DALLA PREDAZIONE ALLA CACCIA

Serge Moscovici 

Da La società contro natura, tr. M.Baccianini, Ubaldini, Roma 1973.

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La barriera delle risorse principali

Ricorrendo alle risorse secondarie dei primati, gli uomini sono diventati predatori ma l'equilibrio in tal modo raggiunto è tuttavia precario. Le cause che hanno determinato l'insorgere di un'attività importante a fianco a quella di raccolta continuano ad agire e a sollecitare lo sviluppo. Certo, i procedimenti e gli alimenti nuovi che entrano nel ciclo normale delle preoccupazioni quotidiane, dei comportamenti incoraggiati e riprodotti, rimangono subordinati a quelli predominanti senza che per questo insorga una resistenza irragionevole o volontaria da parte dei diversi gruppi. Gli sforzi di questi ultimi, la cui aspirazione è quella di perpetuarsi, sono per l'appunto orientati in questa direzione e tesi ad evitare le iniziative troppo ardite. La tradizione sociale e l'equipaggiamento genetico, del resto, muovono in una certa direzione e, in mancanza di un particolare meccanismo regolatore, vi sarebbe una difficoltà troppo grande nel seguire una seconda direzione che esiga qualità opposte a quelle normali proprie alla specie. La predazione doveva prima o poi toccare i limiti del suo sviluppo nel quadro dell'economia di raccolta. Separate da tensioni o anche da incompatibilità - esse non stimolano lo sviluppo delle medesime abilità, bensì suppongono un rapporto diverso con le risorse e non si esercitano neppure nel medesimo ambiente materiale.

Ma la raccolta e la perlustrazione sono attività essenzialmente passive: l'abilità necessaria per dedicarvisi si riduce spesso al riconoscimento delle piante e dei frutti, ai gesti che consentono di coglierli in vista del loro consumo immediato. Ciascun individuo, indipendentemente dall'età e dal sesso, è capace di praticarla dall'istante in cui raggiunge l'indipendenza biologica senza per questo aver bisogno né di uno strumento particolare né della collaborazione costante dei suoi simili. La flora è infatti immobile, si rinnova entro un raggio limitato, nei medesimi luoghi e non oppone alcuna resistenza alla sua esplorazione o distruzione. La predazione è invece attiva, presuppone un repertorio di conoscenze più estese che porti alla localizzazione variante delle prede, dei predatori di cui si consumano i resti, nonché dei mezzi indispensabili alla cattura e all'uccisione dei piccoli animali. Questi ultimi, a differenza delle piante, sono mobili e migranti, percorrono rapidamente grandi distanze passando da un habitat a un altro a seconda della stagione. Se disturbati o attaccati, rispondono individualmente ma il più delle volte collettivamente, ai loro assalitori. I predatori umani sono costantemente obbligati, conoscendo queste reazioni, a prevedere una sequenza di azioni complesse dall'esito incerto e non potrebbero intrattenere con le specie animali le medesime relazioni che i raccoglitori instaurano abitudinalmente e precisamente: spostarsi fra di esse, dividere le medesime aree di approvvigionamento e i medesimi punti d'acqua pacificamente, ignorandole. Un gruppo di predatori vede, com'è logico, in ciascun animale una preda possibile, un avversario o un concorrente: il bottino di un leone attira immediatamente parecchie specie necrofaghe che rappresentano altrettante risorse potenziali per il predatore, oggetto di una suddivisione differenziale in funzione dell'abilità di cui ciascuno dà prova. Di qui un atteggiamento ad un tempo più aggressivo e più difensivo: la coesistenza nell'habitat misto, soluzione di transizione e di compromesso ad un tempo, prolungata oltre un certo grado di efficacia delle imprese cinegetiche, rivela più chiaramente i contrasti fondamentali. L'andirivieni continuo da una zona propizia all'approvvigionamento di vegetali ad una propizia all'approvvigionamento animale, dal territorio aperto diurno che prolunga la savana boscosa, al riparo notturno, implica un dispendio considerevole di energia: è la localizzazione degli alberi e non l'abbondanza di selvaggina a determinare, all'occorrenza, l'area di ricerca e di esplorazione, e l'importanza di questa limitazione la si può osservare presso i babbuini. E' stata così osservata, in una regione nei pressi di una palude - ad Amboselli - ricca di acqua e di risorse alimentari, un'ampia popolazione di leoni e tre branchi numerosi di babbuini che vi facevano delle incursioni diurne. Ma, essendo gli alberi radi essi si ritiravano per dormire a un chilometro di distanza, il che permetteva loro di sopravvivere senza pericolo. Gli ominidi debbono aver conosciuto una situazione analoga: in quanto predatori erano svantaggiati anche in un altro senso e precisamente nella ripartizione geografica delle risorse. Le popolazioni tendono a ricercare le specie nelle regioni in cui abbondano e a stabilirvisi, il che le obbliga a rinunciare ad altre specie più rare nelle regioni così delimitate. Coloro che si dedicano alla raccolta si orientano piuttosto verso la flora che non verso la fauna dacché le piante commestibili e gli animali di grande taglia non sono compresenti nel tempo e neppure nello spazio.

