AMORE E
RISENTIMENTO
L'assenza
della mimesi positiva nell'antropologia generativa
Pablo Bandera
Traduzione dall'inglese di Fabio Brotto
Al momento attuale la maggior parte degli studiosi girardiani ha una qualche familiarità con la teoria dell'antropologia generativa di Eric Gans. Ispirandosi inizialmente alle idee di Girard sul desiderio mimetico e sul meccanismo del capro espiatorio, Gans ha creato una teoria parallela al fine di dare una spiegazione più diretta dell'origine del linguaggio umano. Nel corso degli ultimi vent'anni, con diversi libri e innumerevoli articoli e saggi, Gans ha fornito validi approfondimenti di alcuni dei più interessanti e importanti temi della teoria mimetica: l'ostensivo come prima forma del linguaggio, la validità del pensiero originario nel contesto della teoria scientifica, ecc… Questa relazione stretta con la teoria mimetica ha dato origine ad una crescente scuola di pensiero secondo la quale antropologia generativa e teoria girardiana dovrebbero essere comprese insieme—dato che esse sono complementari, e insieme forniscono una teoria mimetica più completa e corretta. Sempre più di frequente si sente dire che «sia Girard che Gans hanno ragione», e «l'uno non può stare senza l'altro». Mentre concordo sul fatto che sarebbe stupido ignorare semplicemente una delle due teorie in favore dell'altra, penso che sia un errore accantonare le differenze tra di esse o trattarle come puramente incidentali. Le differenze tra l'antropologia generativa e la teoria mimetica sono significative, non solo perché esse propongono differenti insiemi di condizioni per la nascita della cultura umana, ma anche perché queste condizioni alla fine conducono ad una comprensione molto diversa dell'umanità stessa. Io intendo mostrare che, anche se l'antropologia generativa dà un importante contributo alla teoria mimetica in generale, la logica della scena originaria e le sue implicazioni sono in realtà fondamentalmente incompatibili con la comprensione girardiana del desiderio mimetico.
Non vi è nulla di particolarmente scandaloso nell'affermazione che l'antropologia generativa e la teoria mimetica (come concepita da Girard) sono incompatibili nel senso che esse propongono idee fondamentalmente differenti e infine non possono aver ragione entrambe, almeno non nella forma che hanno ora. In effetti dubito che Eric Gans o René Girard sarebbero in disaccordo con questa affermazione in sé. Gans non ha soltanto apportato qualche modifica alla teoria mimetica, ma ha sviluppato una teoria interamente nuova (col suo nome proprio e con un sito web indipendente).
Quello che potrebbe essere meno ovvio è che l'antropologia generativa, nel processo di alterazione dei dettagli strutturali della scena originaria, ha alterato la natura dello stesso desiderio mimetico. Per quello che ne so, non era questa l'intenzione di Gans. Considerando il fatto che la comprensione girardiana del desiderio umano, derivata dalle visioni intuitive dei grandi romanzieri, è precisamente ciò che conferisce alla teoria mimetica il suo potere di convinzione, qualsiasi cosa cambi quella comprensione richiede che ci fermiamo a riflettere. Come minimo, ci suggerisce che la combinazione delle idee di Girard e Gans in una sorta di teoria mimetica unificata non è una conseguenza immediata.
La logica della scena originaria
La scena originaria è un insieme ipotetico di condizioni che danno luogo all'ominizzazione—una descrizione del momento (e degli eventi che conducono ad esso) in cui per la prima volta gli ominidi hanno varcato la soglia dell'umanità. Per Girard, ovviamente, questo è il meccanismo del capro espiatorio, al culmine del quale vi è l'espulsione della vittima. Nell'antropologia generativa, il momento cruciale è il gesto di appropriazione interrotto, che non implica affatto necessariamente una vittima. Tra l'altro, questo ha ovvie implicazioni teologiche, su cui si è discusso molto. Ma tutto questo non ha a che fare con lo scopo di questa mia comunicazione, che si occupa piuttosto delle implicazioni logiche della sostituzione della vittima col gesto interrotto. Per Gans, ciò che definisce l'umanità è la capacità di linguaggio. Di conseguenza, l'antropologia generativa è anzitutto una teoria dell'origine del linguaggio. Poiché il linguaggio umano è una forma di rappresentazione cosciente, il primo momento del linguaggio, e pertanto il momento cruciale dell'ominizzazione, deve essere stato cosciente. Questo si oppone al processo di vittimizzazione di Girard, che implica una sorta di meccanismo subconscio. Di qui il bisogno di una differente scena d'origine.
