Anthropoetics 8, no. 2 (autunno-inverno 2002-2003)

"Quel che importa è il sistema!"
I Beatles, la "Trama di Pasqua" e la narratività complottistica

Matthew Schneider

Department of English and Comparative Literature
Chapman University 06/03/03
Orange CA
schneide@chapman.edu

Traduzione dall'inglese di Fabio Brotto

brottof@libero.it

www.bibliosofia.net

 

John Lennon era un rivoluzionario della controcultura, che storicamente il governo ha preso sempre piuttosto sul serio. Per il governo lui era pericoloso. Se lui avesse detto "mettete una bomba alla Casa Bianca domani", diecimila persone lo avrebbero fatto. Storicamente, questi rivoluzionari pacifisti vengono uccisi dal governo, e chiunque pensi che Mark Chapman fosse soltanto un pazzo e abbia ucciso mio papà per il suo interesse personale è matto, penso, o molto ingenuo, o non ha riflettuto abbastanza sulla cosa. Era chiaramente nell'interesse supremo degli Stati Uniti che mio papà fosse ucciso. E, sapete, questo poi si è rivolto contro di loro, a dire il vero, perché una volta morto il suo potere è cresciuto. Perciò che vadano a farsi fottere. Non hanno ottenuto quello che volevano.

Sean Lennon, in The New Yorker del 20 aprile 1998

 

Nella musica e nella Weltanschauung, la mela non cade lontano dall'albero. Non soltanto Sean Lennon ha seguito il padre John nella ricerca della celebrità come musicista pop, ma il figlio del fondatore del gruppo rock più famoso della storia sembra avere ereditato la tendenza di suo padre a vedere la storia in termini di cospirazione. Secondo Albert Goldman, John Lennon rivelò quest'aspetto della sua personalità durante le udienze d'appello del processo a James Earl Ray trasmesse dalla televisione nei primi anni Settanta. Quando un amico di famiglia gli chiese "Qual è la vera storia che sta dietro l'assassinio di Martin Luther King?" Lennon esplose in: "Chi diavolo se ne frega…? Quel che importa è il sistema!" Per Lennon, continua Goldman, James Earl Ray era "un tipo che era stato incastrato. Quelle udienze del processo Ray affascinavano Lennon. … 'Guardatelo,' avrebbe gridato Lennon. 'È evidente! Quello non ha bisogno di un bicchiere d'acqua o di andare a orinare. È drogato!'"(1)

Come possiamo spiegare il fatto che persone per il resto pienamente in sé e persino acute abbiano questo genere di opinioni? Il teorizzare cospirazioni--come è ritratto in modo memorabile in Jerry, il personaggio interpretato da Mel Gibson nel film Conspiracy Theory del 1997--è una malattia mentale, che per gravità si situa in qualche punto tra il disturbo ossessivo-compulsivo e la schizofrenia paranoide conclamata? O si tratta soltanto del risultato dell'irrazionalità e della credulità di una massa incolta divoratrice di rotocalchi, qui in America e all'estero, una massa di decine di milioni di individui pronti a credere che Elvis Presley abbia simulato la propria morte nel 1997, o che il governo USA continui a nascondere le prove dell'incidente di Roswell nel New Mexico, dove nel 1948 si sarebbe schiantata un'astronave aliena? Si sarebbe tentati di citare l'idea che i servizi segreti inglesi abbiano architettato l'incidente automobilistico della principessa Diana (www.londonnet.co.uk/ln/talk/news/diana_conspiracy_theories.html), o che nel 1977 il governo degli Stati Uniti abbia inventato l'AIDS in un laboratorio di armamenti biochimici (www.boydgraves.com/flowchart), come nient'altro che la prova del fatto che ogni minuto nasce un gonzo. Ma nel nostro farci beffe della strana mistura di credulità e bizzarro scetticismo non ci deve sfuggire come la teoria della cospirazione - che via Internet è diventata una rigogliosa industria a domicilio - riveli con assoluta chiarezza la struttura e il fine essenziali della narrazione originaria. Le teorie della cospirazione sono i miti della nostra epoca, nei quali gli eventi caotici e casuali della vita vengono ordinati retrospettivamente in una storia che ha un fine esplicativo.

Che cos'è un mito? In Originary Thinking Eric Gans scrive che "il mito è eziologico: esso spiega l'origine di una usanza o di una tecnica mediante attività e desideri divini" (2). Anche René Girard vede il mito come essenzialmente esplicativo: "Si può supporre che i miti scaturiscano da crisi sacrificali di cui sono la trasfigurazione retrospettiva, la rilettura alla luce dell'ordine culturale sorto da tale crisi"(3). Se combiniamo queste due definizioni ci mettiamo nelle condizioni di vedere come le teorie della cospirazione fioriscano particolarmente nel momento successivo ad un evento abbastanza improvviso e violento da suscitare una crisi culturale. Tanto più grave la crisi--ovvero, tanto più conosciute o amate le figure implicate in essa, o più alto il tributo in vittime--tanto più pressante il bisogno di una spiegazione. Ma a dispetto della somiglianza di funzioni, vi è un'importante differenza tra un mito e una teoria della cospirazione. Dalle loro origini nelle crisi collettive, i miti mantengono tracce dell'evento di linciaggio di una singola vittima che essi commemorano (4). Le teorie della cospirazione invertono questa struttura del tutti-contro-uno. Mentre i miti espiano implicitamente una colpa della comunità col coprire la figura centrale prima di biasimo e poi di lode per aver innescato e poi risolto la crisi culturale, le teorie della cospirazione biasimano tutti tranne la vittima, persino al punto di rifiutare la possibilità di azioni concepite e attuate in modo indipendente. I miti negano la responsabilità collettiva; le teorie della cospirazione negano la responsabilità individuale. Così sia Sean che John Lennon, come legioni di teorici dell'assassinio di Kennedy, rigettano come "ingenua" o "folle" qualsiasi ipotesi su killer solitari. Al contrario, James Earl Ray e Mark Chapman sarebbero pedine o zimbelli di una rete sotterranea di agenti organizzati, che insieme formerebbero quello che Sean Lennon chiama "il governo" e John Lennon chiama "il sistema". Nelle parole di Lennon figlio è ovviamente "nell'interesse supremo del sistema" eliminare i dissidenti ("mio papà era un rivoluzionario della controcultura. … Se lui avesse detto 'mettete una bomba alla Casa Bianca domani', diecimila persone lo avrebbero fatto".). E dal momento che lo svelamento delle operazioni del sistema ne minerebbe necessariamente il potere, il sistema adotta elaborate misure per nascondere il suo coinvolgimento--una teoria della cospirazione implica sempre l'idea di un occultamento.  