Le collettività o gli individui che ricorrono contemporaneamente ai due tipi di risorse sono condannati alla mediocrità, presi come sono fra la necessità di scegliere tra l'attività principale, che è loro rifiutata, e quella secondaria, avente un carattere aleatorio. Per questo gli uomini obbligati ad attingere alle risorse complementari in cibo e in abilità non hanno avuto altra possibilità che di separarsi dai loro simili per formare raggruppamenti distinti. Rendendosi indipendenti dall'ambiente in cui avveniva la raccolta, che non era più favorevole a loro, hanno cercato di integrarsi meglio in quello della predazione che offriva invece loro possibilità più grandi a condizione di divenire i più abili fra i predatori. La migrazione delle popolazioni verso le zone lontane dai tropici, dove la vegetazione abituale è meno ricca quanto più abbondante è la selvaggina ha facilitato questo compito rendendolo più urgente. In seguito, nelle regioni subartiche, il regime carnivoro che serve a procurarsi i mezzi di sussistenza per l'inverno è divenuto pressoché esclusivo. La dissociazione che dapprima si era verificata nel tempo ha assunto il carattere di una divisione nello spazio, di uno sdoppiamento dell'ambiente fisico parallelo a quello delle facoltà che avevano dato luogo alla sua nascita. I raccoglitori rimangono nelle regioni calde mentre i predatori avanzano verso quelle fredde e vi si insediano irreversibilmente. Questa divisione ha impresso una direzione molto precisa all'evoluzione degli uomini e ancor oggi sono visibili le sue tracce profonde. Un simile risultato, si pensa non sia stato perseguito coscientemente. La ridistribuzione della specie, la ripartizione del suo surplus, la ridefinizione dei suoi caratteri organici, non sono state motivate dal desiderio imperioso di innovazione e di avventura ma si è trattato piuttosto della continuazione di ciò che già esisteva, della prosecuzione dei gesti ai quali già si era fatta l'abitudine. I protoominidi hanno mangiato degli animali nella speranza di rimanere nel mondo vegetale così come, in seguito, gli uomini hanno impiegato il metallo nell'intenzione di ampliare la gamma delle pietre disponibili. In analogia con l'impresa di Colombo che ricercando le Indie scoprì l'America, numerosi tentativi hanno avuto ripercussioni storiche incalcolabili.

