LA "VERA CHIESA DI DIO"

Anne Brenon 

Da I Catari. Storia e destino dei Veri Credenti, tr. M.Tarchi, Convivio, Firenze 1990.

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Sinora l'insegnamento dei catari, predicatori professionisti del Vangelo e di una Chiesa cristiana che non era quella di Roma, lo abbiamo intravisto casualmente nelle cronache ingenuamente settarie dei primi chierici cattolici che vi si imbatterono un po' ovunque fra lGvriente e lGvccidente nell'XI e XII secolo. Sappiamo grazie alla Renania che il loro gruppo era già organizzato in una gerarchia di uditori, credenti e cristiani, con alla testa dei "prelati"; che rifiutavano i sacramenti del battesimo cattolico, del matrimonio e dell'eucaristia, nonché qualsiasi pratica di giuramento; e che, consapevoli di rappresentare una Chiesa diffusa in tutta la cristianità, rivendicavano la successione apostolica.

Le fonti della Champagne o della Borgogna insistono sul loro orrore del sacramento "del corpo e del sangue di Nostro Signore" e di ogni cibo di carne o latte; sottolineano il ruolo delle donne al loro interno e soprattutto identificano già l'essenza della metafisica dualista catara: l'assenza di Dio da questo mondo e il sistema della duplice creazione, pur riconoscendo che la sola autorità professata da quegli strani eretici era il Nuovo Testamento. La più antica fonte occitana, la relazione del convegno-contraddittorio di Lombers, aggiunge infine che la "setta" dei Buoni Uomini predicava la disobbedienza ai sacerdoti della Chiesa di Roma, tanto poco fedeli ai precetti di Paolo quanto i grandi sacerdoti ebrei che consegnarono Cristo.

Non è forse già chiaro che la Chiesa romana aveva a che fare con avversari di tutt'altra pasta rispetto ai semplici "eretici" che rivendicavano il diritto di predicare con o senza il suo permesso e desideravano ricondurla alle pratiche di povertà, umiltà e amore di una Chiesa che fosse davvero evangelica? Nei fatti, non soltanto i catari, scrivendo o parlando, non si stancarono mai di affermare che la loro Chiesa era la vera Chiesa di Dio, quella di Cristo e degli apostoli, in contrapposizione all'usurpatrice Chiesa romana, che trattavano come una Chiesa del diavolo, ma lo stesso catarismo, per come lo possiamo ormai riconoscere alla luce dei suoi documenti, non si presentava affatto come una semplice setta eretica nei confronti dei dogmi dominanti; costituì invece una religione strutturata di tutto punto, con la sua metafisica, la sua ecclesiologia, i suoi riti e sacramenti, il suo messaggio di Rivelazione e di Salvezza, la sua morale e le sue Sacre Scritture.

Apriamo i libri catari, ascoltiamo ciò che i loro avversari trovarono da ridire di fronte alla loro logica di fredda luce: tanta speranza spirituale dorme ancora ai margini di questi manoscritti, che mille attente letture non hanno logorato. La speranza non ha età, anche se le parole ne hanno una. Il medioevo fece tacere i catari; è una ragione sufficiente per cercare di render loro la parola.

 

Una lettura dualista dei Vangeli.

Con la stessa semplicità con cui si può riconoscere nella Chiesa catara una religione di Rivelazione e di Salvezza, si può definirne la riflessione metafisica come una lettura dualistica delle Scritture. Tutto il sistema del catarismo è fondato sul Nuovo Testamento. Ci si è quindi chiesti, non a torto, se la Bibbia dei catari fosse differente dalla Bibbia cattolica: non lo era affatto; era tradotta in occitano, come abbiamo visto, sulla base di un originale latino antecedente alla Vulgata di san Gerolamo: la vieille languedocienne che servì da base anche alle traduzioni valdesi e a diverse altre, perfettamente ortodosse e in tutte le lingue, sino all'alto Medioevo tedesco. In effetti, tanto il testo occitano del Nuovo Testamento cataro di Lione quanto i frammenti di Scritture contenuti nei trattati o nelle predicazioni catare sono perfettamente ortodossi, e citazioni identiche, estratte dalla Vulgata, offrirebbero lo stesso sostegno alle tesi catare.

La principale eccezione a quanto abbiamo ora enunciato figura nei primi versetti del prologo del Vangelo secondo san Giovanni. Abbiamo già fatto cenno allGvriginale traduzione occitana in nient, il nulla, che rende particolare la versione catara rispetto alle versioni valdesi o cattoliche del versetto. In realtà, quella traduzione è stata possibile, ed è stata ipotizzata, solo perché il testo latino di base della "vecchia linguadocense" differisce, in quell'esatto passaggio, e di una virgola, dal testo della Vulgata.