In questo saggio non mi propongo di smontare le ragioni di Sean Lennon o di tutti quegli altri che hanno avanzato teorie della cospirazione sull'assassinio di John Lennon. Invece, voglio esaminare il modo in cui i Beatles hanno contribuito a dare alla teoria della cospirazione una presenza sorprendentemente ubiquitaria nella cultura contemporanea. Le sue somiglianze con il pensiero mitico mostrano che il teorizzare cospirazioni è antico come l'umanità stessa. Ma, come per tanti altri aspetti della nostra epoca, la visione del mondo complottistica si assestò ad un nuovo livello negli anni Sessanta, quando il ritmo del mutamento culturale parve accelerare all'improvviso. L'effetto dei Beatles sulla musica dell'epoca è ben noto. Meno ampiamente compreso è il modo in cui la condizione semi-leggendaria conseguita dai Beatles nell'immaginario collettivo durante i sette anni di vita del gruppo rivelò i sommovimenti sociali di quei tempi tumultuosi, e insieme contribuì a causarli.

Il punto di partenza della carriera dei Beatles sia come creatori che come oggetti di teorie della cospirazione fu la controversia sul "più grandi di Gesù" dell'estate 1966. Questo episodio nella storia della cultura pop è stato qualcosa di più che l'esplosione di ansie a lungo covate circa la rilevanza della religione nella società angloamericana del dopoguerra. Il clamore suscitato dall'affermazione di John Lennon che i Beatles erano "più popolari di Gesù" ha dimostrato che gli accessi di culto isterico delle celebrità--come la beatlemania che accoglieva in tutto il mondo il gruppo negli anni 1964-66--traeva origine dalle stesse forze psichiche e culturali che nel passato avevano prodotto periodi di fervore religioso di massa. Questo Lennon l'aveva appreso paragonando le proprie esperienze dirette di beatlemania con la descrizione della Palestina del primo secolo che aveva trovato nel libro di Hugh Schonfield The Passover Plot (La trama di Pasqua), uscito nel 1965, che aveva letto poco prima di esprimere le sue famigerate osservazioni. Schonfield insegnò a Lennon, tuttavia, a vedere la storia complottisticamente--ovvero a cercare i modi in cui la profusione caotica di eventi, interessi in conflitto e testimonianze contraddittorie possono essere tessuti in una narrazione escatologica senza smagliature apparenti. Lennon si rese conto che, per rendere manifesta e profittevole la loro importanza quasi religiosa nelle vite dei loro fan, I Beatles avevano soltanto bisogno di fornire una quantità di dettagli allettanti e apparentemente slegati: si poteva contare sul fatto che i loro seguaci, come i primi padri della Chiesa, avrebbero entusiasticamente intessuto, a partire da quei dati, una narrazione personalmente e culturalmente significativa. Due aspetti dell'ultima fase dei Beatles--lo sperimentalismo iconografico e musicale di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band e il mito di "Paul is Dead"--mostrano le due varietà principali del pensiero complottistico. Nella sua modalità positiva, il pensiero complottistico rispecchia un genere particolare di ingenuità intellettuale--l'abilità di costruire un mosaico interessante e perfino piacevole a partire dalla casualità degli eventi. Ma poiché il pensiero complottistico assume che qualche intenzionalità onnicomprensiva sia sempre all'opera--il "sistema" ha le sue mire--l'ingenuità intellettuale lascia il campo, infine, alla paranoia. Questa è la tendenza inevitabile della narratività complottistica. Anche se iniziato per gioco, il pensiero complottistico finisce invariabilmente per evocare lo spettro vendicatore del sacro.

La storia comincia all'inizio di marzo del 1966, quando John Lennon, sistemato confortevolmente in una residenza finto Tudor nella "Stockbroker Belt" suburbana di Londra, rilasciò un'intervista alla sua vecchia amica Maureen Cleave, giornalista esperta di musica pop per l'Evening Standard di Londra. L'articolo della Cleave, intitolato "Come vive un Beatle? John Lennon vive così", uscì il 4 marzo: il suo tema era la trasformazione di Lennon--ora che egli aveva raggiunto la maturità dei venticinque anni--da idolo delle sbarbine a intellettuale socialmente riconosciuto:

L'esperienza ha seminato in lui pochi semi del dubbio: non che la sua mente sia chiusa, ma lui ha delle chiusure mentali intorno a tutto ciò che crede. "Il cristianesimo scomparirà" ha detto. "Si ridurrà e svanirà. Non occorre che lo dimostri. Io ho ragione e si vedrà che ho ragione. Adesso noi siamo più popolari di Gesù: non so chi scomparirà per primo--rock 'n' roll o cristianesimo. Gesù andava bene ma i suoi discepoli erano rozzi e ignoranti. Per me è il travisamento che loro hanno fatto che rovina tutto". Lennon sta facendo vaste letture sulla religione (5). 

L'affermazione in Gran Bretagna passò inosservata. Come Mark Lewisohn ha osservato, "La gente era avvezza alle espressioni caustiche di Lennon, e inoltre si trattava di un commento valido" (6). Il 29 luglio, tuttavia, appena due settimane prima dell'inizio programmato della tournée estiva dei Beatles negli USA, la rivista giovanile americana Datebook ripubblicò estratti dell'articolo della Cleave, usando come titolone della prima pagina la frase più peregrina dell'intervista--"Non so chi scomparirà per primo--rock 'n' roll o cristianesimo". Nel giro di tre giorni, le osservazioni di Lennon erano nelle prime pagine dei giornali in tutti gli Stati Uniti.

