CRONICA XIX

Fabio Brotto

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CENTRALITÀ. Lo studente al centro. La centralità del discente è continuamente affermata dalle pedagogie ufficiali recenti. "Una scuola nuova che pone lo studente al centro": si deve indurne che prima di questo cambiamento la scuola vecchia ponesse al centro l'insegnante. Sarà stato così. Certo lo poneva in alto sulla cattedra, in cui saliva all'inizio della lezione e da cui scendeva alla fine, tra il profumo degli incensi, sacerdote della cultura. Il gioco è finito, miserevolmente. Credo che la scuola nel suo complesso (non solo in Italia) non riesca a comprendere pienamente - ho talvolta il dubbio che non riesca a comprendere affatto - ciò che le sta accadendo, e che molti insegnanti, Dirigenti, Ispettori, ecc., pensino di essere liberi protagonisti che fanno le loro scelte, mentre sono agiti da forze storiche che li trascendono e che essi nemmeno tentano di comprendere. Sono ciechi guide di ciechi. Ma vanno sicuri (Ah, il Dirigente che se ne va sicuro,/ agli altri ed a se stesso amico,/e l'ombra sua non cura che la canicola/ stampa sopra uno scalcinato muro…). Loro non vedono le ombre, perché sono creature solari, del giorno, aggiornate. Gli insegnanti come me, che vedono le ombre, e vorrebbero trasmettere, a qualche allievo almeno, il dono dello sguardo, non possono né vogliono comunicare con costoro.

Torniamo al centro: non v'è centro senza che vi sia periferia. Al centro, in origine, si colloca il sacro. E ogni oggetto centrale mantiene per sempre il carattere della sacralità-divinità, anche nei contesti più secolarizzati. Ma sacralità e divinità sono irrevocabilmente connessi al sacrificio e ai processi di vittimizzazione. Porre gli studenti al centro significa porli nel luogo del sacro e della vittima, della vittima sacra. Oggi questa non può che essere un'operazione contraddittoria.

Eric Gans ha mostrato ( http://www.bibliosofia.net/files/MERCATO__E__RISENTIMENTO.htm ) come la cultura postbellica - postmoderna sia una cultura vittimistica, cioè una cultura in cui le vittime sono privilegiate in quanto tali, ragion per cui i singoli, ma soprattutto i gruppi umani, si affermano come vittime di questo o di quello, ricevendo così consenso sociale e valorizzazione. Nella cultura postbellica lo stigma della vittima conferisce valore e significato. Il fenomeno più grandioso del dopoguerra è l'emergere della cultura giovanile come dominante nella società: essa nasce da una identificazione dei giovani occidentali con i gruppi individuati come vittime, anzitutto con i neri d'America. È interessante notare come questo atteggiamento, che dovrebbe essere riportato alla reazione morale allo Sterminio degli Ebrei, non abbia comportato nelle masse giovanili alcuna identificazione con questi, e ciò a causa di Israele e dell'America, visti sempre come vittimizzatori. Nel contempo, il fatto che l'identificazione avvenga con i neri d'America è una controprova del potere americano, e dell'attrazione mimetica che l'America suscita. I neri d'Africa interessano molto meno, dei Birmani non s'interessa alcuno. L'autoidentificazione di un gruppo come vittima può avvenire però, all'interno di una società complessa, solo se la società stessa è disposta a riconoscere questo status. È avvenuto con i giovani. La youth culture è un fatto occidentale trans-nazionale. Tutti i sistemi scolastici ne sono stati influenzati, eppure la cultura giovanile continua a rimanere sostanzialmente estranea alla scuola. Invero, il testo aureo del vittimismo studentesco italiano è stato Lettera a una professoressa, nelle cui pagine la cultura giovanile è assente.

Se il rapporto è quello tra un singolo e un gruppo, il singolo si pone come centro e il gruppo come periferia. Ciascun singolo, in effetti, può sempre essere attirato al centro e sacrificato. Chi sta al centro domina nell'intervallo tra la sua occupazione del centro e il suo sacrificio o La sua espulsione. L'intervallo può essere lunghissimo o brevissimo, può anche essere così lungo che il sacrificio non avviene mai, essendo permanentemente differito. Il centro domina, a meno che non si verifichi un turbamento nella periferia, che può condurre ad una rivolta della stessa contro il centro (per quel che riguarda la scuola, il fenomeno è particolarmente evidente nel Professor Unrat di H. Mann, cfr. http://www.bibliosofia.net/files/Conferenza_2.htm ). Il centro in quanto tale è il luogo del potere e del sacrificio, trono e altare hanno una origine unica. È chiaro che rovesciare il rapporto è impossibile: non si può costituire un centro di venticinque individui e una periferia di uno. Gli esiti possibili sono l'espulsione dell'uno, sostituito da interazioni digitali (Maragliano) o la posizione di un rapporto binario (insegnamento individualizzato, con la periferia che tende a trasformarsi in una serie di monadi, tendenza che mi pare emergere nell'attuale Potere Pedagogico Sovrano).