Il gesto di appropriazione interrotto è fondamentalmente un modo diverso di porre termine alla crisi mimetica, un modo che implica attenzione cosciente piuttosto che un meccanismo subconscio. Ma secondo la logica della crisi mimetica di Girard vi può essere soltanto uno sbocco: l'espulsione di una vittima. Pertanto, un cambiamento nella fine implica un cambiamento nel processo stesso—una comprensione differente della mimesi stessa.
Nel suo libro Signs of Paradox, Gans spiega brevemente (troppo brevemente) la logica di base della crisi mimetica che conduce al gesto di appropriazione interrotto. La sua sbrigativa descrizione di questo come controintuitivo tradisce forse un certo disagio nel riconoscere che egli si sta separando dalla logica intuitiva della teoria mimetica, dalla quale inizialmente ha derivato l'antropologia generativa. A differenza dalla teoria di Girard, in cui il conflitto mimetico crescente corrisponde ad un'attenzione decrescente verso l'oggetto del desiderio, l'antropologia generativa assume l'opposto… «…mentre l'imitazione [del comportamento del modello] diventa più intensa, essa si focalizza di meno sul comportamento del modello e di più sull'oggetto verso il quale esso è diretto».
La ragione di ciò è piuttosto semplice: tanto più un ominide si identifica con un altro ominide mediante l'imitazione, tanto più vede come proprio l'oggetto di appropriazione dell'altro. Conseguentemente, imitare le azioni dell'ominide verso l'oggetto porta il soggetto verso il medesimo oggetto, rinforzando questo come centro dell'attenzione. Questo è certamente facile da immaginare nel caso di una singola manovra verso l'oggetto: l'ominide A punta ad una mela, l'ominide B vede ciò e punta alla medesima mela, dando magari durante il processo uno spintone all'ominide A. Ma questo non contribuisce molto a spiegare perché il livello di violenza dovrebbe aumentare. Ovvero, come accade che la mimesi diventi crisi mimetica? Assumendo che l'ominide B non prenda la mela (il che eliminerebbe ogni possibilità di gesto di appropriazione interrotto), l'ominide A deve replicare con uno spintone, seguito da un altro da parte dell'ominide B, ecc…. Ora i due ominidi stanno lottando e precisamente non puntando più alla mela, ma questa è la crisi mimetica di Girard, non quella di Gans. Se l'attenzione degli ominidi si focalizza sempre di più sull'oggetto, allora noi siamo tentati di immaginare ciascun ominide che si protende con sempre maggior forza verso l'oggetto con una mano mentre con l'altra spinge sempre più fortemente gli altri ominidi. È questo con sempre maggior forza che è difficile da immaginare. In realtà, secondo l'antropologia generativa la funzione del gesto interrotto è effettivamente quella di differire la violenza in primo luogo. Secondo Gans «il gesto di appropriazione interrotto si dà come soluzione di una crisi mimetica originaria nella quale l'esistenza del gruppo è minacciata dalla violenza potenziale della rivalità mimetica per un oggetto».
Pertanto, si
tratta qui di una crisi di tensione intorno ad una violenza potenziale piuttosto che alla violenza stessa. Ma che cosa
significa tensione in un gruppo di animali pre-umani, e ancora perché questa tensione
dovrebbe crescere mimeticamente in assenza di qualsiasi violenza? Adam Katz ha anche lui evidenziato questo problema in una
discussione della «paurosa simmetria» della scena originaria. Egli ha notato
che la tensione non può essere dovuta a ciascun
ominide del gruppo che si preoccuperebbe di quello che l'ominide più vicino a
lui farebbe se lui stendesse la mano verso l'oggetto del desiderio.