Le versioni popolari della storia dei Beatles ritraggono il battibecco intorno al "più grandi di Gesù" come lo scandalo da cui le fortune del gruppo non si risollevarono mai interamente e come la vera ragione per cui i Beatles non dettero più un concerto pubblico dopo il 29 agosto del 1966. Per ragioni su cui tornerò, l'episodio fu un punto di svolta per il gruppo; ma la protesta pubblica non fu affatto così estesa come si potrebbe ricavare dalle sequenze dei cinegiornali che rappresentano giovani che gettano nel fuoco foto pubblicitarie e fodere di dischi. Negli Stati Uniti, espressioni di indignazione furono più frequenti nel Sud. A Nashville, per esempio, il Ku Klux Klan organizzò una dimostrazione anti-Beatle che radunò 8000 persone presso il luogo in cui i Beatles tennero due concerti per 24.000 spettatori paganti facendo il tutto esaurito. Al di fuori della Bible belt, tuttavia, le reazioni andarono dal divertimento alla sofisticheria. Il Washington Post notò sardonicamente che nei due anni trascorsi dall'ultima apparizione nella capitale i Beatles avevano acquisito una coppia di "teologi riluttanti". La radio KRLA di Los Angeles, sponsor della manifestazione dei Beatles al Dodger Stadium, usò la controversia per dare ai suoi ascoltatori una lezione di storia costituzionale. "Se vi ricordate…, un gruppo di sudditi britannici vennero in America per evitare la pubblica censura delle loro credenze religiose. Dopo molti stenti, essi conquistarono… la libertà religiosa," una libertà di cui "Gli Americani… godono ancora. Pertanto, noi qui alla KRLA non crediamo che sia nostro diritto porre in questione le credenze dei Beatles o di qualsiasi altro artista".(7)

Non si può dubitare che in qualsiasi altro tempo le affermazioni di Lennon avrebbero sollevato una grande indignazione, specialmente in quelle parti degli Stati Uniti in cui le pubbliche dichiarazioni di fideismo cristiano non avevano ancora acquistato quella patina di entusiasmo proprio di classi sociali inferiori con cui venivano viste nelle più sofisticate città del nord e dell'ovest. I commenti di John furono, nondimeno, particolarmente intempestivi, poiché nell'estate del 1966 gli Stati Uniti erano una nazione angosciata. L'estate precedente aveva visto disordini razziali in diverse grandi città, comprese Washington, Detroit e Los Angeles, e nelle tre settimane immediatamente precedenti l'inizio della tournée dei Beatles il paese si era trovato a dover assorbire lo shock di due stragi. Il 14 luglio otto allieve infermiere furono trovate strangolate in un condominio di proprietà dell'ospedale nella parte sud di Chicago. Un piccolo criminale malato di mente di nome Richard Speck, identificato da una sopravvissuta che ricordava di aver visto la frase "Born to Raise Hell" tatuata sul suo braccio, fu infine catturato e accusato del crimine. Il 1 agosto, un ex marine pesantemente armato, Charles Lee Whitman, uccise 13 persone in una mattanza durata 45 minuti, sparando dalla cima della torre campanaria dell'Università del Texas a Austin.

Sebbene i media non stabilissero alcuna connessione immediata tra la religione e l'esplosione estiva di violenza, per gli Americani fu un passo breve andare dalla loro crescente consapevolezza di essere nel mezzo di un declino spirituale agli orrori di Speck e Whitman. Nell'aprile del 1966 la copertina della rivista Time chiedeva "Dio è morto?" e gli eventi dell'estate, insieme all'affermazione di Lennon, sembravano rispondere affermativamente alla domanda. Per di più, il fatto che l'affermazione di essere "più grandi di Gesù" fosse stata pronunciata da un uomo che aveva sperimentato direttamente la più veloce e intensa conquista di fama che si fosse mai vista conferiva all'affermazione di Lennon una certa credibilità. Nonostante i suoi solecismi di inglese del nord, questo giovane cantante pop aveva posto il dito su una tendenza culturale emergente: in futuro, pareva, sarebbero stati sempre di più i cicli di culto isterico della celebrità a soddisfare quelle aspirazioni trascendenti che tradizionalmente erano stati il pretesto e il campo della religione. I fedeli erano offesi, per dirla diversamente, non tanto dalla piega blasfema delle parole di Lennon, quanto dalla loro precisione nel descrivere la condizione contemporanea della fede religiosa non solo in America ma in tutto il mondo. E sebbene Lennon più tardi abbia detto che in quel tempo egli era "terrorizzato" dalla retorica anti-Beatles negli USA, nelle conferenze-stampa tenute in quasi tutte le 14 città dove i Beatles si esibirono in quell'estate, egli continuò a sostenere che le sue osservazioni erano esatte. A Chicago, un John nervoso e chiaramente esasperato disse alla platea dei reporter che

All'inizio avevo sottolineato il fatto in riferimento all'Inghilterra, cioè che noi ai ragazzi diciamo di più di quello che gli dice Gesù, o la religione. Non la stavo criticando o mortificando, stavo solo presentando un dato di fatto. Ed è più vero per l'Inghilterra che per qua. Io non dico che noi siamo migliori o più grandi, e non paragono noi con Gesù Cristo come persona o Dio come realtà, qualsiasi cosa sia. Sapete, io ho soltanto detto quello che ho detto, ed era sbagliato. O è stato capito male. E adesso c'è tutto questo. (8)  

 Che la "popolarità" abbia suggerito a Lennon di porla come base del suo paragone mostra come Beatles e beatlemania già nel 1966 avessero alterato il paesaggio culturale angloamericano. Il successo finanziario senza precedenti dei Beatles e degli altri personaggi dello spettacolo che seguirono la loro scia parvero suggerire che la celebrità si fosse affermata una volta per tutte come segno indiscutibile di importanza culturale, e che da quel momento in avanti la società avrebbe ancorato le sue concezioni di valore più saldamente che mai alla sfera quantificabile del mercato. Ma ciò che indusse Lennon a fare il suo offensivo paragone fu qualcosa di più che il suo aver afferrato lo spirito della sua epoca. L'impulso immediato a quei giudizi, come ricordò ai suoi lettori Maureen Cleave, fu dato dalle "vaste" letture sulla religione, che poi risultarono non così vaste, dato che sembra si siano limitate ad un libro solo: il best-seller di Hugh Schonfield The Passover Plot del 1965.

