ANTROPOLOGIA GENERATIVA

  

Internet è un immenso marketplace, dove si offre e ci si scambia di tutto. Non solo a scopo di lucro. Si offrono, infatti, anche idee, e si sviluppano, in un dialogo serrato che è uno dei portati più apprezzabili del travolgente processo della tecnica contemporanea. Interessato agli sviluppi della teoria mimetica di René Girard, nel corso di una navigazione che voleva sondarne la presenza nella Rete, alcuni mesi fa mi sono imbattuto in due siti molto ricchi e culturalmente stimolanti: quello della rivista in linea Anthropoetics, e quello che contiene gli articoli settimanali di Chronicles of Love and Resentment. Entrambi sono espressione del pensiero di Eric Gans, un discepolo di Girard (nonché gran lettore di Derrida), professore di letteratura francese alla UCLA University di Los Angeles. Eric Gans ha elaborato una teoria denominata Generative Anthropology attraverso una serie di libri che mi paiono degni di attenzione: The Origin of Language, A Formal Theory of Representation(1980); Originary thinking, Elements of Generative Anthropology (1993); Science and Faith, Anthropology of Revelation (1990); Signs of Paradox, Irony, Resentment and Other Mimetic Structures (1997). Nessuno di questi mi risulta molto conosciuto in Italia. Varrà la pena delineare a sommi capi la dottrina gansiana, come invito ad un confronto con essa. Al di là di alcuni punti che mi sembrano problematici, essa mi appare dotata di una forza ermeneutica apprezzabile.

L’antropologia generativa propone una concezione dell’umano fondativa ed unificata. In opposizione ad un diffuso scetticismo che pervade correntemente molto del lavoro teorico che viene svolto nelle scienze umane, essa caparbiamente rigetta la convinzione che la domanda "cos’è l’umano?" non possa essere un argomento di discussione. Gans muove i suoi passi da basi girardiane. Al suo inizio, la sua ipotesi originaria era intesa come un’estensione del modello girardiano della crisi mimetica, mirante a spiegare non il mero stabilirsi dell’ordine sociale, ma anche l’origine del linguaggio. Secondo Gans, infatti, ciò che appare evidente della condizione umana è il suo sempre essere aperta al contagio della violenza mimetica, con i suoi inevitabili corollari: l’espulsione dell’elemento pericoloso per l’unità del gruppo sociale, e il meccanismo del capro espiatorio. Il problema iniziale dello studioso californiano è se l’intuizione morale fondamentale che ci difende dal dilagare universale della violenza mimetica non possa essere fondato su un’ipotesi antropologica. Ed egli arriva alla conclusione che quest’ipotesi è possibile e si deve reggere su una connessione essenziale tra linguaggio, rappresentazione e religione come componenti ineludibili di ogni forma di cultura umana.

Secondo Gans la soglia dell’umano deve essere posta là dove sta la soglia del linguaggio, perché è solo nel linguaggio che propriamente può sorgere la questione dell’essere umano. L’ipotesi originaria di Gans propone che la questione dell’umanità comincia nel preciso momento in cui la pre-umanità stessa inizia a rappresentare e in questo rappresentare si fa umana. L’etico, il religioso, l’estetico nascono insieme nella originary scene (per la quale è stata coniata l’espressione Little Bang) in cui la violenza, che sta per scatenarsi nel preciso momento in cui su di un unico oggetto centrale convergono più desideri, è differita tramite la rappresentazione. Viene emesso un segno, che può essere anche soltanto un gesto, di rinuncia all’immediatezza dell’appropriazione, e sorge il linguaggio. Il linguaggio dunque emerge quando l’appropriazione mimetica diviene così intensa che la presenza dell’oggetto diventa troppo problematica perché esso sia incluso come il naturale punto finale dell’imitazione. Il gesto non conduce più all’oggetto, ma rimane irrevocabilmente separato da esso. Come tale esso è il primo segno. Gans enfatizza costantemente l’importanza della originary scene in cui scaturisce il linguaggio. L’emergere dell’umano è l’emergere del trascendente entro il mondo della vita. Perché ad esempio anche l’estetico non è altro che un posporre, un differire il sacrificio. Così la narrativa è la forma estetica esemplare perché essa tematizza il differimento, rendendolo esplicito. La capacità umana di differire la violenza tramite la rappresentazione dipende dalla nostra paradossale dipendenza dal trascendente: la capacità e il bisogno di fare del punto focale centrale dei nostri desideri il significante trascendente del segno è precisamente ciò che ci definisce come umani.