Ma allora che cosa rende temibile la
simmetria, se non il fatto che in qualche punto del gruppo la violenza ha già
avuto inizio? E non significa questo che il segno
ostensivo allontana un contagio mimetico in atto? In questo caso il gesto
interrotto diventa un segno in distinzione dal contagio.
Katz correttamente indica che una crisi mimetica
nella comunità pre-umana, se deve essere davvero una crisi, deve implicare
l'esistenza di una violenza effettiva, così che il gesto interrotto non tanto
differisce la violenza quanto si stacca da essa.
Questo è un affascinante tentativo di risolvere il problema distinguendo tra il
gesto interrotto e la crisi mimetica che vi conduce. In questo contesto, quel che si presuppone è che il contagio mimetico
stesso debba essere di natura più girardiana, e che il gesto interrotto
debba darsi nel mezzo di questo. Ma in tal caso gli
ominidi implicati nella crisi saranno sempre più concentrati l'uno sull'altro
generando una massa sempre più indifferenziata, rendendo improbabile che un
qualsiasi gesto verso l'oggetto sia notato o perfino tentato. Nell'antropologia
generativa c'è un processo di indifferenziazione, ma a
differenza dalla scena mimetica di Girard, che disloca e infine dimentica
l'oggetto centrale del desiderio, questa indifferenziazione è in opposizione
diretta all'oggetto centrale. In effetti, ciò che cresce nella crisi mimetica non è solo il grado di indifferenziazione, ma una
differenziazione tra la massa indifferenziata e l'oggetto di desiderio che
diventa sempre più centrale. La crisi mimetica di Girard termina in un simile
scenario di tutti-contro-uno
tra la folla e la vittima, ma soltanto come improvvisa e inevitabile ultima
risorsa di una massa sempre più indifferenziata. Alla fine, ognuno è unito agli
altri contro il centro (cioè la vittima). Il processo di indifferenziazione di Gans è il correlativo della
separazione graduale tra la massa e l'oggetto. Ognuno sta combattendo contro
ciascun altro intorno al centro.
Possiamo esprimere questa differenza ancor più concretamente sul livello minimo del triangolo mimetico tra soggetto, oggetto e modello che mostra il grafico . Nella teoria mimetica, mentre la crisi mimetica si intensifica la relazione tra soggetto e modello si rafforza (la linea che li unisce si ingrossa), mentre la relazione di ciascuno all'oggetto si indebolisce (le linee si assottigliano). Nell'antropologia generativa possiamo dire che la relazione triangolare sia rovesciata. Mentre la crisi mimetica progredisce, la relazione tra soggetto e modello si indebolisce, mentre si rafforza quella di ciascuno all'oggetto.
Il fatto è che questa logica controintuitiva nell'antropologia generativa non può essere evitata. Essa è necessaria per allestire la struttura centro/periferia della scena originaria, in cui la concentrazione è mantenuta sull'oggetto centrale, e vi è una sorta di bilanciamento tra il potere di attrazione del centro e le forze della periferia che si respingono vicendevolmente. Tutti i gesti verso l'oggetto centrale debbono essere gesti competitivi di appropriazione (anziché gesti di espulsione unitari), altrimenti non vi sarebbe alcuna ragione per interrompere alcun gesto. Questo è ciò che consente alla crisi di culminare in un evento cosciente—la rappresentazione cosciente dell'oggetto centrale che è la nascita del linguaggio e dell'umano. Chiaramente non si tratta di un mero aggiustamento o di una riapplicazione della teoria mimetica. Infatti si incardina su di una scena originaria che essenzialmente rovescia la mimesi girardiana.
Amore contro risentimento
La richiesta dell'antropologia generativa che l'evento originario cruciale sia presente alla coscienza deriva dall'affermazione che la caratteristica che definisce l'umano è il linguaggio. Questo potrebbe essere il nucleo della differenza tra antropologia generativa e teoria mimetica. Per Girard, l'origine dell'umano è più propriamente l'origine del pensiero trascendente, dal quale sono derivate tutte le caratteristiche strettamente umane, incluso il linguaggio. Se noi pensiamo il pensiero trascendente come una verità che, come la verità del messaggio evangelico, ci colpisce in modo sovversivo, a dispetto di noi stessi, indipendentemente dalle nostre volontà, allora intuitivamente acquista senso che questo sia avvenuto mediante qualche meccanismo non conscio. Esso deve prendere qualcosa all'esterno della coscienza per destare la coscienza di sé. In quel momento cruciale in cui la massa indifferenziata ha guardato per la prima volta la vittima e l'ha vista come qualcosa di altro dalla massa, oscillante sul limite tra distruzione e salvezza, il pensiero trascendente è stato per la prima volta sperimentato come un senso di timore reverenziale. Questa esperienza originaria di timore reverenziale è sopravvissuta nell'animo umano come l'angoscia di Kierkegaard o l'esistenziale trascendentale di Rahner.
