CRONICA DECIMA

Fabio Brotto

brottof@libero.it

bibliosofia.net

 

MEPHISTO. Ore 7.45. Superando la cortina di fumo di sigaretta che galleggia nell'aria attorno ad un gruppetto di miei allievi davanti al portone della Succursale, entro e vado nella saletta insegnanti. Devo fare le fotocopie per il compito di latino. Se ne fanno ancora, non so per quanto. Tre colleghi già in loco, dall'aria assonnata e poco reattiva, ricambiano il mio saluto con voce sbigottita e deboletta. Se sono così prima delle otto, chissà come saranno all'una. Lo so benissimo. Non sembrano avere in sé molta energia. E Dio sa se ce ne vuole per insegnare. Già, nessuno, agli alti livelli, presso Ministero e Sindacati, sembra riflettere sul quantum di energia che una persona deve possedere per poterla erogare nell'insegnamento. Guardate uno che ha insegnato per cinque ore di seguito: pare uno straccio, un ebete, un fantasma. Questo penso, mentre la vetusta fotocopiatrice, tossendo e scaracchiando, emette con difficoltà un foglio dopo l'altro. Belli caldi, però, senti che fragranza. Non sarà come quella delle cartucce appena sparate in ottobre, però… Di primo mattino questo profumo d'inchiostro mette voglia di spiegare… Sono vecchio, parlotto spesso senza rendermene conto.

Spiegare… - sussurra una voce alla mia sinistra. Mi giro e vedo quello che mi sembra un nuovo collega. Sarà un supplente, non l'ho mai visto. Che faccia grigiastra, però: deve essere un gran fumatore. È vestito da post-sessantottino, forse da cigiellino. Mah, di questi tempi è un po' difficile indurre dal vestiario gli orientamenti politico-culturali di una persona. Certo, il professore maschio in giacca e cravatta è raro, e non è detto che sia reazionario. Potrebbe essere un comunista all'antica… Ohibò, sono anch'io in giacca e cravatta. Cosa sono? Come sono formale! Forse devo operare un restyling, ringiovanirmi, curare il fisico. Non diciamo scemenze, posso ancora farmi ore di caccia in montagna.

- Spiegare, dici, - ripete.

- Sai, - rispondo, - sono un insegnante di lettere, un umanista. Per me la parola è tutto. Devo parlare molto per insegnare agli studenti proprio l'uso della parola, del logos. Senza un modello non ce la faranno mai. Devo anzitutto insegnare loro a scrivere e a parlare correttamente, bene se possibile.

- Non ti pare che la spiegazione sia una cosa superata? Sei ancora allo stadio della spiegazione, spiegazione, spiegazione, e poi interrogazione?

- Be', sì.

- E magari spieghi, spieghi, spieghi, e poi li interroghi tutti su quello che hai spiegato, perdendoci ore e ore a farli parlare, invece di somministrare comodi, pratici e scientifici test?

- Be', sì. Del resto nelle pagelle e nei registri sono ancora indicati i voti nello scritto e nell'orale. Siccome sono ancora legato al principio di non contraddizione, non vedo come il voto nell'orale possa derivare da prove scritte. So che succede, ma per me è un mistero. Evidentemente ho molti colleghi alchimisti. Io impiego molto del mio tempo di insegnamento nelle verifiche orali.

- Sai che palle!

- Certo, devo riconoscere che a volte è noioso. Tuttavia, per raggiungere qualsiasi obiettivo serio bisogna fare fatica, saper affrontare momenti di noia. Non può accadere che tutto sia gratificante subito, fin dall'inizio. Per gradus ad Parnassum.

- Ma non ti affatichi a parlare tanto?

- Sì, certo. Ci sono dei giorni in cui mi sento stanco davvero. A volte, dopo molte spiegazioni mi fa male la gola, il petto mi duole.

- È che il tuo metodo, se così si può chiamare, è vecchio. Guardati intorno. Non vedi quei colleghi aggiornati che organizzano il lavoro per moduli, che accertano e certificano sul serio, che fanno lavorare gli studenti autonomamente in gruppi, che poi li fanno relazionare, e danno i voti sulle relazioni collettive? Sono persone sempre up to date. Fanno corsi al pomeriggio perché non consumano tutte le energie al mattino come fai tu. Poi, sanno delle metodologie, sono in grado di descrivere ciò che fanno con terminologia pedagogico scientifica. Monitorano e implementano. Fanno tutoraggio. Tu sei tutor? Vai alla SSIS?

