CRONICA  XLIX

Fabio Brotto

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Severità progressista. Sulla Stampa del 27 luglio, Antonio Scurati scrive un articolo che qui prenderò in seria considerazione. Lo sottoporrò ad analisi attenta, perché ne vale davvero la pena. In questo articolo si richiama ancora una volta l'attenzione dell'opinione pubblica sulla catastrofica situazione in cui versa il sistema dell'istruzione in Italia, dopo anni di scuola che cambia, lotte studentesche, riforme, controriforme e contro-controriforme, e baggianate e amenità di ogni sorta. Scurati come sempre è lucido, e dice l'essenziale, almeno nella prima parte dell'articolo. Lo dice dal suo punto di vista, che è quello di un uomo di sinistra, di un progressista. L'essenziale può essere enunciato così. "L'altro giorno, durante un esame universitario, una mia studentessa mi ha detto che la Rivoluzione Francese sarebbe avvenuta alla fine del '400 [...] L'ho promossa: paragonata agli altri, dimostrava una discreta conoscenza dello striminzito programma del mio insegnamento in teoria e tecniche del linguaggio televisivo". Qui già mi viene da chiedere: e gli altri? Quelli che non conoscevano nemmeno lo "striminzito programma", che fine hanno fatto? Ha passato l'esame solo colei che ignorava il tempo della storia? Se lei è stata graziata, gli altri allora, che non dimostravano la conoscenza del programma, saranno stati condannati: un'ecatombe quindi, che però mi sembra improbabile. E poi, perché mai un programma d'esame universitario deve essere striminzito? Che cosa ha portato l'Università italiana in queste condizioni? Qui occorrerebbe un esame di coscienza severo da parte dei docenti universitari, circa le loro responsabilità nel degrado del sistema dell'istruzione, ma io non ho avuto finora il piacere di leggerne. In Italia, si sa, l'assunzione di responsabilità è merce rarissima.

Scurati continua il suo impietoso pezzo chiedendosi "Sono un cattivo professore?" e rispondendo che a questa domanda non sa rispondere. Sostiene che c'è stata "un'abdicazione collettiva" e che questa è alla radice della sua indulgenza. In sostanza, è come se dicesse: lo fanno tutti, non posso non farlo anch'io, sapete, è l'abdicazione collettiva. E constata che oggi si laureano in lettere "studenti che non hanno letto Foscolo [...]  e in tutte le discipline studenti che non sanno esprimersi in italiano corretto, né per iscritto né oralmente." Ora, a me le abdicazioni collettive non piacciono molto come concetto, se non vengono spiegate, individuandone cause e origini, e ricostruendone la storia, perché esse non avvengono d'un colpo, né sono riferibili alle nefaste influenze di Saturno, astro che rende gli umani taciturni, passivi e melanconici. Scurati non accenna chiaramente alle politiche scolastiche recenti, ma noi ci possiamo arrivare. "Nell'ultima dozzina d'anni, durante i quali sono passato dalla condizione di studente a quella di docente, si è verificato uno scadimento verticale della quantità e qualità dell'istruzione impartita nelle nostre scuole". Dalla Riforma Berlinguer, dunque! Si può dirlo apertamente tra i progressisti? Noi in queste Croniche abbiamo sempre sostenuto che la politica scolastica di destra e sinistra sono state sostanzialmente omogenee, con differenze solo superficiali. Gli esami di riparazione, dunque, sub Prodi non torneranno, le commissioni esterne su base nazionale non torneranno, non tornerà nulla di ciò che potrebbe ridare un po' di serietà alla scuola. E apposta uso il verbo tornare, perché Scurati teme, come tutti in Italia, compresi i berlusconiani, di passare per reazionario. Timore che io non nutro. Il timore di passar per reazionari impedisce scelte nette, nel nostro Paese, e massime nel mondo della scuola, spingendo anche gli intelletti più fini nel mare delle nebbie.

Ora vediamo, come recita il titolo dell'articolo di Scurati, occorre star attenti ad applaudire. Lo hanno fatto in molti nei giorni scorsi, quando sono usciti i dati degli ultimi Esami di Maturità. Molti, davanti a quel 6,6 di non passati hanno applaudito alla ritrovata serietà, Fioroni compreso. Se la serietà fosse questa... Scurati giustamente mostra come il sistema dell'istruzione si trovi in una condizione di arretramento permanente, si muova sì, ma arretrando (e questo retrocedere viene inteso come progresso, direbbe qualcuno in grado di fiutare echi leopardiani) verso l'abbandono "di qualsiasi idea di paideia". Insomma, gli accenti di Scurati sono così simili ai nostri che potremmo pensare che egli si trovi sulle nostre stesse posizioni. E invece no, egli è ancora un credente. Crede nel progresso. Conclude il suo amaro pezzo, infatti, con un empito di (relativo) ottimismo della volontà: "Di fronte a tutto ciò, la tentazione del demone reazionario è fortissima". Qui vorrei chiedere allo scrittore chi la incarnerebbe oggi. Mi guardo intorno, e non vedo demoni, vedo me, e qualche sparuto drappello di vecchi insegnanti ammuffiti che si ostinano a non credere nel progresso, e pensano che la scuola abbia anzitutto a che fare con la cultura. In realtà, penso che Scurati si trovi a dover soddisfare esigenze contrapposte, ma, per dir così, non si può servire al Dio della verità e al Mammona della parte politica in cui si è inscritti. Se si cerca di mediare tra questi due poteri, vengono fuori cose come la conclusione dell'articolo, che qui riporto.