Una separazione di capitale importanza

Lo slancio volto al perfezionamento dei metodi di predazione e delle abilità dei predatori, al superamento degli ostacoli incontrati nella situazione materiale e psicologica dell'economia di raccolta, nonché l'impossibilità di limitarsi ad un ruolo secondario e di soddisfare pienamente i bisogni che hanno provocato le nuove attività, sono tutti fattori che hanno concorso a tagliare gli ultimi ponti con il passato. Gli uomini, che per millenni si sono sforzati di essere predatori superiori alle specie con le quali si cimentavano, divenendo superiori a se stessi sono divenuti predatori diversi da tali specie: si sono cioè trasformati e ritrovati cacciatori. Il principale segno visibile di questa svolta è l'uccisione degli animali che solitamente venivano consumati. La predazione ha insegnato agli uomini ad uccidere i piccoli animali e a nutrirsi dei resti di quelli grandi: due aspetti, questi, della loro attività che si fondono grazie al passaggio dal secondo gruppo al primo, delle tecniche messe a punto per la cattura e l'uccisione delle prede. Fino allora, infatti, l'uomo sapeva soltanto spezzettare le carcasse degli animali di grande taglia, prelevarne la pelle e trasportarne la carne, ma in seguito la preda cambia dimensioni e queste operazioni si svolgono su scala più ampia. I branchi cacciati e inseguiti si compongono ora di membri di grossa taglia, decisamente più agili, che percorrono regioni assai varie entro uno spazio più ampio. Il bottino non è più immediatamente o interamente consumato, ma bisogna smembrare l'animale e trasportarne una parte. Di qui tutta una serie di operazioni accessorie, riguardanti lo spezzettamento, la conservazione, l'uso differenziale della carne, della pelle e delle ossa unitamente alla messa in atto delle capacità e degli utensili adeguati. Il campo della coordinazione sociale si estende in due direzioni: durante la predazione essa è motivata dalle necessità di difesa dai grandi predatori, dalla segnalazione e dal consumo in loco dei residui del bottino dei carnivori, attività queste analoghe alla segnalazione e al consumo in loco dei frutti. La caccia - pur se non va esclusa la possibilità di cattura individuale - esige la cooperazione, a partire dall'organizzazione della spedizione fino alla cattura della preda, compresa la ripartizione dei compiti prima e dopo la cattura. D'altra parte, il lavoro dell'individuo dipende in ciascun momento da quello dei suoi compagni i quali a loro volta fanno attenzione che sia in grado di assolvere completamente alla sua funzione. La socializzazione generale delle azioni e la loro articolazione unitaria, procedono parallelamente a una continua attenzione dedicata alle qualità intellettuali e fisiche dei partecipanti, come pure ad una uniformazione delle loro capacità da cui dipende il successo e la sopravvivenza della collettività. Fin dall'inizio l'uomo crea, per così dire, se stesso. Le abilità acquisite e gli strumenti materiali e sociali gli consentono di dare un carattere sostanziale alle risorse animali che servono a provvedere a tutta una serie di bisogni correnti, a cominciare dal nutrimento. In tal modo esse cominciano a sostituirsi vantaggiosamente alle risorse vegetali. Le collettività umane possono allora dirigersi, senza mettere a repentaglio la loro esistenza, verso le regioni in cui queste scarseggiano rinunciando definitivamente all'habitat differente altrettanto protetto e praticabile.