Di una virgola o piuttosto di un punto, che nella Vulgata separa la terza e la quarta frase del versetto 1, tre parole più lontano che nella "vecchia linguadocense". Ecco il testo in lingua italiana della Vulgata, che fa sempre da base alla Bibbia attuale:

"Tutto è stato fatto da lui, e niente di quel che è stato fatto è stato fatto senza di lui." (Gv 1, 3); "In lui era la vita, e la vita era la luce [...]" (Gv 1, 4).

Ed ecco ora il testo, sempre in traduzione italiana, della vecchia linguadocense: "Tutto è stato fatto da lui, e senza di lui niente è stato fatto." (Gv 1, 3); "Quel che è stato fatto in lui era la vita, e la vita era la luce [...]" (Gv 1, 4).

Sono tre parole ad eclisse, quod factum est (quel che è stato fatto), quelle determinanti. I valdesi hanno tradotto in maniera perfettamente ortodossa, come ho appena fatto io: e alcuna cosa non es fayta sença lui (e nessuna cosa è stata fatta senza di lui). I catari, invece, hanno tradotto la frase et sine ipso factum est nihil con: e senes lui es fait nient; "E senza di lui è stato fatto il niente". A partire dal momento in cui il termine nihil non determina più una frase (niente "di quel che è stato fatto"), esso assume senza problemi, in latino, un valore positivo e non più negativo, e lo stesso accade alla parola occitana nient, che significa chiaramente "il niente", "il nulla"... sin dalla fine dell'XI secolo e dalla poesia del primo trovatore conosciuto, Guilhem di Aquitania: farai un vers de dreyt nient...

I catari tenevano molto alla propria versione del prologo di Giovanni: ecco la testimonianza che ne dà ancora, agli inizi del XIV secolo, Arnaut Teisseyre, di Lordat, deponendo davanti all'inquisitore Jacques Fournier:

Sapete cosa vuoi dire: "Tutto è stato fatto da lui e senza di lui niente è stato fatto?" Io risposi che quelle parole volevano dire che tutte le cose che sono create lo sono da Dio, e che niente è stato creato senza di lui. Egli mi disse che quelle parole non significavano ciò che avevo detto, ma significavano che tutto era stato fatto da lui, ed anche che tutto era stato fatto senza di lui. Gli risposi: "Come potete dire questo? Voi non capite il latino, dal momento che il significato che gli date è contrario alle parole del Vangelo, così come si legge, in altri passi della Scrittura, che Dio ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto quello che vi si trova" (At 14, 14). Pierre mi rispose che il senso del passaggio era:

"Senza di lui è stato fatto il niente", vale a dire "tutte le cose sono state fatte senza di lui", interpretazione che lui, Pierre, aveva appena dato [...].

Quel Buon Uomo occitano delle montagne e del finale della storia, Pierre Authié, basa ancora sulle Scritture il dualismo metafisico della sua Chiesa come facevano i suoi grandi predecessori eruditi dei primi del XIII secolo. L'insegnamento si era mantenuto, perlomeno in Italia, dove si era recato per riceverlo.

 

La duplice creazione.

Questo è in effetti il significato del brano in questione del prologo di Giovanni: tutto è stato fatto da lui, cioè, tutto ciò che "è" realmente è stato fatto da lui; di contro, senza di lui è stato fatto il niente, cioè quel che "non è" realmente, e quel che è "senza amore", secondo l'espressione di san Paolo a cui si riferivano volentieri i catari: "[...] se non ho la carità / l'amore, non sono niente / sono il nulla" (1 Cor. 13, 2).

Il che significa, chiaramente, che i catari distinguevano due creazioni: quella vera, quella delle cose che "sono" realmente, ovvero quella di Dio ("Tutto è stato fatto da lui"); e quella illusoria, delle cose che non hanno una vera esistenza del mondo visibile assimilato al "niente" ("E' senza di lui che è stato fatto il niente", oppure: "tutte le cose sono state fatte senza di lui", secondo l'espressione di Pierre Authié). Il mondo visibile, "questo basso mondo", non è la creazione divina. Discende da un altro principio.

