CRONICA XXI
Fabio Brotto
AUTOGESTIONI. Non mi pare che sulla stampa nazionale sia
uscita notizia di autogestioni clamorose in qualche
città. Forse mi è sfuggita. Un’invernata senza autogestioni pare anomala. Certo
è che nel mio liceo se ne parla, sottovoce, per gennaio. Un po’ in ritardo
rispetto agli anni passati, ma da noi non sarebbe la prima volta. Un collega di
Roma, insegnante di filosofia, il prof. Teodosio Orlando, mi manda questo suo Pentadecalogo
sulle occupazioni-autogestioni. Benché scritto due anni fa, mi sembra attuale e
da riproporre. La cosa interessante è che il prof.
Orlando è un uomo “di sinistra”, critico però anche nei confronti della propria
parte politica, come qui si vede.
Argomenti contro le
occupazioni e le autogestioni delle scuole
(versione 1.0, sommaria e schematica)
1) Le occupazioni rovinano l’immagine della scuola pubblica in generale, e in
particolare di quella occupata. Ciò è in flagrante
contraddizione con i consueti slogan che i promotori di siffatte
iniziative amano ripetere: è assurdo proclamare di voler difendere la scuola
pubblica e poi adoperarsi, tramite le occupazioni, nel dare di essa una pessima immagine. Infatti, i genitori, spaventati e
turbati dal clima caotico che si instaura durante le
occupazioni, preferiranno “dirottare” i figli verso le scuole private o, al
limite, verso scuole pubbliche più serie.
2) Occupazioni e autogestioni non hanno mai permesso di ottenere alcun
risultato concreto: tutt’al più, risibili tavoli di
consultazione e inutili e demagogiche consulte giovanili.
3) Si prestano a strumentalizzazioni da parte di varie forze politiche,
soprattutto di sinistra, non solo estrema. Ovviamente Rifondazione comunista e
i gruppuscoli extraparlamentari ancora più a sinistra non si limitano a
soffiare sul fuoco ma organizzano direttamente le occupazioni; ma spesso anche
forze politiche meno estreme ne approfittano per
“cavalcare la tigre”.
4) Spesso le occupazioni sembrano caricature o parodie di parodie: vedendo “i
giovani in lotta” sembra certe volte di assistere al film di Gabriele Muccino (non a caso ex studente del “Mamiani”)
Come te nessuno mai.
5) Si sciolgono con le vacanze natalizie come neve al sole.
6) Un argomento tipico degli “studenti in lotta” è il seguente: “ma noi siamo
diversi dai nostri predecessori (che poi spesso sono i nostri fratelli
maggiori), noi siamo seri, non velleitari, ci battiamo per cose concrete”: in
realtà, qui vale la massima (guarda caso formulata da Karl
Marx ne Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte) per
cui gli eventi storici che sono accaduti in forma di tragedia tendono poi a
ripetersi in forma di farsa.
7) Sono un pretesto per non fare nulla, sic et simpliciter.
8) Le cosiddette varie forme di didattica alternativa si risolvono in nulla: in
realtà gli studenti, se non pressati dal voto, passano il tempo a fumare e a
chiacchierare: se il professore, con competenza e ricchezza di informazioni, si
mette a parlare di argomenti sganciati dal programma (ad es. la guerra in
Afghanistan e in Iraq), pochi lo ascoltano. Figuriamoci se ascoltano realmente
quattro pseudo-capetti che parlano un italiano
sgrammaticato con frasi smozzicate.
9) Le occupazioni sono un’ottima scuola di anti-democrazia:
infatti, dietro il rifiuto infantile della delega e della democrazia
rappresentativa, si nasconde una torbida mentalità assemblearista
che riproduce in modo caricaturale la democrazia diretta rousseauiana-giacobino-leninista,
ma con semplice sbocco anarcoide.
10) Si rileva spesso una flagrante contraddizione tra alcuni slogan (“vogliamo
più aule, non vogliamo più le strutture fatiscenti, protestiamo contro la
mancanza di computer e di spazi, di biblioteche, ecc.”) e il vandalismo a cui
si abbandonano e che lascia le scuole in istato
invero deplorevole.
11) Si riscontra un’abituale disinformazione sui problemi reali, che solo a
chiacchiere starebbero a cuore a codesti studenti: la tendenza non è
all’analisi e all’approfondimento, ma all’urlare scomposto con slogan e
luoghi comuni (no alla privatizzazione, no al numero chiuso). Si nota anche una
forte riottosità a leggere documenti ufficiali, disegni di legge, ecc.:
pateticamente gli studenti adducono a pretesto la
loro inaccessibilità, ma questa scusa non ha più senso
ai tempi di internet, che permette di accedere a immense banche dati con
estrema facilità.
12) Va evidenziato che gran parte dei “fighetti”,
rampolli della borghesia rossa romana (e non solo), di licei come il “Tasso” e
il “Mamiani” possono permettersi il lusso di giocare
a fare i rivoluzionari da adolescenti perché, da adulti, avranno una serie di
garanzie sociali, procurate dalle reti social-familiari,
che consentiranno loro ugualmente di affermarsi professionalmente.