Nell'antropologia generativa il pensiero trascendente non è un prerequisito del linguaggio, ma è definito dal linguaggio. «La generazione della trascendenza (verticale) dall'immanenza (orizzontale)» è precisamente la stessa cosa della «generazione della significazione linguistica dalle relazioni appetitive» (o almeno accade simultaneamente ad essa). Il momento cruciale si dà quando la mimesi acquisitiva è improvvisamente bloccata, quando l'oggetto di desiderio viene riconosciuto come qualcosa che non si può ottenere fisicamente. Pertanto, nell'antropologia generativa la prima esperienza di pensiero trascendente è il risentimento. Per di più, questa esperienza non è confinata in quel primo momento. Un principio basilare del pensiero originario dell'antropologia generativa è che tutte le azioni strettamente umane—linguaggio, arte, amore, consumismo del libero mercato—in ultima analisi possono essere riportate alla scena originaria. In effetti, la natura del differimento della violenza che risulta dal primo segno linguistico è tale che la crisi mimetica originale è traslata dalla sfera dei desideri appetitivi immanenti (ci si imita l'un l'altro verso il centro) alla sfera del trascendente (si imita il centro verso il segno), mediante quello che Gans chiama «il paradosso estetico» (1). Questo ha l'effetto di estendere la crisi mimetica indefinitamente nel tempo, così che tutta l'esperienza umana è un riflesso di questa prima esperienza di risentimento (2).
Se la differenza nel modo in cui antropologia generativa e
teoria mimetica concepiscono la natura fondamentale del desiderio mimetico non è ancora ovvia, quest'ultimo paragone
dovrebbe chiarirla. Come testimonia il tema del convegno COV&R di
quest'anno, la teoria mimetica sostiene che nel desiderio mimetico vi è anche
una dimensione positiva. In realtà, se le relazioni
mimetiche solitamente divengono rivalitarie, specialmente in una dimensione
sociale o culturale, non vi è nulla di negativo che sia inerente al desiderio
mimetico per sé. C'è una differenza tra il desiderio mimetico, che è una
caratteristica basilare dell'umanità, e la rivalità mimetica, che è il
malaugurato sbocco finale di moltissime relazioni umane. Per usare termini più
concreti, il desiderio mimetico positivo è più
propriamente chiamato amore. Sebbene esista sempre la
possibilità che esso degradi in gelosia o possessività, nell'amore di per sé
non vi è nulla di negativo. Ma se la caratteristica fondamentale del desiderio
umano si radica nel risentimento, un risentimento che essenzialmente è
l'estensione della crisi mimetica originaria alla sfera trascendente, come
possiamo parlare di desiderio positivo? Come dobbiamo intendere la basilare capacità di amore degli
umani?
In
Signs
of Paradox Gans
effettivamente risponde a questa domanda. «…nella sfera delle relazioni intime…
i membri della coppia sfruttano ironicamente la figuralità erotica in atti di
reciproca seduzione. Nelle relazioni amorose così come, con minore intensità,
in tutte le relazioni l'autocoscienza ironica
garantisce contro il dominio strumentale di una persona da parte di un'altra».
Gans
comprende correttamente la relazione d'amore come mimetica, ma la descrive
chiaramente in termini rivalitari, nello stesso contesto
di qualsiasi relazione erotica o sessualmente manipolativa. Qui l'ironia è un
riflesso del paradosso estetico—un'espressione cosciente dell'interiorizzazione psicologica della contraddizione che
circonda il segno originario. L'«autocoscienza ironica» si riferisce ad una consapevolezza che in
questa precaria relazione con l'Altro si è simultaneamente soggetti e modelli.