Il dualismo non si riassume infatti in una constatazione morale dell'azione del bene e del male in questo mondo, nel loro antagonismo. Sotto questo profilo tutte le Chiese cristiane, che credono in Dio e al diavolo, sarebbero dualiste. Il vero dualismo presuppone la reciproca ed assoluta indipendenza di una radice di bene e di una radice di male. Due principii "principiali", come li definiva l'introduzione del Libro dei due principii, dal titolo eloquente; ovvero, nella traduzione pragmatica del cistercense Raul di Coggeshall che parlava dei catari della Champagne:

"Questa gente non crede che Dio si preoccupi delle cose umane, né che eserciti una qualsivoglia azione o potere sulle creature terrestri [...]".

I cristiani catari non fondavano il loro dualismo metafisico soltanto sulla lettura di un versetto del prologo del Vangelo di Giovanni: avremo lGvccasione di rilevare nei loro scritti un buon numero di altre citazioni del Nuovo Testamento (i lettori si rassicurino: non le rileverò tutte). L'esempio dell'interpretazione del Nihil/Nient/"il niente" è semplicemente particolarmente significativo e ha dato origine a molti commenti e controversie, in epoca medievale come ai nostri giorni. Ci siamo già imbattuti nella parabola dell'albero buono e dell'albero cattivo, che secondo san Matteo non possono dare, rispettivamente, che frutti buoni o cattivi: i Dottori catari si mostravano perfettamente a loro agio nel grande dibattito filosofico del loro tempo, che opponeva i sostenitori del vecchio agostinismo ai fautori delle correnti di idee aristoteliche giunte in Occidente molto di recente, attraverso l'intermediazione degli intellettuali arabi: Moneta da Cremona, autore di una vasta Summa contro i catari, illustra come essi fondassero la loro dialettica sulla logica di Aristotele: "I principii dei contrari sono dei contrari", quindi il bene e il male, che sono contrari, sono nati da principii contrari.

Il trattato cataro anonimo contenuto, paragrafo dopo paragrafo, nel manoscritto del tentativo di confutazione che osò farne Durand de Huesca, è quasi integralmente dedicato alla metafisica della duplice creazione: 

Ma siccome sono piuttosto numerosi, quelli che si preoccupano il meno possibile dell'altro mondo e delle altre creature e non si interessano che a quelle che è possibile vedere in questo vane, malvage, corruttibili - e che, allo stesso modo in cui sono venute, senza alcun dubbio, dal nulla, torneranno al nulla; noi diciamo, invece, che esistono un altro mondo e altre creature incorruttibili ed eterne, in cui consistono la nostra gioia e la nostra speranza [...] Di questo presente mondo, malvagio, subdolo "e tutto quanto posto nel male" (1 Gv 5, 19), Giacomo dice nella sua Epistola: "Anime adultere, non sapete che l'amore di questo mondo è un'inimicizia contro Dio" (Gc 4, 4) [...] Noi crediamo che là sia il regno di cui Cristo ha detto: "Il mio Regno non è di questo mondo" (Gv 18, 36) [...] Crediamo che vi siano un cielo nuovo e una terra nuova, di cui il Signore parla così [...] Pietro dice anche nella sua Epistola "Perché noi attendiamo, secondo la sua promessa, nuovi cieli e una nuova terra, dove abiterà la giustizia" (2 Pt. 3, 13). Giovanni, nell'Apocalisse: "Ho visto un cielo nuovo e una nuova terra" (Ap. 21, 1). 

Questo mondo visibile, nel quale niente è stabile e tutto quel che si manifesta è soggetto alla corruzione e alla morte, questo mondo visibile in preda al disordine del male, della sofferenza, della violenza, questo mondo dell'illusorio è l'illusorio e transitorio tentativo di creazione del cattivo principio. Cento anni dopo la redazione del trattato della duplice creazione da parte dell'anonimo Dottore cataro, così predicano ancora gli ultimi Buoni Uomini occitani nel loro Deserto:

Vi sono due mondi: uno visibile, l'altro invisibile. Ciascuno ha il suo dio. Quello invisibile ha il Dio buono, che salva le anime. L'altro, quello visibile, ha il dio cattivo, che fa le cose visibili e transitorie.