13) Irritante è il loro terzomondismo esibito a ogni piè sospinto, che spesso
si accompagna ad atteggiamenti paternalistici, quando va bene, verso i
collaboratori domestici extracomunitari che prestano servizio nelle loro case
borghesi.
14) Durante le occupazioni echeggia metaforicamente lo slogan “Sex & drug & rock’n’roll: in particolare, si consumano stupefacenti senza alcun
controllo e ci si abbandona alla più totale promiscuità sessuale senza alcuna
remora.
15) Le occupazioni favoriscono il conformismo, facendo sì che anche gli
studenti meno intenzionati a occupare vengano trascinati come pecore e
subiscano una sorta di lavaggio del cervello.
Prof. Teodosio Orlando
GILDA. Sono
iscritto alla Gilda da più di dieci anni, ed è giunto il momento di ripensare
al mio rapporto con quest’associazione. Mi iscrissi a
suo tempo perché vedevo in essa la portabandiera di alcune giuste
rivendicazioni (stipendi europei,
contratto autonomo degli insegnanti, rivalutazione culturale e sociale della
figura del docente) e, nell’insieme, di un ideale di scuola che pone al centro
la relazione docente-discente. Mi sono anche sobbarcato il ruolo di RSU nella
mia scuola, in un contesto davvero difficile e
ingrato, anche per sottrarre spazio ai sindacati tradizionali, che continuo a
giudicare una delle pesti della scuola (io, ma non i colleghi votanti, a
giudicare dai risultati delle recenti elezioni RSU – peraltro nel mio liceo ha
votato un terzo dei docenti, e questo la dice lunga, lunghissima). Mi sono reso
conto che le RSU in quanto tali sono concepite sulla
misura del sindacalismo tradizionale: se forse in qualche scuola si sarà potuto
scardinare il quadro, nella stragrande maggioranza degli istituti la
contrattazione RSU non può che supportare il sistema, ed è un sistema che
detesto dal più profondo del cuore. Il mio ruolo di RSU mi ha posto in
contraddizione con me stesso. Ma come? Io che non
credo nella scuola dei progetti, io
costretto a lavorare perché i progettanti prendano i
soldi cui hanno diritto? Io che penso che la scuola ideale sia quella in cui girano solo i soldi degli stipendi e degli strumenti, e in
cui i docenti la mattina fanno lezione e il pomeriggio studiano. La situazione
insostenibile mi ha portato a resistere alle pressioni della segreteria
provinciale della Gilda perché mi ripresentassi alle elezioni nel mio liceo. Nihil agis, his me verborum laqueis non tenebis! Risultato:
c’è in gara una sola lista, lo SNALS, con due candidati per due posti. È
possibile? È possibile: da noi tutti vogliono i soldi dei progetti, nessuno si
vuole impegnare gratis perché i colleghi li prendano. Amen.
Da ciò che leggo sui
giornali, si evince che nelle ultime elezioni la CGIL ha stravinto, la Gilda ha
straperso. Non mi meraviglia, la Gilda non è
attrezzata per il sindacalismo tradizionale. Si è incamminata sulla strada che
conduceva dall’associazione al sindacato, con molti dubbi e
interne fratture, ma non poteva fare il salto fino in fondo, ed è
diventata un ferro ligneo. Del resto, in Italia non c’è molto spazio per gruppi
sindacali equidistanti dalle parti politiche: devi essere o guelfo o
ghibellino, fa parte della costituzione antropologica fondamentale
dell’italiano. Già immagino, a questo punto, i dirigenti della Gilda affermare
che in un contesto difficilissimo
l’associazione-sindacato è riuscita a mantenere un y per cento di
rappresentatività, che la sconfitta è stata in realtà una ritirata strategica,
o cose simili cui i partiti da tanti anni ci hanno abituato. Pensavano di
ottenere consensi manifestando in vesti da giullari davanti al Ministero. Ma andiamo, alla loro età… ho paura che una parte del loro
essere viva ancora negli anni Settanta. Quanto spreco di intelligenza,
mi dispiace davvero. La Gilda non ha saputo, penso
anche per una deficienza di leadership, capitalizzare il consenso ottenuto
negli anni trascorsi. Forse anche l’ondata di “ribellismo” (chiamiamolo così)
degli insegnanti ha toccato la sua punta massima col
“concorsaccio” ed ora è in deflusso, e si torna ad ancorarsi a ciò che appare
più solido, come i sindacati tradizionali, che nella contrattazione interna
possono offrire la sicurezza di una lunga esperienza. Però, però: io qui che cosa ci sto a fare?
Il tempo è poco, bisogna usarlo al meglio. In
bibliothecam meam fugio velut in arcem.