I raggruppamenti - ma si può ben dire le specie - di cacciatori si discostano da quelle dei predatori; all'abilità relativamente diffusa e alle pratiche individuali di questi ultimi, i primi contrappongono la loro abilità specifica e le loro attività socializzate. Questa evoluzione ha assunto una forma più radicale e più riconoscibile: la rigorosa distribuzione del campo operativo dei maschi e delle femmine segue dappresso la fuoriuscita della predazione dall'orizzonte dell'economia di raccolta, ovvero la sua conversione in economia di caccia; transizione di cui essa è stata una delle condizioni necessarie per evidenti ragioni: un medesimo individuo, infatti, non poteva in alcun modo impegnarsi contemporaneamente in due attività aventi esigenze così contraddittorie e che richiedono attitudini così contrastanti. Ciò che da un lato rappresentava un freno, dall'altro era un motore e viceversa. Le abilità necessarie alla predazione non hanno potuto svilupparsi se non fino a un certo livello - situazione questa analoga a quella della produzione di vasi, praticata inizialmente dalla coltivatrice come attività integrativa. Affinché questo livello venga superato è necessario che l'attività in questione sia svolta interamente da una frazione del gruppo - nel caso summenzionato, della lavorazione dei vasi, dall'artigiano. Per quanto riguarda la caccia, questa attività è stata svolta interamente dai maschi della collettività e non a caso richiede capacità fisiche quali la forza o la resistenza. Se i cacciatori sono maschi ciò è dovuto al fatto che i sottogruppi non riproduttori, pionieri e soggetti alla discriminazione sociale, condannati a ricercare il nutrimento nel regno animale, erano costituiti da maschi. Per tutto questo periodo, le donne hanno conservato intatte le qualità grazie alle quali la specie continuava a sopravvivere, perseverando, spinte dalle circostanze, nella direzione tradizionale. A misura che la caccia si individualizza, esse aggiungono o conservano fra le loro occupazioni ordinarie, a completamento della rottura col passato, la raccolta delle piante, e dei piccoli animali, nonché l'uso dei resti della predazione. Ma questa non è, come spesso si è osservato, una semplice divisione del lavoro in cui gli uomini si occuperebbero dei tuberi e dei grandi animali, mentre le donne si limiterebbero ai frutti e ai piccoli animali, dove ciascun sesso cioè intratterrebbe un rapporto peculiare con l'ambiente specializzandosi nell'esplorazione e dove l'attività relativa ad oggetti diversi fa parte di un'unica risorsa globale. Al contrario, noi osserviamo che le due modalità di inserzione nel ciclo naturale si separano, come avverrebbe nel caso di due specie affini di cui l'una vivesse sott'acqua mentre l'altra si fosse data un equipaggiamento organico che consentisse di respirare fuori dall'acqua. L'aspetto puntuale, individuale e per così dire preumano della raccolta è sorprendente. Un osservatore inglese ha rilevato che "durante il periodo iniziato circa 350 mila anni fa e conclusosi 11 mila anni orsono, gli uomini avevano due occupazioni principali: la raccolta del cibo, come le grandi scimmie antropoidi (c.vo ns.) o come certi primitivi contemporanei, e la caccia, come i pigmei e gli eschimesi". La caccia abbraccia, come vedremo, una sequenza complessa di azioni preparate, organizzate e collettive, comporta un equipaggiamento intellettuale e tecnico che esige una formazione preliminare degli individui. Da questo punto di vista, la distanza che separa il cacciatore dalla sua compagna che raccoglie e perlustra è paragonabile a quella che separa una specie umana da una protoumana o non umana. La separazione, fra i sessi, delle risorse e delle facoltà rispettive, indica la separazione fra due codici della realtà, due lingue diverse, (quali il francese e il tedesco) piuttosto che la variazione di accento, di idiotismi o di stile che contraddistinguono gli individui che parlano il medesimo linguaggio, ma appartengono a strati sociali diversi, dove si potrebbe scorgere un'analogia con la divisione del lavoro. Essa non stabilisce soltanto una comunicazione difficile bensì un'incomunicabilità durevole; consente a una categoria di attività e di comportamenti, che non hanno riscontro nel mondo animale, di consolidarsi, di lottare contro l'erosione del tempo e di affermare ciò che è peculiare agli uomini in modo durevole.

 

Le arti dell'astuzia e della morte

La grammatica mette a nostra disposizione un tempo eccellente: il presente storico. Grazie ad esso il passato sembra avvicinarsi a noi pur rimanendo indefinito nel tempo. E ciò, tantopiù, quanto questo passato è esso stesso indefinito e tende a disperdere i diversi momenti attraverso tracce incerte sia riguardo alla loro esistenza, sia al loro significato. Maldisposti a confessare la nostra ignoranza e la nostra impotenza di fronte a un'estensione così ampia di avvenimenti, di lavori e di società, sconvolti dall'idea di ritrovarci in essi senza sapere come vi siamo giunti né come ci siamo sviluppati, siamo costretti a vagare un po' in ogni direzione al fine di ricostruire ciò che è irrimediabilmente scomparso. Il materiale di archivio e le false reminiscenze sembrano preferibili all'amnesia, alla storia vuota di fatti, distruttrice involontaria della propria consistenza. Il nostro racconto si svolge così, per forza di cose, sempre al condizionale, appesantendosi di artifici di linguaggio e di controversie circa le vestigia che cerchiamo di decifrare a condizione però di negar loro il carattere di reliquie per considerarle alla stessa stregua di ciò che continua a vivere. Parlando dei cacciatori di ieri, dei quali sappiamo poco o nulla, non rinunciamo perciò a ritenerli simili a quelli di oggi, attribuendo loro una realtà' che ci auguriamo sia stata quella in cui hanno vissuto.