Pierre Clergue, l'eretico curato di Montaillou che smise di svolgere le sue funzioni pastorali solo per andare a morire nelle segrete dell'Inquisizione di Pamiers dopo l'interrogatorio subito da Jacques Fournier, e che non fu mai ministro di culto cataro ma al contrario trasse dal contro-dogma cataro un indirizzo di vita libertino e quasi libertario, riassume con parole acute l'essenza del cristianesimo dualista che lo aveva intellettualmente sedotto:

Dio ha fatto solo gli spiriti e ciò che non può né corrompersi né distruggersi, perché le opere di Dio restano in eterno; ma tutti i corpi che possono essere visti o sentiti, come il cielo e la terra e tutto quello che vi si trova, ad eccezione dei soli spiriti, è stato il diavolo, principe di questo mondo, a farli, e, giacché lui li ha fatti, tutto è esposto alla corruzione, poiché egli non può fare opera stabile e ferma.

Piuttosto che il bene e il male, in senso morale, il catarismo opponeva_l'eterno_al transitorio, il vero all'illusorio, l'inalterabile al corruttibile, l'essere al nulla: dualismo ontolologico e metafisico più che etico. Il Dio d'amore dei Buoni Cristiani non è minimamente compromesso nei disordini e nelle confusioni del tempo: non è Dio di vendetta, di collera e di morte; non è giudice temibile, non è spietato ordinatore di sacrifici espiatorii. E' il principio dell'essere e dell'eterno. E' stato il diavolo ad inventare la morte.

Il cattivo principio, nel disordine della sua reale impotenza, non ha infatti potuto far altro che scimmiottare, grottescamente, la creazione divina: principe di questo mondo dell'illusorio, non ha saputo dare alle sue creature natura incorruttibile. E l'anonimo Dottore cataro cita a sostegno del suo ragionamento i Libri sapienziali dell'Antico Testamento, l'Ecclesiaste e 1' Ecclesiastico:

È di queste opere che sta scritto nel Libro della Saggezza: "Ogni opera corruttibile sarà alla fine distrutta e colui che l'ha fatta se ne andrà insieme ad essa" (Eccli 14, 19) [...] e ancora: "Tutto è soggetto alla vanità e tutto tende ad uno stesso luogo: tutto è stato fatto di polvere, e tutto ritorna in polvere" (Eccle 3, 19-20). Ma delle opere buone ed eterne leggiamo questo nel Libro della Saggezza: "Le opere del Signore sono tutte eccellenti" (Eccli 39, 16); e anche questo: "Voi amate, o Signore, tutto quello che è, e non odiate niente di tutto quello che avete fatto, perché non avete stabilito o fatto niente nellGvdio" (Sap 11, 24).

Niente, in questo basso mondo, era di Dio. I catari non sacralizzavano il visibile. I visibilia e corruptibilia, senza essere, senza amore, erano stati fatti senza Dio. Ma da Dio e attraverso Dio procedeva il mondo vero ed eterno.

 

Tuniche di pelle e prigioni carnali.

Eccolo, il dio straniero, eccola la nostra terra, ed ecco quella che non è nostra. Quella di cui parla il Signore nel medesimo testo: "Così ricercherò il mio gregge, e lo libererò da tutti i luoghi in cui era stato disperso nei giorni di nuvole e di oscurità" (Ez 34, 12).

L'anonimo trattato cataro restituisce questa terra al dio straniero: il mondo delle greggi del Signore non è quello di cui Satana è il principio. Tuttavia queste greggi del Signore, creature di Dio, sono prigioniere dei luoghi oscuri: infatti, e secondo i termini stessi del curato di Montaillou, in questo basso mondo tutto è stato fatto dal diavolo, "ad eccezione dei soli spiriti". L'essere umano si trova nel punto di incrocio tra le due creazioni: esse si intersecano in lui. Il cattivo principio non ha potuto manifestare, nemmeno nella pura e semplice apparenza, il trambusto della sua creazione votata alla corruzione, se non usurpando all'eterna creazione una particella di essere: con l'astuzia, con la violenza, con l'effrazione, si è prodotto un impatto - che le fonti catare spiegano facendo ricorso a miti simbolici più o meno ricchi di immagini di caduta originale o di tentazione - essere e non-essere si sono mescolati e il cattivo principio ha estratto dal caos forme maldestre e instabili. Mondo della mescolanza...

L'uomo, a causa del suo corpo votato alla corruzione e alla morte, è creatura del maligno: grazie alla sua anima eterna, parcella della luminosa creazione caduta nella servitù delle "tuniche di pelle", delle "prigioni carnali", appartiene alla "terra nuova", al mondo autentico del Dio vero.

Perché il popolo di Dio si è separato anticamente dal suo Signore Iddio. E si è allontanato dal consiglio e dalla volontà del suo santo Padre, a seguito dell'inganno degli spiriti perfidi ed in conseguenza della soggezione alla loro volontà. E per queste ragioni e per molte altre è dato da intendere che il santo Padre vuole avere pietà del suo popolo, e riceverlo nella sua pace e nella sua concordia, attraverso l'avvento del figlio Gesù Cristo.

