Tre Muse a Napoli
Isabella Guarini
Un
amico mi ha scritto quasi rimproverandomi di non schierarmi per l’architettura
contemporanea. Devo ringraziarlo per avermi fatto riflettere su un
comportamento che appare ambiguo, o peggio, qualunquista. Invece, ne sono
consapevole perché ho scelto di non scegliere, nel senso che ho costruito un
mio modo di definire l’architettura nei termini che cercherò di esporre di
seguito partendo dal presupposto per cui non bisogna
parlare di architettura contemporanea. Le mie tre Muse architettoniche sono:
METAMORPHÈ, l’architettura globale, dalle mille forme
generate dall’intelligenza virtuale, fatta di materiali globali, acciaio,
vetro, titanio; TRIADÈ, l’architettura vitruviana,
fatta di tanti materiali antichi e nuovi; MNEMOSUNÈ, l’architettura della
conservazione, fatta esclusivamente di antichi materiali, pietre, mattoni,
qualche vetro, qualche staffa metallica. Come in politica, le tre Muse
rappresentano i partiti del popolo degli architetti. C’è una sinistra, un
centro, una destra. Facciamo le primarie per decidere quale delle tre debba primeggiare ed erogare le risorse economiche pubbliche
disponibili? A pensarci bene una volta c’erano i concorsi, ma ora a che servono? Quanto più elevato è il costo dell’architettura tanto più le decisioni sono di vertice e la
piramide gerarchica diventa sempre più aguzza e al popolo degli architetti non
resta che fare gli utenti delle grandi opere ispirate da Metamorphè.
Ad esempio, il progetto, di una nota archistar della
Piazza Garibaldi in Napoli, è stato presentato con grande entusiasmo da parte
della Musa Metamorphé, ma Triadé e Mnemosuné
si sono alleate per una critica non da poco. Triadé
dice che la piazza, per accedere alla metropolitana, è
stata concepita senza tenere presente alcuni aspetti funzionali tipici delle
città mediterranee. Mnemosuné si associa e fa sfoggio
delle piazze nell’antica città greco-romana. Discutono del fatto che la piazza
sia costituita da due piazze, una scoperta con le
palme che fanno assumere all’insieme l’aspetto di una città coloniale
mediterranea, l’altra coperta da una galleria trasparente con serre a “fronn’e limone”, ma sostanzialmente nordica. Le tre Muse
s’incamminano, per un sopralluogo, discutono animatamente del fatto che nell'Ottocento,
a Napoli come a Milano, sono state costruite gallerie coperte da grandi volte
di vetro e ferro, su brevetto inglese del Palazzo di Cristallo. "È vero-
dice Mnemosunè - ma non dobbiamo dimenticare che sono state costruite per essere centro
della città, luogo di permanenza e non luogo di passaggio come sono,
invece, le stazioni di una rete
ferroviaria". Triadè coglie l'occasione e apre
il discorso sulla utilitas dei
mezzi di trasporto che è appunto quella di far spostare, allontanare, non certo
di far restare, per cui la monumentale venustas delle stazioni non si coniuga con la sostanza della
funzione. Le tre muse discutono, gesticolando animatamente, e non si accorgono
che il sole, tramontando, rende lunghe le loro ombre ricciute dipingendo di
rosso il cono di Vesevus e le rive del Golfo.