Allora ogni relazione d'amore implica un grado di mutua manipolazione e
resistenza, seduzione e risentimento, ciascuno reagendo all'altro in una sorta
di tiro alla fune rivalitario. Secondo Gans «una relazione amorosa
soddisfacente… deve generare e coltivare la differenza piuttosto che
l'identità». Questo è l'unico modo per stabilizzare una crisi mimetica
innescata dalla rivalità indifferenziata.
Questo
è in netto contrasto con la visione di un donarsi reciproco e di un amore non
rivalitario che è postulata dal desiderio mimetico positivo
di Girard. Nel capitolo quinto del Girard's Reader, Girard scrive: «Sento sempre questa domanda: 'Qualsiasi desiderio è mimetico?'. Non nel senso
conflittuale, cattivo. Non vi è nulla di più mimetico del desiderio di un bambino, e tuttavia esso è buono. Lo stesso Gesù dice
che è buono. Desiderio mimetico è anche il desiderio di Dio».
Gans, tuttavia, critica Girard perché
seguirebbe la visione naïve del cristianesimo primitivo…
«[Secondo
Girard] noi dobbiamo abolire la violenza scarificale o periremo: utopia ora o
annientamento. Ma se così fosse noi saremmo davvero
già condannati. Nell'utopia nonviolenta dell'amore universale non vi sarebbe a
disposizione alcun mezzo per compiere l'operazione culturale essenziale della
differenza: il differimento mediante la differenziazione». Questo sarebbe vero soltanto se
l'amore fosse di natura fondamentalmente rivalitaria, come qualsiasi crisi
mimetica. Girard riconoscerebbe che un'«utopia» di relazioni non rivalitarie non è realizzabile nella realtà su una larga
scala sociale o culturale, ma ciò è dovuto in ultima
istanza alla nostra stessa debolezza e non alla logica inerente al desiderio
mimetico per sé stesso. Relazioni non rivalitarie sono in linea di principio
possibili, e in effetti sono richieste individualmente
a ciascun cristiano. Gans anche in linea di principio non ammette questa
possibilità. Semplicemente, nell'antropologia generativa non c'è alcuno spazio
per la mimesi positiva.
Ritornando alla scena originaria, noi
possiamo scorgere questa differenza in quello che un fisico potrebbe chiamare
lo «stato» della comunità nel momento cruciale dell'ominizzazione. Consideriamo
un sistema fisico stabile come un'asta appesa da uno dei capi, come un pendolo.
Quando l'asta pende immobile si dice che è in uno stato di equilibrio
stabile. Al fine di rimuovere l'asta da questo stato deve essere introdotta una
certa quantità di energia—cioè occorre un qualche
sforzo per spingere l'asta spostandola dalla sua posizione di equilibrio e
farla oscillare. Di norma, un qualche meccanismo fisico (attrito sul perno o
resistenza dell'aria) impedisce all'asta un'oscillazione eccessiva. Ma se l'effetto di questo meccanismo si riduce, e se vi si
applica troppa energia, il sistema può oscillare in modo incontrollabile, e
l'unico modo di fermarlo è quello di scaricare quell'energia.
Quando Girard afferma che
l'espulsione della vittima «stabilizza» la comunità intende precisamente questo. La comunità mimeticamente instabile
diviene realmente stabile mediante la scarica di energia
violenta. I membri di questa comunità durante questo periodo di stabilità non
cessano di desiderare—non ritornano ad una condizione di animalità
preumana—essi semplicemente sperimentano desideri che non sono necessariamente
rivalitari. È questo periodo di stabilità (per quanto corto possa essere)
che apre la possibilità di un desiderio mimetico positivo.
Nell'antropologia generativa il gesto di appropriazione interrotto non è compreso come una scarica
di energia ma come un differimento della violenza. La crisi mimetica è
realmente sospesa nella nuova sfera trascendente del segno, e mantenuta lì
indefinitamente. Pertanto la nuova «stabilità» realizzata dal segno si deve più
correttamente intendere come un equilibrio instabile. L'asta
improvvisamente si trova bilanciata sul punto terminale, come un pendolo invertito.