Il controverso best-seller di Schonfield sostiene che il presupposto narrativo "usato … da George Moore in The Brook Kerith e da D.H. Lawrence in The Man who Died (9)--che Gesù sopravvisse alla crocifissione--corrisponde alla realtà dei fatti. Al fine di provare questa tesi, Schonfield utilizzò una prodigiosa padronanza della scrittura, nuove prospettive (largamente basate sui Rotoli del Mar Morto da poco pubblicati) sul settarismo giudaico della Palestina del primo secolo, e quarant'anni di esperienza nello studio e nell'insegnamento della storia del cristianesimo antico all'Università di Oxford. Inoltre egli introdusse un visione del mondo complottistica che lo indusse a tessere con tutte le fonti antiche a lui disponibili una storia che spiegava tutti gli eventi menzionati nei Vangeli su basi interamente razionali. I miracoli e i misteri che servono a stabilire la divinità di Cristo nella narrativa ufficiale della Chiesa per Schonfield sono segni rivelatori di una trama--ordita dallo stesso Gesù--il cui fine era quello di provare che questo figlio di un falegname galileo era il Messia la cui venuta era stata predetta da certe sette giudaiche circa un secolo e mezzo prima della sua nascita. Imbevuto dal fermento religioso della sua epoca fin dalla giovinezza, il Gesù di Schonfield giunse gradualmente a convincersi che gravava su di lui il compito di manifestare la sua messianicità facendo in modo che la sua scomparsa fosse conforme al modello profetizzato. A questo fine, scrive Schonfield, Gesù pianificò e orchestrò minutamente gli eventi della Settimana Santa in modo che culminassero nella sua crocifissione il venerdì pomeriggio. Per la Trama di Pasqua il tempo significa tutto: spostare la predetta sofferenza del Messia fino ad appena prima del sabato, scrive Schonfield, avrebbe consentito a Gesù di sopravvivere alla crocifissione simulando la propria morte. Il costume di rimuovere i corpi dei crocifissi dalle loro croci prima del sabato significava che il tempo di Gesù sulla croce sarebbe stato ridotto al minimo, consentendogli di ricevere rapidamente le cure mediche che gli sarebbero servite. E col mostrare di essere morto senza bisogno di interventi esterni, a Gesù sarebbe stata risparmiata la rottura delle gambe, metodo abituale usato dai Romani per accelerare la morte delle vittime della crocifissione. Ogni teoria della cospirazione necessita di un salto di fede: quello di Schonfield è il mezzo preciso che egli pensa sia stato usato da Gesù per simulare la sua morte. Le parole di Gesù "Ho sete", scrive Schonfield, erano un segnale a Giuseppe d'Arimatea, che mandò un servo con una spugna imbevuta di aceto su un ramo di issopo. Ma, dice Schonfield, in quella spugna c'era qualcosa di più che aceto. Se il liquido fosse stato "normale aceto diluito con acqua," egli scrive, "l'effetto sarebbe stato stimolante. Ma in questo caso fu esattamente l'opposto. Gesù cadde rapidamente in una condizione di incoscienza completa. Il suo corpo si afflosciò. La sua testa ricadde sul petto, ed egli apparve da ogni punto di vista un uomo morto" (191-192). Come avrebbe potuto dire John Lennon se avesse assistito alla scena come la dipinge Schonfield, "È drogato!"

Dopo aver fornito l'illusione di una morte prematura, il Gesù di Schonfield fu deposto dalla croce e immediatamente sepolto. Ad un certo punto della notte del sabato, tuttavia, i soci di Gesù ritornarono alla tomba per portare a termine, secondo le parole di Schonfield, "il proposito pienamente legittimo di farlo tornare in vita" (196). Il colpo di lancia del soldato romano, tuttavia, aveva reso "scarse" le probabilità di un recupero: dopo aver ripreso "temporaneamente coscienza, "scrive Schonfield, Gesù "infine soccombette " (196). Poiché era "veramente troppo rischioso, e forse troppo tardivo, riportare il corpo nella tomba, rimettere a posto le bende che erano rimaste là, rotolare di nuovo la pietra a chiudere l'entrata e creare l'impressione che tutto fosse come al venerdì pomeriggio," i cospiratori-con-Gesù "rapidamente e con cura" sotterrarono le spoglie da qualche altra parte, "lasciando l'enigma della tomba vuota" (196-197).

L'avvincente enigma, continua Schonfield, può correttamente essere visto come la vera base del cristianesimo, dal momento che da esso la Chiesa antica, cucendo insieme racconti contraddittori di testimoni, frammenti di dati storici irrelati, e persino pezzi da opere di narrativa come L'asino d'oro di Apuleio, ha intessuto la sua narrazione autorevole e autorizzata della morte e resurrezione di Gesù. Se la prima fase della Trama di Pasqua fu architettata da Gesù stesso, la fase due è costituita dalla narrazione "ufficiale" della morte e resurrezione di Cristo da parte della Chiesa antica. La seconda fase lega insieme e riordina i punti oscuri e i dettagli inspiegabili lasciati dietro di sé dalla cospirazione, parzialmente riuscita, di Gesù, finendo per produrre, verso il terzo secolo, un mito in grado, secondo Schonfield, di istituire una grande religione mondiale. Ma per quanto il mito sia stato analizzato con cura, accumulando nel corso degli anni una enorme tradizione interpretativa, i suoi punti oscuri hanno continuato a rispuntare e a richiedere una spiegazione. Mentre il cristianesimo andava diffondendosi intorno al 300 d.C., coinvolgendo un sempre maggior numero di persone colte e intellettualmente sofisticate, si fece più urgente il bisogno di una narrazione originaria stabile, in grado di fronteggiare lo scetticismo di amici ed avversari. Schonfield sostiene che la Chiesa antica stabilizzò il mito della vita di Gesù e lavorò anzitutto nel senso di cancellare qualsiasi traccia della Trama di Pasqua, quindi in quello di scavare nell'Antico Testamento per rintracciarvi qualsiasi possibile elemento profetico, finché le due parti della Bibbia, prese insieme, costituirono una narrativa cosmologica continua. Per Schonfield, tuttavia, alla fine questa è solo una storia, estratta da un caos di eventi collegati solamente dal fatto di essere accaduti all'incirca nella stessa regione e nello stesso periodo. Questi eventi sono atti ad essere intrecciati in una narrazione diversa, e questo è proprio ciò che ha fatto Schonfield.

