DUE LIBRI, UNA PAGINA (1)

Letture di Fabio Brotto

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Betsabea, di Torgny Lindgren (1984, edito in Italia da Iperborea nel 1988 e riedito nel 1994) e La notte di Gerusalemme di Sven Delblanc (1983, edito in Italia nel 1988 e nel 1990 sempre da Iperborea) testimoniano del sempre vivo interesse che la letteratura dei paesi del Nord, che furono molto luterani, e ora sono molto secolarizzati, nutre per l'ambiente biblico. Misurarsi coi personaggi della Bibbia e dei Vangeli costituisce un'impresa audace per un narratore novecentesco o post-novecentesco, come si è visto anche in Italia dalla poco convincente prova offerta da La notte del lupo di Sebastiano Vassalli e da altri romanzi precedenti di altri autori. In effetti, i grandi scrittori religiosi, da Manzoni a Dostoevskij a Bernanos, ecc., non affrontano mai direttamente i personaggi biblici: la loro sapienza lo impedisce. Negli ultimi due secoli scrivere un romanzo ambientato nell'antichità è in verità cosa sconsiderata, e i risultati sono spesso deprimenti o ridicoli. Perfino la Salambô di Flaubert ci lascia delusi e scontenti. E questo perché gli studi antropologico-storici ci mostrano che gli antichi erano molto diversi da noi, mentre l'interesse della narrazione, per sua intima costituzione, ce li deve presentare simili, anzi ce li deve far vedere proprio uguali a noi. I romanzi storici antichi che si continuano a scrivere oggi, per quanto sperimentali (vedi Antiche sere di Norman Mailer) soddisfano un pubblico di massa, o intellettuali cultori della spazzatura letteraria.

La Betsabea di Lindgren è la famosa donna la cui bellezza spinge re David all'omicidio, da lui duramente pagato, come ci narra la Bibbia, che però della donna dice poco. Lindgren ne fa da un lato una sorta di sensualissima lady Macbeth, dall'altro una donna che è modernissima nella sua autocoscienza. David è ridotto, di contro, ad una specie di forza della natura, tutto corporeità e sensualità (me lo vedo interpretato da un Anthony Quinn). Dio ovviamente appare come una mera proiezione del desiderio umano. Il libro ha avuto molto successo in Francia, ricevendo il Prix Fémina. Mah.

E' più interessante il romanzo di Delblanc. La sua storia è ambientata presso le mura di Gerusalemme, mentre la città è assediata da Tito, nel 70 d.C. Il Vangelo non è qui chiamato in causa direttamente, ma se ne denuncia il fallimento. C'è un'eclisse di sole, che il narratore (la storia si presenta come una lettera scritta da un filosofo greco al servizio di Tito, Filemone di Megara) aveva previsto e che getta le superstiziose truppe romane nell'angoscia. La situazione è molto girardiana: la minaccia del caos esige una vittima, un capro espiatorio, il cui linciaggio unanime restaurerà l'ordine umano. Lo si troverà nel vecchio Eleasar, che fu seguace di Gesù, ma che ora ha perso la fede. Sarà crocifisso come il maestro, e come lui pronuncerà parole che nessuno comprende, ma che ci appaiono essere di totale disperazione. Probabilmente, Delblanc ha presente quel fatidico testo di Jean Paul (vedi il mio Divenire nulla) in cui si manifesta l'immane vuoto e insensatezza del mondo senza Dio. Eleasar racconta a Tito di aver visto Dio. "Ma questa visione non mi aiutava a recuperare la fede. Dio è: è vero, è così immensamente più grande del Dio di Israele. E' troppo grande per poter vedere e capire i nostri bisogni terrestri. Siamo un granellino di polvere nel suo occhio, niente di più, un granellino che si illumina, quasi per caso, nel raggio solare del tempo che trascorre, ma che non esiste per lui e per il suo eterno presente. E quelli che chiamiamo i suoi profeti sono nostre creazioni, fatte per essere acclamate da noi e crocifisse da noi, per essere innalzate e umiliate, mentre il creatore eterno è ed è soltanto".

 

27 agosto 2001