GLI  ARCHITETTI  E  IL  NASO

Da una cronaca metropolitana di fine millennio-Mondiali ‘90

 

Isabella Guarini

i.guarini@libero.it

 

 

Durante le lunghe ore di studio, per scacciare la noia delle pedanti descrizioni contenute nei testi di storia dell’arte in bianco e nero, io e l’inseparabile compagna di studi universitari avevamo inventato il gioco mnemonico degli odori, che consisteva nell’associare alle opere d’arte l’odore di un frutto, di un fiore o di quanto altro fosse riconducibile alla nostra esperienza olfattiva quotidiana.

In un infuocato pomeriggio di giugno, eravamo agli esordi della pittura quattrocentesca; il testo descriveva l’imposizione del nome del Battista del Beato Angelico, tavola di centimetri ventisei per trentaquattro. “Limone! Ho sentito il profumo del limone” esclamò la collega, forse suggestionata da due chiome di alberi che spuntavano dal recinto in cui si svolgeva la scena.

Così ebbe inizio  quel gioco fantasioso e dissacrante di associare la Primavera del Botticelli alla Lavanda fragrante “Coldinava”, le vedute del Canaletto all’Enne-Acca-tre (NH3) a causa dello stress subito in una giornata di acqua alta  nella laguna veneta.

Sentivamo, davvero, gli odori degli orti e degli alberi in fiore di Pissarro o dei campi di papaveri di Monet, e l’acre odore di macelleria evocato da Guernica di Picasso. Ma la  Gioconda di Leonardo restava un enigma, uno sfumato di sensazioni olfattive non descrivibile.

Notammo, però, che il gioco non si addiceva all’architettura di carta. Essa appariva senza odori, simile a resti archeologici, di cui il tempo ha spazzato via  l’odore della vita che in essi si svolgeva.Ciò perché, nell’uno e nell’altro caso, non è possibile avere l’idea dell’insieme architettonico da cui, in realtà, dipende l’odore caratteristico degli edifici. In questo caso il gioco funziona al contrario: dall’odore  all’insieme architettonico. Quando si entra   nell’atrio di un condominio basta annusare l’aria per saper dove sono localizzati i servizi igienici e le cucine. L’esperienza dimostra che gli edifici per abitazioni a blocco hanno lo stesso odore dal nord al sud, da est o ovest. È un odore internazionale ed evoca le grandi urbanizzazioni delle metropoli industriali. Anche nella più celebrata opere d’architettura moderna, come l’Unitè d’Habitation di Marsiglia, l’odore delle cucine ristagna inesorabilmente nelle caratteristiche strade interne dell’edificio. 

Diverso è l’odore degli edifici a corte ottocentesca, meno acre. Diverso ancora l’odore dei grandi chiostri compressi tra i miasmi metropolitani. I castelli hanno lo stesso odore delle chiese e delle regge.  Le metropoli sono indistintamente pregne dell’odore dei rifiuti quotidianamente prodotti. Per questo, la notizia che, in occasione dei Mondiali ’90, si sarebbe realizzato un giardino olfattivo nei pressi dello stadio, per l’occasione trasformato in mondiale, mi era  sembrata degna di considerazione.

La stampa  aveva dato l’annuncio: si sarebbe realizzato un giardino di essenze odorose della nostra terra. Non nascondo la curiosità di vedere la traduzione in “napoletano” del magico giardino orientale, così diverso dal geometrico giardino all’italiana. Mi recai sul luogo di pomeriggio, nell’ora in cui la brezza che si leva sul golfo, favorisce la funzione olfattiva. Immaginavo il profumo della macchia mediterranea, della leopardiana ginestra, della fresia, tutta napoletana, del basilico e persino del lauro, ex- Campania Felix.

Nonostante i lavori ancora in corso, non mi fu difficile individuare il luogo dove avrei dovuto esperire una simile magia olfattiva. Dico avrei dovuto, perché la realtà tradiva  l’immaginazione: poche vasche oblunghe, di cubetti di porfido, imprigionavano alcune palme ed altre piantumazioni da cui esalava un imprevedibile odore di ferrovia. Sì proprio FF.SS.!

Un odore indescrivibile di vagoni ferroviari, quelli che negli anni cinquanta trasportavano gli emigrati dal sud con la vecchia valigia di cartone. Di stazioni che, come scrive Italo Calvino “si somigliano  tutte; poco importa se le luci non riescono a rischiarare più in là del loro alone sbavato, tanto questo è un ambiente che tu conosci a memoria, con l’odore del treno che resta anche dopo che tutti i treni sono partiti”.

Non potevo credere ai miei sensi, quando un anziano signore, a spasso con il  cane, mi chiede  “Sente quest'odore? È odore di ferrovia, proviene dalle traversine di legno rimosse dai binari in ristrutturazione. Con queste hanno pavimentato la nuova piazza triangolare in onore dei Mondiali ’90. Io me ne intendo, sono un ferroviere in pensione. Questa puzza me la porto addosso da quarant' anni, non si toglie nemmeno con il diluvio universale!”!

Nel 2005, dopo solo quindici anni, le traversine sono state rimosse per accertato inquinamento del suolo da creosoto, sostanza di cui  è  imbevuto il legno per impedirne la corrosione. 

Altro che giardino olfattivo! Ora anche le stazioni ferroviarie sono diventate musei d’arte contemporanea! Staremo a vedere. 

 

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