Il Rituale occitano (manoscritto di Lione) che ci dà questo messaggio di speranza parla esplicitamente delle tuniche di pelle che sono prigioni del male:

Giuda, fratello di Giacomo, dice per nostro insegnamento nell'Epistola (Gd 23): "Odiate questo abito sottile fatto di carne […]".

In questo abito - prigione di carne - dorme l'anima creata da Dio, dimentica della sua patria celeste. Con l'astuzia, la seduzione o il terrore, il principe di questo mondo la trattiene nei suoi lacci. Né i trattati teorici catari né i Rituali ci offrono alcun insegnamento sull'itinerario dell'anima divina nel tempo e nella corruttibile incarnazione: le testimonianze davanti all'Inquisizione, di credenti o addirittura di Buoni Cristiani, ne prendono fortunatamente il posto per la nostra informazione. Pierre Maury, di Montaillou, espone così al vescovo di Pamiers ciò che ha appreso dalla predica dei Buoni Uomini, e la sua testimonianza, tardiva (inizi del XIV secolo) non diverge minimamente da quella delle Summe teologiche anti-catare del XIII secolo:

In effetti, dicevano, quando l'anima umana è uscita dal suo corpo [...] sinché non sia stata incarnata in un altro corpo, non può avere riposo, perché il fuoco di Satana, o del dio estraneo, la consuma tutta. Ma quando è incarnata in un corpo ha il riposo, e non soffre di quel fuoco, perché allora il fuoco non può nuocerle.

In tal modo il cattivo principio riesce a conservare una parvenza di realtà alla sua illusoria creazione: trattenendo con violenza o seduzione le scintille di essere nascoste nel sonno del corpo, di incarnazione in reincarnazione l'anima divina prolunga indefinitamente il tempo, imitazione di eternità, spazio della manifestazione illusoria del mondo estraneo a Dio. La situazione potrebbe sembrare bloccata: il principio del Bene e dell'Essere posto fuori dal tempo, fuori dal visibile, nel mondo luminoso ed infinito dei suoi buoni spiriti, nell'eternità; il mondo visibile e temporale di cui il cattivo principio è il principe ordinatore, in cui le anime degli uomini, di incarnazione in incarnazione, dormono nella materia corruttibile indefinitamente rinnovata e nellGvblio della loro origine divina. Ma Dio, nel suo infinito amore, non resta immobile nel suo mondo di luce. Ha "pietà del suo popolo" ed interviene nel mondo che non è il suo "attraverso l'avvento del figlio Gesù Cristo".

 

Un Cristo senza croce.

Il catarismo, religione cristiana, fondata sul Nuovo Testamento, strutturava la propria dottrina attorno ad una cristologia completamente diversa da quella della Chiesa romana. Il cristianesimo cataro, come il cristianesimo romano, come i cristianesimi riformatori, poneva come argomento angolare l'intervento di Dio in questo mondo, per mezzo di suo figlio Gesù Cristo, e per scopi di Rivelazione e di Salvezza: ma, come già sappiamo, il catarismo possedeva la propria lettura particolare del messaggio cristico: i Vangeli. Ed aveva anche la propria interpretazione particolare del ruolo di Cristo.

Il messaggio cristico, il significato profondo delle Scritture evangeliche, non era altro, secondo il catarismo, che un appello al risveglio: un monito all'anima incarnata a ricordarle che essa non appartiene a questo mondo.

[...] E il Cristo: "il principe di questo mondo verrà" (Gv 14, 30). Ed aggiunge: "il mio regno non è di questo mondo" (Gv 18, 36). In un altro passo: "Non prego affatto per questo mondo" (Gv 17, 1). Ancora in un altro punto: "Padre, il mondo non vi ha conosciuto" (Gv 17, 25). Dice, inoltre, dei suoi apostoli: "Essi non sono del mondo, così come anch'io non sono di questo mondo" (Gv 17, 16). E questo ancora: "Se voi foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che gli appartiene" (Gv 15, 19). E in un altro punto: "La ragione per la quale il mondo non ci conosce, è che non conosce Dio" (1 Gv 3).