ORNAMENTI. Eccoci alle pagelline. Sono sempre più numerose le scuole che ricorrono
all’espediente della comunicazione formale dei voti ai genitori a metà del quadrimestre. È quasi
come se si venissero a creare quattro bimestri. Molte scuole mettono i voti on line: si pensa che tutti i genitori
siano navigatori, che tutte le famiglie sbavino per l’ADSL, che ogni madre italiana sia una donna dello
schermo. La scuola italiana di oggi, giustamente, non
si pone il problema dell’equità (né di alcuna virtù morale: vuoi mettere la
scuola che sbatte i voti on line! Che efficienza! È moderna davvero, merita
il bollino blu oltremarino. Ci sono però scuole che, come la
mia, non sono ancora in grado di servirsi del web per la bisogna, e in cui ogni
coordinatore di classe deve far girare tra i colleghi degli stampatini
dall’aria triste e dimessa affinché siano vergati da grafie diverse, con
inchiostri diversi, con voti scritti in dimensioni differenti: vedi otto smilzi
e sei corpulenti: sì che l’immagine della scuola che ne deriva sia più vicina
alla realtà, che il virtuale distorce.
Orbene, gli allievi
denunciano l’affanno dei compiti e delle interrogazioni che si affollano nei giorni
che precedono la redazione delle pagelline, come lamentavano il convulso accavallarsi delle
prove a fine quadrimestre quando finiva il 23 dicembre, come piangeranno
quest’anno i giorni della fine al 23 gennaio. Il destino dello studente è la
lamentazione. Il destino del docente è la lamentazione. Il destino del
Dirigente è la lamentazione.
Io ho sempre votato (unico)
per i trimestri. È chiaro che le pagelline determinano dei bimestri, sui quali i docenti
dovrebbero meditare un po’ di più di quanto siano soliti fare. Non era più
razionale il trimestre? Certo che lo era. Il
quadrimestre non ha mai realmente funzionato, si regge sull’illusione dei
docenti di riuscire ad avere un lavoro meno stressante, un’illusione che ora
appare pura insensatezza. Si sa, tanto per dirne una, quanti
docenti di italiano hanno, negli ultimi trent’anni, usato far svolgere
due sole prove scritte per quadrimestre? Tantissimi, né li condanno per questo,
hanno molte attenuanti. Però ne avrebbero fatte due
per trimestre. E allora? In realtà nella scuola non si
vuole mai tornare indietro, anche quando tutti vedono che sarebbe meglio farlo
il più sollecitamente possibile. Si è convinti che non sia possibile: anche
questa è ideologia. Così l’auto-scuola, che non è possibile costringere ad una inversione a u, continuerà la sua corsa. Sarà una corsa
verso l’oscurità più totale, nelle tenebre dell’ignoranza: che però si
presentano, e questa è una caratteristica fondamentale della nostra epoca, come
ornate. Le nostre tenebre scolastiche
sono piene dei fulgori di frastornanti ornamenti: bollini, certificazioni,
monitoraggi, tutoraggi, standard, input, ecc. ecc.
Sono tutti ornamenti dell’oscurità. Kallopísmata órphnes, come diceva Michelstaedter.
ALBERO DI NATALE. Allegorico, luminoso, stupefacente, numinoso.
Nel vaso la terra: i docenti. Il fusto è la struttura del Ministero, che tutto
regge. I rami sono gli Ex Provveditorati, che sopravvivono a se stessi, in
meravigliose nuove forme. I rametti sono le industri Scuole, che soddisfano e
compiacciono sterminate Clientele. Le foglie acute sono gli Studenti, che si
succedono a folte generazioni.
Le palle multicolori sono le
Riforme e gli illustri progetti de’Dirigenti. Le
candeline accese a intermittenza sono i Pof e gli attraenti e voluttuosi Open Days.
E sulla sommità dell’albero la cuspide luccicante: radiosa
immagine del Nostro Ministro Signora Brichetto.
UNA MORTE.
Alberto Gallas, amico di una vita intera - da quando
avevamo diciassette anni – è morto. La sua scomparsa mi ha colto impreparato,
non già perché io fossi inconsapevole della mortalità di coloro che amo – lo
sono più di ogni altro – ma perché non avrei mai
pensato che lui, proprio lui sarebbe morto prima di me. Sebbene da molto tempo
vivesse a Milano (insegnava alla Cattolica) e ci vedessimo un paio di volte
all’anno, lui per me era sempre una presenza fondamentale nel mondo, un
compagno di strada insostituibile.
È stato uno studioso di grande rigore intellettuale. I suoi scritti di storia della
teologia, come e le edizioni da lui curate, sono esemplari. Si può vedere il
ricco Ánthropos Téleios.
L’itinerario di Bonhoeffer nel conflitto tra
cristianesimo e modernità (Queriniana, Brescia
1995) o la precisissima edizione de L’istante di Kierkegaard, di cui ho scritto in DUE LIBRI (http://www.bibliosofia.net/files/DUE_LIBRI_24.htm
).
Amava soprattutto la
giustizia. Non si chiedeva mai cosa fosse conveniente per lui, ma che cosa
fosse, in ogni occasione, giusto. Il suo cristianesimo è stato problematico, esigente, insoddisfatto e profondo. Non piegò
mai le ginocchia davanti ai poteri di questo mondo. Perciò,
a 52 anni era ancora un semplice ricercatore universitario (con affido), segno
dei tempi.
Ha vissuto la sua morte con
alta coscienza. È stato se stesso anche nella fine. Pars magna mei obiit. Amice, vale.
20 dicembre 2003 A.D.