NEGOZIANTE. Il docente negozia. Il rapporto che egli ha con il Dirigente, gli studenti e le Famiglie può essere letto in termini di negoziato permanente. Minore l'auctoritas del docente, più scarso per lui il risultato.

SCIENTIFICO. Sul Corriere della Seradel 22 settembre Angelo Panebianco richiama l'attenzione ("Le aule vuote delle scienze") sul fatto che le facoltà scientifiche in Italia non attirano studenti in numero adeguato, riconducendo, mi pare, nella sostanza il problema ai "pregiudizi antiscientifici diffusi nel paese" (e quali sarebbero, di grazia?) che contribuirebbero anche a "spiegare il disinteresse della classe politica per la ricerca scientifica". Non sarà piuttosto che nel paese che aveva un grande tradizione di ricerca chimica, e ha liquidato il settore chimico, e che aveva una tradizione nel settore informatico, e parimenti l'ha liquidato, vi sia oggi un'attrazione fatale per tutto ciò che appare portatore di profitti a breve termine e poco faticosi?

A pag.15 dello stesso numero c'è un articolo sulle manovre congiunte tra Luftwaffe e aviazione israeliana (Mig 29 tedeschi - ereditati dalla DDR - e F15 israeliani). C'è anche un riquadro con foto dei due tipi di velivolo. La didascalia, come nei giornali capita spesso, è sbagliata, e confonde un aereo con l'altro. Io, umanista con una limitata dose di conoscenze tecnologiche, so distinguere un Mig da un caccia di produzione americana, chi ha composto la pagina del Corriere no. Pazienza. Ma nel corpo dell'articolo si trova scritto che sulla fusoliera di quei Mig tedeschi sarebbe "stampata" una croce uncinata. Ma si può essere così rozzi da non sapere che la croce uncinata dopo il 1945 non compare più sugli aerei tedeschi, in quanto simbolo nazista? Sì, evidentemente si può essere così rozzi, penso che un moderno direttore di giornale dia siffatti errori come scontati, cosine da nulla, per cui chi li commette non vede pregiudicata la sua carriera di giornalista. [Le croci nere di oggi sono quelle tradizionali teutoniche.] Qui si vede un esempio di quell'imprecisione, di quella cialtroneria diffuse, trionfanti soprattutto in televisione. Che fanno a pugni con lo spirito scientifico, certo, ma anche con quei valori di precisione, correttezza, ecc., che non sono scientifici in senso stretto, ma appartengono a un patrimonio comune di ragione.

INIZIO. Differisce in qualcosa l'inizio di quest'anno scolastico dall'inizio dell'anno scolastico scorso? Anche adesso celebrazione: con Ciampi, Brichetto e personalità dello sport e dello spettacolo (intesi come ambiti che attraggono tutti gli Italiani, e soprattutto mete di ogni aspirazione giovanile). Una kermesse. Oltre il celebrativo, i richiami del Padre della Patria e le soft utterances della Dama, restano gli eterni problemi ("Ma abbiamo fatto molto, ora gli stipendi degli insegnanti italiani sono più vicini a quelli europei - del resto i docenti italiani lavorano meno dei loro colleghi europei, quelli sì che ci danno dentro, lo sanno tutti, e noi non ci decideremo mai a cercare di capire quanto sia il lavoro professionale sommerso"). Gli eterni problemi: il precariato anzitutto, di cui ora è assolutamente chiaro il concetto fondamentale, cioè che politici e sindacalisti lo adorano, non possono farne a meno, altrimenti sarebbe finito da un pezzo. Non voglio prendere in considerazione l'ipotesi che coloro che hanno determinato le sorti della scuola siano una massa di incapaci. Se i sindacati e i politici lo amano, poi, un motivo ha da esserci. Francamente, mi mancano le forze intellettuali per cogliere questo motivo. Sembra di poter dire che il precariato nella scuola è destinato a durare. Con un elemento di novità: la lotta tra precari storici e sissini è uno spettacolo che ancora ci mancava, degno sigillo di un modo disastroso di gestire il reclutamento dei docenti. Nel 1975-76 io ho frequentato il Corso abilitante ordinario: 350 ore di lezione al pomeriggio, più tirocinio (insegnavo alle medie come supplente annuale e il corso era per le superiori). Fu un'esperienza interessante, anche perché conobbi colleghi di grande valore, che sarebbero passati poi all'università, come Francesco Zambon e Rolando Damiani, e mi sembrava anche ben concepita, tutto sommato - 350 ore di frequenza più un esame scritto e orale alla fine: una formula forse da migliorare, ma poteva rimanere il sistema ordinario di reclutamento. Miracolo italiano: ci fu solo quella volta, un ordinario una volta soltanto! Poi trionfò il caos.