Del libro di Schonfield fu proprio questo a colpire maggiormente Lennon. Le suggestioni che John ricavò da The Passover Plot appartengono più al piano cognitivo e storiografico che a quello teologico: mai Lennon affermò di credere a tutti i particolari dell'ipotesi di Schonfield. Piuttosto, come suggerisce l'intervista a Evening Standard, la lettura del libro sembra aver spinto Lennon a considerare la sua stessa fama e il fenomeno della beatlemania nei loro più ampi contesti culturali e storici, e a concludere che le forze psichiche, politiche e culturali che avevano contribuito alla creazione del cristianesimo erano state fatte rivivere dalla beatlemania. Il mondo in cui nacque Gesù era caratterizzato, secondo Schonfield, da "uno straordinario fervore di religiosità in cui quasi ogni evento--politico sociale od economico--veniva passato al setaccio per scoprire se e in che modo rappresentasse un Segno dei Tempi e gettasse luce sull'avvento della Fine dei Giorni. La condizione complessiva del popolo ebreo era psicologicamente anormale. … La gente aveva i nervi a pezzi, era nevrotica. C'erano dispute infiammate, rivalità e recriminazioni. (30) Il livello nevrotico della beatlemania fu evidenziato dallo spettacolo dei Beatles che in tutto il mondo venivano salutati negli aeroporti da centinaia di fan urlanti. George Harrison ebbe a dire che negli anni Sessanta "tutti quanti usavano [i Beatles] come scusa per far follie, e poi ci biasimavano per le loro follie". Senza dubbio anche altre esperienze contribuirono alla percezione di Lennon che i Beatles avevano suscitato un'altra era di anormalità psicologica. Ringo Starr ha ricordato che durante i loro viaggi ai Beatles capitava spesso di trovarsi davanti gli ammalati e gli afflitti:

Continuamente portavano dietro il palcoscenico gente paralizzata perché fossero toccati da "un Beatle", è una cosa strana. Non è capitato solo all'estero, anche in Gran Bretagna. C'erano anche dei casi veramente disgraziati, che Dio li aiuti. C'erano dei poveri bambini piccoli che dovevano essere portati dentro con la culla. E anche qualche terribile figlio del talidomide col suo piccolo corpo spezzato, senza braccia, senza gambe, e quasi senza piedi (10).

Qualche settimana prima che esplodesse negli USA il putiferio intorno all'espressione "più grandi di Gesù", i Beatles fecero l'esperienza più inquietante in tutta la storia dei loro concerti. Dopo essersi esibiti in Giappone per un pubblico beneducato che aveva esaurito i biglietti, i Beatles andarono nelle Filippine, dove, dopo aver ricevuto la consueta accoglienza entusiastica all'aeroporto, si trovarono ad essere definiti personae non gratae per aver rifiutato un invito al palazzo presidenziale per un pranzo in compagnia di Ferdinando e Imelda Marcos. Pur potendo effettuare due concerti affollatissimi a Manila, i Beatles furono tenuti sostanzialmente prigionieri su di un'isola, in un alloggiamento che venne loro presentato come il loro hotel, sulla Baia di Manila, e alla fine del soggiorno alcuni del loro seguito dovettero subire le angherie di funzionari di polizia, che li presero a calci e pugni mentre stavano raggiungendo il loro aereo. Ai Beatles fu permesso di lasciare il paese solo dopo che ebbero pagato una "tassa di trasporto" equivalente al totale degli incassi dei loro concerti. Per Lennon, che aveva appena letto il racconto della Settimana Santa minuto per minuto nel libro di Schonfield, questi eventi dimostravano senza dubbio un'agghiacciante somiglianza con il violento trapasso di Gerusalemme dall'esaltazione di Gesù all'invettiva contro di lui tra la Domenica delle Palme e Venerdì Santo. Forse è per questo che Lennon rifiutò di ritrattare le sue affermazioni durante la tournée negli USA, dal momento che ogni giorno adduceva ulteriori prove del fatto che la sua intuizione originaria--che la beatlemania e la versione del cristianesimo fornita da Schonfield erano fenomeni paralleli--coglieva nel segno.

In questo parallelismo, tuttavia, v'era qualcosa di più del semplice fatto che i Beatles condividevano con Gesù l'essere centro di adorazione e dileggio. Intorno al 1966 la longevità dei Beatles--a quel tempo senza precedenti nel campo delle pop star--aveva già fatto di loro e della loro musica l'oggetto di quel genere di esame e di studio che fino a quel momento era stato riservato a figure religiose venerate e a testi sacri. Dopo aver letto Schonfield, Lennon si fece l'idea che la sete insaziabile delle beatlemaniache per qualsiasi briciola di informazione riguardante i loro idoli fosse funzionalmente identica alla fame che spinge il seguace di una religione a cercare di comprendere in misura sempre più ampia le caratteristiche della divinità. Entrambi sono soddisfatti solo quando possono compulsare ogni notiziuccia disponibile, studiandola incessantemente alla ricerca di messaggi nascosti e significati archetipici. Schonfield mostrò a Lennon anche che una tale comprensione è sempre fondata su di una storia--cioè su di una narrazione finalizzata messa insieme a partire da quell'accozzaglia di contingenze che è la vita. Queste due idee, combinate con la controversia sul "più grandi di Gesù" e le sue conseguenze, indicarono una nuova direzione per i Beatles, una in cui avrebbero potuto allargare il loro significato culturale sfruttando e amplificando il loro status quasi-religioso, invece che oscurandolo e ripudiandolo. Il primo passo che mossero verso la manifestazione di questa nuova identità fu il ritiro dalle pubbliche esibizioni--dopo la loro performance al Candlestick Park di San Francisco del 29 agosto 1966, i Beatles non tennero più alcun concerto pubblico. Sebbene la ragione immediata di questa decisione fosse la stanchezza e il disgusto per la follia delle tournée, il non apparire in pubblico ebbe un altro effetto, accidentale ma benvenuto. Contro ogni saggezza del mondo dello spettacolo, per cui gli artisti che non si esibiscono in pubblico vengono rapidamente dimenticati, il ritiro dai riflettori non fece che accrescere l'aura di sacralità che si era sviluppata intorno ai Beatles. Il fatto di scomparire per mesi circondava di mistero e aspettativa il cilindro magico da cui sarebbero uscite le nuove trovate del gruppo. "Che cosa faranno adesso?" si chiedevano i milioni di fan, aspettando pazientemente, addirittura con fede, l'uscita del prossimo disco.