- Alla SIS, sì, ci vado. Società Italiana Setter: sono un cacciatore cinofilo.

- No, la SSIS, quella dove operano li insegnanti di prima categoria, i formatori.

- Veramente, l'energia di cui dispongo la esaurisco tutta nelle mie tre classi.

- Certo, non mi meraviglia: il tuo metodo è antiquato. Consumi troppo rispetto a quanto ottieni. Diciamo che la tua bilancia è in passivo.

- Sai, qui misurare è difficile.

- Oggi si deve essere convinti che tutto va misurato e giustificato.

- Io poi il pomeriggio devo leggere, studiare

- Magari leggi i libri che ti piacciono. Il piacere deve essere per gli studenti, non per gli insegnanti. In questo caso non è lavoro! In sostanza, tu lavori solo mezza giornata. I professori bravi, quelli che dovrebbero essere pagati il doppio, sono quelli che il pomeriggio non se ne stanno a casa, come fai tu, a leggere libri, a fare siti internet su antropologie e fesserie varie, a scambiarsi e-mail con studiosi di filosofia e letteratura, per divertirsi, ma quelli che frequentano i dipartimenti universitari, a lezione di psicopedagogia dei comportamenti devianti, integrazione basica multilingue a distanza zero, insegnamento relazionale integrato multiuso dedifferenziato. Questi sì acquistano competenze, che giustamente verranno riconosciute. Se continui così, sarai un relitto.

- Relitti, bel romanzo di Julien Green. L'ho appena letto. Vuoi che te ne parli? Il protagonista è un trentenne che soffre di un vizio molto comune tra gli insegnanti: la mancanza di coraggio.

- Guarda che io parlavo sul serio, tu invece butti tutto in scherzo. Ironia distruttiva piccolo-borghese. Non proponi nulla di positivo, sai solo parlar male di chi vuol rinnovare. Sei inguaribile, sei già condannato. Vado a parlare con qualcun altro.

- A proposito, in quali classi insegni?

- Io? In quasi tutte.

È scemo, penso. Torno a guardare la fotocopiatrice, che intanto si è fermata. Speriamo non per sempre. Penso che quello dovrebbe essere un insegnante di lingue, di solito sono i più aggiornati. Lo cerco con lo sguardo, voglio vedere con chi sta parlando adesso. Uh! Non c'è più.

- Non sentite odore di zolfo? - chiede una giovane ingenua supplente. Nessuno l'ascolta.

MODA, MORTE. Quali tra le vostre studentesse si sottraggono alla moda imperante, che vuole calzoni dalla vita bassa e magliette corte, sì che il fondoschiena si dispieghi nudo ampiamente ad ogni lieve chinarsi? Andrebbero premiate per anticonformismo, se la loro fosse una libera scelta. Le reni nude delle allieve e i loro ombelichi ostentati (magari con un piccolo piercing) mi sembrano un emblema dell'epoca. Anche della scuola, dove la coperta è corta.

Sto pensando a quanto anche gli insegnanti, negli ultimi quarant'anni, abbiano seguito la moda. Le mode. A quanto ne siano stati schiavi. L'entusiasmo per lo strutturalismo, che ha prodotto tanti libri scolastici illeggibili, insostenibili, meccanici e aridi, in cui i testi (Testualità! Testualità!) sono stati sezionati, massacrati, uccisi, annientati, col risultato di allontanare generazioni dalla lettura. Il democraticismo post-sessantottesco, con le sue follie, le sue illusioni egualitarie, per cui il docente pesa tanto quanto il discente, in tutto, compresa la sfera della conoscenza: anzi forse pesa di più (mi ricordo certe sparate maraglianesche, e l'abominevole Berlinguer proclamante che in tanti settori gli allievi ne sanno più degli insegnanti, che il giardinaggio vale quanto il greco, la fiera delle assurdità riverite e incensate). Il culto del dio informatico, per cui la fiera legione degli insegnanti di matematica si è data al computer Moloch come a colui che tutto risolve: e infatti oggi gli studenti masticano la matematica in modo incomparabile, non sapendo fare una semplice divisione se non con la macchinetta. Moda imperante. Ma la Moda, lo si sa, tende a dialogare con la Morte. Dove c'è solo Moda, c'è la morte dell'intelligenza.