In questo stato precario una qualsiasi introduzione di energia
inclinerà l'asta e imprimendole un'oscillazione. Gans riconosce questa tendenza
della comunità a collassare nella violenza. Egli la chiama sparagmos e
la presenta come una reinterpretazione del meccanismo vittimario di Girard. Qui
si ha il violento scaricamento della tensione mimetica che alla fine stabilizza
il gruppo (solo nella sfera fisica immanente), ma esso avviene dopo il momento
cruciale, dopo che la cultura umana è nata mediante la produzione del segno. La
stessa esperienza originaria, l'esperienza che definisce l'umanità e il
desiderio umano, è il risentimento basato su di un equilibrio instabile che non
ha alcuna possibilità se non quella di inclinare verso la rivalità.
Che siano espresse come un
triangolo o come un pendolo, le logiche del desiderio mimetico della teoria
mimetica e dell'antropologia generativa appaiono essere non solo differenti, ma
in relazione reciprocamente inversa. E tuttavia come teoria del linguaggio
l'antropologia generativa non si oppone direttamente alla teoria mimetica. Gans
non presenta la sua teoria come rivale di quella di
Girard, ed essa non dovrebbe essere pensata come tale. L'intenzione primaria
era quella di dar conto di certi aspetti del
linguaggio umano entro la scena originaria dell'ominizzazione, e non quella di
ridefinire il concetto base del desiderio mimetico. Nondimeno,
la ridefinizione c'è stata, e non può essere sorvolata a cuor leggero.
L'obiettivo degli studiosi della teoria mimetica dovrebbe essere quello di
applicare le preziose e importanti intuizioni dell'antropologia generativa nel contesto della teoria mimetica corrente (cioè più
strettamente girardiana). Questo ovviamente potrebbe alla fine tradursi in una
modificazione delle idee originarie di Girard (3), ma probabilmente non alle
spese delle sue idee basilari circa la natura dello stesso desiderio mimetico.
Uno
scenario possibile
Come primo abbozzo di uno sforzo verso questo
obiettivo, propongo di ritornare, in un certo senso, all'antropologia
generativa come è presentata nel libro di Gans The
Origin of Language.
In questa prima fase dell'antropologia generativa, il gesto di
appropriazione interrotto avviene dopo
l'espulsione della vittima, e spiega come il primo segno possa aver offerto ai
membri della comunità un mezzo col quale dividere o spartire tra tutti la
vittima in assenza del solito ordine di beccata animale. Ma, si chiede Gans, se
il primo segno si dà in uno stato di relativa pace (cioè
nel periodo di pace che segue la crisi mimetica), allora che cosa ha a che fare
la crisi mimetica con tutto ciò? Come ha scritto in una delle sue recenti Chronicles
of Love & Resentment, «Né evidenza né logica
ci obbligano a derivare il momento originario dall'aggressione contro un membro
marginale del gruppo protoumano stesso, o contro un qualsiasi altro protoumano».
Io spero che questo mio intervento abbia mostrato come questa affermazione non sia corretta. La natura del momento
originario (sia esso radicato nel timore reverenziale oppure nel risentimento),
e le sue implicazioni nella cultura umana, sono funzioni dirette della logica
della crisi mimetica che conduce a quel momento. Considerato che la teoria
mimetica ha dato prova di essere una potente e convincente spiegazione della
cultura umana, dobbiamo prendere sul serio la logica del desiderio mimetico che in effetti ci obbliga a postulare una vittima protoumana.
La rimozione della vittima cambia ogni cosa.
Pertanto, sarebbe bene non essere
troppo pronti a separare il meccanismo vittimario dal primo segno ostensivo, e
vedere se questi due eventi possano realmente illuminarsi reciprocamente.