La decisione di non cantare in pubblico rifletteva anche il grado in cui--dopo soli tre anni di ribalta--i Beatles si sentivano autorizzati dal loro successo a rifiutare quelle formule dell'industria dello spettacolo sulle quali avevano costruito il loro successo, al fine di forgiare per se stessi delle nuove identità di poeti a pieno titolo. Dopo l'estate del 1966, i Beatles non avrebbero più indossato abiti di scena coordinati; John Lennon non avrebbe più dovuto lottare con la sua miopia durante le apparizioni in pubblico a causa della presunta incapacità della sua base di fan adolescenti di sopportare la visione del proprio idolo con gli occhiali sul naso. Quando, circa un anno dopo il loro ultimo concerto, i Beatles riemersero dall'isolamento che si erano autoimposti con un nuovo album, Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, erano un gruppo differente: tutti e quattro esibivano nuovi tagli di capelli, baffi spioventi, e indossavano delle parodie vagamente psichedeliche delle uniformi quasi militari usate abitualmente dai membri delle bande d'ottoni delle comunità dell'Inghilterra del nord. Cosa importante, John Lennon portava orgogliosamente i suoi occhiali tondi forniti dalla Sanità Nazionale, come segno di quel suo amore della lettura che egli, presumibilmente, aveva celato per proteggere la sua immagine. Queste alterazioni iconografiche erano intese a segnalare come i Beatles si fossero trasformati da fornitori di rock e pop per teen-ager di maggior successo della storia in artisti--ovvero compositori di narrazioni complesse, sottili e profonde intorno alle questioni permanenti che assillano il genere umano.

 Ma nonostante questi segnali e l'entusiasmo che salutò il nuovo album, la musica di Sgt. Pepper non era per nulla più profonda, più evocativa o più sperimentale di quella che il gruppo era andato facendo per il precedente anno e mezzo. La musica sembrava tuttavia più ricca di significato e in grado di sostenere un'indagine interpretativa più sofisticata, a causa della cura che era stata dedicata alle componenti secondarie dell'album--in particolare al disegno della copertina, che appare composto accuratamente al fine di comunicare un messaggio manifestamente importante. Ma finanche questo aspetto del disco è ingannevole. Sebbene ora lo si identifichi spesso come il primo album "concettuale" della musica pop, e come un "manifesto degli anni Sessanta", Sgt.Pepper, per ammissione dei suoi creatori, era uno zibaldone musicale, tenuto insieme solo dalla canzone del titolo e da una breve ripresa di quella stessa canzone nel penultimo brano. "Tutti i miei contributi all'album," disse John Lennon, "non hanno assolutamente nulla a che fare con questa idea del Sgt.Pepper e della sua band; ma la cosa funziona, perché noi abbiamo detto che funzionava, e in questo modo è apparso l'album. Ma non è stato messo insieme come sembra, eccetto per il Sgt. Pepper che introduce Billy Shears, e la cosiddetta ripresa. Tutte le altre canzoni avrebbero potuto stare in qualsiasi altro album" (11). Pur mancando di una reale unità tematica e concettuale, Sgt. Pepper nondimeno "funziona" perché la sua stessa natura casuale evoca l'oscurantismo tardo-moderno. Come nel caso della visione complottistica della storia che Lennon trasse da Schonfield, quel che conta è il sistema: l'apparenza di rapporti meramente accidentali o fortuiti tra degli elementi è, secondo questo modo di pensare, l'indicatore più certo della presenza di una storia occultata, in attesa di essere portata alla luce da quel tipo di esegesi accuratamente praticata su dei manufatti di manifesta importanza culturale quali i Rotoli del Mar Morto di Schonfield.

L'impressione di serietà tardo-moderna si coglieva immediatamente nella famosa copertina dell'album [http://www.hillsboro.k12.nd.us/schools/students/sarah/sgt_pepper.htm]. La grafica delle fodere dei precedenti album per lo più consisteva in istantanee delle teste dei Beatles come figure contro uno sfondo decorato o solido--quattro zazzeruti che fissano la macchina (12). La copertina di Sgt. Pepper presenta un puzzle ermeneutico: la consueta configurazione dei Beatles come centro dell'immagine lascia il campo ad un mosaico di facce in cui i Beatles, benché in primo piano, appaiono come membri di un qualche tipo di comunità. Ma che cosa tiene unita questa comunità? Chi è l'uomo con gli occhiali scuri (l'attore francese Jean-Paul Belmondo)? Qual è la sua relazione a Sonny Liston, Karl Marx, Oscar Wilde, Marlene Dietrich e Shirley Temple? Che storia racconta questo zibaldone di facce, e che ruolo è svolto in questa storia dagli altri oggetti nella foto, come il piccolo schermo televisivo sulla destra? Sul retro della fodera, si trova la seconda dimensione quasi religiosa di Sgt. Pepper: per la prima volta su di un album pop, vi sono riportate tutte le parole delle canzoni. I testi delle canzoni acquistano così la condizione fissata, stabile, dei testi sacri, ed ora possono essere compulsati e studiati con quel tipo di concentrazione talmudica che i Beatles conoscevano nei loro fan. Quando Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band divenne un compact disc nel 1987, uscì con una leggenda che assegnava alle facce sulla copertina i rispettivi nomi, togliendo ad una nuova generazione di fan dei Beatle il piacere emozionante di riconoscere in quel mare di facce delle personalità come Aleister Crowley e Fred Astaire. Lo LP non presentava una simile leggenda, perché era inteso che gli originali acquirenti dell'album avrebbero tratto un piacere estetico aggiuntivo dalla propria autonoma identificazione dell'identità di quelle persone e dei motivi che le avevano collocate sulla copertina--mentre altre non vi figuravano. Una didascalia defrauda chi guarda di uno dei piaceri fondamentali dati da testi visuali come questo--la soddisfazione ottenuta dalla soluzione del puzzle. Questo è l'innocuo punto di avvio della narrazione complottistica: un guazzabuglio di immagini distinte, unificate solo dalla loro prossimità. Benché presentata come un intero, la densità iconografica di Sgt. Pepper invita ad un attento esame sequenziale dei suoi dettagli. Alla fine di questo processo il piacere estetico fornito dall'immagine come intero è aumentato dalla fatica spesa nell'identificare le sue parti.