Ma occorre chiarire che l’obiettivo del pensiero originario non coincide con quello della scienza positiva. Né l’antropologia generativa può essere soggetta al principio di falsificabilità. Le sue ipotesi prospettano modelli per comprendere come il mondo trascendente del segno può essere emerso come un evento entro il mondo dell’appetito. Ma un evento è precisamente ciò che sconta, o tiene conto de, la sua propria decostruzione. Il suo nome nomina il suo accadimento: esso non è una traccia di una cosa mondana, ma nemmeno è una "pura" traccia. Esso è la traccia che noi tratteniamo del nostro dipartirci dalla traccia. Solo la religione ha preservato questa verità. La sostanza del principio di falsificabilità popperiano è che le teorie devono evitare la tautologia e procurare informazione. Questo secondo Gans non è che senso comune espresso in modo incisivo. L’enunciazione popperiana del principio non ha avuto molto effetto sulla pratica scientifica. Gli scienziati hanno sempre inteso misurare e predire i fenomeni entro il minimo margine di errore possibile. L’idea dei paradigmi di Kuhn è stata più utile agli scienziati perché essa riconosce che le loro teorie sono gerarchiche e che il più alto livello perfino di una teoria fisica può sempre essere conciliato, per "epicicli" con qualsiasi insieme dato di fatti. L’antropologia generativa si riconosce una natura di paradigma kuhniano.

Così un altro nome per l’antropologia generativa è antropologia minimale. Il proposito del pensiero originario è quello di esaminare i problemi umani nel contesto dell’antropologia minimale consonante con tutte le caratteristiche umane essenziali associate con la rappresentazione: il linguaggio, naturalmente, ma anche rito e religione, desiderio, estetica, moralità ed etica, e così via. Quanto più uno persegue questa operazione, tanto più chiaro diviene il fatto che le differenti forme di trascendenza che caratterizzano ciascuna di queste istituzioni, sia l’opposizione forma-contenuto dell’arte, sia quella tra legge e condotta nell’etica, quella tra il mondo delle Idee e quello reale nella metafisica, e, cosa che più colpisce, quello tra il regno senza tempo di Dio (il "cielo") e il mondo temporale dell’umanità, tutte queste dicotomie sono varianti della opposizione fondamentale tra il segno trascendente e il suo referente mondano.

L’ipotesi è una costruzione che allo stesso tempo trascende la possibilità di essere mai conciliata con i dati empirici precisamente perché il linguaggio stesso emerge solo come l’irrevocabile separazione del segno dal referente, della cultura dalla natura. L’origine del linguaggio, della cultura, non è un problema logico ma un problema pratico, qualcosa che ci riguarda come esseri storicamente situati. Il postulato dell’ipotesi originaria può essere giustificato soltanto se aiuta ad avanzare la nostra auto-comprensione. Il valore supremo dell’ipotesi originaria è etico. Il titolo della rivista in linea Anthropoetics rende conto incisivamente di quest’orientamento etico gansiano fondamentale.

Nel dominio dell’antropologia, la scienza positiva non può eliminare la credenza religiosa perché non può fornire strumenti epistemologici per trattare ciò che non è materiale positivo, la struttura paradossale dell’interazione umana mediata attraverso segni. L’origine e la natura del significato non possono mai essere spiegate riducendole a strutture di ciò che è privo di significato. Gli uomini non possono vivere senza il sacro.

L’antropologia generativa in se stessa, però, è un programma di ricerca, non un sistema di credenze. Il suo scopo è di procurare un modo di comunicazione massimamente universale e massimamente neutrale tra i preesistenti sistemi di riti e credenze. Il pensiero originario si situa all’intersezione tra il modo di pensare trascendente e quello immanente, le fondazioni rispettive della spiritualità religiosa e di quella positiva. Esso ha la pretesa di essere l’unica forma di pensiero che possa tradurre fra di esse. Il pensiero reale non si sforza di conquistare le menti di una parte o dell’altra, ma di aiutarle a pensare meglio i propri pensieri attraverso il dialogo reciproco.

Una delle caratteristiche più notevoli del pensiero gansiano è la sua adesione profonda ai valori del mercato. Anzi, forzando un poco, potremmo dire che l’antropologia generativa sia una filosofia dell’Internet, intesa come possibilità di scambio universale in cui tutti si trovano nella posizione di reciprocità. La minimalità nell’ambito in cui si effettuano decisioni etiche è concepibile soltanto nel contesto della concentrazione decentrata del sistema di scambio, del mercato. Il sacrificio, sostanza delle società fondate sul rito, è sostituito non dall’amore immediato, ma dallo scambio mediato.

Il precetto etico che l’antropologia generativa propone ci dice di agire in modo tale da decentrare il più possibile il processo di scambio.