Ed ecco che compare un rappresentante di una Casa Editrice Scolastica. Già, doveva pur cominciare, è il primo giorno di febbraio. Inizia la grande migrazione. Arriveranno a decine, i tavoli delle sale insegnanti si riempiranno di cataloghi e depliant, riccamente illustrati. Business is business. Quando mi vedono, i rappresentanti mi identificano subito: è quello che non vuol mai vedere niente, che se ne frega delle novità.

- Anche quest'anno lei non vuole prendere in considerazione le nostre proposte, vero?

- No, grazie.

- Avremmo una nuova letteratura latina con foto stupende.

- No, grazie.

- Avremmo però una storia della letteratura italiana in venti fascicoli con ventiquattro CD rom. Se la sceglie e la adotta, la Casa in più le offre una bottiglia di acqua minerale

- Gasata?

- No, naturale.

- Allora non mi interessa.

- Avremmo una serie di Classici con DVD e ologrammi di sesta generazione, per cui Cicerone appare materializzato vicino alla cattedra…

- È costosa?

- Per gli studenti no. L'insegnante deve versare cento euro per ogni ologramma. Però può farlo a rate. Tenga conto che l'insegnamento cambia da così a così.

- Grazie, ma sto ancora pagando le rate del computer e quelle dell'auto (usata).

- Professore, permette una domanda.

- Ma sì.

- Ma lei non sente il bisogno di rinnovarsi?

- No. Sono un insegnante metafisico. Penso che la verità sia una ed eterna. I libri sono come le opinioni degli insipienti, che vanno e vengono. Se ne può fare a meno. Lo sa che per due anni ho provato a fare a meno dell'antologia? Facevo comprare i libri (non scolastici) in edizione economica, facevo fotocopie di brani di mia libera scelta. Le famiglie risparmiavano soldi. Gli allievi prendevano appunti delle mie spiegazioni. Un po' come all'Università di una volta. È andata benissimo, solo che mi stancavo molto, e non prendevo una palanca in più. Vorrei un'antologia della letteratura italiana fatta solo di brani, senza schemi, introduzioni e commenti, tantissimi brani tra cui poter scegliere. Idealmente dovrebbe contenere tutto. Se la tecnologia nella scuola fosse reale e non puramente ideologica, e gli studenti avessero un computer su ogni banco, allora il gioco sarebbe fatto. Ogni insegnante si ritaglierebbe la sua antologia, e anche i discenti si muoverebbero con più libertà, potrebbero addirittura diventare discepoli. Ma è un sogno. I soldi non ci sono. E poiché esaminare molto bene un testo nuovo prima di adottarlo porta via molte ore - che non sono riconosciute e pagate - e sottrae tempo alla mia realizzazione spirituale, anzi l'ostacola, e la mia realizzazione spirituale è fondamentale per gli allievi, perché su di essi ridonda - può un cieco essere guida di ciechi? - io da anni non esamino, né mai più esaminerò un testo scolastico. A me interessa che gli allievi maneggino libri veri, non quelle assurdità che vaccinano per sempre contro la bibliofilia.

MODERNISMO. Nella critica angloamericana è un concetto fondamentale che riguarda lo sviluppo delle forme artistico-letterarie, e in particolare, per quel che mi interessa, del romanzo. Nella scuola italiana è una sindrome gravissima. La scuola italiana moderna leggeva, in anni lontani, mia madre maestra. Moderno come positivo-efficace-liberante-dai-pregiudizi- arricchente culturalmente e monetariamente. L'ideologia per cui il moderno è di per sé buono, senza distinzione di mezzi contenuti fini, ideologia la più a buon mercato che sia mai stata prodotta, non ha trovato nella scuola abbastanza anticorpi. Ne ha trovati sì, ma non abbastanza. Il moderno è unificazione, trionfo dei valori più forti, omologazione. Il post-moderno è la crisi, è l'esaltazione della differenza in quanto tale, è la fine della fede nella competizione, è il frammentarsi in universi separati, è l'illusione della pace-nella-differenza. Il post-millenniale è il risveglio: pace e guerra non sono più distinte, sono un groviglio per cui bisogna trovare altre parole. Ma nella scuola siamo per un verso ancora alla lotta tra moderno e pre-moderno. Ci sono ancora riti sacrificali, ci sono capri espiatori, ci sono espulsioni e vittime. E nello stesso tempo c'è il trionfo del moderno: culto della techne unificante, dio computer. E c'è il post-moderno: galassie anarchiche di istituti, di gruppi di docenti, singoli asteroidi, comete, pianeti erranti. Vittimismo. Il post-millenniale nella scuola italiana ancora non si vede. Si vedrà.