Ma riprendiamo ora il filo del discorso che abbiamo interrotto al fine di avvertire il lettore di questo inevitabile miscuglio di tempi. Spinti dai limiti stessi dell'economia di raccolta, i predatori umani sono incitati a sfruttare, alla stregua di necrofagi, le specie animali disponibili e in ciò non si mostrano più selettivi di quanto non lo fossero nella scelta di cibi vegetali. Il regime alimentare dei babbuini che fornisce un termine di paragone, comporta più di cinquanta specie di piante, delle quali essi consumano i frutti, le gemme o i germogli. L'alimentazione carnivora degli ominidi sembra sia stata altrettanto varia. In due località dell'Africa, in un periodo che si stima risalire a 500 mila anni fa - epoca che si può definire, sotto molti aspetti, di transizione - l'inventario del bottino rinvenuto comprende tre specie di simidi, due di carnivori, tre di pecore, tre di giraffe, alcuni bufali e numerosi resti di antilopi, di roditori, di uccelli e di testuggini. Le prede o i cadaveri accumulati appartenevano dunque a un'ampio ventaglio della fauna e in particolare dei mammiferi. L'abbandono dell'economia di raccolta e l'evolvere della caccia verso l'autonomia sono contraddistinte da una specializzazione avanzata. I popoli di cacciatori si limitano ad inseguire un numero ristretto di specie animali, accrescendo in tal modo la loro esperienza e concentrando i loro sforzi onde ottenere una più abbondante selvaggina. Le vestigia rinvenute nei pressi di Pechino, nella celebre località di Chou Kou Tien appartengono a mammiferi carnivori e ungulati, di cui soltanto due specie di cervi rappresentano circa due terzi dei resti esumati. In Spagna, presso Torralba, si cacciava soltanto l'elefante, il bue selvatico ed il cavallo. In Croazia è stata rinvenuta, in una caverna dell'aurignaziano, una percentuale del 90% di ossa di orsi. Nella Russia meridionale e nell'Europa centrale, i mammut costituivano la principale selvaggina. A Solutré, in Dordogna, sono stati rinvenuti resti di 100 mila cavalli, mentre in un'epoca più tarda sembra venisse cacciata prevalentemente la renna. Queste indicazioni non hanno un valore assoluto, cionondimeno la caccia tende a suddividersi, a divenire preferenziale. Le collettività recenti, quelle formate dall'homo sapiens si interessano sistematicamente ad una sola specie, con la quale soddisfano tutti i loro bisogni. Il regno animale è così esso stesso suddiviso, frazionato e differenziato.