Gans ha notato che nelle più antiche pitture rupestri gli animali sono dipinti
molto più dettagliatamente (cioè apparentemente con più cura) degli esseri
umani, suggerendo che l'oggetto sacro originario fosse probabilmente una
vittima animale piuttosto che umana o protoumana. Ma se noi consideriamo il concetto secondo
cui l'espulsione originaria della vittima ha generato la capacità di pensiero
trascendente per mezzo di un meccanismo non cosciente, e il pensiero
trascendente è un prerequisito e non un equivalente del linguaggio, allora
acquista un senso che precisamente le prime
forme di rappresentazione non abbiano riguardato la vittima protoumana. Poiché
la trasformazione prodotta dall'espulsione della vittima è avvenuta ad un
livello non cosciente, la significanza
della vittima stessa non sarebbe stata compresa dalla comunità a livello di
linguaggio, come ha spiegato Gans, e pertanto non sarebbe stata rappresentata
direttamente in qualcosa come una pittura rupestre.
Tuttavia, una volta comparsa la capacità di pensiero
trascendente a qualche livello di base (quello che Girard chiama la «prima
attenzione non istintuale»)
era inevitabile un susseguente atto di rappresentazione cosciente. Questo primo
atto di rappresentazione potrebbe benissimo aver implicato un gesto di appropriazione interrotto, insieme con molti dei tratti
fondamentali descritti dall'antropologia generativa (ad esempio il paradosso
estetico). Ma poiché i membri della comunità ora sono
predisposti alla rappresentazione, per così dire, come risultato del meccanismo
vittimario originale, una crisi mimetica del tipo gansiano
non è più necessaria. Qualsiasi traccia di violenza mimetica iniziata intorno
ad un oggetto centrale desterebbe (in qualsivoglia vaga o perfino subconscia
forma) la memoria della scena originaria e ciò arresterebbe
i giovani umani in erba. Questo evita le difficoltà logiche discusse in
precedenza in relazione all'intensificazione della
«tensione» mimetica all'interno del gruppo preumano. Inoltre, ora si
può veramente pensare il segno come un differimento
della violenza prima che essa cresca, in opposizione ad un trasferimento della
violenza esistente ad una sfera trascendente.
A me pare che questo scenario incorpori i principi chiave
dell'antropologia generativa come teoria del linguaggio (benché non come teoria
della cultura) entro un quadro più girardiano. Cosa ancor più importante,
questo viene fatto senza compromettere la fondamentale
comprensione del desiderio mimetico, conservando così la potente intuizione
della teoria mimetica in generale.
NOTE
(1) Per definizione, il segno significa l'oggetto. Ma per sua natura deve fare questo solo come segno, e pertanto non come l'oggetto stesso. Nell'atto di indicare l'oggetto, il segno necessariamente indica al di fuori di sé, in questo modo tradendosi come qualcosa di altro dall'oggetto. Questo è paradossale perché il segno simultaneamente inganna («Io sono il vero oggetto di desiderio, il vero centro») e dice la verità («è bene desiderare me perché io non sono l'oggetto centrale reale»). Gans descrive questo come una «imitazione tematica dell'oggetto centrale».
(2) Questo invalida uno dei possibili argomenti a favore della compatibilità della scena originaria di Gans con quella di Girard, ovvero la proposta che il desiderio mimetico prima dell'ominizzazione sia di tipo gansiano e che dopo l'ominizzazione si trasformi nel tipo girardiano. Questo è allettante: dal momento che la comunità preumana e quelle umana sono chiaramente molto differenti, perché non applicare semplicemente il modello di Gans all'una e quello di Girard all'altra? Ma secondo l'antropologia generativa l'umanità non lascia mai dietro di sé la scena originaria gansiana, ma la rivive in ogni atto umano. Il risentimento originario definisce l'intera esperienza umana, non solo la prima.
(3) Per esempio, si dovrebbe prendere sul serio la critica di Gans secondo cui la prospettiva che la teoria mimetica offre per una comprensione gradualista o evoluzionista delle origini umane non rende giustizia all'unicità del genere umano.
OPERE CITATE
Gans, Eric. (1981) The Origin of Language.
Gans, Eric. (1997) Signs of Paradox: Irony, Resentment, and Other Mimetic
Structures.Stanford,
Gans, Eric. (2006) “GA and
Mimetic Theory I: Violence,” Chronicles of Love and Resentment 329 (
Girard, René (1996) The Girard Reader. Ed. James G. Williams.
Katz, Adam. (2004) “Remembering Amalek:9/11 and Generative Thinking,” Anthropoetics 10 (2): http://www.anthropoetics.ucla.edu/ap1002/amalek.htm.