MARTE. Sorge sul mondo degli umani l'astro rosso. E quando mai non ne illumina qualche regione?

Lo schierarsi politicamente - anche sulla pace e sulla guerra - non dipende dall'intelligenza e dal grado di cultura delle persone. Invece, si tende a pensare istintivamente che una persona colta e intelligente non possa prendere quelle posizioni, votare per quella gente là. Ho sentito il Presidente del Brasile, Lula, dichiarare di aver pensato che la gente alfabetizzata non avrebbe mai votato per la destra, e di essere quindi rimasto sorpreso per la vittoria della stessa in Italia. Santo cielo! Da bambino, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, mi resi conto che si poteva essere intelligenti e colti e comunisti (cioè post-stalinisti) come democristiani e filoamericani. Per la verità gli intelligenti e i colti tendevano più dalla parte di Kruscev che di Kennedy, in Italia. Ma tant'è. Compresi che la cultura è una cosa, le scelte politiche un'altra. Compresi anche che è quasi impossibile che due parlino di politica avendo posizioni diverse senza scaldarsi e tendere a perdere il controllo. Il perché l'ho capito da poco, grazie anche alle teorie di Girard e Gans. Il dio della politica è sempre Marte.

Nelle scuole d'Italia - lo vedo dai giornali - in questo clima pre-bellico c'è movimento, ci sono e ci saranno dibattiti, ci sarà la richiesta ai docenti di parlare agli allievi di queste cose. Come parlarne in modo che non sia immediatamente politico, ovvero emotivo pulsionale, del tipo la guerra è brutta e noi amiamo la pace?

Siamo tutti per la pace. Ma cos'è la pace? L'insegnante dovrebbe essere quello che complica le idee, non quello che appoggia le semplificazioni ideologiche, che comunica il già noto, che appaga il bisogno di emozione. Il vero sapere è sempre complessità. Le scelte non ne sono impedite, ma certo rallentate. Può essere un bene o un male. Ma la cultura è un bene per sé? Leopardi non lo pensava, non lo pensava l'Ecclesiaste. Anch'io non lo penso. Anzi, tendo a pensare che nulla sia bene per sé.

Ma se nulla è bene per sé, assolutamente, se non il Bene, nulla è male per sé, se non il Male. Nemmeno la guerra. Dipende. Combattere contro un potere malvagio è bene. Su questo sarà d'accordo anche Casarini. Quindi il pacifismo assoluto è male. E infatti, a ben guardare, il pacifismo assoluto non esiste. Sennò coloro che si professano pacifisti sarebbero andati a fare scudo umano ai Tutsi. Ma gli Hutu usavano i machete e non scherzavano, e non erano Americani, e i pacifisti non sono disposti a morire per la pace. Esiste invece il pacifismo relativo come fenomeno di massa, praticato da gente non disposta a morire per nessun motivo, perché sente che la personale vita biologica è il proprio bene supremo, da difendere in ogni modo. Questo pacifismo di ricchi occidentali è solitamente anti-americano e anti-israeliano. C'è da pensare, e la funzione dell'insegnante è di far pensare. Ma non può far pensare chi non pensa.

In questo campo, ogni discorso si presenta come altamente opinabile. L'opinabilità è qui legata alla conflittualità, sicché non si traduce in rispetto dell'opinare altrui, ma in sua condanna. Tanto più si opina, tanto più si confligge. È difficile, nel campo di Marte, poter dialogare davvero. Difficile è trovare dei punti comuni cui ancorare la possibilità di un confronto, che comunque non può essere sereno, perché il dio è tempestoso. Tuttavia, un dato difficilmente contestabile mi pare questo: dopo il 1945 in Occidente la preoccupazione per le vittime si è accresciuta esponenzialmente nelle coscienze. Ma questo non è bastato a fermare i processi di vittimizzazione nel mondo, che spesso anzi sono esplosi più terrificanti che mai. E solo l'opinione pubblica occidentale pare preoccuparsi, anche se in modo insufficiente, delle vittime che non appartengono al suo mondo, prendersi a cuore le vittime degli altri. L'Europa nel Novecento ha generato i due più mostruosi mietitori di vittime, fascismo e comunismo. I suoi complessi di colpa e una poderosa alleanza con gli USA hanno protetto il territorio europeo dalla guerra. Ma in Cecenia l'Europa non c'entra? La Russia non è Europa?

 

15 febbraio 2003 A.D.

SCUOLA E NON SCUOLA