La specializzazione delle risorse procede parallelamente a quella delle abilità: la continuità del loro impiego, entro un medesimo contesto, riguardo alle medesime specie, porta ad un approfondimento e ad una organizzazione rigida delle operazioni che esse comportano. I cacciatori le coltivano metodicamente, le condensano in un insieme compatto che racchiude un gran numero di conoscenze ed un repertorio coerente di comportamenti. E' stato osservato giustamente che "la caccia viene condotta dall'uomo grazie agli utensili, ma è molto più di una tecnica o di una varietà di tecniche". L'imboscata è la regina di queste tecniche: arte suprema della caccia, il suo campo di sperimentazione è assai vasto. Prendendo di mira costantemente un ristretto numero di comunità animali, ha finito con l'influenzarne il modo di vita così come ha influenzato quello degli individui che l'hanno inventata. Il suo mezzo essenziale è la cattura, la cui efficacia sorpassa quella dell'attacco diretto e mette in atto mezzi complessi, a partire dalla conoscenza della sensibilità e della mobilità delle future vittime. Per tendere imboscate, bisogna concepire e conoscere l'uso dei fili, delle nasse, delle fosse, delle trappole e dei picchetti necessari a immobilizzare l'animale e imprigionarlo; e bisogna prevedere altresì il momento opportuno per accopparlo o avvelenarlo senza troppi rischi. Gli eschimesi cacciavano fino a poco tempo fa l'orso bruno dell'isola di Kodiak con un metodo semplice: il cacciatore conficcava in terra il giavellotto tenendolo fermo con l'aiuto del piede e l'orso finiva impalato sulla punta. Talvolta al giavellotto veniva fissata una traversa per tenere a distanza l'animale, una volta impalato, dal cacciatore. Quest'orso, che è il più grande carnivoro attuale, raggiunge gli 800 chili, mentre il peso dell'eschimese non supera i 65 chili. Oltre all'efficacia, ciò che conta per il cacciatore che ricorre a questo metodo è la sua sicurezza.

La cattura e le tecniche connesse comprendono l'attacco e la difesa in una sola azione. Chi le pratica deve conoscere le abitudini e le piste seguite dalla selvaggina, individuare ciò che l'attira o la fa fuggire, conoscere la distribuzione degli individui di un branco, a seconda dell'età, del sesso, del grado di coordinamento, della posizione occupata nella gerarchia e la soglia di discriminazione dell'esca. Una tale somma di conoscenze è opera di generazioni, che si materializza nel linguaggio, nei miti e nei riti, e viene trasmessa oralmente costituendo un patrimonio continuamente arricchito. Il contenuto tecnico e intellettuale della cattura testimonia del fatto che la caccia è innanzitutto padronanza di sé e resistenza, ma soprattutto astuzia. Quest'ultimo tratto è di capitale importanza nella psicologia dei popoli che vi si dedicano; esso trasforma una posizione di debolezza in una posizione di forza e aggiunge al visibile e al dato, la dimensione del simulato e del costruito.

In quanto aggressione diretta, la caccia esige destrezza e precisione. Lanciare una valanga di pietre, di frecce o di oggetti di pietra affilati, comporta uno sforzo sproporzionato al risultato: l'importante è invece mettere bene a fuoco il bersaglio mobile o fisso, avere una percezione netta dell'anatomia dell'animale, discernere le sue parti vulnerabili e sapere come reagirà una volta colpito. Le nozioni riguardanti la velocità, la direzione dello spostamento, le ferite prodotte da un dato strumento, sono tutte indispensabili per evitare di essere attaccati dall'animale reso furioso. I cacciatori attuali sembra ricorrano all'osservazione e alla dissezione a fini medici ed igienici, soprattutto per trasportarne i corpi. Essi acquisiscono pertanto conoscenze ampie che proiettano poi sugli oggetti inanimati. Nelle isole Aleutine le diverse parti della pedana di lancio hanno ricevuto nomi congruenti con quelli delle parti del corpo che riproducono: così la piccola caviglia d'avorio che serve a fissare il giavellotto viene definita 'ziphisternum' e si ha inoltre la fronte, la gobba e il palmo; quanto alla pedana, che è dipinta in nero da una parte e in rosso dall'altra, essa simbolizza la pelliccia dell'animale e il suo sangue. Quando ricostruiamo i fondamenti dell'universo, la struttura degli oggetti e il funzionamento dell'intelligenza o del corpo a partire dalla forza materiale predominante, vedendole in termini meccanici quando si tratta di forze meccaniche e in termini chimici nel caso di forze chimiche, procediamo in maniera analoga.