* * *
Eravamo al tramonto di un sole invernale che tinge di rosso le rive del Golfo di Napoli, mentre le tre Muse, Metamorphé, Triadé, Mnemosuné, discutevano della nuova Piazza Garibaldi a Napoli. Ora le vediamo allontanarsi, accusandosi: vedi la statua di Garibaldi che simbolicamente giganteggia nei confronti degli edifici della piazza?; vedi com’è degradata dallo smog e come nessuno si accorga più dell’eroe dei due mondi?; vedi come appare scura la sua sagoma sullo sfondo di un edificio speculativo nell’antico quartiere retrostante! “Chi ha prodotto tutto questo che volete conservare? Sbotta Metamorphé contro Triadé e Mnemosuné. Scendono sempre più le ombre della sera, illuminata da luccicanti stelle che si ostinano a ingioiellare il cielo sopra la città oscurata da mille cantieri senza fondo. Mi scorgono a riprenderle con il cellulare, tutte scapigliate. Improvvisamente mi accerchiano gridando: non devi riprenderci in reality! In coro sfoggiano riviste, libri, siti web e tutto ciò che possa rappresentarle in modo convincente. Mi rifiuto, o il reality o niente. Tentano di scipparmi il cellulare, ma resisto perché dobbiamo andare avanti e riprendere il reality architettonico come si conviene. Accettano e il sopralluogo nella città in costruzione riprende. Metamorphé urta contro un Totem pubblicitario, posto all’angolo del marciapiede con altri ingombranti paletti, Triadé protesta per le strade piene di ostacoli e rifiuti che impediscono la circolazione, Mnemosunè cerca l’antica fontana del Nettuno nel caos visivo che si attacca ai monumenti come la muffa. A stento giungiamo in quella che fu la Piazza del Municipio dinanzi al baratro del cantiere per la stazione del metrò, che conduce alle viscere della storia. Le tre Muse si fermano e s’inchinano, tenendosi per mano. Sorpresa per la loro arrendevolezza, cerco di stuzzicarle per conoscere il loro specifico punto di vista. Si trincerano dietro un silenzio impenetrabile, misterioso come i cunicoli dell’enorme squarcio nel ventre di madre terra, bagnata dall’ultimo mare dell’antico porto. Le tre Muse, irrigidite dalla commozione, mostrano i volti segnati da lacrime nere di bistro. Mi ritraggo per riprenderle, ma rinuncio al clic cinico che immortalerebbe le nostre dee in un attimo di sconforto e pentimento, per cui attivo la suoneria del cellulare con la voce del grande Pavarotti che canta Vincerò, dalla Turandot, opera incompiuta.
* * *
Nelle ombre della prima sera avevamo lasciato le tre Muse dinanzi al grande squarcio del cantiere Metrò-Napoli in Piazza del Municipio, mentre avevo rinunciato al cinico clic sul degrado napoletano, scambiandolo con il Vincerò della Turandot. L’oscurità cupa è percorsa dal sibilo di una sirena, di quelle che ho sentito solo nei film sull’ultima guerra mondiale, con cui si annunciavano i bombardamenti e tutti fuggivano nei ricoveri dai quali forse non sarebbero più usciti. Ma il fuggi-fuggi di oggi è per lo spettacolo offerto da una bomba dell’ultima guerra, addormentatasi nel ventre del grande cratere metropolitano del Castel Nuovo o Maschio Angioino. Metamorphé, Triadé, Mnemosuné, sono sconvolte e temono per la loro incolumità. Mnemosuné si contorce per paura che l’esplosione del vecchio ordigno possa far scomparire, nel raggio di trecento metri, i più importanti Monumenti di Napoli. Triadé la sostiene, mentre accorrono i maghi artificieri per disinnescare l’ordigno che ha la forma di grande patata da cui ricavare milioni di cip. Tutte le persone sono sfollate, ma Metamorphé, dopo un primo smarrimento, reagisce, si trasforma, diviene diafana. Le lacrime di bistro diventano scintillanti, come nelle favole Disney. Ella si riflette nello specchio magico custodito nella borsetta firmata, si ritocca il viso coronato da riccioli metamorfici e le carnose labbra surreali, mentre lo strascico della sua veste trasparente accarezza i resti delle antiche glorie architettoniche, castello, reggia, teatro chiese, piazze. “ È giunto il mio momento! Finalmente è stata fatta Piazza Pulita! Nemmeno la guerra è riuscita a fare ciò che può fare una sola stazione del Metrò! “. Così pensa la divina Metamorphé e incede con la sua bacchetta scintillante d’acciaio e cristalli. I cronisti la vedono e fanno a pugni per intervistare la vincitrice di quella guerra architettonica di cui nessuno sospettava l’esistenza. Qualcuno riesce a toccarla, ma è immateriale, un ghost inafferrabile, una day-dream story, perché Metamorphé, stanca di girovagare fra tante rovine si era addormentata su un rudere del cantiere. Triadé e Mnemosuné la scuotono dal sogno perché è ora di ripartire. I maghi artificieri hanno disinnescato l’ordigno venuto fuori dalle ferite purulenti della storia.