, la quotidiana battaglia per il rispetto dei diritti essenziali dei figli.

Per i casi più gravi, come quello di Sergio, si staglia davanti la parola reclusione: reclusione in un istituto o, più spesso, reclusione in casa, in una famiglia a sua volta isolata. (pp. 100 - 101)

Come risulta dalla prefazione di Stefano Rodotà e dalle conclusioni di Paissan, chi esce meglio dalla vicenda sono la magistratura, che comprende le ragioni del gesto di Salvatore e commina una pena lieve, e della Presidenza della Repubblica, che concede una sollecita grazia. C’è poco da aggiungere: si può solo sperare che anche questo duro e veridico libro possa contribuire, scuotendo le coscienze, alla causa del miglioramento della condizione delle persone con autismo e delle loro famiglie.

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Un romanzo di grande valore è Il viaggio di Lewi di Per Olov Enquist (Lewis resa, 2001, tra. it. di K. De Marco, Iperborea 2004). Si tratta di un romanzo storico-documentario, in cui ai protagonisti principali, Lewi Pethrus e Sven Lidman, le due colonne del movimento pentecostale svedese, si affianca un personaggio decisivo ma inventato, Efraim, al cui Lebenslauf, il manoscritto in cui la coscienza del fedele affida la sua vita, lo scrittore attinge per la sua sapientissima narrazione.

Il viaggio di Lewi  è un’opera poderosa, di 561 pagine, che richiede lettori colti e dallo spirito sensibile. Enquist dimostra una straordinaria capacità di penetrazione in un mondo che evidentemente non è il suo, quello di un movimento di risveglio protestante anticonformista e basato su di una lettura che potremmo definire fondamentalista dei Vangeli e della Bibbia. L’intento dello scrittore è conoscitivo: egli vuole comprendere i motivi profondi che hanno portato alla trasformazione della Svezia tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento. Si tratta di una trasformazione di proporzioni abissali: quello che era uno dei paesi più poveri diviene uno dei più ricchi e più equilibrati nella spartizione delle risorse, il modello del welfare nordico, in cui le differenze sociali sono attenuate al massimo. Come è stato possibile questo cambiamento? Pochi lo sanno. Secondo Enquist è stato reso possibile dalla confluenza tra radici cristiane e socialismo. E all’interno del Cristianesimo svedese i movimenti di risveglio cristiano che si sono succeduti, in conflitto con la Chiesa di Stato luterana, hanno svolto un ruolo determinante.

Il romanzo è anche la storia di un’amicizia tra due personalità diversissime, Lewi e Lidman, che sfocia in un conflitto insanabile. Ed è anche una finestra su alcuni aspetti del Cristianesimo che non riguardano solo l’ambito luterano. Ad esempio la questione femminile. Nel Movimento le donne sono l’ottanta per cento, ma tutti i posti di governo sono degli uomini, come nella Chiesa cattolica. E le donne sono la chiave del movimento stesso. Sono in genere donne povere, sfruttate o reiette, che trovano compensazione delle sofferenze e senso della vita in un abbandono totale al Cristo. E sono donne cui si impongono un modo di vestire castigatissimo, la rinuncia a trucco e gioielli, i capelli portati nella crocchia pentecostale. Repressione della sensualità femminile come nella Chiesa delle origini.

Il problema di conciliare la signoria di Dio sulla storia umana con la marea di sofferenze e di mali che vi domina è stata per lo più risolta dalla tradizione ebraico-cristiana nei termini dell’affermazione di un’azione punitiva di Dio contro gli umani trasgressori della legge morale. Così anche nel pentecostalismo di Lewi.

Un popolo, aveva detto, e in quello stesso anno avrebbe ampliato il suo discorso programmatico nel libro Oggi gioco - domani lacrime, un popolo che evita il lavoro sano e appagante per gettarsi tra le braccia di piaceri e divertimenti non è degno di vivere e andrà incontro a un’inevitabile distruzione. La generazione odierna è scesa tanto in basso che anche il matrimonio viene considerato un mezzo per ottenere piaceri e divertimenti e viene brutalmente utilizzato a questo scopo. Di recente il maresciallo Pétain - dopo la sconfitta militare della Francia - ha tenuto una delle più autorevoli prediche di Risveglio dell’Europa dell’ultimo secolo. Ha parlato della sete di piacere. Dei contraccettivi. Del crimine rappresentato dalla decadenza morale; del minare la morale di un popolo, e con ciò la sua capacità di sopravvivenza. Questo non è il tempo dei giochi, della spensieratezza, dei piaceri e dei divertimenti. E’ il tempo della responsabilità, dello spirito di sacrificio, della disposizione all’obbedienza. Un cristiano non va a teatro o al cinema, non va a ballare, non vive una vita dissoluta. La gente chiede: come mai il mondo è afflitto da questa guerra sanguinosa, in cui vengono spazzati via milioni di persone? E io rispondo: è un salasso necessario perché il mondo non venga completamente infettato. Quando il marciume minaccia di prendere il sopravvento, simili catastrofi si abbattono sul mondo. E’ un deflusso che riporta l’equilibrio, una purificazione che allontana la rovina totale della specie. Dio fa quello che fa ogni agricoltore accorto: ripulisce i suoi campi dalla gramigna. Fa pulizia. (pp. 484 - 485)

Non è difficile vedere in queste parole l’eterno ritorno della proiezione del risentimento umano nella figura di un Dio punitore e massacratore. A Dio si fa fare ciò che noi, nel nostro intimo cuore, vorremmo fare: sterminare chi in qualche modo ci si contrappone. Espellere, purificare. L’altro volto di questo Cristianesimo entusiastico e apocalittico, il volto che Enquist sente vicino, è rappresentato dal pietoso Efraim, che si preoccupa delle vittime e degli umiliati e sconfitti.

… a volte Efraim, che scriveva di queste vittime e si interessava a loro, pensava di vedere il movimento come un grande corteo di persone che cantano, felici, salvate ed estatiche, in marcia lungo la riva del mare verso una luce lontana, guidato dai propri capi, che erano forti, carismatici e di successo, e non si lasciavano distruggere. Ma sperava che di tanto in tanto le persone del corteo sentissero il rumore fioco, quasi impercettibile, delle conchiglie che schiacciavano sotto i loro piedi, il rumore quasi inaudibile di chi veniva calpestato, e che allora pensassero alla condizione dei calpestati. Non per giudicarli, o per stabilire se quelli che calpestavano avessero torto o ragione, ma semplicemente perché erano stati esseri umani, no, perché erano ancora esseri umani. E perché Gesù Cristo era amore, ed era questo il senso del corteo; la marcia gioiosa lungo la riva verso la luce, che dopo tutto era l’amore, l’amore e il perdono di Dio, e questo valeva sia per i felici che per i calpestati, sì, anche per loro, per quelli che erano stati distrutti ed erano scomparsi dalla storia e sopravvivevano solo come un debole, quasi impercettibile

 scricchiolio sotto i piedi di chi marciava. (p. 364)
 

 

 

19 maggio 2008

 

 

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