Questa semplice e breve citazione dell'anonimo trattato cataro dà perfettamente il quadro della situazione. Nella sua infinita bontà, Dio ha fatto trasmettere al suo "popolo in esilio" il messaggio di Rivelazione e di Salvezza destinato a "liberarlo dal male". E Cristo, l'inviato di Dio, apparve in questo mondo e predicò il regno del Padre, ricordò alle anime addormentate la loro patria celeste. Questa interpretazione della Parola di Cristo non è, sostanzialmente, in contrasto con quella della dottrina romana, e neppure ne diverge profondamente. Si limita a privilegiare un aspetto dell'insegnamento evangelico, ma, ovviamente, nella logica di una lettura dualista. Lo strumento di Salvezza, secondo il catarismo, benché perfettamente evangelico, è peraltro radicalmente diverso dal sacrificio redentore del Cristo cattolico.

Per i catari, infatti, il Figlio di Dio non era affatto sceso su questo mondo per riscattare il peccato originale attraverso il proprio sacrificio e la morte sulla croce: ma semplicemente per insegnare agli uomini, dopo aver loro ricordato che il loro regno non è di questo mondo, i gesti liberatori che potevano restituirli all'eternità, liberarli dal male e dal tempo. Il gesto liberatorio era il sacramento del battesimo tramite lo Spirito, che il Cristo trasmise agli apostoli.

Cristianesimo senza croce... cristianesimo senza eucaristia... La Chiesa cattolica ha costruito la propria dogmatica attorno al sacrificio di Cristo redentore e alla sacralizzazione del corpo martirizzato, il cui sacrificio viene ripetuto di continuo nell'eucaristia, compimento della Messa: mistero della transustanziazione, il pane diviene corpo, il vino diviene sangue divino: sofferenza, morte e vita. La religione catara è largamente docetista: Figlio di Dio, emanazione di Dio o Angelo di Dio a seconda delle Scuole catare, il Cristo venne inviato in questo mondo malvagio sotto parvenza di uomo e non nella realtà della sua carne; solo apparentemente morì sulla croce. Nessun sangue, umano o divino, venne sparso, nessuna carne tormentata e messa a morte.

Raniero Sacconi, ex-dignitario cataro italiano convertito, espone, nella sua Summa anti-eretica, il docetismo teorico dei Buoni Cristiani:

Fu un angelo, che mai mangiò, bevve, soffrì, morì, fu sepolto veramente [...] Tutto questo fu supposto.

Non tutti i predicatori o credenti catari furono però docetisti allo stesso grado. Mezzo secolo o più dopo la redazione del testo di Raniero Sacconi, viene riferita all'inquisitore Jacques Fournier una interpretazione della Passione avanzata dall'ultimo perfetto occitano conosciuto, Guillaume Bélibaste [Belibasto], che sembra ammettere una semi-realtà carnale della persona di Cristo:

Lo misero sulla croce, lo ferirono e gli inflissero parecchi supplizi. Fatto questo, egli salì dal padre suo senza essere morto nel frattempo, perché il Figlio di Dio non poteva morire [...].

Il Figlio di Dio non poteva morire - giacché il cattivo principio è principe della morte - tuttavia poteva soffrire... Anche altre interpretazioni prevalevano fra i predicatori catari, come quella che all'ultimo momento sostituiva Cristo sulla croce con un ladrone, cosa che i polemisti cattolici degli inizi del XIII secolo non mancarono di assimilare ad uno spregevole plagio delle dottrine saracene: e difatti questa è l'interpretazione della Passione di Cristo proposta dall'Islam.

Non è dunque l'eucaristia a costituire la pietra angolare del cristianesimo cataro. E' del resto difficile immaginare che una religione che attribuiva ed assimilava al male qualunque violenza, qualunque sofferenza e qualunque morte, abbia potuto sacralizzare il ricordo e gli strumenti di un supplizio, abbia potuto riverire una croce o un patibolo, o comunque attribuire un qualsiasi significato a quei fenomeni illusori, appartenenti al mondo illusorio. Ne sono testimonianza le parole di Ebrard di Béthune, nel suo Libro contro gli Eretici, a proposito dell'insegnamento appreso dalla viva voce dei Buoni Uomini: "La croce è odiosa a Dio Padre, quella croce sulla quale suo figlio ha sofferto". Per i catari, il pane non diventa mai carne, il vino non ha mai dovuto svolgere il ruolo, orripilante, di sangue versato: non perpetuando la sofferenza e la morte si sarebbe potuto riassorbire, esaurire il male, bensì moltiplicando lo Spirito in questo mondo. "Allora imposero le mani su di loro, ed essi ricevettero lo Spirito Santo" (At 8, 17).