Gli eterni problemi sono oggetto di una raffica di servizi televisivi e di articoli di giornale ad ogni settembre che viene. Il succo è sempre: la scuola italiana è ricca (troppo) di docenti e povera di mezzi, i soldi per cambiarla davvero in meglio non ci sono né ci saranno. [È vero che il Governo ha stanziato una massa di euro, ma con la vaga espressione entro cinque anni, senza indicazione di termini precisi, quindi per ora è più fumo che arrosto] Per qualche giorno la scuola è nei media, poi scompare.

Per l'insegnante l'inizio era un tempo l'incontro con le classi. Ora l'inizio è rappresentato dalle cosiddette riunioni collegiali. Data la mutazione antropologica del docente, che sta decrescendo e sempre più appare considerato un minore, bisognoso di direzione e sostegno, le riunioni dovrebbero, piuttosto, essere definite di collegiali.

METAMORFOSI. Mi viene in mente Simone Weil: "Poiché il pensiero collettivo non può esistere come pensiero, esso passa nelle cose (segni, macchine…). Ne consegue questo paradosso: la cosa pensa, e l'uomo è ridotto allo stato di cosa. Dipendenza dell'individuo rispetto alla collettività, dell'uomo rispetto alle cose: una eademque res". Gli insegnanti oggi tendono a reificarsi, a diventare strumenti. No, tendono a qualcosa di peggio: a diventare funzioni. Osserviamo la terminologia in uso nella scuola, che si viene facendo sempre più extra-umana, sempre più in-umana.

Si parlò anni fa, in riferimento a quei docenti che dovevano assumersi compiti di raccordo, coordinamento, ecc. ecc., di figure di sistema. Se ne era parlato, ricordo, anche dentro la GILDA. Dato che ciò rientrava in una visione di carriera dell'insegnante in cui - in fondo - si sarebbe premiato l'allontanamento dalla cattedra (il che è in ogni progetto di differenziazione di professionalità e stipendi), li chiamai figuri (loschi) di sistema. Ma una figura, per quanto tenebrosa, mantiene ancora in sé una traccia della dignità dell'umano. Vennero poi alla luce le funzioni obiettivo. Mai come in questo caso il linguaggio è rivelatorio.

"Cosa fai nella scuola?"

"Insegno italiano. E tu?"

"Sono una funzione obiettivo."

"Ma come? Sei degradato al di sotto delle cose? Meglio essere una lavagna, un computer, che una funzione! E poi, che italiano è questo? Fossi almeno una funzione obiettiva. Almeno risponderesti a quel bisogno di oggettività che nella scuola di oggi è imperante".

"In effetti, come funzione obiettivo mi prefiggo l'obiettivo di far raggiungere determinati obiettivi, che sono stati individuati nel Collegio dei Docenti da alcuni soggetti, che oggettivamente li hanno determinati in base alle loro esigenze soggettive".

Naturalmente, la denominazione ufficiale è docente preposto a (addetto a, incaricato di, ecc.) funzione obiettivo, che è espressione lunga ed orribile, non utilizzabile, quindi nella pratica si è sempre detto che il prof. Sempronio è una funzione obiettivo. Ma ora le funzioni obiettivo sono superate, poiché in Italia le denominazioni sono fluide, magmatiche, in continuo progresso. Il termine, obsoleto, non si usa più. In fondo, la funzione obiettivo aveva ancora un'aura di eccessiva libertà, poteva far sorgere il sospetto che la sua funzione fosse quella di scegliere qualche obiettivo. Ora la sapienza sindacal-ministeriale ha coniato un'espressione assai più precisa, e ben più adatta ai tempi nostri, di grande e fecondo rinnovamento dell'istituzione scuola: funzione strumentale. O gloria! Ma quale aspirazione umana poté sentirsi adempiuta più felicemente! "Sono diventato una funzione strumentale". Esser strumento già era troppo, l'insegnante che vale davvero non è un superbo, non vuole che la sua misera realtà umana possa essere confusa con la dignità dello strumento: esulterà quando, chiamato funzione strumentale, sarà affermata la sua vera essenza. Poiché "Uom di povero stato e membra inferme / Che sia dell'alma generoso ed alto / Non chiama sé né stima / Ricco d'or né gagliardo, / E di splendida vita o di valente / Persona infra la gente / Non fa risibil mostra; / Ma sé di forza e di tesor mendico/ Lascia parer senza vergogna, e noma / Parlando, apertamente, e di sue cose / Fa stima al vero uguale."

1 ottobre 2003 A.D.

SCUOLA E NON SCUOLA