In quanto attorno all'oggetto si va accumulando una tradizione interpretativa, tuttavia, il significato di un'immagine complessa e manifestamente seria come questa cresce in modo più sinistro. Parole e immagini legate insieme solo dalla loro vicinanza spaziale cominciano ad essere correlate in termini di causa ed effetto: esse acquistano quella interrelazione sistematica che nella sua Poetica Aristotele identificò come indispensabile caratteristica di una trama. Più l'oggetto è pubblico--ovvero, più è grande il numero delle persone che lo studiano--più elaborata risulta la trama, dato che ciascuno porta in sé un nuovo interprete che costruisce sopra precedenti delucidazioni dei "messaggi nascosti" che, presi insieme, costituiscono una narrazione. La lettura della Trama di Pasqua fatta da Lennon gli mostrò che narrazioni culturalmente ricche erano state ricavate unendo una varietà di dettagli. Ne seguiva, pertanto, che il compito dell'artista si limita a fornire i dettagli; si può contare sui consumatori dell'oggetto d'arte per il compito di intessere la narrazione.

E questo è proprio quello che i fan dei Beatles fecero, finendo per elaborare una teoria bizantina della cospirazione unita al mito della resurrezione dell'eroe: le voci che dicevano "Paul è morto", le quali raggiunsero il culmine nel novembre del 1969. Poco dopo l'uscita di Abbey Road, un disc jokey di Detroit annunciò alla radio di aver ricevuto una misteriosa chiamata telefonica che annunciava che la morte di McCartney era comunicata surrettiziamente dalla foto di copertina del nuovo album, un'istantanea famosa e spesso imitata dei quattro Beatles mentre attraversano una strada. Quest'immagine dall'aria innocente, diceva la voce al telefono, era in realtà quella di una processione funebre, e la condizione di Paul come cadavere era indicata copertamente da alcuni dettagli: è a piedi nudi (un'allusione alla pratica di seppellire la gente senza scarpe), tiene nella mano destra una sigaretta spenta (simbolo di una vita spenta), e sulla targa di un'automobile sullo sfondo si legge "28IF"--che significa che McCartney di anni ne avrebbe "28 se" egli fosse ancora vivo (13). Diffuse da altri disc jockey e attraverso l'enorme rete dei fan dei Beatles, le voci furono prese sul serio al punto da indurre McCartney a comparire prima della fine dell'anno sulla copertina della rivista Life annunciando che si sentiva bene. Tuttavia, per tutto quell'autunno e anche dopo, la storia perdurò e divenne più labirintica, e i fan compulsarono le loro registrazioni dei Beatles, ascoltandole parola per parola e avanti e indietro alla ricerca di nuove indicazioni. Nella sua forma più evoluta, la storia diceva che dopo essere morto in un incidente d'auto nel novembre 1966, Paul McCartney era stato sostituito da un sosia. In memoria del loro compagno perduto, tuttavia, i Beatles sopravvissuti avrebbero presumibilmente infiorato le loro canzoni e copertine d'album con allusioni ai modi e alle circostanze della morte di Paul. Dimostrando un'ingenuità disarmante, i beatlemaniaci lungo gli anni hanno identificato centinaia di "indicazioni", sia visuali che auditive, in tutta l'opera del complesso. Le più famose di queste sono rappresentate dai casi di "mascheramento a ritroso" sul White Album. Per esempio, si presumeva che la frase ripetuta "number nine" in "Revolution 9", qualora suonata a rovescio sul piatto di un giradischi, dicesse "Turn me on, dead man" [fammi perdere la testa, uomo morto](14). Ma fu all'impegnata pop-art di Sgt. Pepper, ritenuto il primo album completato dopo la morte di Paul, che i fanatici dei Beatles si rivolsero per ottenere il massimo di indizi. Sulla parte posteriore della copertina, ad esempio, George Harrison sta con l'indice della mano destra inspiegabilmente proteso. Un esame più attento mostra che esso è puntato ad un verso dalla canzone "She's Leaving Home": "Wednesday morning at five o'clock as the day begins." [mercoledì mattina alle cinque quando inizia il giorno]. Sulla colonna immediatamente a sinistra, il verso corrispondente, da "Lucy in the Sky with Diamonds", è "Somebody calls you, you answer quite slowly." [qualcuno ti chiama, tu rispondi molto piano]. Sulla colonna a destra si legge "life goes on within you and without you" [la vita va avanti dentro di te e senza di te], e la colonna vicina reca "And you're on your own you're in the street." [E tu stai per conto tuo stai sulla strada]. Gli aderenti alla teoria di "Paul è morto" hanno messo insieme questi versi giustapposti a formare il racconto di un incidente avvenuto di primo mattino, con un Paul mortalmente ferito che giace solo sulla strada incapace di parlare, e i Beatles che vanno avanti senza il loro amico caduto.