Una delle idee più forti dell’antropologia generativa è quella che la nostra condizione come esseri che usano il linguaggio è la nostra sorgente dell’uguaglianza morale. Se l’umano è minimalmente costituito dal linguaggio, la reciprocità dello scambio linguistico deve essere il modello per la reciprocità morale in generale. La chiave per comprendere l’umano non è il ridurre l’umano al non-umano, ma pensare minimalmente in termini di cosa significa essere umano: essere sia un partecipante che un teorizzatore della cultura umana. Dal momento che la pretesa dell’antropologia generativa è che il mondo umano è irriducibile a quello empirico della biologia, le scienze umane hanno il compito di concordare su un principio minimale che definisca quest’irriducibile contenuto antropologico. La costruzione di un’ipotesi originaria è così semplicemente il tentativo di chiarificare questo contenuto secondo un’attitudine non dogmatica e metodologicamente aperta. Tutto questo, e le innumerevoli prove di originary analysis che Gans ha dato nei suoi libri ma soprattutto negli ormai circa duecento articoli di Chronicles, è senz’altro interessante per chiunque sia aperto alle problematiche antropologico-filosofiche. A me pare tuttavia di poter dire che forse è proprio nella base dell’originary thinking che si annida il difetto che può mettere in pericolo l’edificio intero. Infatti Gans insiste sempre sul fatto dell’imprescindibilità dell’ipotesi originaria il cui contenuto è una scena (il cui grado di storicità non è rilevante, in quanto non è attingibile storicamente la scena stessa). La scena è quella del deferral of violence through the sign, per cui, come si è detto sopra, i pre-umani che attorniano l’oggetto del loro desiderio e sarebbero spinti dalla loro brama ad un conflitto letale (pre-umani che tra l’altro Gans pensa come necessariamente maschi, ma questo è un lungo discorso), si ritraggono dall’oggetto centrale emettendo contemporaneamente un segno che indica la rinuncia ad un immediato impiego della violenza. Questo segno, che secondo Gans è contemporaneamente il Name of God, perché il gesto di rinuncia costituisce l’oggetto come sacro, fonda costitutivamente il linguaggio umano sul differimento della violenza. Tale concezione, che parte, come anche si è detto, da basi girardiane, è stata da Girard stesso parzialmente respinta, in quanto secondo lo studioso francese l’idea gansiana di scena originaria ricorda troppo, nella deliberata rinuncia delle parti all’uso della violenza, una sorta di "contratto sociale". Il sacro secondo Girard non nasce, infatti, dalla rinuncia momentanea alla violenza, ma da una specie di shock generato da una sovrabbondante quantità di violenza, che riversandosi su di una vittima fa provare al gruppo un senso di ritrovata coesione e di pace interna. Approfittando della natura in fieri on line della antropologia generativa, ho mosso alcuni rilievi all’ipotesi originaria, cui Gans ha cortesemente risposto. In particolare sul punto a mio avviso più problematico della teoria, quello della scena originaria scrivevo che:

The males of the other species don’t kill, or rarely kill each other. Therefore we have to hypotesize about the originary scene a condition in which proto-humanity was involved in a terrifying degree of violence. Such a violence had not to be purely "animal", to ignite the process of deferral through the sign. What created humanity was then a violence always already human? How can we avoid a sort of "petitio principii"?

Mi pare infatti che presupporrre un iper-mimetismo nell’essere pre-umano sia uno spostare in dietro il problema. Cosa spiega una tale aggressività nei maschi della specie pre-umana da cui l’uomo è uscito, che la differenziano così radicalmente dagli altri animali? Del resto violenza è già una categoria dell’umano, i leoni non sono violenti. Ed anche il desiderio, riconosce Gans, è una caratteristica specifica dell’uomo, che lo sottrae alla sfera del mero appetito. Se desiderio e violenza sono legati e sono già in sé umani, non possono essere i motori della scena originaria da cui nascerebbe l’umano come differimento della violenza e linguaggio. Gans mi ha risposto così:

The notion of a potential general violence corresponds to the higher level of mimesis that we may postulate as present among humans, have been shown to engage in "triangular" situations, so the originary hypothesis merely proposes that at some point the tension provoked in the group by mimetic desire is so great that it can only be discharged efficiently by a sign, whether or not followed by a "scapegoating" act as in Girard. "Violence" is not an absolute but a relative category that provokes the creation of a new means for deferring it.

Come si vede, la risposta è problematica, ed evidenzia da un lato la terribile difficoltà dell’interrogazione sull’origine dell’umano, e dall’altro la sua imprescindibilità. In ogni caso, l’antropologia generativa, che si vale dell’elaborazione di altri studiosi, non nasce né si sviluppa in un deserto: con Eric Gans collaborano studiosi come Meeker e Van Oort, mentre paralleli campi di ricerca calcano altri discepoli di Girard, come Tobin Siebers.

Fabio Brotto

 

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