"È vero che un medesimo principio può essere reazionario in un'epoca e progressista in un'altra. L'odierna necessità di tornare alla severità e al rigore nell'insegnamento potrebbe essere uno di quei casi. Ma ciò non può significare «tornare al buon tempo antico», innanzitutto perché quel tempo non era così buono e poi perché, molto semplicemente, non abbiamo terra alle nostre spalle. Dobbiamo, invece, invertire l'ordine di marcia e marciare al passo con i tempi. Anzi, un passo avanti ad essi. Se davvero ci sta a cuore l'avvenire delle nostre scuole, dobbiamo creare delle scuole dell'avvenire. Dobbiamo inventarci una severità progressista". Ora, vorrei chiedere anzitutto chi è rappresentato in quel noi. Secondo me tutto il senso dell'intervento di Scurati si gioca lì. Questo noi potrebbe essere molto comprensivo (tutti coloro che desiderano il bene della scuola e delle giovani generazioni, a prescindere dal loro credo politico o religioso: quindi laici, cattolici, liberali, socialisti, ecc.) oppure, come penso restrittivo (noi di sinistra, che siamo quelli che possono marciare al passo con i tempi). E i tempi, loro sì marciano, e speditamente, ai ritmi di una globalizzazione che molta parte dei progressisti demonizzano. Mentre la platea di un insegnante in una classe  è di 25 ragazzi + 25 videofonini. Se tutto questo, infine, significa che essere severi nella scuola di oggi è un elemento progressivo, sono d’accordo. Ma nel senso che smuove realmente la situazione. Se invece si pretende che vi siano due severità differenti, una reazionaria e una progressista (in che cosa differirebbero, forse nell’animo del severo?), mi pare che siamo destinati ad entrare nel solito campo delle distinzioni verbali italiote. A me basterebbe che gli insegnanti nella scuola fossero seri, quelli di destra come quelli di sinistra. Ma nelle condizioni date qui e ora, dopo che nelle Università si è tranquillamente accettato da parte dei docenti, senza fare barricate e occupazioni, la riduzione dei programmi a realtà striminzite, parlare di creazione di "scuole dell'avvenire" mi sembra scherzo, o follia.

 

Doping. Ho letto alcuni degli articoli che il mio ex allievo Paolo Tommaselli, inviato del Corriere della Sera al Tour, ha scritto negli ultimi giorni. Il quadro del ciclismo professionista che ne esce è desolante. Ma anche quello dilettantistico è impregnato di doping. Come moltissimi altri sport. Ciò pare legato da una parte alla ricerca frenetica della vittoria, che dà fama, ricchezza, presenza nei media, alimenta il circuito dei finanziamenti, della pubblicità ecc.; dall'altro alla brama della performance in sé, per cui anche il dilettante, che da solo si fa un giro per le colline, cerca di farlo alla maggior velocità possibile, per superare ogni volta di nuovo i propri limiti. Perché la non accettazione del limite è la cifra dell'epoca nostra. Il mondo moderno, come scrisse Simone Weil, è in balia dell'illimitato. Il non-limite è coessenziale alla modernità, fa parte del suo più intimo nucleo. Pensare di poter porre limiti, quindi, è illusorio. Ma il limite è anche ciò che distingue, ciò che fa sì che le realtà differenti restino nella loro differenza, non si confondano, non precipitino nel caos. E se non ci sono differenze non c'è stabilità, ma non c'è nemmeno vera conoscenza. L'ordine nella Modernità, qualsiasi ordine, perciò, come qualsiasi limite e qualsiasi distinzione, non possono essere pensati e sentiti se non come provvisori, non garantiti stabilmente, e meno che mai come assoluti o sostenuti da una sanzione certa. L'aspetto demoniaco dell'Occidente è esattamente questo, la sua corsa verso l'annientamento di ogni differenza. Per questo, e solo per questo, la scuola occidentale, e soprattutto quella italiana, non è in grado di pensare ad una selezione dei meritevoli. Esattamente come nello sport non si può più sapere se la virtù di un atleta sia acquisita con l'allenamento e la volontà o sia conferita da farmaci e trasfusioni. Ma anche qui non c'è più differenza. Ma poiché l'assenza di differenze e il caos incombente generano ansia, il nostro mondo è in stato di ansia permanente. E anche qui gli Italiani si distinguono: il nostro consumo di ansiolitici e antidepressivi è mostruoso. Doping invertito. Tra gli insegnanti i consumatori di psicofarmaci sono numerosi.

Ci ricordiamo Luigi Berlinguer che dichiarava che nella scuola non doveva esserci gerarchia tra le discipline, e che il greco e la matematica dovevano valere come il giardinaggio? Il crollo delle differenze si può cogliere anche in quel momento. Rimane signore incontrastato il doping: di sostanze chimiche, di farmaci, di televisione, di presenze mass-mediatiche. Chi si dopa di più e meglio, vince, in tutti i campi.

 

Don Milani. Selezione dei meritevoli? In un Paese in cui il candidato alla guida del Partito Democratico esalta la figura di Don Milani? Mi fanno ridere amaramente le attuali celebrazioni della figura del prete di Barbiana. Le idee di Milani avevano un senso in un mondo che non era ancora compiutamente il nostro. Ma già allora avevano natura fondamentalmente retorica, e non avrebbero mai potuto tradursi sul piano di una realtà operativa scolastica nazionale. Mi pare significativo il fatto che la trasformazione di Milani in icona della Sinistra abbia comportato l'oblio (girardianamente direi l'espulsione) della figura della professoressa alla (e contro) la quale è indirizzata la famosa Lettera, che era un'insegnante (comunista) seria e dedita al dovere, e che forse della realtà capiva molto di più di quanto ne capisse il volonteroso sacerdote. Ma appunto, le differenze saltano, i concetti si fanno sfocati, e Veltroni, difensore della scuola pubblica, esalta Milani che la combatté e sostenne quella privata.

 

29 luglio 2007 A.D.

 

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