Catturate, attaccate, avvelenate, massacrate sconsideratamente, le specie animali rischierebbero di scomparire, ma i popoli di cacciatori specializzati, consapevoli di questa minaccia, 'coltivano' la selvaggina, permettendole di riprodursi e di sopravvivere. Ciò rappresenta un'innovazione rispetto all'economia di predazione e di raccolta. Assicurare il rinnovamento della popolazione animale senza smettere di cacciare, e uccidere senza sterminare, esige un senso molto sviluppato della previsione e del controllo, una teoria soggiacente alle azioni e allo scambio con le forze dell'ambiente circostante. Questa sensibilità, che ancor oggi si osserva, deve aver avuto origine molto tempo fa. Essa proibisce l'attacco di animali troppo giovani o in periodo di fecondazione, o in un momento qualsiasi dell'anno. Come vediamo, i tabù hanno avuto spesso la funzione positiva di conservare le risorse vive delle società umane e a questo riguardo possiamo citare un esempio sorprendente se non proprio concludente. Dopo l'ultima glaciazione, i gruppi di cacciatori avrebbero scoperto un nuovo metodo di cattura destinato a procurare loro un bottino massiccio. Guidando i branchi di animali, li spingevano sino all'orlo di una falesia dalla quale li facevano cadere in un precipizio per ucciderli, Le tribù della Tasmania praticavano un metodo analogo: accerchiavano un ampia zona all'interno della quale la selvaggina, sospinta verso il centro, veniva massacrata. I risultati di tali pratiche, come ci si rese conto, rischiavano alla lunga di essere catastrofici per cui intervenne un tabù a limitare la frequenza del loro impiego, evitando in tal modo la distruzione di una fonte di approvvigionamento insostituibile. Probabilmente, non sapremo mai se, durante l'ultima glaciazione, avvenuta oltre mezzo milione di anni fa, si fosse giunti ad una analoga regolazione dei legami fra le collettività umane e quelle animali: non vi è tuttavia ragione di credere che sia stata del tutto assente.

In ogni epoca la caccia ha incitato gli individui a rispettare le abitudini delle diverse specie animali e a preservare il loro habitat. I Tungusi e gli Aleutini, e non sono i soli, - riconoscono all'animale la proprietà di un certo territorio e si sforzano di placarlo quando ne varcano i confini, usando un linguaggio che esso è in grado di comprendere; oppure cercano di tenerlo a distanza terrificandolo. Questi comportamenti si basano sullo studio dell'animale, sull'osservazione sistematica dei suoi comportamenti, pratiche queste molto diffuse. Un gruppo di Tungusi, avendo creduto di vedere che un certo uccello scompariva nel buco di una lastra di ghiaccio per emergere da un altro, ebbero l'idea di fissare un filo all'animale per seguire il suo percorso sottomarino, dopodiché lo uccisero e lo dissezionarono esaminando accuratamente la sua pelle per vedere se nascondeva degli insetti. Sovente, essi custodivano animali giovani per osservarli e conoscerli meglio, fingendo che si trattasse semplicemente di giochi destinati a divertire i loro piccoli. Ma nella realtà, l'attento esame compiuto dagli adulti non è fallace.

Possiamo dunque affermare, a giusto titolo, che le "conoscenze acquisite dall'uomo circa la morfologia, la fisiologia e il comportamento animali potrebbero superare largamente l'adattamento tecnico. In realtà, parrebbe più verosimile che fossero stati prodotti utensili per scopi specifici come questi, tra i quali figurava la ricerca del cibo". La caccia ha orientato anch'essa gli uomini verso la cooperazione sociale globale e a tal fine è necessario che i gesti, le informazioni e i segnali siano resi convenzionali ed espressi in modo da venir compresi e scambiati facilmente. Le posture e il ritmo dei movimenti assumono un aspetto collettivo e l'organismo di ciascuno è teso verso la realizzazione del compito comune. Questa domesticazione del corpo e dell'intelligenza comincia fin dal momento in cui il fanciullo maschio sa appena camminare e prosegue fino all'età in cui è pienamente integrato al suo gruppo. Il cacciatore afferma la sua particolarità in quanto possessore di una facoltà e di un potere con il quale si identifica e che lo distingue. Non è più soltanto un predatore specializzato, un uomo che possiede una capacità definita, formata nel corso dei millenni, bensì un uomo distinto, che si sa tale, un uomo che si distacca dagli altri e in particolar modo dalla donna.