Ancora, sul retro della copertina i tre altri Beatles guardano in avanti; Paul sta con il dorso all'obiettivo, presumibilmente per indicare la sua non-presenza. All'interno della fodera vi è una grande fotografia dei quattro Beatles sorridenti nelle loro coloratissime uniformi della Sgt. Pepper band. Sulla manica destra di Paul, dove su di un'uniforme si potrebbero trovare i gradi, vi è una toppa su cui si legge "O.P.D.". I teorici della morte di Paul sostengono che si tratta di una abbreviazione per "Officially Pronounced Dead" [dichiarato ufficialmente morto]. E nella canzone "A Day in the Life", secondo questi stessi teorici, John Lennon parla dell'incidente stradale che costò la vita al suo collega:

He blew his mind out in a car
He didn't notice that the lights had changed.
A crowd of people stood and stared.
They'd seen his face before.
Nobody was really sure if he was from the House of Lords.

[Cambiò il suo modo di pensare su un'auto

Non si accorse che le luci erano cambiate.

Una folla di persone stette lì a guardare.

Avevano già visto la sua faccia.

Nessuno era realmente sicuro se venisse dalla Camera dei Lord.]

Questa combinazione di sortilegio e lettura minuziosa--tipica del modo di ragionare convinto a priori dell'evidenza che "Paul è morto"--illustra con particolare chiarezza la mia tesi. La teoria della cospirazione è una forma di gnosticismo di cui si può essere certi che sorgerà spontaneamente in presenza di una qualsiasi sequenza di eventi collegati spazialmente o cronologicamente ma privi di un artefice e di un fine autoevidenti. Come è accaduto nella scena originaria, la mente ha sempre avuto orrore del vuoto cognitivo di effetti senza cause: e dove queste cause non appaiano chiaramente (e qualche volta anche quando sono manifeste), si elaborerà una storia per darne conto. Per John Lennon (che doveva raggiungere la conoscenza) Hugh Schonfield era l'ignorato teorico supremo della beatlemania, poiché questo timido e schivo docente di Oxford aveva indicato, in modo del tutto inintenzionale ma con precisione, le potenzialità mitopoietiche che si annidano nel culto contemporaneo della celebrità. Purtroppo, mentre spargeva nei suoi dischi tanti dettagli provocanti, Lennon non poteva sospettare che un giorno lui stesso sarebbe stato il soggetto della nebulosa teoria della cospirazione di suo figlio, la quale emerge come la spaventosa incarnazione dei miti intessuti intorno alle nostre celebrità in quest'epoca di saturazione mediatica. Il diluvio di informazione che contemporaneamente crea il meccanismo della celebrità contemporanea e ne è creato ricade sequenzialmente nella scena della rappresentazione pubblica. La massa di immagini evanescenti, pubblicità, voci, aneddoti, e testimonianze oculari contraddittorie che circonda le celebrità pretende di essere tradotta in una storia che abbia un qualche senso, in una narrazione. Tanto maggiore è la quantità di informazione che si accumula, tanto più la narrazione si fa complottistica o paranoide, in quanto si deve render conto di tutti i dettagli. Ma in ciò non vi è nulla di nuovo. René Girard ci ha insegnato che tutti i miti sono, in un certo grado, complottistici: col fare della vittima surrogata sia la causa che la soluzione della crisi sacrificale, i miti mescolano fede ingenua e sospetto paranoide. Non potrei ricercare una illustrazione dell'essenziale somiglianza tra le moderne teorie della cospirazione e il mito antico più efficace delle ultime frasi del brano di Sean Lennon col quale ho iniziato questo saggio. Sia la teoria della cospirazione che il mito dicono che "il sistema", in ultima analisi, contemporaneamente consegue e non consegue i suoi fini nefandi: "Era chiaramente nell'interesse supremo degli Stati Uniti che mio papà fosse ucciso. E, sapete, questo poi si è rivolto contro di loro, a dire il vero, perché una volta morto il suo potere è cresciuto. Perciò che vadano a farsi fottere. Non hanno ottenuto quello che volevano."

 

NOTE

    1. Albert Goldman, The Lives of John Lennon, Morrow, New York 1988, p. 14.
    2. Eric Gans, Originary Thinking, Stanford University Press, Stanford1993, p. 95.
    3. René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1980, p.93.
    4. Per un esempio di come il mito di Edipo insieme copra e sveli la sua innocenza rispetto alle accuse dell'oracolo contro l'assassino impunito di Tebe, vedi il cap. 3 de La violenza e il sacro di Girard.
    5. Ristampato in The Lennon Companion, a cura di Elizabeth Thomson e David Gutman (Schirmer, New York 1996, pp. 71-75)
    6. Mark Lewisohn, The Beatles Day by Day, Macmillan, London 1988, p. 212.
    7. Los Angeles Times, 27 agosto 1966.
    8. The Beatles Anthology, Chronicle Books, San Francisco 2000, p. 226.
    9. Hugh Schonfield, The Passover Plot, Element, Dorset 1996, p.187. Ulteriori riferimenti a questo libro saranno indicati nel testo tra parentesi.
    10. The Beatles Anthology, p. 142.
    11. Ibid., p. 241.
    12. Si vedano le copertine di With the Beatles, A Hard Day's Night,  e Beatles for Sale.  
    13. Effettivamente, McCartney "avrebbe avuto" 27 anni quando uscì l'album: è nato il 18 giugno 1942, e Abbey Road fu messo in vendita negli USA il 1 ottobre 1969. Questo fatto, tuttavia, non fermò i teorici della cospirazione della morte di Paul. Essi spiegarono che in certe (imprecisate) "società eschimesi" gli anni di vita sono numerati dalla nascita in modo che un bambino comincia la sua vita all'età di un anno. E che relazione c'è tra McCartney e gli Eschimesi? Sulla copertina di Magical Mistery Tour uno dei Beatles indossa una maschera di tricheco, e nella canzone "Glass Onion" John Lennon canta: "Here's another clue for you all: the walrus was Paul". [Ecco un'altra indicazione per tutti voi: il tricheco era Paul]. Dal momento che i trichechi vivono nell'Artico come gli Eschimesi, noi dovremmo contare gli anni di McCartney al modo "eschimese". Per un elenco di alcune altre "indicazioni", vedi http://www.beatlesagain.com/bpidnew.html .
    14. Per ascoltare, si vada all'indirizzo web http://www.geocities.com/SunsetStrip/Cabaret/8444/9rebmun.wav .

 

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